3. Non sfidarmi, figlia

Quella sera, a cena, Richard Ferguson era silenzioso. Come sempre, del resto, ma in quella particolare situazione il suo silenzio era spaventoso.

All'altro capo del lungo tavolo in mogano, Lilly seguiva rigidamente le regole dell'etichetta stando con la schiena dritta e intingendo delicatamente, di tanto in tanto, il cucchiaio nello stufato che Suzanne aveva preparato. Avrebbe voluto poter apprezzare a pieno quella pietanza, avrebbe voluto davvero, ma quella sera l'appetito di cui di solito era provvista non si era presentato.

Mentre suo padre sorseggiava rumorosamente del vino dal suo bicchiere, Lilly lanciò uno sguardo di sottecchi alla porta finestra alla sua sinistra, drappeggiata da un prezioso tessuto rosso bordeaux e fini decori dorati. Inspirò profondamente. L'indomani, a quell'ora, se Dio avesse voluto, lei non si sarebbe trovata in quella sala da pranzo, ad osservare da quella finestra il cielo scuro, trapunto di stelle. Se tutto fosse andato come aveva pianificato, non avrebbe più rivisto quella casa.

Aveva passato il pomeriggio a fare piani, a pensare ad ogni piccolo dettaglio, senza tralasciare nulla. Aveva previsto la sua fuga in ogni più piccola parte. Sperava solo che avrebbe ricevuto un aiuto dall'alto, perché se Richard Ferguson l'avesse scoperta mentre cercava di fuggire sarebbe stata la fine. Il suo unico rammarico, aveva riflettuto con amarezza, sarebbe stato lasciare la casa in cui sua madre l'aveva data alla luce, in cui aveva trascorso l'infanzia e l'adolescenza, e che ora, dopo ventidue anni, era costretta ad abbandonare.

Avrebbe dovuto lasciar andare tutti gli anni in cui aveva costruito rapporti speciali con la servitù, con Suzanne, con Lucy, con Will, che era stato l'unico ad averle insegnato a cavalcare all'età di dodici anni. Serrò la mascella. Era pronta a tutto quello? Era davvero pronta a costruirsi una nuova vita, lontano da tutto ciò che le era più caro? Non ne era sicura. Ma lo avrebbe scoperto a breve.

—Questa sera sei davvero troppo silenziosa, mia cara.—

La voce tonante di Richard la riscosse dai suoi pensieri, riportandola ad un presente che avrebbe di gran lunga  preferito evitare. Erano le prime parole che pronunciava da quando si erano seduti a tavola.
—Stavo riflettendo, padre— rispose in tono sommesso, agitandosi leggermente sulla sedia. Suo padre emise quello che sarebbe potuto assomigliare ad un brontolio. La sua espressione cinica e altezzosa la metteva a disagio. Ma, del resto, le aveva sempre scatenato dentro quella reazione. Non aveva mai considerato quell'uomo al pari di un padre, quanto piuttosto di un dittatore. Qualcuno che non ammetteva obiezioni, qualunque cosa uscisse dalla sua bocca. Per quanto assurda e sbagliata fosse.

—È per questo che non hai toccato cibo?—

Sorrise, portandosi nuovamente il bicchiere alle labbra e bevendone una lunga sorsata.
—Non ho appetito.—

—È uno spreco di cibo e denaro. Dovresti fare uno sforzo, quantomeno per rispetto verso tuo padre.—
Lilly contrasse la mascella, abbassando lo sguardo sul piatto davanti a sé. Se avesse toccato quello stufato avrebbe rigurgitato tutto. Aveva lo stomaco chiuso.

—Lo capisco, padre, e me ne rammarico, ma mi sento un po' indisposta.—
—Risparmiami i futili dettagli, figlia— la interruppe lui con un gesto noncurante della mano, mentre cominciava a sbocconcellare del pane.

—Su cosa staresti riflettendo, esattamente?"
Il tono di scherno con cui pose quella domanda infuse nella figlia una rabbia che lei riuscì a reprimere a stento.
Cercando di calmare l'agitazione con un sospiro profondo, si sistemò meglio sulla sedia.

—Riflettevo sul perché volete a tutti i costi costringermi a sposare Edward Blackwood, padre. Non lo capisco proprio.—
Sapeva che non avrebbe dovuto osare tanto. Sapeva che quella in cui si trovava era una situazione troppo delicata perché potesse permettersi di sfidare suo padre a quel modo. Ma in venti anni non si era mai sottomessa a nulla, e non avrebbe cominciato ora. Nemmeno lo sguardo gelido che l'uomo le rivolse valse a piegarla.

