Capitolo 9 -Elena-
Il dolore mi feriva il dietro della nuca. C'era un suono ululante che si alzava di tono da orecchio in orecchio, mentre riaprivo faticosamente gli occhi fui quasi colta da un conato di vomito. La stretta ferrea di quelle braccia era ancora intorno a me, mentre mi bloccava il respiro.
Con la vista ancora appannata scorsi una struttura davanti a me immersa nel buio, i muri grigio topo macchiati e in alcune parti attraversati da diverse crepe, i vetri sporchi di polvere e ragnatele mentre alcuni erano rotti. Somigliava molto a un magazzino ormai in rovina e lasciato lì a decadere, lo stucco si consumava staccandosi dai muri.
Venni trascinata dentro a forza, colui che mi teneva mi sollevò di peso, non riuscivo a toccare più il terreno nemmeno con le punte, tentavo di colpirlo, mi dimenavo, ma non riuscivo a urlare, il panico aveva creato un nodo nel bel mezzo della gola con le mie stesse corde vocali. L'ululato nella mia testa rischiava di spaccarmi i timpani.
Una volta dentro l'unica fonte di una parvente illuminazione era una piccolissima lampadina che pendeva dal soffitto, la sua luce si accendeva a scatti. Stupidamente mi chiesichi poteva mai averla accesa dato che non vi era nessun altro.
Non appena il demone mi scaraventò a terra liberandomi dalla sua presa ferrea, feci per alzarmi e scappare. Ebbi il tempo di cinque secondi per accorgermi che da dietro un muro grigio si faceva avanti un'altra figura resa nera dalle ombre. Era di nuovo quel demone ragno, o forse era un altro, dato che la pelle era completamente nera e attraversata da delle strane protuberanze sottocutanee, camminava aggrappato al muro verso di noi, la moltitudine di occhi si muovevano in differenti direzioni, come stesse ispezionando l'intera sala. Sulle mani scheletriche, dal mezzo delle dita fuoriuscivano degli artigli, ed erano evidentemente ben affilati. Graffiavano la parete procurando un rumore stridulo che non fece che aumentare le fitte che sentivo alla testa, procurandomi una smorfia.
Le mandibole prive di labbra si schiusero nell'imitazione di un inquietante sorriso.
«Dov'è la lancia?!»
La mia mente vagò, alla ricerca di una qualche possibilità di fuga, mentre le gambe mi tremavano incessantemente. Temevo non avrebbero retto una folle corsa alla ricerca di una eventuale via di fuga. Il mio corpo era completamente immobile.
Di nuovo non sapevo che cosa fare, di nuovo ero troppo debole per sopravvivere.
Una fuga verso dove? Non sapevo nemmeno il luogo esatto in cui mi trovavo.
Un demone con le ali lì presente, non ricevendo alcuna risposta da me, mi prese con violenza per il collo della maglietta sollevandomi nuovamente da terra, mentre il secondo non batteva ciglio e aspettava,incredibilmente calmo.
«Dov'è?!» mi ruggì con rabbia davanti la faccia, mettendo in bella mostra i suoi piccoli denti affilati, la paura mi bloccava e forse era anche un bene. Avevo talmente tanto terrore che mi scorreva dentro al pari di una scarica elettrica, da non riuscire a spiccicare parola. Non potevo combattere e ne ero consapevole, ma non gli avrei rivelato niente.
Speravo solo che qualcuno arrivasse in fretta, non ci avrebbero messo molto a capire che la lancia era nella tasca dei miei pantaloni.
Mi smosse energicamente per poi ributtarmi a terra. L'impatto con la schiena sul terreno mi procurò una scossa di dolore lungo la spina dorsale, che comunque ignorai, portandomi un braccio a coprire la tasca e a tentare di allontanarmi il più possibile da loro strisciando.
