Capitolo 7-Elena-
Avevo passato tutta la giornata lì, persino dopo che William mi disse di dover tornare gli chiesi di poter rimanere e dopo varie insistenze da parte mia e rifiuti da parte sua, ero riuscita nell'intento di convincerlo. Sapevo ben essere testarda se mi ci ponevo d'impegno.
Ero seduta a gambe incrociate sotto i piedi dell'angelo, con tra le mani il libro che spiegava la storia dei sacerdoti. Avevo scoperto che a quanto pareva, all'infuori delle leggende, questi si attenevano più a dei fatti reali.
Non negavano mai la verità della nostra discendenza, e il male che in tempi ormai passati era circolato nelle nostre vene, essendo il medesimo sangue del demone superiore.
Tuttavia alcune sacerdotesse venivano rappresentate al massimo della loro importanza, ritenute dagli umani donne sacre e dai poteri mistici, donatigli dalla loro purezza d'animo per proteggerle come scudo dal male.
In alcune parti l'illuminazione della nostra esistenza era ben caratterizzata da elementi leggendari come gli angeli, portatori di luce nella nostra mente ottenebrata dal sottostare al volere dei demoni, ma seppure ne fatizzassero molto quelle parti, non negavano mai che fossimo stati noi stessi a ribellarci.
" Il risveglio", così era denominato il periodo della nostra ribellione, periodo in cui i sacerdoti si erano rivoltati contro i demoni uno per uno, venendo in un primo momento massacrati da quest'ultimi, impreparati in una lotta del tutto svantaggiata, ma anche dopo la sanguinosa repressione gli antichi sacerdoti si erano rialzati, combattendo per la loro libertà, lottando contro coloro che a tutti gli effetti ci avevano donato la vita, dando inizio a una lotta che si era prolungata fin ai giorni nostri.
Si era rivelato ai loro occhi come poter gestire i poteri dei demoni e la loro energia a beneficio dell'umanità, come utilizzare un qualcosa che derivava dalmale per il bene di molti, invece che per scopi maligni.
Avevo compreso dallle parole di William che i demoni provenivano dalla nostra stessa dimensione, pura energia del mondo e degli elementi sotto forma di essere vivente, e avevo compreso la loro natura tendente all'istinti del sangue e del dominio. Nessun freno in nessuna emozione, se così si potevano definire, nessun senso morale, niente che rientrasse in un concetto umano stabile.
La differenza tra noi e i demoni era palese, noi eravamo stati in grado di stabilirci pacificamente tra loro, di imbrogliarli in parte, ma di sottostare alle loro regole, lasciandogli vivere la loro vita. La rivalità non era tra i demoni e gli umani, ma tra noi e loro. Gli umani erano ormai divenuti un effetto collaterale, un qualcosa da schiacciare dopo la vera battaglia.
Per un momento abbandonai la lettura, perdendomi in un mio pensiero. Poteva mai il demone supremo essere rimasto deluso da noi?
Lui ci aveva creato per uno scopo ben preciso, mentre noi gli avevamo decisamente disobbedito, voltandogli le spalle. Una supposizione aliena e tanto strana da non poter essere pronunciata a parole.
E se un Dio per gli umani esisteva... perché non poteva volgere lo sguardo anche a noi?
Sollevai gli occhi su l'angelo incastrato nella pietra, e lui parve restituirmi lo sguardo, pieno di compassione e velata critica, fermo lì che mi osservava nella sua staticità. Non potevo credere che un Dio benevolo, qualunque esso fosse, avrebbe spedito i miei genitori in un posto diverso dal Paradiso, loro se lo meritavano. Eppure era proprio ciò che William mi aveva detto, non c'era altro destino che le ombre eterne dei demoni dopo la nostra vita, perché la differenza che c'era con la credenza religiosa umana, noi il nostro Dio lo avevamo direttamente visto e combattuto, e di certo non aveva e mai avrebbe attinto alla pietà per la nostra anima.
Anima, ho un'anima?
Scossi la testa, scacciando via la scia di gelidi brivi lungo il corpo, riabbassando lo sguardo sul libro, dovevano essere in un luogo migliore, quella vana certezza era tutto ciò che riusciva a mandarmi avanti.
Ripresi a leggere.
I patti a cui i demoni e i sacerdoti erano scesi avevano infervorato gli animi, lasciando credere che sarebbe stato possibile contenerli grazie ai quattro demoni superiori, diretti figli del nostro creatore.