—Conosci perfettamente le ragioni che mi spingono a volere quell'uomo come genero— sibilò lui con voce ruvida. Aveva smesso di mangiare e la guardava con una enorme dose d'astio. Era il tipo di sguardo che usava rifilare a sua madre prima che la malattia la portasse via.
Lilly sollevò il mento, cercando di ignorare il battito tumultuoso del proprio cuore.

Era vero, lo sapeva. Le immense terre che i Blackwood possedevano era un bottino appetitoso per suo padre. Eppure, anche la famiglia Ferguson aveva a disposizione vasti terreni lavorabili. Doveva esserci dell'altro, sotto quell'aspetto superficiale. Qualcosa che suo padre le stava tenendo nascosto.

—In tutta sincerità, io credo che ci sia dell'altro— ribatté in un sussurro. —Voglio la verità, padre. Si tratta del mio matrimonio. Si tratta del mio futuro.—

Suonò più come una supplica che, com'era stata sua intenzione, una pretesa.
Richard appoggiò i gomiti sul tavolo e intrecciò le dita sotto il mento.

—Tu... vuoi?— replicò in tono sardonico. Non rise, ma Lilly avrebbe potuto scommettere che lo avrebbe fatto se la situazione non fosse stata così precaria. —Questa tua arroganza mi ha sempre infastidito molto, Lilian. Anche tua madre ne era provvista, fin troppo direi.—

Sputò fuori quelle parole con un disgusto che lei fu costretta ad assorbire in silenzio. Fu come una stilettata in pieno petto. Lei avrebbe voluto gridare per impedire che l'uomo notasse le lacrime che le si stavano agglomerando tra le ciglia.

Non osate nominare mia madre, pensò con dolore, non meritate nemmeno che il suo ricordo vi attraversi la mente.

Serrò i pugni sotto la superficie del tavolo.
Doveva mantenere il controllo, per quanto difficile stesse risultando. Era consapevole del fatto  che suo padre stava sfruttando l'affetto che la legava ancora alla madre defunta per spezzarla. Ma lei non glielo avrebbe permesso. Sua madre non avrebbe voluto che glielo permettesse.
Ricacciando indietro le lacrime, gli restituì lo sguardo con orgoglio.

—Non immaginate quanto la cosa mi gratifichi, padre.—

Richard le piantò addosso un paio di occhi talmente taglienti che avrebbero potuto affettare una roccia. Lilly lo vide trattenere la rabbia a stento, mentre sulla tempia destra cominciava ad ingrossarsi una vena. Era il segno che si stava davvero innervosendo. Aveva imparato a riconoscere quei piccoli particolari tanto tempo addietro. Nonostante tutto, nonostante la situazione di traballante stabilità, nonostante fosse consapevole di stare esagerando, Lilly era fiera di essere riuscita a provocargli una reazione simile.

—Non osare sfidarmi, figlia— ringhiò, sporgendosi in avanti con il busto e inchiodandola con lo sguardo allo schienale dietro di lei.

—Non deve nemmeno passarti per la testa il pensiero che potresti vincere la sfida. E adesso finisci quello stufato, o te lo farò ingoiare con la forza.—
Lilly deglutì amaramente, avvertendo la testa pulsare per la tensione. Si sentiva le guance in fiamme, gli occhi lucidi.
Ma non si sarebbe piegata. Qualunque cosa Richard Ferguson avesse deciso di fare.
—No.

In una frazione di secondo, tutto si capovolse. Lilly non fu in grado di ricordare, in seguito, lo sguardo di fuoco di suo padre, né  il tempo che impiegò per raggiungere l'altra sponda del tavolo, o il pugno che le rifilò in pieno volto, spaccandole il labbro inferiore. Non ricordò nemmeno il sapore del sangue che si mescolò allo stufato, quando l'uomo glielo rovesciò addosso, o il dolore sui suoi capelli quando Richard Ferguson glieli tirò per trascinarla fuori dalla sala da pranzo, per scaraventarla contro la lunga scalinata che conduceva ai piani superiori.

Non ricordò niente di tutto quello, nemmeno quando suo padre girò la chiave nella toppa della porta della sua camera, e se la infilò in tasca.

Quello che ricordò furono le imprecazioni che le lanciò contro mentre scendeva le scale e la sua puzza d'alcool che la stordì, completamente, facendole perdere i sensi.

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