«Sbrigati! Esistono modi più persuasivi per farla parlare, sentire le urla di questa piccola bastarda figlia di sacerdoti sarà divertente» la voce rauca del suo compagno sembrò quasi graffiami i timpani, mentre rimaneva immobile sulla sua parete, scrutando la scena dall'alto.
Mi alzai di scatto da terra con le ginocchia tremolanti. In quel momento ebbi davvero paura.
Il demone con le ali nere ghignò lievemente, avvicinandosi con aria minacciosa e sfoderando dei piccoli artigli. Sembrava che il buio si muovesse al passo con lui, costringendomi ad arretrare sempre di più, mentre lui si avvicinava sollevando il braccio verso di me mentre l'oscurità alle sue spalle si espandeva minacciosa come una macchia d'olio su di una tela. Si avvicinava avida alla piccola lampada del soffitto, quasi a volerne inghiottire la fioca luce.
Rimasi un secondo ferma per osservarlo bene, incapace di muovermi. Se prima la sua figura era la parvenza di un ragazzo, ora aveva la pelle rossa che sembrava ardere quanto la brace del fuoco, mi procurò un brivido di disgusto lungo tutto il corpo.
Gli occhi erano troppo grandi e neri quanto la pece, la testa era stretta e allungata. Le orecchie erano grandi e i capelli altrettanto scuri, di un colore indefinito tra il nero e il castano, simili molto di più a della peluria che lasciava chiazze vuote sul capo. Le ali si stendevano dietro la sua schiena, scure come un cielo privo di stelle e con filamenti rossi intrecciati tra le piume rovinate e spezzate tra loro, strappate in alcuni punti, inquietanti. Sembravano più essere composte da pezzi di stoffa ormai rovinati e sfilacciati, e con qualunque cosa fossero realmente formate quelle ali demoniache... ricadevano dei filamenti disgustosi alla fine, sembravano usurate dal tempo e dall'incuria.
Di tutte le fantasie che mi ero potuta costruire sulle ali, quelle andavano a rappresentare l'esatto opposto, emanavano un odore acre e disgustoso tutto intorno a loro, puzzavano come fossero ormai ammuffite.
Non potei indietreggiare oltre.
Nel momento stesso in cui credevo che sarei rimasta inghiottita da quella oscurità avanzante, percepii un lieve fruscio alle mie spalle, paragonabile a uno sguscio, e improvvisamente un polverone nero si innalzò per aria, mosso da un vento improvviso che fece volare in avanti anche i miei capelli. Tossii sentendo i granelli di polvere entrarmi nei polmoni.
Il demone ringhiò, un verso agghiacciante e disumano che mi fece restare immobile, solo in tal modo avvertii che dietro di me... si trovava qualcuno, un'ulteriore presenza. Non mi ero ancora girata per costatare la veridicità di ciò che sentivo, ma era una consapevolezza che non per forza aveva bisogno di conferme visive.
Era come se percepissi la stessa ombra che credevo mi seguisse nelle strade del paese di montagna... solo che in quel momento era dietro di me. A un millimetro dal mio corpo.
Mi voltai lentamente, osservando colui che in quel momento aveva posato i suoi occhi azzurri su di me, iridi di ghiaccio, freddi e taglienti come lame affilate. Lo riconobbi immediatamente, era lo stesso giovane uomo con cui mi ero scontrata al paese, lo stesso che avevo scorto fuori dalla mia finestra, gli stessi identici occhi che nel mio sogno si aprivano nel bel mezzo della roccia solitaria.
Indietreggiai spaventata, non ero pazza... lui era la presenza che mi seguiva tormentandomi.
Potevo gioire nel constatare che ero ancora sana di mente... ma non sapevo quanta gioia avrei potuto ricavarne, dato che ciò voleva anche significare che ero davvero perseguitata da qualcuno.
