4. Cosa nasconde la foresta

Era notte fonda. Il cielo, fuori dalla finestra, un esteso spazio scuro trapunto di stelle.
Lilly sollevò le palpebre sopra agli occhi che non aveva mai del tutto chiuso.

Quando suo padre aveva sbattuto la porta dietro di sé, un paio d'ore prima, lei si era rannicchiata nel letto, in attesa che il tempo scorresse più in fretta possibile e che Richard Ferguson si addormentasse quanto prima. Il labbro superiore si era gonfiato e pulsava ancora dolorosamente. La testa le girava, e il cuoio formicolava nel punto in cui l'uomo le aveva tirato i capelli.

A Lilly non importava. Nonostante tutto, ammise a se stessa, doveva ringraziare suo padre: se fino a qualche ora prima aveva avuto dei dubbi sulla sua fuga, ora aveva le idee più che chiare. Non sarebbe rimasta in quella casa un minuto di più. Non avrebbe permesso a nessun altro uomo di umiliarla come aveva fatto suo padre.

Con un gemito si sollevò a sedere, respirando profondamente.
Doveva fare mente locale.
Aveva preparato tutto nei minimi dettagli, ma, se la memoria non le aveva giocato un brutto scherzo, avrebbe giurato di aver sentito la chiave girare nella toppa della serratura quando il conte l'aveva trascinata in camera da letto. C'era un cambio di programma. Scappare dalla finestra, a quel punto, risultava essere l'unica soluzione.

Lilly si inginocchiò e allungò il braccio sotto il materasso. La sacca che aveva preparato quella mattina, contenente i pochi averi che aveva avuto la prudenza di portare con sé, era ancora lì. Tirò un sospiro di sollievo. Suo padre non l'aveva scoperta.

Afferrò il lembo di pelle ed estrasse l'oggetto, depositandolo poi sulla coperta di cotone del proprio letto.
Si lisciò le pieghe del vestito e infilò gli stivali che usava di solito per cavalcare. In un primo tempo aveva pensato di camuffare il proprio aspetto travestendosi da uomo, così da potersi rendere meno riconoscibile, ma in quel momento si rese conto che avrebbe solo sprecato tempo e non poteva permetterselo. Così si diresse alla toeletta, cercando di sistemare i capelli biondo scuro in modo che non la ingombrassero troppo. Se li avvolse in una lunga treccia che lasciò ricadere indietro e si sciacquò il viso per restare vigile.

Tutto questo sta per finire. Sarò finalmente libera.

Ci credeva veramente.

Chiuse gli occhi, preparandosi psicologicamente. Poi afferrò la sacca, gettandosela in spalla, e spalancò la finestra.
Dannazione.
Con tutto quello che era successo aveva dimenticato un dettaglio fondamentale. La sua stanza si trovava al secondo piano. Come avrebbe fatto a calarsi di sotto senza rompersi una gamba? Dandosi della sciocca, appoggiò le mani alla colonna di marmo accanto alla parete, e cercò di fare mente locale. Come poteva fare?

Gettò un'occhiata al letto dietro di sé; lo sguardo le scivolò sull'anta in mogano del grosso armadio dall'altra parte della stanza. Non poteva davvero farlo. Ne aveva letto solo nei romanzi d'avventura che costellavano la sua immensa biblioteca. Ma lei non si considerava al pari delle eroine di quei romanzi. Sarebbe davvero stata in grado di calarsi di sotto, tramite l'aiuto di una corda fatta di abiti?

Smise di rimuginarci sopra quando percepì un rumore stridulo in corridoio, che la mise in allerta. Allarmata, corse ad aprire le ante del suo armadio e ne estrasse quanti più abiti possibili, mentre il cuore le batteva all'impazzata nel petto.

Cominciò ad intrecciarne i lembi gli uni agli altri, cercando di imitare come meglio riuscì le protagoniste dei suoi romanzi preferiti, e quando ottenne una corda sufficientemente lunga si avviò correndo verso la finestra. Cominciò ad agitarsi quando udì dei passi percorrere il corridoio e fermarsi di fronte la porta della sua stanza.
Maledizione, muoviti, Lilly!

Fece scorrere il capo della corda dietro la colonna di marmo e ne annodó i lembi, sperando che il nodo sarebbe stato sufficientemente resistente da sostenerla.
Gettando uno sguardo di panico alle sue spalle si rese conto che i passi si erano fermati e che un lume era acceso in corridoio.