Chi li infrangeva da entrambi i lati veniva punito con la morte, dato che nessuna legge lo proteggeva più dal momento in cui ne violava una. E dei codici severi erano stati imposti a ogni sacerdote, anche a colui con una minima goccia di tale discendenza era tenuto a vivere sotto di essi.
I quattro demoni superiori non si erano più visti. Se non dopo il loro tradimento nei nostri confronti, che aveva portato alla rottura dei patti, e così al completo decadimento della pace. Ma che per qualche motivo era anche stato in grado di separare i sacerdoti all'interno della città, di infrangere il codice e di decimare la popolazione, che si era rivoltata contro i suoi stessi simili. La città era allo sbaraglio, i suoi più antichi albori non erano che un ricordo passato.
Decisi di chiudere il libro per continuare l'indomani la lettura, seppur mi sembrasse di essere giunta ormai alle ultime pagine, la testa cominciava a girarmi. Proprio mentre mi alzavo qualcosa nella tasca sembrò pungermi, con una smorfia infastidita ci portai la mano e mi resi conto subito di una strana emanazione di calore.
La lancia.
Al contatto con la stoffa e la mia pelle sembrava ardere... no, andava a fuoco! Allontanai di scatto la mano con un gemito basso di dolore, abbassando lo sguardo vidi chiaramente la tasca rilasciare del fumo sottile e scuro, come vi fosse qualcosa di incandescente costretto all'interno.
Una fitta acuta di dolore mi risalì lungo la coscia, come se qualcosa mi stesse bruciando davvero la pelle.
Afferrai alla svelta il libro che più mi interessava, senza preoccuparmi degli altri, lasciandoli lì per terra ai piedi dell'angelo, e mi accorsi che nonostante il sentimento di protezione, era un sollievo non avere più il suo sguardo puntato sulla schiena.
Corsi fuori con le fitte lancinanti sulla gamba che non smettevano mai di pungermi, aumentando di intensità.
Risalii le scale di corsa saltando a due a due igradini, col fiato corto arrivai in superficie, non salutai nemmeno Adam quando uscii correndo dalla biblioteca con ancora in mano il libro, la gamba faceva davvero male.
Corsi per la via che mi avrebbe riportata a casa, ma mi bloccai rallentando e infilandomi in un vicoletto semibuio per potermi piegare e poggiare le mani sulle ginocchia per riprendere fiato, mi sistemai con la schiena al muro, scostando alcune ciocche nere di capelli da davanti gli occhi e sospirando a fondo per ben cinque volte.
Respirai profondamente per ancora qualche secondo, dopodiché allungai piano la mano verso la mia tasca, tutto era finito. Il calore si era spento, all'improvviso vi era di nuovo solo il freddo.
Dopo essermene accertata prima per bene, presi la lancia in mano, ormai leggermente calda nel mezzo del metallo ma non più bollente come lo era stata poco prima.
Sembrava stesse andando a fuoco, e non si è nemmeno rovinata.
Pensai guardandola ed esaminandola per bene, forse alla ricerca di un qualche minimo dettaglio che mi era sfuggito e che poteva spiegare ciò che era accaduto.
Non vidi niente e non sembrava aver riportato dei danni, anzi la lama stava diventando nuovamente fredda... allora cos'era successo pochi minuti prima?
Proprio mentre questa domanda si insinuava nella mia testa, un rumore risuonò per il vicolo, a poca distanza da me, non riuscii a trattenermi dal sussultare.
Mi rimisi bene in piedi, voltandomi lentamente, vidi una figura nera avvicinarsi dalla fine della strada interna al vicoletto, la semioscurità della sera mi impediva di scorgere bene il viso e ciò mi inquietò non poco, nei rari libri gialli che aveva letto, un potenziale uomo malintenzionato solitamente poteva essere rappresentato all'interno di una vicoletto non troppo illuminato.
Non ci tenevo molto nel fare la sua conoscenza, non dopo tutto ciò che avevo scoperto. Non quando sapevo di un mondo di demoni.
Mi staccai dal muro, infilando immediatamente la lancia nella tasca e ignorando la fitta di dolore che provenne dalla gamba. Feci finta di non averlo visto, di non udire i suoi passi che si avvicinavano con una calma quasi odiosa. Il cuore prese a battermi tanto forte che da sotto le costole ne percepii il movimento.
Mi girai e gli diedi le spalle per potermene andare di lì... per un secondo sperai di esservi riuscita, non percepivo più i suoi passi, forse si era fermato, ma non ne potevo essere sicura, dato che nelle mie orecchie rimbombava solo il battito accelerato del mio cuore in panico.
