Capitolo 3- Elena-

24 Luglio.

Mi ero addormentata senza nemmeno accorgermene, avevo aperto piano gli occhi rivolgendo lo sguardo fuori dal finestrino e notando come panorama solo la strada che sfrecciava, era ormai quasi buio. Il collo mi doleva per la posizione assunta in tutte quelle ore.

Mi voltai verso William che guardava fisso davanti a sé, per un attimo pensai non mi avesse nemmeno notata, credevo di essere svanita dai suoi ricordi esattamente come dal resto del mondo.

« Ben svegliata.»

In risposta farfugliai, sedendomi dritta in favore del mio collo indolenzito.

« William ho fame» era la prima volta che lo chiamavo per nome ad alta voce, e apprezzai il fatto che lui non pretendesse di essere chiamato zio, non ci sarei riuscita comunque. Come potevo? Sicuramente anche per lui ero solo Elena e non "nipote".

« Al prossimo Autogrill ci fermiamo.»

Un'altra frase cosìnormale da far male.

« Posso farti qualche domanda ora?» lui assentì serio, senza staccare gli occhidalla strada.

« Chi siamo? Insomma tu dici che esistono i demoni, e noi cosa siamo?»

« E' complicato, dovrei raccontarti la storia dall'inizio.»

« Di tempo ne abbiamo» lo squadrai con esasperazione. Volevo sapere tutto, o quantomeno ciò che bastava per farmi un'idea.
Lui sospirò osservando la mia espressione, poi annuì.

« Tu credi che nel nostro mondo esista solo questa realtà?» Fu il suo modo di iniziare, spezzando del tutto il silenzio e lasciandomi interdetta già con la prima frase. Non mi diete in ogni caso tempo di rispondere, perché lui sapeva che cosa avrei risposto.

« Bene, dimenticatene. Il mondo dal quale provieni, dal quale la tua famiglia è nata non si basa sulla fisica o sulla scienza di oggi, non si basa sulla genetica umana.»

Risposte vaghe, troppo vaghe. Portavano con loro poche spiegazioni e tanta frustrazione. Che cosa voleva dire?

« Noi siamo Priests, ovvero Sacerdoti, in onore della purificazione che compiamo.»

« Cosa...» farfugliai confusa.

« Purifichiamo il mondo dalle creature impure che ora vi vivono nell'ombra, che vogliono prendersi ogni minima parte di quello che ti circonda.»

« Demoni... giusto?» chiesi conoscendo già la risposta. Lui annuì solamente. «Da dove vengono? Sono tipo... esseri dell'inferno?» mi ritrovai a chiedere senza quasi accorgermene. Mi sorpresi nel vedere il suo sorriso divertito.

« No, quella che nomini è la concezione che gli umani hanno voluto conferire loro. I demoni sono nati su questa terra, creati dagli elementi e dall'energia stessa del mondo, dalle tenebre striscianti e dalle acque più scure, da ciò che a noi è invisibile, da ciò che tu e altri considerano magia. Forse è ciò che potremmo chiamare una semplice evoluzione di esseri superiori a noi, della stessa impetuosità dell'acqua, dell'incorporeità del vento, della durezza della pietra e del calore rovente del fuoco, antichi quanto la terra. E' su di loro che gli antichi uomini basarono miti e leggende, e fu quando i demoni videro l'evoluzione dell'uomo e la loro forma che decisero di imitarla, finendo per somigliarci solo esternamente.

'' E li vidi essere risputati dalle viscere della terra,

uscire dall'acqua e crearsi una forma con l'inafferrabilità del vento,

sorgere dalla lava di un vulcano e solidificarsi in pietra capace di muoversi,

strisciare come ombre e riunirsi in forme simili alle nostre. Potenti tra la mortalità, mostri di puro istinto dal nostro aspetto''»

Pendevo dalle sue labbra, in quello che sembrava un racconto fantasy da raccontare ai bambini prima di farli addormentare. Ascoltai quelle sue ultime parole cantilenate come una melodia, che sembrarono imprimersi nella mia mente come fuoco.