Oh Dio, ti supplico...

Con uno sforzo di volontà chiuse gli occhi e, aggrappandosi alla corda, cominciò a calarsi di sotto. E mentre la porta della sua camera veniva spalancata e le imprecazioni di Richard Ferguson riempivano il buio della notte, Lilly si gettò sul prato, rotolando su un fianco.
L'impatto con il terreno le tolse il fiato. Per un istante non vide altro che piccoli puntini accecanti davanti agli occhi. Una volta superato lo shock, deglutì nervosamente.

Sollevandosi con un'esclamazione di dolore, si guardò indietro giusto il tempo necessario per rendersi conto che la sacca con i suoi averi era rimasta nella propria stanza, e che suo padre, in camicia da notte e con l'espressione più rabbiosa che gli avesse mai visto assumere, sbraitava dalla finestra che gliela avrebbe fatta pagare.

Non c'era più tempo.

Lilly si voltò, ansimante e speranzosa, e cominciò a correre.

***

Impiegò tutta la propria forza d'animo per non farsi vincere dallo sconforto. Mentre correva, pensava a come sarebbe potuta essere diversa la sua vita se fosse nata in un'altra famiglia, un altro paese. Un altro mondo. Se avesse avuto sua madre accanto a sé, niente di tutto quello sarebbe mai accaduto.

Era così buio che non riusciva a capire dove fosse finita. Ad ogni passo rischiava di inciampare e cadere. Pensò che avrebbe fatto meglio a cercare un luogo asciutto, al riparo di un albero magari, dove trascorrere il resto della notte. Nella speranza, naturalmente, che suo padre non avesse già deciso di smuovere mari e monti per trovarla. Decise che, alle prime luci dell'alba, si sarebbe rimessa in marcia, sperando di riuscire a trovare un posto in cui alloggiare.
Si stava quasi rassegnando a cedere alla fatica, quando un odore strano arrivò alle sue narici. Sarebbe stato normale in un villaggio o una città, ma lì, nella foresta, non capitava molto spesso di sentire l'odore del fumo. Doveva esserci un fuoco acceso, lì vicino, magari anche qualcuno che stava preparando la cena. Aguzzò la vista, cercando di scorgere qualcos'altro nell'oscurità.

Annusando l'aria si rese conto che all'odore di fumo era unito quello del letame. Significava animali, persone. Magari il rifugio di un boscaiolo? Era talmente stanca e addolorata che qualunque cosa sarebbe andata bene.

Lilly allungò il passo, ma ciò le fu fatale. Inciampò e cadde sopra un ammasso di legna, tagliata e pronta per essere bruciata. Cercando di rialzarsi, si graffiò. Il dolore, unito all'umiliazione, le riempì gli occhi di lacrime. Quando riuscì a rimettersi in piedi scoprì di essersi slogata una caviglia e, per non cadere, dovette aggrapparsi ai rami più bassi di un arbusto. Non riuscì a trattenere le lacrime che le scivolarono copiose lungo le guance. Quella doveva essere la punizione per aver disobbedito a suo padre. Avrebbe davvero dovuto smettere di piangere, si rimproverò.

Scosse la testa, rannicchiandosi a terra. Non avrebbe potuto muoversi di un altro passo neanche se avesse avuto la forza necessaria. Il sonno la reclamava a sé e la caviglia sembrava andare a fuoco, nel punto in cui si era slogata. In quel momento un cane cominciò ad abbaiare minacciosamente.

Sembrava vicino, lo intuì dai passi pesanti sul terreno della foresta, e tutto ciò che il buon senso le suggerì di fare fu nascondersi dietro la catasta di legna, sperando che non la notasse e potesse aggredirla. Se avesse provato a fuggire, ammesso che riuscisse ad alzarsi, l'animale l'avrebbe seguita e allora sarebbe stata la fine.
Ormai non poteva più negare di aver paura.

Lilly nascose il viso fra le mani per soffocare le lacrime. Lo sentiva avvicinarsi sempre di più. Come avrebbe potuto difendersi? Era spacciata.

