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Nonostante fosse arrivato di mattina gli sembrò che la sera fosse arrivata in un baleno. Sul punto aveva deciso che avrebbe sbrigato l'affare l'indomani. Subito no, era troppo in ansia per ciò che era successo a Patrizio. Che mascalzone, pensò al momento dell'arresto, ma non riusciva a fare a meno di non pensarci.

Il sudore gli colava dalla fronte, neanche poche ore fa quando era a Roma e già credeva fosse estate. Ma sapeva che il suo sudore era causato dall'ansia per la sorte del compagno.

L'amarezza e la rabbia si impadronì di lui: avrebbe voluto strappare quelle tende gialle della finestra della pensione in cui stava alloggiando. Era il vuoto a ogni passo che faceva, anche quando era all'università si ricordò come aiutava gli altri, le coincidenze delle richieste, le prenotazioni degli altri per l'aiuto gli piacevano; anche gli scorni da parte di chi credeva che la realtà era quella che vedeva e non passava l'esame. Una vera faccia tosta.

"Rapporti con la repubblica di Salò" questa frase detta con enfasi dal generale, se la stampò in testa. Per lui non era importante che Patrizio girasse con documenti falsi, anche suo nonno venne arrestato in Francia durante il precedente conflitto per lo stesso motivo. Ma essere in combutta con Salò, Mussolini, i nazifascisti, questo non lo sopportava.

Come un lungo film ripercorse quando all'università Patrizio sosteneva con enfasi tutto il suo antifascismo e sognava, sognava come un bambino che si meravigliava per la qualsiasi cosa rifacendosi alla teoria del fanciullino teorizzata da Pascoli che lui odiava e Patrizio amava.

Si aggirava per la stanza a sistemare le sue cose. La valigia sul letto, i vestiti già messi nell'armadio. Era presto ma già aveva avuto un pasto molto abbondante.

Adesso l'unico pensiero era quello di cercare di scagionare in qualsiasi modo l' amico, o almeno, così credeva di chiamarlo ancora.

Improvvisamente bussarono alla porta. Aprì.
" Buonasera signore, nella hall c'è una persona che l'aspetta" l'inserviente, un quindicenne, gli disse queste parole.
" Chi è?"
" Non lo so, signore" inchinò un poco la testa.
" Ditegli di aspettare qualche minuto e arrivo" detto ciò chiuse quasi in faccia la porta al quindicenne. Indossò i soliti vestiti che aveva: un maglione leggero e dei pantaloni. Poi scese.

La hall era solitaria. Molto sobria, con le pareti gialle e qualche quadro che apparentemente sembrava qualcosa di Renoir, o qualche esordiente che vendeva i suoi quadri per poche lire.
Nel sofà nell'angolo sedeva un donna pressappoco dell'età di Gaudenzio. Aveva lunghe sopracciglia perfette che neanche si vedevano, uno sguardo ammaliatore. In mano aveva uno di quei cappellini che due decenni prima andavano di moda oltreoceano. Il vestito le ricadeva fino alle ginocchia con un leggero ma accattivante spacco lungo la coscia. Appena vide Gaudenzio buttò il cappellino come se fosse un terribile ornamento che non le stava e si alzò di scatto, incominciando a camminare come se fosse una star di Hollywood.

" Gaudenzio!!!" Urlò trascinando la o come se fosse un suono interminabile. Gaudenzio era abbastanza imbarazzato.

" Ci conosciamo?"

La donna ripetè ancora il suo nome, come sempre trascinando la o e buttandogli le braccia al collo. A lui non dispiaceva quell'abbraccio, sapeva di avere ancora bisogno di affetto dopo la perdita della moglie. Scacciando quei pensieri chiese alla donna chi fosse.

" Non mi riconosci?" Questa volta allungò la i finale.

Attratto da quel comportamento, Gaudenzio gli chiese se fosse ubriaca
" Ubriaca di te, amore" altro trascinamento, di e, nel frattempo cercava di dimenarsi, come se si trovasse in una danza tribale. Gaudenzio la fece fare.

" Penso che lei dovrebbe andare a dormire, è anche una certa ora"

" La signora alloggia qui" gli fece eco il quindicenne che nel frattempo assisteva allibbito alla scena. La bellissima donna si staccò da Gaudenzio e sbuffò avvicinandosi al quindicenne e chiedendogli di portarla nella sua stanza, con un altro trascinamento e camminata incerta di chi barcolla su un filo.

" Che stranezza" pensò e si mise a guardare il cappellino. Sembrava una copula. Lo tastò, era di feltro, molto resistente e fucsia. Sul fondo, però, figurava una piccola macchia, probabilmente era stato troppo tempo nell'umidità intaccandone la bellezza.

