Parte 76
«Amelia. Ti prego guardami» m'implora ma non voglio ascoltarlo.
Sento i suoi passi che riverberano sul gres sotto i nostri piedi. Tremo. Non voglio che mi sconvolga come poco fa. Ho quasi vomitato per colpa sua. Ergo. Sua e di Matt. Ma quest'ultimo si è fatto abbondantemente perdonare dalla sottoscritta.
Non voglio. Non ha il diritto di scavare nella mia vita per curarmi e poi lasciare che mi esponga tanto con lui dicendomi che non può avere alcun altro tipo di rapporto con me se non quello meramente professionale. In fin dei conti mi ha baciata e mi ha detto che provava qualcosa per me.
Ed io cosa provo per lui?
Assolutamente niente. Non ora che c'è di nuovo Matt nella mia vita. E se lui avesse volutamente alimentato le paranoie di mia madre nei riguardi di Matt inducendola a tenermi lontana da lui? Oh mio Dio. Questa sarebbe una cosa orribile. Allora sarei davvero una semplice marionetta nelle mani di chiunque riesca ad brecciare la mia armatura di protezione, conquistando parte della mia fiducia.
Scuoto la testa a quel pensiero che mi irrita e mi angoscia al tempo stesso.
«Amelia. Ho bisogno che mi ascolti. Non posso lasciare che tu fraintenda...» proferisce.
«Cosa dovrei fraintendere DOTTORE?» ribatto caustica.
Lo guardo torvo racimolando tutte le mie forze per non sembrare debole ma lui è uno psicologo ed ormai conosce molti aspetti del mio carattere da riuscire persino a cogliermi in fallo.
Si piega in avanti incastrandomi tra le sue braccia inchiodate ai braccioli della mia poltrona. Il suo viso è pericolosamente vicino al mio, dal collo della sua maglietta scorgo i pettorali ben scolpiti. Mi fissa e per la prima volta scorgo nel suo sguardo una luce che mi trafigge l'anima. La vedo perché non ha gli occhi velati dal vetro trasparente dei suoi occhiali da professionista.
Le sue iridi hanno venature giallastre che richiamano il colore della sabbia mentre il verde sfumato di azzurro dei contorni sembra celare i misteri del mare.
Mi perdo per qualche istante, giusto il tempo di sentire nuovamente le sue labbra calde e umide sulle mie che si schiudono involontariamente per lasciare che quel bacio mi riempia la bocca.
Paul afferra la mia nuca intrecciando le dita nei miei capelli e mi attira ancora più a sé come se volesse riversare in quel bacio tutte le parole che vorrebbe dirmi ma che qualcosa gli impedisce pronunziare.
Gli afferro i polsi e lo respingo con forza.
Abbiamo entrambi l'affanno. Lui mi guarda con aria esasperata, sconcertata. I suoi occhi si muovono velocemente sui miei.
«Io ti amo» afferma e la potenza e lo sconcerto che quella rivelazione producono in me sono paragonabili al dolore che una goccia d'acqua, piovuta dall'alto, provoca sulla pelle nuda.
Sgrano gli occhi e spero di non aver inteso bene.
«Cosa?» chiedo sbigottita.
«Non so come sia successo e, credimi, ho cercato con tutte le mie forze di reprimere, scacciare questo sentimento imprevisto e fuori luogo, dato il nostro rapporto, ma è stato tutto inutile. Quando ti ho respinta nella galleria e tu sei andata via piangendo, avrei voluto morire in quello stesso momento perché tanto non esistevo già più. I miei amici mi hanno trascinato a forza lontano da quella panchina dove mi avevi lasciato ma non avevo la forza di fare altro, volevo solo urlare al mondo la mia disperazione, volevo vederti di nuovo per dirti che sono solo un vigliacco, che ho messo davanti a noi il mio lavoro ed il mio stramaledetto codice deontologico. Poi ho capito che dovevo fare qualcosa di più del piangermi addosso e sono venuto qui a cercarti. Perdona la mia invadenza, questo era l'ultimo posto dove avrei voluto metterti a disagio» dice avvilito.
«Paul. Io non provo le stesse cose che tu provi per me. Mi sentivo smarrita, ero arrabbiata per ciò che aveva fatto Matt ed ho reagito d'impulso a quel tuo rifiuto perché mi è sembrato l'ennesimo tradimento da parte di una persona della quale mi fidavo. Ora ho capito e ....» so che hai cospirato con mia madre affinché non vedessi più Matt, ora ne ho la conferma ma, non posso sputartelo addosso perché ancora non ne ho la forza, perché credevo fossi un mio amico ed invece sei un bastardo come tutti gli altri.
Non parlo.
«Stai di nuovo con lui?» mi chiede con un tono che vira sul risentimento.
«Non sono affari tuoi?» rispondo piccata.
«Lo sono, invece. Io sono ....» non lo lascio terminare la frase che un moto di bile mi invade la bocca ed annebbia la vista.
«Tu non sei più nessuno. Nemmeno il mio psicologo. Nessun dottore dovrebbe agire alle spalle del proprio paziente come hai fatto tu pur di sapermi lontana da Matt e poterti, così prendere le tue libertà nei miei confronti. Pensa a cosa direbbero in ospedale se lo sapessero. Non credo sia una condotta appropriata per un professionista» lo becco.
Lui si stacca da me per assumere una postura più eretta al di la delle mie gambe.
Mi sollevo dalla poltrona per enfatizzare la mia posizione di autorevolezza in merito a quella situazione.
Faccio paura persino a me stessa.
«Vai via da me» tuono.
Lui mi osserva come un animale ferito ed indietreggia fino a voltarsi, allontanandosi.
Il mio cuore scalpita nel petto e l'ansia improvvisa mi afferra la gola ma resto come una statua, imperturbabile, mantenendo il più possibile la mia posizione e non vacillando, permettendogli di cogliere la mia debolezza.
Quando finalmente lo vedo sparire tra le fioriere del giardino mi accascio nuovamente sulla poltrona di vimini e lascio che le lacrime prendano il sopravvento assieme alla disperazione per quegli eventi tanto devastanti.
Ma sono una nuova Amelia, ora, e sono anche fiera di come ho saputo affrontare questa cosa. Fa male ma l'ho fatto ugualmente.
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