«Maledetti» sputò tra i denti con stizza, squadrando i due demoni con severità. La sua voce profonda e roca era la stessa che ogni notte mi ricordava che dovevo morire, la medesima che mi inquietava e rimbombava nella testa tutte le volte che calava il buio, e che non poteva essere sovrastata da nient'altro.
«Date una festa e non mi invitate?» un leggero sogghigno intrattenuto si disegnò sulle sue labbra, mentre riportava lo sguardo tagliente su di me, ferma lì immobile. Incapace di fuggire. Al contrario degli altri aveva una forma del tutto umana.
«Ragazzina, dammi la lancia» allungò la mano verso di me nel tentativo di afferrarmi,mi ritrassi alla svelta con uno scatto improvviso per lui tanto quanto per me, facendo segno di no con la testa a quella che non era una domanda, ma un ordine.
«Lo so che è nella tua tasca, dammela!» il suo tono di voce si alzò di grado, mentre quegli occhi azzurri ghiaccio lanciavano lampi di irritazione di fronte al mio rifiuto.
«No» sentenziai,con voce malferma e tremante, nonostante non staccassi gli occhi dai suoi.
Si avvicinò a me, talmente tanto che potei notare tra le ombre che occultavano il suo viso, la sua mascella squadrata, la leggera barbetta bionda e i capelli biondo scuro. Un aspetto del tutto umano, in ogni suo più piccolo dettaglio.
Non potevo indietreggiare ancora, dietro di me gli altri due demoni mi bloccavano la via di fuga, anche se stranamente dall'arrivo di quest'ultimo non avevano più aperto bocca. Il demone ragno si era ritirato indietro, celandosi nell'oscurità.
«Quei bastardi dei tuoi genitori non ti hanno insegnato a restituire gli oggetti ai legittimi proprietari?»
Contrassi il viso in una smorfia di collera pura nel udire chiamare i miei genitori bastardi da uno schifoso demone.
«Non è tua»riuscii a gracchiare con voce roca e flebile.
«Dammela e basta!»fu pari a un urlo, il timbro potente della sua voce riempì l'aria,sembrò farmi vibrare persino le ossa frastornandomi i timpani.
Ma con mio sommo stupore di fronte al mio ennesimo rifiuto, sospirò amareggiato. Li per lì mi aspettai le peggiori reazioni, avevo paura che una volta presa con la forza la lancia da me... mi avrebbe uccisa, o meglio quella era una certezza, temevo il modo in cui lo avrebbe fatto.
Al di dietro del mio tremolio vi era una tempesta di emozioni e paure, talmente tanto forte e devastanti che non riuscivo a capire se fosse l'orrore a dominare o la brama di sopravvivere a ogni costo. Ero immobile come una statua di sale, rassegnata a una fine orribile e allo stesso tempo decisa a scappare lontano per sfuggirgli. Non riuscivo a capire, mi esplodeva la testa, gli occhi erano ricolmi di lacrime non versate e il mio corpo urlava al posto della mia voce.
«Amico mio» il demone dagli occhi di ghiaccio fece cenno a colui che possedeva quella sorta di ali di avvicinarsi, quest'ultimo con somma indifferenza e forse, una leggera vena di insicurezza, gli si accostò.
«Non osare toccare la lancia!»
Rimasi inorridita da ciò a cui i miei occhi furono testimoni subito dopo. Con una semplice e istantanea mossa, il demone dagli occhi azzurri prese con la mano, stringendolo tra le dita, un lembo delle ali dell'altro, e lo strappò, con tanta violenza da spezzare metà dell'itera ala nera. Il rumore che seguì a quella orrenda barbarie assomigliò molto a quello di quando veniva strappata della stoffa.
Le grida di dolore del demone riempirono il magazzino abbandonato, mentre dallo strappo inflittogli prendeva a fuoriuscire una grande quantità di sangue scuro, non rosso ma bensì nero. Scorsi nella penombra dei filamenti sostituirsi a dove prima si trovava la parte di ala ormai rimossa del tutto, sembravano tanto delle vene penzolanti nel nulla e gocciolanti del sangue che prima contenevano.