« Come puoi immaginare, uomini e demoni non andarono mai d'accordo a causa del ristretto spazio della terra. Gli umani cominciarono ad avanzare la loro volontà di dominio supremo, inventando nuovi e falsi dei, e relegando le creature nate dalla terra al soprannome di demoni. A causa di ciò, vi fu una guerra, i demoni lanciarono pestilenze sull'umanità, e gli uomini gli fecero la guerra, scagliandogli contro la loro fede e le loro armi, inventando tutto quello che ora si crede sui demoni.»

Si prese un momento per respirare, mentre la strada intorno a noi sfrecciava.

« Non fraintendermi, tutto ciò che si dice sulle loro caratteristiche sono reali. Sono esseri di puro istinto, dediti alla distruzione e a un'indole per ciò che noi consideriamo male, e ciò che volevano era estinguere gli esseri inferiori nati dopo di loro nel sangue, e per riuscirci al meglio senza sprecare le loro energie, crearono noi» la sua voce si inclinò appena, come fosse indeciso se darmi o meno quella notizia. Il mio cuore parve bloccarsi di botto, e per un momento credetti solo di aver sentito male.

« Siamo stati creati da quelle creature. Siamo loro figli, loro discendenti. Plasmati a immagine e somiglianza degli umani dal Dio dei demoni, dna umano e dna demoniaco. Siamo ibridi, tutti noi. E il solo unico compito che ci era stato asserito era quello di sottomettere tutti gli umani alla volontà dei demoni, mentre allo stesso tempo la nostra era già sottomessa alla loro.»

« Ma perché?»

« Il dominio Elena,non solo la nostra creazione sarebbe servita alla distruzione degli umani senza perdite di demoni di sangue puro. Ma essendo esseri dediti al dominio, essendo dei creati dalla terra stessa avevano bisogno di dominare su qualcuno.»

Plasmati dai demoni... dunque non avevamo, e non avevo, discendenze umane. Il mio creatore non era alcun Dio, non che io avessi mai vantato una qualche fede specifica. Ma... era solo una notizia dedita a farmi sentire più estranea che mai al mondo stesso. A tutto ciò che miaveva sempre circondata.

« Cosa successepoi?»

« La nostra natura umana si risvegliò nel tempo che passammo tra gli umani, da esserioscuri e sottomessi quali eravamo ci siamo innalzati e ribellati a quelli che in fin dei conti erano i nostri creatori.»

Il nostro creatore era un demone, e noi ci eravamo rivoltati ad esso.

«Cosa ci fece risvegliare?»

Lui rise appena.

«Tutto ciò che è umano, le emozioni, le sensazioni vive sulla pelle. Tutto. Ma la nostra scelta alla vita ci riportò allo scontro con i nostri creatori, a sanguinose lotte nello scorrere dei secoli. Negli anni di sangue che trascorsero furono gli umani stessi a chiamarci Sacerdoti, credendo che il nostro compito fosse aiutarli fin dall'inizio, che fosse il loro Dio ad averci mandati da loro.

Si decise di divenire a patti con queste creature, e il loro capo, il padre di tutti i demoni, inviò i suoi quattro figli al nostro consiglio, e si decise che la terra sarebbe stata divisa in due, che il loro posto sarebbe stato confinato nei luoghi più inospitali della terra, nelle tenebre della notte e in tutti quei luoghi che vantano storie o leggende soprannaturali, e non avrebbero reclamato il loro diritto sudi noi, figli ribelli del loro padre.»

«Noi siamo rimasti raminghi di queste... due dimensioni, il nostro capo, Rose Raven, costruì una città nella quale ci riunimmo, lontani da umani e demoni, racchiusi nel nostro bozzolo per concentrarci sulla nostra sola esistenza. Per creare una razza al di fuori, per non imbrigliarci in una sola realtà, ma vivere al confine tra entrambe. Saremmo divenuti i custodi di questa realtà, elevandoci però al di sopra di essa.»