Invece di morderla, però, il cane si fermò a distanza di qualche passo. Lilly attese qualche istante prima di sollevare lo sguardo sull'animale. Non sembrava avere intenzione di attaccarla. Il battito del suo cuore e il respiro stavano lentamente tornando alla normalità quando, all'improvviso, da lontano giunsero delle voci. Voci maschili, profonde, che la fecero trasalire e ripiombare di nuovo nel terrore. Allarmata, si guardò intorno, in cerca di un posto in cui strisciare prima che la notassero. Ma gli unici posti disponibili erano gli alberi, e gli alberi non l'avrebbero nascosta da niente. Maledizione.

—Dov'è finito quel dannato cane?— gridò la voce di un uomo, mentre dei passi rapidi e pesanti si avvicinavano al punto in cui Lilly era nascosta.

—Ah, eccoti qui. Dannata bestia!—
La ragazza sentì il guaito del cane quando la mano robusta dell'uomo si avventò sulla sua schiena e rabbrividì. Trattenne il respiro, angosciata.

A un certo punto i passi si fermarono. Ci fu silenzio per quelli che parvero secondi interminabili. Per la frazione di un istante, Lilly credette che se ne fossero andati o che lo avrebbero fatto.
Ma poi, una voce rauca risuonò nell'oscurità, alle sue spalle.

—A quanto pare dobbiamo ringraziare il cane, Erwin. Ci ha portati da una preda ben più appetibile della tua Roxane.—

Lilly impietrì, sgranando gli occhi.
Sentì l'uomo ridacchiare, congratulandosi con l'animale che continuava a fissarla guardingo.

—Ditemi, milady, per quale motivo vi trovate vicino alla nostra catasta di legna che, per giunta, avete anche rovinato?—
Anche lui scoppiò a ridere, quando si rese conto che Lilly stava tremando. Con uno strattone la agguantò per il colletto del suo abito e la tirò verso di sé. Lei cercò di ignorare il dolore alla caviglia che si accentuò non appena l'uomo la strattonò. Lo spavento e il dolore le mozzarono il fiato.

—Io non... lasciatemi...lasciatemi andare— implorò terrorizzata, mentre anche l'altro uomo la raggiungeva. Osservandoli fra le lacrime, Lilly comprese che dovevano essere soldati. Il sudore le incollava alla pelle i riccioli sfuggiti all'acconciatura.

—Allora sapete parlare— la canzonò il primo dei due, mentre il cane ricominciava ad abbaiare.

—Vediamo se sapete fare anche qualcos'altro.—

Lilly comprese ciò che intendeva nella frazione di un secondo. Terrorizzata, cercò di sgusciargli dalle braccia, ma non appena ci provò la caviglia cedette di nuovo. Le braccia dell'uomo la strinsero più forte, mentre rivolgeva uno sguardo d'assenso al suo compagno. Lilly percepì il tocco delle loro mani come fossero state lame d'acciaio, pronte a morderle la pelle.

—No, no... lasciatemi andare!— si oppose con tutte le sue forze, lottando contro il dolore e l'umiliazione, ma tutto quello che ottenne fu la reazione violenta dei due soldati. Rabbiosi, la scagliarono a terra, ignorando le sue lacrime e i gemiti disperati.

Stordita, Lilly riconobbe il rumore di una cintura che veniva slacciata, i passi concitati e pesanti che la raggiungevano. La ragazza venne fatta voltare con la forza. Il secondo dei due soldati impartì un ordine al cane, che lei non comprese, poi si inginocchiò accanto al suo corpo e cominciò a bisticciare con i nodi del suo abito, cercando di strapparlo.

—Non capirò mai perché le donne debbano indossare abiti così dannatamente complicati!—sbottò, furibondo, mentre l'altro si controllava indietro che il cane rimanesse al proprio posto. L'animale continuava a ringhiare fra i denti, ma nessuno dei due uomini sembrava curarsene.

Lilly cercava di stringere le gambe ma il dolore glielo impediva. Che cosa avrebbe fatto ora? Che cosa ne sarebbe stato di lei? Non poteva credere di essere passata dalla padella nella brace. Era finita.

Poi, all'improvviso, un'altra voce, più profonda e autoritaria, arrivò dal folto degli alberi e fece bloccare i due soldati. La ragazza chiuse gli occhi, stordita, mentre un terzo soldato avanzava alto e possente verso di loro.

—Voi due— ringhiò. —Che cosa diavolo sta succedendo, qui?—

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