La sua prima notte romana la trascorse in molta tranquillità, cosa che un poco lo scocciò perchè gli sembrava di essere solo in un mondo lacerato da odio. Tuttavia, non fece altro che pensare a quella strana donna: chi era e come sapeva il suo nome, si chiese, ma anche lui capiva che quello sarebbe stata una domanda senza una risposta certa.

Roma splendeva di una luce sinistra, forse per via del suo passato glorioso, pensò, o per quello che aveva appena passato. La mattina decise di andare a riscuotere quel debito e cercare di trovare informazioni su Patrizio.

Come si sentiva solo senza lui, lo considerava come una delle persone che conosce tutto il mondo capace di districarsi con sicurezza, cosa che lui non aveva. Per le vie i romani, aiutati dagli anglo-americani, cominciarono a rimuovere gli slogan impressi nelle mura delle case degli italiani, oltre anche a riconvertire le case del fascio in qualcos'altro, da quello che sapeva, a Torino alcune avevano iniziato a riconvertirle in alberghi.

Il sole filtrava dalle nuvole illuminando le strade e i volti della gente. Il suo primo problema fu quello di cercare suo cugino Giorgio. Dopo la precedente guerra avevano interrotto i rapporti, forse perchè entrambi si sentivano soli. Erano Torinesi, ma quando Giorgio trovò lavoro a Roma, si persero, salvo inviandosi qualche lettera in cui sostanzialmente si chiedevano come stavano, anzi, a cercare nei ricordi di quelle lettere che non riusciva minimamente a ricordare dove erano, forse perse dopo i continui trasferimenti, si ricordò che lo aveva invitato per due settimane a Rapallo, cosa che lui rifiutò, non ricordava il motivo.

Nell'ultima lettera, quella scritta dopo la morte di sua moglie, Giorgio gli scrisse che viveva in una borgata con tanto di via e numero civico allegata alla lettera. La lettera l'aveva portata con sè.

" Non si sa mai" aveva pensato nella preparazione della valigia
" Più preciso di così..." Pensò. Suo cugino viveva a Tiburtino III, un' area urbana del IV Municipio nata dall'Istituto fascista autonomo delle case popolari.

Trovato il numero, il 15, bussò alla porta. Pochi secondi che sembrarono millenni e la porta si aprì piano e cigolando.

Gaudenzio aveva un fiotto, Giorgio non si aspettava minimamente quella visita, strabuzzò gli occhi
" Cugino mio!" Urlò e si slancio verso Gaudenzio per abbracciarlo, sotto gli occhi di tutti nel pianerottolo. Lo guardavano, ma  importava soltanto ricongiungere il filo dell'infanzia e dell'adolescenza che arriva e passa in fretta, anche se sembra durare molto.

Giorgio era uno dei ragazzi dell'99 che nel millenovecentodiciasette andarono in guerra, all'età di diciotto anni, dei giovani uomini pronti ad affrontare il mondo. Gaudenzio ricordava poco di lui, soltanto quel pomeriggio in cui passò un bus per portarlo in guerra, o come diceva sua madre "per portarlo a una morte certa".

All'epoca Gaudenzio aveva sette anni, e come tutti i bambini, pensava solo a giocare, mentre intorno il mondo si muoveva.
Al momento della partenza, Giorgio era alto, bello, disinbito. Ora, basso e quasi calvo, irriconoscibile agli occhi di Gaudenzio. Aveva messo su anche un po'di peso.

Lo fece entrare nella sua casa, buia e con pochi mobili essenziali.

" Che ci fai qui a Roma?"

Gaudenzio gli raccontò della sua situazione. Mentre parlava si chiedeva se avesse dovuto dirgli di Patrizio. Lui non conosceva Roma, Giorgio si, ci viveva dal millenovecenventisette. Alla fine decise di dirglielo dopo.

" Se hai bisogno di aiuto..."

" Assolutamente no, ho i soldi"

" Va bene... Ma perché spendere soldi in albergo. Stai qui" e il suo tono di voce si fece morbido. A quella richiesta Gaudenzio si guardò intorno, il salotto e la cucina erano un unica stanza, con una finestra che dava su una strada laterale. Dal corridoio si vedevano due porte aperte entrambe con un letto.
" Non hai il bagno?" Gli chiese
" È sotto" rispose Giorgio che nel frattempo trafficava in cucina prendendo qualcosa da offrire a suo cugino.

" Sotto?"