«Custodi?»

«Ciò che non deve mai accadere Elena, è che tutti i demoni riescano a riprendere il dominio sulla terra, manderebbe in completo caos l'energia e la composizione creatasi ora nel mondo, le due dimensioni si scontrerebbero e di sicuro quella demoniaca è la più forte, vincerebbe su di noi distruggendo tutto ciò che è il mondo conosciuto oggi. E distruggerebbero noi, perché nell'inconscio Elena, ciò a cui alla fine veniamo richiamati è quel lato demoniaco dentro di noi, è ormai assopito nei secoli se non sbiadito del tutto con la nostra unione agli umani, tuttavia, se mai per loro esista un Paradiso nelle credenze del loro Dio, per noi... dopo la morte non ci sono altro che le tenebre create dai demoni.»

Ascoltavo completamente rapita, nessun rumore superava le mie orecchie, perché l'unico che accettavano in quel momento era la voce di William che spiegava ciò che ai miei occhi, resi ciechi dalle menzogne, era stato celato. Non potevo accettare quelle sue ultime parole, ciò voleva dire che ora i miei genitori erano finiti invischiati tra i tentacoli delle tenebre eterne dei demoni. No, non poteva essere così per tutti noi.

« Niente di tutto ciò che era stato stipulato con i demoni comunque, durò a lungo. Un demone dei quattro figli, il maggiore, usò una particolare capacità di smuovere l'energia scagliandola con tutta la sua furia sulla città da noi costruita, trasferendola in un luogo senza tempo. Ci eravamo imbrogliati da soli, chiudendoci all'interno di mura circoscritte... mettendoci con le spalle al muro.»

« Luogo senza tempo?»

« La città esiste solo per chi lo sa, non la trovi sulle cartine geografiche... a dire il vero non la trovi proprio, bisogna avere le giuste coordinate e i giusti mezzi. Aveva creato una dimensione in cui rinchiuderci in continuo movimento nel nulla.»

Contrassi la fronte senza riuscire a capire appieno.

« Non solo una citta' invisibile ma un un intero regno in grado di muoversi tra due dimensioni. Vaga all'interno di uno spazio temporale diverso da questo in cui ci troviamo, ma pur sempre nel nostro mondo, e per non essere localizzata la città si sposta.»

Rimasi letteralmente spiazzata da quell'affermazione.

« Come fa una città a... a spostarsi?» ne aveva parlato come se la città possedesse vita propria. Per quanto avessi ascoltato racconti al limite dell'immaginabile, quello della città per il momento aveva il primo posto nella scala dello strano e dell'incomprensibile.

« E' complicato da spiegare. Il demone esercitò questo potere per far sì che quelli all'interno della città svanissero con essa nel nulla, lasciando soli coloro che invece erano rimasti fuori, per poi cacciarli uno a uno. Un astuto inganno che furono in grado di portare avanti per anni prima di metterlo in atto. Eravamo noi a tenere a bada gli umani, e senza di noi, niente gli avrebbe impedito lo sterminio.
Ma nessuno meditò su coloro che restarono intrappolati nella città, erano svaniti certo, ma si trasferivano con essa all'interno di un luogo indefinito, senza tempo, e Rose Raven era lì racchiusa all'interno.» Riprese per un momento fiato.

« Dalla nostra creazione siamo sempre stati consapevoli dell'avere qualità al di sopra di ciò che per altri era normale. Creò delle cartine in grado di segnalare la scia che la città rilascia e rallentò i suoi tempi, se prima si spostava ogni dieci secondi, ora si sposta ogni anno»

« Ma come?» domandai al limite dell'incomprensione.