Conati di vomito salirono lungo la gola scuotendomi con forza, mentre l'odore acre del sangue mi riempiva le narici pizzicandole quasi, un odore disgustoso che poteva appartenere solo a del sangue marcio. Il mio corpo si sbloccò improvvisamente ripresosi la forza necessaria e destato dal suo stato di trance, senza perdere altro tempo corsi via, mentre i tre erano intenti in una lotta fra loro, mi inoltrai nel buio del magazzino sperando in una qualche altra vecchia uscita di servizio.
Dopodiché avrei continuato a correre, non avevo altre possibilità né il tempo per procurarmene.
Mi stupii di come i miei occhi in una tale situazione si abituassero al buio tanto in fretta, non impedendomi però di sbattere svariate volte contro le pareti dei muri che sembravano sbucare dal nulla, e quelli che dovevano essere mobili lasciati lì a marcire con tutto il loro contenuto. Ma nonostante ciò non mi fermai mai, brancolavo nel buio con le mani alzate pronta a bloccare qualsiasi altro possibile urto.
Nonostante il dolore e i lividi che mi stavo procurando, tutto il mio essere mi urlava che non dovevo bloccarmi per nessuna ragione. Mi allontanavo udendo ormai appena i rumori lontani della piccola battaglia che infervorava alle mie spalle.
Eppure fui costretta ad arrestarmi nella fuga dal mio crudele destino, perché non vi era più corridoio o stanza dove io potessi correre e scappare nel tentativo di nascondermi, la parete davanti a me segnava la fine del magazzino, un vicolo cieco.
Non mi arresi prendendo a tastare la parete con le mani e percorrendola freneticamente nella vana ricerca di qualcosa, sfregando i polpastrelli sul ruvido del muro. Mi ritrovai dinanzi un'altra porta, spinsi per aprirla con l'intera pressione della mia spalla, e vedendo che non funzionava provai a tirarla verso di me. Ma era inutile, con mio sommo terrore constatai che era chiusa dall'esterno.
«No apriti, ti prego!» strattonai la maniglia più volte, lanciando vari insulti misti a preghiere e sentendo la morsa della paura attanagliarmi lo stomaco, la stessa che avevo provato nelle vene il giorno in cui i miei genitori erano morti. Non poteva finire così... ero sopravvissuta una volta, dovevo farcela ancora.
«Inutile che tenti, non mi scapperesti comunque» la sua voce gelida mi giunse dalle spalle, mi voltai di scatto schiacciandomi contro la parete con la schiena. Se avessi potuto mi sarei infossata nel calcinaccio del muro.
Lui mi si parò di fronte, prendendomi il braccio e spostandolo da davanti la tasca che conteneva ciò che bramava, infilò la mano nella tasca dei miei jeans senza troppe cerimonie tenendomi ferma per il braccio. Non che io riuscissi a muovermi per impedirgli una qualsiasi mossa. Estrasse la lancia, un riso maligno di soddisfazione si allargò sul suo volto facendomi rabbrividire dalla testa ai piedi. Più che brividi somigliarono a tanti piccoli aghi nella pelle.
Esaminò la piccola lancia contenuta nel palmo della sua mano come fosse la raffigurazione della sua amata appena ritrovata dopo anni di dolorosa e indotta separazione. E io la vidi mentre si allungava nello stesso modo in cui era stata capace di rimpicciolirsi, fino a farla tornare nella sua forma originaria.
Era uno spettacolo spaventosamente affascinante, davanti i miei occhi si trovava un demone crudele in riunione con una delle armi più letali.
Mi puntò contro la lama, con gli occhi contenenti il ghiaccio, fieri e pieni di un odio che non riuscii a comprendere. Nel momento stesso in cui innalzò la lama per potermi tagliare con essa la gola, lacrime calde di paura mi rigarono le guance. Chiusi gli occhi pronta a urlare. Mi ero arresa, il buio tornò ad assalirmi.
