La resa dei conti - Seconda parte
Lo sguardo che mi rivolse fu dapprima stupito, poi arrabbiato, infine deluso: in tanti anni mai avevo fatto un'incursione del genere nella sua privacy, né tantomeno si era permesso lui di farlo nella mia, sia perché era sempre stato un atteggiamento che avevamo criticato negli altri, sia perché non c'erano mai stati motivi anche solo per pensare di farlo.
Aspettammo che i bambini si fossero addormentati, dopodiché facemmo quello che avremmo dovuto fare molto prima: ci sedemmo ai due lati del tavolo e parlammo, parlammo per tutta la notte, cercando di sviscerare la cosa una volta e per sempre.
Non fu facile per niente guardarsi negli occhi e denudarsi di tutti gli strati fatti di distanze, di trascuratezza, di situazioni lasciate andare alla deriva, di incomprensioni, di "ma questo/a che vuole"; non fu facile farlo senza urlarsi addosso, l'effetto catartico fu più duro a manifestarsi; non fu facile ascoltare quello che avevamo reciprocamente da rinfacciarci.
Mi chiese cosa ci facessi col suo cellulare in mano, cosa credessi o sperassi di trovarci, visto che per fare una cosa del genere dovevo proprio aver perso i sensi: gli risposi che dopo l'incidente con la tizia al negozio mi era parso strano il suo nervosismo e che avevo tutto il diritto di "marcare il territorio" visto che avevo percepito una minaccia. Lui mi incolpò di averlo trascurato per consacrarmi ai bambini, io lo accusai di avere ceduto troppo presto e di non aver più riprovato ad attirare la mia attenzione.
Ale cominciò a ridere istericamente e quando si fermò mi raggelò dicendo che nei fatti ci comportavamo come due estranei per cui il solo Stato Civile non mi dava nessuna prerogativa. Mi sentii offesa, umiliata e, lo ammetto, gli tirai un ceffone in pieno viso, così forte che col silenzio della notte pareva fosse stato esploso un colpo di cannone in cucina.
Se con lo sguardo si potesse incenerire, probabilmente in quell'istante sarei diventata immediatamente polvere: Ale mai avrebbe risposto al colpo alzando le mani, mi colpì direttamente coi fatti, mostrandomi una chat con una donna, non quella del negozio, un'altra che aveva conosciuto in palestra e che volta dopo volta, conversazione dopo conversazione, lo blandiva sempre più, lo compativa per avere una moglie così cieca da trascurarlo, però in modo subdolo, senza dire apertamente che io fossi in errore, ma affermando di non capire come io dimenticassi che anche lui fosse una priorità; lo rassicurava sul fatto che fosse un uomo bello, interessante, piacente, che aveva sorpreso più di una donna a mangiarselo con gli occhi, ma diceva anche che l'apparenza inganna e prima di pronunciarsi avrebbe dovuto provare, anche ripetutamente, per farsi un'opinione veritiera.
Ale devo dire all'inizio nicchiava, talvolta faceva cadere la conversazione o la troncava buttandola sullo scherzo, ma più noi ci allontanavamo, più lei trovava il solco e lo allargava, infilandosi nelle crepe, smantellando pilastri e dicendogli cose che contribuivano ad accrescere la sua autostima a discapito mio, fino ad una sera in cui lei scoprì le sue carte e gli disse senza mezzi termini che era particolarmente vogliosa e che lo avrebbe aspettato a casa sua, inviandogli foto in cui progressivamente si spogliava fino a quando non restò nuda e mise l'indirizzo di casa sua come ultima didascalia.
Gettai il telefono sul tavolo e andai in bagno a vomitare, lui non fece nulla se non aspettare in cucina che avessi finito: quando tornai, mi mancò il coraggio di chiedergli il proseguimento di quella tortura e Ale mi guardò senza parlare, ma io non riuscivo a leggere nessuna risposta in quegli occhi. Siamo rimasti in silenzio a guardarci come due boxeur per molto tempo, fino a che lui confessò di esserci andato da quella stronza.