« Si smaterializza per poi riapparire in un altro posto, sono sempre le stesse coordinate, perché la città si sposta in base a uno schema ben preciso, bisogna solo comprenderlo. Non ti mostrerà mai la sua futura posizione, ma in compenso, attraverso le sue smaterializzazioni passate si può scoprire quale sarà il punto esatto. Non è percepibile per nessuno che non sappia della sua esistenza, potrebbe smaterializzarsi su un luogo già abitato e nessuno lo saprebbe, non entra mai fisicamente in questa realtà, siamo noi a entrare e uscire.»

Aggrottai la fronte.

« Ciò che creammo fu un ulteriore strato della realtà, un'altra dimensione per noi, che si muove e ci richiama. Perché la città è viva Elena, muta il suo aspetto, ci richiama a sé e ci fornisce l'energia che ci serve, con la creazione di questa nuova dimensione abbiamo creato un legame con essa, ognuno di noi lo è, e se la nostra dimensione, la nostra città, venisse distrutta, con lei cadremmo anche noi.

Non è un semplice legame con la propria Patria, con la terra da considerarsi casa. La città ci richiama a sé tanto quanto noi attingiamo a essa come forte di energia vitale, e se si è in grado di entrare in contatto con il legame che tutti noi abbiamo, si potrebbe sentire il suo richiamo e le sue parole.»

Sospirai, ragionando bene su ciò che mi aveva detto e basandomi sul fatto che ero certa non mi avrebbe mai mentito, non perché fosse mio zio, ma semplicemente non ne aveva motivo.

Dunque era possibile, guardando fuori dal finestrino e vedendo i lampioni sfrecciare e le macchine andare alla nostra stessa velocità... tuttomi risultò diverso. Due concetti di normalità distanti anni luce l'uno dall'altro. Dovevo mutare completamente visione, dando credito all'impossibile come fondamento della mia esistenza.

D'altronde ero una sacerdotessa, non un'umana, non potevo chiudere gli occhi.

Rimasi in silenzio assimilando quelle notizie e non avendo alcun tipo di parole o frasi per la situazione. Era tutto assurdo, era pura follia per la mia mente ancora dedita alle concezioni umane, limitata dalle sue sbarre, non mi ero mai sentita richiamata da nulla, non me ne ero mai resa conto, tutto ciò che forse avevo potuto percepire era il sentire di essere leggermente fuori posto, di voler viaggiare alla ricerca di un posto per me. E ripensandoci bene in quel momento, mi accorsi che forse, era proprio ciò a cui William si riferiva.

Poi una domanda mi si accese nella mente come una lampadina.

«Avevi un tono strano, quando hai parlato della nostra scelta di salvare l'umanità.»

William increspò le labbra, alquanto divertito.

«È tutto vero, ma riserbo molti dubbi sulla credenza iniziale. Tu crederesti al semplice fatto che la luce divina e il buon cuore ci abbiano illuminati?»

E lo chiedeva a me? A quel punto ero certa che qualsiasi cosa ai miei occhi sarebbe parsa come una possibilità se non come una verità celata. Alzai le spalle con le sopracciglia aggrottate.

«Elena, in ogni popolo, seppur celato come il nostro, vi dimorano leggende poste a glorificarlo. La nostra creazione avvenne per mano dei demoni, marionette nelle mani dell'oscurità» fece una minima pausa, forse per aumentare la mia curiosità che già schizzava alle stelle. «Divenimmo solo consapevoli di poter avere di più, di assaggiare la libertà e di poterla espandere su quel terreno nuovo. Eravamo superiori all'uomo, ma di fatto inferiori ai nostri creatori. Fu così che ci unimmo agli umani, solo con lo scopo di dominarli sotto il nostro unico volere, e solo dopo si mutò in una vocazione.»

I suoi occhi non si staccavano dalla strada, seppur narrassero anche loro attraverso i bagliori che li attraversavano.

I miei occhi si accesero di una pigra luce di vitalità.

«Vuoi che vada avanti?»

Annuii con stentato vigore. Acconsentì con un cenno del capo, riprendendo.