Non vidi le figure dei miei genitori, non scorsi passarmi davanti gli occhi nessun ricordo felice, nessuna luce. Non vi fu niente, esattamente come l'ultima volta... c'era solo il buio.
Strinsi i pungi e aspettai il dolore, l'unica cosa che avrebbe veramente accompagnato quell'attimo, quasi pregai che tutto avvenisse velocemente... ma dopo cinque secondi di attesa, non successe nulla. Spalancai velocemente gli occhi, lasciando i pungi stretti a conficcarmi le unghie nella pelle alla creazione di piccoli solchi dall'apparenza di mezzelune rosse.
Vidi che la lancia aveva rilasciato una scossa al demone, piccole striature blu lo attraversarono facendolo appena tremare convulso. L'espressione gli si accigliò mentre un guizzo di sorpresa gli fece contrarre la mascella, gli occhi si ridussero a due fessure taglienti, con un ululato di dolore la lasciò cadere immediatamente a terra. Esalai un sospiro, cos'era successo?
«Non può essere» il demone si osservò la mano che fumava leggermente, solo in quel momento respirai col naso l'odore di bruciato che ne proveniva. Un odore nauseante e pungente quanto quello del sangue. Non riuscii a non collegare il sangue con lo stesso che avevo visto colare dalla ferita aperta di mio padre.
«Allora è vero.»
Mormorò con un tripudio di sorpresa e furia rovente, mentre restava fermo lì davanti a me, i ciuffi biondi dei capelli gli ricadevano sugli occhi, dandogli in un qualche modo un'espressione più oscura e maligna.
«Avrai notato, ragazzina che ti ho salvato varie volte, alla quale si aggiunge anche questa» la voce calma e l'insolito sorriso sulle labbra mi fecero aggrottare le sopracciglia.
«Cosa?» farfugliai, mentre con gli occhi non facevo che guardarmi intorno facendoli roteare come trottole impazzite. Ma mi sentivo costretta fisicamente lì, come se una forza nascosta nel buio mi impedisse di muovermi. Per quanto ne sapevo i demoni erano forniti di poteri indotti dalla loro essenza, forse era lui a obbligarmi lì, il che mi terrorizzava ancor di più.
«Chi pensi che sia stato a far svolazzare via il demone che ti ha quasi aggredito nel vicoletto vicino casa tua? O colui che te ne ha tenuti lontani molti mentre ti adempivi anche solo a concepire come funziona il nostro mondo?»
«Tu sei un demone, non salvi la vita degli umani» il suo sorriso fu come un lampo nel buio. Mi ritrovai a pensare come fosse mai possibile che un demone pericoloso come lui, potesse sembrare tanto umano e attraente come solo un uomo avrebbe potuto.
«No, questo è vero. Soprattutto se si tratta di sacerdoti, mi piace veder morire quei schifosi traditori.»
Mi trattenni dall'urlargli in faccia, volevo arrivare al punto, capire perché mi stava tenendo in vita prolungando forse la mia agonia.
«E allora perché... aiutarmi? Stavi per uccidermi.»
«Errore mio» la sua voce suonava divertita da quella conversazione. «Ma ora ti sto tenendo in vita, non posso ucciderti. Il che dovrebbe farti gioire, ma non per questo ho intenzione di lasciarti andare.»
Nonostante il tono divertito, riuscivo sempre a vedergli quel bagliore negli occhi mentre mi scrutavano, quella sfumatura di rabbia, mista a un odio che traspariva facilmente attraverso uno sguardo di vetro. Ed era tutto indirizzato verso di me, quasi fosse una lama tagliente che aspettava solo di trapassarmi da parte a parte.