La mia speranza si frantumò quando mi sentii afferrare per il polso, trattenni a stento un urlo.
La mano che mi stringeva mi fece voltare di scatto, in un primo momento ciò che vidi a primo impatto visivo fu il viso di un ragazzo, nessun lineamento, solo una pelle tanto pallida da essere trasparente, nel mezzo, esattamente dove vi sarebbero dovuti trovare gli occhi, vi si trovava invece un grappolo di piccoli e compatti occhi neri tra loro, al centro del cranio. Un urlo di terrore mi esplose in gola, barcollai all'indietro strattonando il polso.
La sua mano era altrettanto pallida, se non bianca, tanto ossuta da farle male mentre mi stringeva, la parte superiore era ricoperta di spessi peli neri e lunghi, che si rizzarono come sotto una potente scossa.
Come se una molla dentro di me fosse scattata d'improvviso, un leggero ronzio mi fece girare la testa... mentre il sangue mi ribolliva nelle vene.
Quando prese a parlare, le sue mandibole grandi il doppio del normale si schiusero lentamente, mostrando una fila di denti piccoli e aguzzi, che stillavano una bava tendente al verde. Quei gorgogli gutturali assunsero la forma di parole reali, intrinseche di ira.
«Dammi la lancia!»
Una parte di me era oltre il terrore, in una sorta di staticità glaciale. Il demone, stringeva la presa sul mio polso avvicinandomi a lui contro la mia volontà.
«Dammi la lancia, ragazzina!» la sua voce stridula e orrida mi fece accapponare la pelle, con una mossa veloce mi liberai mettendo quanta più distanza possibile tra me e lui... ma non era abbastanza, quelli che sembravano metri non erano altro che pochi centimetri, mi accorsi solo in quel momento che mi aveva trascinata più internamente nel vicolo.
Devo correre.
E fu ciò che feci, l'istinto più logico, mi precipitai verso l'unica via di salvezza, ma quel demone era più veloce di me. Balzò in avanti, atterrando sul muro, nella spettrale posizione che avrebbe potuto assumere un ragno. Il corpo smilzo e spigoloso si mosse a scatti veloci sul muro alla mia destra, aderendo con le dita e con i piedi, restò appeso come un gigantesco ragno maligno, osservandomi con i suoi occhi a grappolo.
Il gelo più puro del terrore mi si insinuò tra le vene, mentre quello prendeva a strisciare verso di me, lungo la parete. Arretrai alla ricerca di qualcosa con cui potermi difendere, ma non ne ebbi il tempo. Il demone si sollevò sulle gambe, piegate in modo innaturale lungo il muro, e mi si scagliò contro con un balzo.
Li per lì, pensai che tutto sarebbe finito così, con me che come una stupida mi facevo uccidere da una sorta di demone ragno, deludendo tutti, deludendo i miei genitori, dopo che loro erano morti per me.
Chiesi scusa, senza specificare a chi... chiesi scusa e basta.
Nel momento in cui il demone fu a un centimetro da me, con le mandibole spalancate, portandosi dietro solo la puzza di sangue e morte, nel momento in cui stavo per chiudere gli occhi dall'orrore, lui fu sbalzato lontano da una strana forza, come se intorno a me si fosse eretto un campo protettivo invisibile.
Le mie palpebre si riaprirono del tutto di scatto, il demone era stato sbalzato contro la parete di schiena... la botta presa avrebbe dovuto farlo cadere a terra sanguinante, ma lui non era umano.
Non riuscii a capire come, ma non mi diedi il tempo di pensarci su, uscii dal vicolo correndo a perdifiato per tutta la via, vicino l'entrata alcuni che avevano udito il mio urlo, si erano avvicinati e affacciati, ma sembravano solo confusi dalla mia folle corsa verso la salvezza, come se non fossero in grado di scorgere ciò che avevo visto io.
Non mi fermai vicino a loro, li spostai con una buona dose di spallate riprendendo la mia corsa sotto i loro sguardi stupiti, non mi fermai ai semafori rossi, senza curarmi dei clacson delle macchine che avevano rischiato di investirmi, corsi via, avevo paura... e mi vergognavo della mia debolezza.
Mentre correvo non potei accorgermi che da sopra i tetti delle case, due paia di occhi azzurri ghiaccio mi scrutavano seri, divertiti e infuriati.
Una volta a casa chiusi a chiave la porta da dentro.
Come se servisse a qualcosa.