«La capacità assunta dalla città si schierò a nostro vantaggio, nessun demone può conoscere il luogo esatto di dove si troverà e quando, non sono in grado di localizzarla, né di comprendere le nostre cartine. Ma ciò rende difficile raggiungerla anche a noi, se si sbaglia tempistica o luogo che sia anche solo di poco, la città svanisce nuovamente senza aspettare nessuno.»

Seguì un breve momento di pausa, che mi affrettai a far cessare riempiendolo con un'altra domanda.

«Abbiamo... capacità particolari?»

«Molti di noi le possiedono, non tutti, ma non per questo siamo più deboli.»

Incredibile con quanta semplicità raccontasse un qualcosa di tanto sconvolgente, come fosse la cosa più semplice del mondo da capire. Al di la delle leggende... la parola magia assumeva un significato reale, seppur distante da quello che chiunque si sarebbe figurato. La sua normalità.

«Non si diventa malvagi se le si usa? Noi siamo stati creati da creature oscure, perciò... siamo già malvagi in parte.»

Eppure io non mi sento malvagia.

«Elena, ogni potere se usato per uno scopo malvagio lo diventa a sua volta. Ma se si prende tale potere e lo si usa per il bene, le cose cambiano. Il vero fulcro non è da dove ti deriva il potere, ma da come e per cosa lo si mette in pratica. Siamo la metà di due parti differenti, siamo ciò che vogliamo essere, e tutto questo forse ci rende più umani di chiunque altro.»
Assimilai le sue parole, tanto sagge da stonare con la sua figura. Forse a differenza di quello che sembrava, William non era tanto male come persona.

Guardai fuori il finestrino sospirando nuovamente: demoni, città che si smaterializzano, una dimensione oltre questa. Non avevo mai creduto in cose del genere, eppure erano lì davanti i miei occhi, la mia intera famiglia ne era coinvolta da secoli e io lo avevo appena scoperto.

«Come si chiama la città?»

«Horatium, ma la vedrai.» William pronunciò il suo nome quasi con sentore nostalgico.

«Davvero?»

«Sì» William girò appena lo sguardo verso di me, tornando subito con gli occhi neri vigili sulla strada.
Mi misi a ragionare sul nome della città, che indubbiamente proveniva dal latino. A sentirne il nome sembrava l'unione di due parole distinte. Mi accigliai mentre nella mia mente i due termini si fondevano eliminando le lettere inutili creando il nome che stavo cercando.

«Hora vuol dire ora... e l'altra mi sembra essere Spatium, che in latino è... spazio, intermezzo giusto?» William annuì per darmi ragione.

«Quindi... ora spazio è il nome?»

William schiuse le labbra in un piccolo quanto stentato sorriso percependo il mio tono di voce.
«Capirai quando la vedrai.»

Dopo alcuni minuti di silenzio, nei quali io cercavo di rimettere apposto le idee per fargli altre domande, lui stroncò quella mia speranza.

«Per oggi basta così con le domande, una cosa per volta.»

A quella affermazione irragionevole avrei tanto voluto scoppiare a ridere. Una cosa per volta? Ero stata catapultata in quel mondo assurdo da un momento all'altro, i miei genitori erano morti e il pomeriggio stesso mi era stato detto che dovevo fingermi morta e cambiare cognome. E in quel momento stavo scappando per qualche strano motivo, ascoltando la storia di quella che alla fine era la popolazione di cui facevo davvero parte.

Avrei tanto voluto ridere, ma non c'era assolutamente niente di divertente.

William sterzò a destra imboccando una via dall'autostrada che portava all'autogrill, il mio stomaco brontolò al pensiero del cibo.
Parcheggiammo ed entrammo dentro, tenni il cappuccio sulla testa, nonostante fossimo lontani temevo che qualcuno mi riconoscesse.
L'interno dell'autogrill era semplice, una volta superate le porte d'entrata osservai senza interesse i vari scaffali sui quali vi erano posati pupazzi, libri e altri oggetti.