«Se ti stai chiedendo il perché non ti uccido, il motivo è la lancia. Sembra che il suo dominio appartenga a te, proprio come era stato predetto, la lancia risponde alla tua famiglia... a te. Non posso utilizzarla contro la tua persona o in qualsiasi altro modo senza il tuo consenso» ringhiò con stizza, serrando i pugni talmente tanto energeticamente che mi aspettai di scorgere colare il sangue dai palmi lungo le sue dita, era sicuramente il modo di non indirizzare a me dei colpi.
Ma ciò non aveva senso, come non lo aveva ciò che diceva.
«Come può essere possibile? Io non sono un demone e...» lui ridacchiò, un suono fin troppo umano.
«Su questo non c'è dubbio. Ma non starò qui a spiegarti il perché. Vorrei offrirti un patto» si avvicinò, ormai era a un solo passo di distanza da me. Essendo molto più bassa vedevo il suo petto ampio alzarsi e abbassarsi a ritmo col suo respiro che udivo a poca distanza da me, caldo e poco sopra la nuca... i demoni dunque respiravano?
Sollevai lentamente lo sguardo, non riuscendo a muovermi e con la schiena ancora incollata al muro ghiacciato. Il sudore aveva preso a imperlarmi la fronte, sentivo che sulla schiena piccole goccioline scendevano e mi procuravano una serie di brividi incontrollabili, a causa del demone. Emanava calore al pari di un fuoco ardente.
Si abbassò appena per poter essere alla mia stessa altezza, il suo viso era proprio davanti il mio, come per incanto l'odio che vi era dipinto poco prima era del tutto estinto.
«L'accordo è questo. Tu mi permetti di usare la lancia per il mio scopo e appena lo avrò concluso, te la riconsegnerò» la freddezza dei suoi occhi sembrava congelarmi dentro sin nelle ossa mentre il suo corpo mi squagliava tramite il calore afoso. Un'ulteriore brivido mi attraversò partendo da dietro la nuca e giù lungo la spina dorsale.
Sii forte, l'hai promesso.
«No» stabilizzai il tono di voce, tentando di renderlo deciso. Il suo sguardo si indurì.
«Non era una richiesta stupida ragazzina, non sei nella posizione di dettare regole e concordi.»
«Io non accetto, sei tu che hai detto che la lancia ora risponde a me.»
Sottolineai l'ultima parte con una strana determinazione. Quello era tutto ciò che mi teneva ancora in vita, potevo a mia volta dettare piccole regole per la mia salvaguardia.
Gli angoli delle sue labbra si incurvarono appena verso l'alto.
«Mettiamola così, tu sei indifesa e demoni di ogni tipo ora ti daranno la caccia finché la lancia l'avrai tra le tue mani. Se mi permetti di usarla quando ne ho bisogno, io sarò al tuo servizio fino alla fine del mio scopo, dopodiché... sarai libera da questo peso» parlò con calma glaciale, allontanandosi appena da me, per poi esibirsi in un leggero inchino dimostrativo.
Non sapevo chi fosse, né tantomeno che tipo di demone.
La mia mente volò verso mio zio, che nonostante mi avesse in custodia non era corso a salvarmi come mi ero aspettata.
Ed ero lì, con un demone innanzi che me ne offriva molta, avevo assistito a ciò che poteva fare su di altri della sua stessa razza. Ma non mi fidavo nemmeno un po' a consegnarmi a lui, ad affidare la lancia tra le sue mani.
«Non mi fido di te, io non ne ricavo molto.»
«Ne ricavi protezione continua» ribadì prontamente.
«Non basta.»
«Cosa dunque?» il timbro scocciato e infastidito di quest'ultimo mi fece trasalire.
«Voglio incontrare chi ha ucciso i miei genitori, sapere chi erano quei demoni» le parole mi fuoriuscirono quasi istantaneamente al pari di un fiume in piena, come stessi dando vita a un pensiero senza rendermene davvero conto. Ma ormai l'avevo portato alla luce, il pensiero di mio padre e mia madre, la promessa che avevo fatto loro e la missione che mi avevano affidato, in quel momento erano la mia ancora, il motivo per il quale non stavo cercando di scappare né di urlare, tentavo di essere ciò che ero. Una sacerdotessa.