Mi rifugiai nella mia camera, con ancora il fiatone e il cuore che batteva al doppio della sua velocità, facendomi persino provare male al petto, mi ci portai le mani temendo un infarto e respirai più volte e molto profondamente, per riprendere il controllo del respiro affannato e del fastidioso tremolio delle mani, che chiusi a pugno, rannicchiandomi poi con le ginocchia al petto. Lacrime di terrore mi scesero lungo le guance.
Avevo avuto paura... avevo realmente temuto di morire, ed era stato orribile... non vi era nulla di poetico in ciò che avevo provato, la vita non mi era corsa davanti gli occhi... solo un oscuro buio, e al pensiero che quel buio avrebbe potuto essere eterno... un singhiozzo trattenuto mi scosse, seguito da altri che non fui in grado di controllare e che mi fecero sussultare.
Le gambe presero a tremare e dovetti stringermele ancor più forte al petto per farle fermare, continuai a tenere gli occhi aperti, per impedire a quelle tenebre di inghiottirmi al loro interno.
Un insieme di emozioni mi attraversarono non appena riacquistai un minimo di autocontrollo.
Non lo accettavo, oltre la paura e l'angoscia dell'essere venuta a conoscenza che quegli esseri sapevano che avevo con me lancia, c'era la frustrazione del non sapermi difendere, ero riuscita solo a correre via, spaventata a morte come un cerbiatto che scappa dal cacciatore, d'altronde non ero altro che quello, ma non perché lo ero riuscivo ad accettarlo.
Appena ripresa la calma mi alzai, sfilandomi i pantaloni e notando che all'altezza di dove si trovava la tasca con la lancia, avevo una bruciatura.
Per mia fortuna non pareva niente di troppo serio, ma sentivo le pulsazioni e una leggera dolenza che aumentava non appena provavo a toccarla, con un gemito di dolore mi avviai verso la cucina per premerci un panno bagnato, respirando velocemente mentre provavo a ignorare il fastidio.
Non sapevo se era la cosa più giusta da fare, ma mi pareva la più logica.
Aspettavo ansiosa il ritorno di William, non che fosse strano che lui non tornasse, tutti i giorni faceva ritorno a casa a notte inoltrata e solitamente io dormivo.
Ma quella notte Morfeo non ne voleva sapere di accogliermi tra le sue braccia, continuavo a muovermi e rigirarmi nel letto. Forse davvero non sarei dovuta uscire, o meglio, insistere tanto per rimanere sola.
Puntando lo sguardo lungo la parete ricoperta di ombre della mia camera, parzialmente illuminata dalle luci che provenivano dei buchi delle serrande, temevo di scorgere quegli occhi neri, quel corpo aggrappato al muro e quelle mandibole spalancate nell'attesa di uccidermi.
Un'ombra si mosse, più scura delle altre. Mi sollevai di scatto mentre il cuore dolorosamente mi lanciava fitte di paura per tutto il petto, accesi la luce sul comodino respirando tanto lentamente da farmi bruciare i polmoni. Sulla parete non vi era nulla, era vuota, e l'ombra che aveva assunto quella forma scivolò via.
Con le lacrime agli occhi mi strofinai il volto, sospirando a fondo. Mi alzai e mi avvicinai alla finestra, spostai le tende e alzai le serrande per poter guardare fuori. Le macchine e i motorini giravano per le strade, proprio come i passanti camminavano tranquilli per il marciapiede.
Provai una punta d'invidia per i ragazzi che potevano vivere i loro momenti in gesti così spensierati come uscire la sera, anche solo per farsi un giro.
Mentre continuavo a osservare fuori, notai che poggiato al palo di fronte alla mia finestra c'era un giovane uomo, sembrava essere alto, i capelli biondi leggermente lunghi tirati all'indietro e scompigliati, era vestito con dei pantaloni neri con sopra un giubbotto del medesimo colore, doveva anche possedere una corporatura muscolosa.
Incrociai per un istante il suo sguardo quando lui lo sollevò dall'asfalto, quasi fossi stata io stessa a richiamarlo. Tutto ciò che lo circondava si offuscò di una tenue nebbiolina, persino le luci delle macchine rallentarono la loro corsa, i passanti si arrestarono nella loro passeggiata serale per il tempo massimo di tre secondi, ma in quei soli istanti tutto il mio corpo fu attraversato da un brivido profondo, dalla schiena fino al collo e alle gambe, che divennero molli come gelatina e temetti di crollare a terra... ma tutto si riprese nel giro di poco, il tempo tornò a scorrere con la sua normale velocità, la nebbia si ritrasse negli angoli da cui era sbucata, svanendo come polvere soffiata via, non so come il mio corpo si resse essendo ancora allacciato a quello sguardo... a quegli occhi insolitamente freddi.