Lì mi cadde il mondo addosso, non riuscivo a quantificare il dolore devastante che mi travolse a valanga, istintivamente portai una mano alla gola perché non riuscivo più a respirare, era come se l'aria si fosse saturata di qualche gas, di un acido che mi bruciava i polmoni e non ero capace di venirne fuori. Ale tacque di nuovo, guardandomi piangere senza singhiozzi per altri interminabili minuti, se prima mi ero sentita umiliata in quel momento fui totalmente devastata dalla consapevolezza che lui aveva ceduto e che qualcosa si era spezzato, insieme al mio cuore.
Non lo sto giustificando eh, sia ben chiaro, ma in quel frangente non riuscii a non attribuirmi delle colpe, iniziai a chiedermi in quale punto del percorso insieme da che eravamo una sola cosa fossimo poi diventati i famosi binari paralleli.
Di punto in bianco, gli chiesi che fine avesse fatto il bigliettino del troione da combattimento che avevo visto al negozio: ovviamente non era importante, ma ero troppo addolorata, mi serviva un diversivo per riprendere a respirare o almeno per provarci. Alessandro mi guardò come a dire "questa è scema" e mi disse che non sapeva che farsene del numero di quella lì, non lo attirava anzi tutto quel toccarlo gli aveva dato fastidio, ma non poteva rimetterla a posto visto che era nel pieno di una ristrutturazione e le serviva parecchio materiale. Appena se n'era andata aveva buttato il cartoncino nella spazzatura.
Fu lui a riprendere il discorso: per andare da quella mi propinò la scusa di dover cominciare urgentemente l'inventario perché all'improvviso si era trovato a corto di materiale, per cui chiuse e si recò a casa di lei, dove si trattenne fino a tardi per... beh controllare ripetutamente se "il trapano in dotazione" fosse ancora efficiente, anche da più angolazioni, sotto sforzo... Vabbè, basta con le metafore, si è capito il concetto.
Quando tornò a casa, Ale trovò me e i bambini dormire insieme, come di consueto. Si fece una doccia e quando rientrò in camera vide che Marco era stato svegliato dallo scroscio d'acqua e che lo stava aspettando seduto sul letto con gli occhietti mezzi chiusi per il sonno: il bimbo allungò le braccine e gli si abbarbicò al collo, chiedendogli di dormire insieme nel suo letto. Si sistemarono alla meglio e poco prima di cedere al sonno, Marco gli disse che il papà gli era mancato tanto e che doveva stare più attento al lavoro così non sarebbero più mancate le cose e lui non si sarebbe più dovuto trattenere fino a tardi.
Quello fu l'unico momento in tutta la confessione-fiume di quella notte in cui Ale arrossì e abbassò lo sguardo: provava profonda vergogna per aver ceduto agli istinti sessuali accantonando le necessità dei figli, si era proprio scollegato dalla realtà facendosi sopraffare dall'altra "testa" e non se lo perdonava. Decise che non avrebbe più ripetuto quello sbaglio, non voleva più sentirsi in colpa verso i piccoli e da quel momento in poi, ad ogni contatto lui si negó, la ignorò di proposito finché non le disse chiaro e tondo che, toltisi lo sfizio, non c'era motivo di ripetere di nuovo l'esperienza, che era stata positiva per carità, ma poteva tranquillamente finire tutto lì.
Confesso che feci fatica a trattenere un sorriso quando Ale mi disse che a quelle parole lei si incazzò come una iena e gli tirò un sonoro ceffone prima di lasciare la palestra ancora in tuta: entrambi si meritavano quello che l'altro aveva in serbo, però anche se a me prudevano le mani dalla voglia di cavargli gli occhi, c'era un'altra questione di primaria importanza da affrontare ancora...
Noi che fine avremmo fatto?
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