William puntò dritto al bancone nel quale si trovava del cibo, io non lo seguii, fidandomi del suo gusto in cucina e mi sedetti a un tavolo a caso, non mi guardai ulteriormente intorno e continuai a fissare il legno con cui era stato fabbricato il tavolino.
Ispezionai alcune ciocche dei miei capelli, rimanevo solo io e quel peso che premeva sul cuore che molte volte di li a poco mi mozzava il respiro mentre ripensavo ai miei genitori. Due lacrime uscirono veloci dai miei occhi, le asciugai in fretta con la manica della felpa rimanendo sorpresa nel constatare che non ne seguirono altre. Sentivo talmente tanto dolore e vuoto dentro di me che non riuscivo nemmeno a piangere di nuovo.

William tornò al tavolo e si sedette di fronte a me, sospirai alzando lo sguardo su di lui, prendendo il mio vassoio col cibo e piazzandolo davanti a me.

Incominciammo a mangiare senza che nessuno dei due proferisse parola con l'altro, almeno per un primo momento. Ma avevo tante domande da fargli e non mi trattenni più di tanto.
Dovevo tenere impegnata la mente.

« Allora, chi sono i quattro?»

« Elena, magari ne parliamo da un'altra parte» si scrutò intorno, come temesse che qualcuno ci avesse sentiti. Cominciai a mangiare senza guardarlo.

« Ma nessuno ci sta ascoltando.»

« Elena, da un'altra parte. Ora mangiamo e sbrighiamoci a ripartire.»

« Tu non hai pianto» sollevai lo sguardo su di lui, che mi fissava sorpreso con gli occhi appena sbarrati. Non so il perché lo rimproverai con tanta amarezza, forse volevo essere certa che in quel buio in cui stavo lentamente cadendo non fossi sola.

« Mio padre... tuo fratello è... non c'è più. E tu non hai nemmeno versato una lacrima.»
William mi guardò con una serietà finta, che serviva a nascondere quella nota di malinconia che leggevo nei suoi occhi. La stessa che era dipinta nei miei anche se in modo molto più marcato.

« Io sono abituato, è tutta la vita che sono un sacerdote, che ho accettato di esserlo. A causa dei demoni ho visto morire persone, comprese alcune che conoscevo» la sua voce sembrava monotona, ma bisognava solo stare attenti per leggervi l'agonia che la intristiva.

« Sì ma è tuo fratello... sei mio zio e...» sospirai tremando. Mi accorsi di aver sbagliato a usare è. Il termine coretto sarebbestato era, ma risultava ancora difficile parlare di loro ad alta voce usando il passato, me li rendeva troppo lontani.

« Sì, Elena ho sofferto, era mio fratello. Nonostante i nostri rapporti fossero lontani. Ma non sono abituato a darlo a vedere, il lutto c'è ma non posso morire anche io con loro. Ho dei compiti da svolgere e ora devo anche badare a te.»

Il tutto lo disse con tono grave e posato, non sentivo alcuna nota di vero affetto verso di me, anzi, mi fece quasi sentire un peso. Una responsabilità che si era preso solo per non mancare alla parola data a mio padre . Smisi decisamente di parlare, finendo controvoglia il mio pasto, avevo fame eppure il cibo non mi attirava per niente.
Finimmo di cenare e partimmo subito dopo, ci fermammo poche volte per qualche ora perché William doveva dormire, mentre io restavo sveglia.
Per la maggior parte del viaggio dormii e osservai fuori la finestra mentre i panorami della città di Roma cambiavano. Parlammo poco, e quelle poche parole erano sempre al di fuori dell'unico argomento che mi interessava.

E poi eccomi lì, diretta verso la mia meta da chissà chi, con uno zio scoperto da poco più di due giorni - la settimana di svenimenti non contava molto- e con mille domande fluttuanti nella testa alle quali non davo voce, con quel vuoto divorante nel petto.



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