Erano azzurri, talmente tanto che sembravano essere stati creati e modellati col ghiaccio stesso... nella loro meravigliosa rarezza erano alquanto inquietanti e disumani, non avevo mai potuto nemmeno scorgere occhi simili a quelli, e non stavano scrutando né la strada, né il palazzo, bensì la mia finestra... e in quel momento... me.
Sulle sue labbra si formò un ghigno divertito, vagamente interessato e insolitamente tagliente.
Chiusi velocemente le tende, nascondendomi dietro il muro.
Ci volle qualche minuto prima che, preso un po' di coraggio, le riaprissi per allungare lo sguardo verso lo stesso punto.
Col respiro più lento e controllato a causa dell'ansia, scostai appena le tende dal vetro, creando giusto lo spazio necessario per poter intravedere il palo a cui lui era poggiato.
Quando mi costrinsi a osservare per davvero... con stupore vidi che non c'era più nessuno, il palo era vuoto e il giovane uomo con quegli occhi freddi e taglienti era scomparso nel nulla, rimpiazzato da una piccola banda di ragazzi intenti a fumare. Non erano passati più di due minuti, forse meno... o di più? Non ero più neanche certa di quanto ci volesse al mio corpo per riacquistare coraggio.
Chiusi le serrande velocemente, stendendomi sotto le coperte e tenendo stretta nella mano la lancia, in casa avrei dovuto sentirmi al sicuro, protetta, ma temevo che per me non vi sarebbe più stato un luogo nel quale sentirmi al sereno di un riparo per davvero.
Sembrava lo stesso che mi era venuto addosso quando ero a casa di Beatrice.
Repressi quel semplice pensiero e mi addormentai senza accorgermene, quando ormai le palpebre degli occhi mi imposero di chiudersi sotto una forza fuori il mio controllo. Inoltrandomi in un sogno del tutto incomprensibile.
«Non è ancora il momento di capire, bambina mia.»
«Mamma... Papà...» li scorsi lì davanti a me, mentre mi scrutavano sorridenti e si tenevano per mano, sentii le lacrime salirmi agli occhi dalla gioia.
Mi avvicinai a loro per poterli stringere in un abbraccio, ma la mia mano li attraversò come fossero la mera creazione del vapore che costituiva i miei sogni. Era davvero così?
La frustrazione del non poterli più toccare mi fece scendere lacrime incandescenti piene di rabbia lungo le guance.
«Va bene... Elena, sei salva, ora devi solo capire.»
«Cosa?» sussurrai tra le lacrime.
«Il perché della nostra morte, non ti abbiamo abbandonata, non lo faremo mai.»
La voce calda di mio padre mormorò appena con dolcezza e comprensione, mentre la loro immagine svaniva nei meandri della mia mente, lasciandomi di nuovo sola.
In quel momento decisi, non mi sarei abbattuta, sarei stata forte e combattente come loro mi avevano voluto insegnare per tutta la vita, e avrei cercato vendetta, avrei cercato i demoni che avevo ucciso i miei genitori.
Lo scenario mutò velocemente, ero di nuovo tra le montagne che avevo visto dalla lontana finestra della casa di Beatrice, in particolare quella montagna che avevo notato durante l'ultima passeggiata, e in un secondo mi ritrovai proprio lì, nel mezzo della roccia e ghiaia, ferendomi i piedi nudi che la calpestavano. Come se in un qualche modo avessi potuto raggiungerla con un solo balzo.
Pareti enormi e scoscese di montagne lontane si stagliavano fino al cielo per poterlo raggiungere. Il vento vi si infrangeva contro, soffiando forte e spavaldo, talmente tanto che potevo udire il suo fischio nelle orecchie. Un frastuono che mi rintronava.
Voltai lo sguardo, notando un movimento impercettibile tra la roccia, un tremolio fece vibrare tutto ciò che mi circondava, compresa me, e prima che tutto svanisse velocemente, notai degli occhi azzurri come il ghiaccio aprirsi nel bel mezzo della nuda roccia e puntarmi con odio, mentre intorno a loro si formavano i lineamenti di un viso a me irriconoscibile, e nella mia mente una voce roca e potente sussurrava con fare quasi melodico una singola frase.
«Elena... ricordati che devi morire.»
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