"Si, in strada"

" Davanti a tutti?" Chiese Gaudenzio che quasi si stava mettendo a ridere
" Qui la vita è dura"
Gaudenzio abbassò lo sguardo: " scusa... Non volevo"
" Ma che dici!" Giorgio diede una pesante pacca sulla schiena a Gaudenzio che quasi lo faceva cadere dalla sedia.

Si avvicinò a lui e gli buttò le braccia al collo e sussurrò piano e scandendo le parole: " vai a prendere la tua roba in albergo e vieni qui. Nel frattempo io sistemo un po'la casa" sospirò.

Gaudenzio sorrise e si alzò.

Mezz' ora dopo era già di nuovo a casa di suo cugino.
" Questa è la tua stanza. Il materasso è nuovo..."
" Sei gentilissimo, grazie. Davvero"
" Se non ci si aiuta con gli altri..."
Giorgio si avvicinò all'armadio e dall'alto prese una scatola di latta. Era vecchia, impolverata. Nel coperchio era raffigurata la marca di qualche biscotto, con le scritte in stile floreale, lussuose e colorate, nonostante la polvere.

" Questi biscotti me li aveva regalati un soldato americano sul Piave. I biscotti li ho mangiati subito. Aprila"

Gaudenzio fece un po' di fatica ad aprirla. All'interno c' era un foglio ingiallito e piegato in due. Aprì il foglio con cautela, era molto fragile. Era un disegno. Raffigurava un soldato, alto, con una faccia sorridente, il fucile e la divisa marrone. Vicino c'era un bambino con la maglia rossa e i calzoni. Sopra il soldato c' era scritto Giorgio e sul bambino Gaudenzio. In alto a destra c'era la data, ormai quasi illeggibile ma che portava con sé i ricordi di una vita. Gaudenzio aveva già cominciato a piangere.
La voce di Giorgio si ruppe: " l'ho tenuta per tutto questo tempo. Volevo restituirtelo"
Gaudenzio teneva la fronte abbassata.
" Le piccole cose sono quelle che ricongiungono due persone"
Gaudenzio si buttò sul cugino ad abbracciarlo, cercando di soffocare i suoi singhiozzi nella spalla di suo cugino. E rimasero così, abbracciati, per un bel po'e sembrava che il tempo si fosse fermato. Ormai era tardi per riscuotere quel debito, tutto stava chiudendo. Importava ritrovare le parole e l' anima del cugino che aveva perso e di cui si era appena ricongiunto..

A cena parlarono solo di loro, e di qualche parente dimenticato. Si dilungarono fino a tardi, già cominciavano a cedere al sonno
" Sai, è successa una cosa" gli disse Gaudenzio dopo che ebbero terminato la cena.
" Cosa?"
" Stavo vedendo a Roma con un amico..."
"Eh?"
Cercò di selezionare le parole giuste, ma sapeva quali dire. In un momento del genere poteva solo dire le parole più semplici
" È stato arrestato"
Giorgio strabuzzò gli occhi
" Non lo sapevo. Mi dispiace... Ma... Perché?"
" Ha collaborato con la repubblica di Salò. Almeno, così dicono"
" Qui hanno iniziato ad arrestare collaborazionisti del fascismo subito dopo la morte di quel bastardo di Mussolini. Se lo merita."
" Si, qualcosa ho letto. Ma che devo fare? Devo scagionarlo"
"Tu sogni. Stanno già cominciando a decapitarli"
" Appunto!" Si avvicinò meglio al cugino" quel pover'uomo si sta per sposare. Lei non la conosco, ma appena saprà la notizia impazzirà"
" Allora la cosa è diversa"
" Quindi..."
"Quindi cosa?
" Mi aiuti?"
Giorgio sospirò: " non sai neppure dove si trova"
" Lo possiamo ipotizzare".
Nel frattempo Giorgio iniziò a sparecchiare.
" Domani vedremo cosa fare. La priorità è quella di riscuotere il debito. Domani ti accompagnerò."

L'indomani mattina fecero appena in tempo a riscuotere. La casa del fascio stava per chiudere dopo la fine della dittatura.

" L'abbiamo fatta ai fascisti" gli echeggiò Giorgio quando uscirono.

" Ah! Vedessi che facce che avevano quando hanno letto da quanto ho il debito"
" Immagino che non lo pensavano affatto Ah!! Che ridere!"
" Voglio offrirti qualcosa. Andiamo in una bar" e di tutta corsa Gaudenzio attraversò la strada nel momento in cui stava per arrivare un tram che scampanellò. Molti avrebbero pensato per avvisarlo di togliersi, altri, più fantasiosi e sognatori, imaginarono per un saluto dopo la guerra


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