«Interessante, è dunque solo questo che vuoi?»
«Non potrai uccidere nessuno usando la lancia, solo demoni, ma non toccherai né gli umani né nessun sacerdote...» vidi la sua mascella scattare e irrigidirsi, un muscolo guizzare al di sotto della guancia, ma feci in modo di non lasciarmi intimidire. Quanto meno di non darlo pienamente a vedere.
«Detti troppe regole ragazzina, ricorda che io potrei ucciderti comunque. Troverei il modo poi di usare la lancia.»
Mi sentii improvvisamente libera di muovermi, il buio aveva allentato la sua presa su di me, liberandomi.
Con uno scatto veloce presi la lancia da terra e la strinsi nella mano. Il viso del demone si contorse in una smorfia di pura rabbia.
«Uccidimi allora...e... e poi te la vedrai da solo se la lancia non dovesse più risponderti» mi aggrappavo a quella speranza come mia ultima salvezza, non sapevo il perché, né come fosse mai possibile, ma se non mi aveva uccisa voleva significare che ciò che diceva era vero, dovevo solo sperare che davvero lui non potesse farmi alcun male.
Il suo viso assunse un'espressione pensierosa, come stesse viaggiando indietro nel tempo alla ricerca di chissà quale ricordo.
La sua espressione mutò ancora, un ennesimo sorriso si fece strada sulle sue labbra, un riso freddo e tagliente, che si potrebbe assumere dopo l'illuminazione di un'idea geniale e perfida allo stesso tempo, mentre posava di nuovo gli occhi ghiacciati e calcolatori nei miei.
«Molto bene, è un patto onesto e noi demoni non possiamo trasgredire i patti fatti, è un marchio a fuoco sulla nostra pelle... fino al compimento del patto io manterrò ogni clausola aggiunta» si blocco un istante, poi continuò col tono fiero e fermo. «Allora, Elena accetti?» si passò la lingua sul labbro inferiore, come se un perverso divertimento lo colpisse nell'assaporare il mio nome sulla sua lingua.
Mentre io trasalii nell'udirlo pronunciato dalle sue labbra. Appariva enormemente sbagliato.
Come faceva a conoscerlo? Io non glielo avevo di certo rivelato... forse non era poi un dettaglio chissà quanto importante, ma una gelida inquietudine crebbe dentro di me al pensiero che lui sapesse perfettamente chi ero.
Non fidarti, guarda i suoi occhi, si vede che trama qualcosa.
Mi sussurrò una parte del mio cervello, la parte che temeva ciò che stavo per compiere, era inevitabilmente un errore fatale.
Non risposi, e quel mio comportamento lo fece spazientire.
«Bene, ti concedo due giorni di tempo per decidere, dopodiché te la vedrai da sola,vantando però un nuovo e potente nemico tra le schiere dei demoni.»
Capii immediatamente che si rivolgeva a se stesso. Non ero sopravissuta agli altri, non sarei mai potuta sopravvivere contro di lui che ne aveva uccisi due al suo pari davanti a me. Senza rimorso né alcuna traccia minima di pietà.
I miei occhi si incrociarono coi suoi, mi persi in quell'azzurro infinito e un forte mal di testa mi colpì improvvisamente, stordendomi con una rapidità sconcertante. Sentii il buio aggredirmi e avvolgermi nuovamente con le sue gelide mani sulla pelle, sulla gola. Mi impedivano di respirare, l'ossigeno mancava al mio cervello e l'intero mio corpo annaspava tentando di ribellarsi.
"Due giorni."
Sentenziò la sua voce nella mia testa, dopodiché il silenzio.
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