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La previsione di Gaudenzio si rivelò esatta. Patrizio era andato a Napoli dopo la sua evasione, e ancora non sapeva nulla di Orsini. Aveva trovato alloggio in un rione degradato. Dalla sua finestra si vedeva il Vesuvio che due anni prima aveva fatto sfoggio della sua ultima eruzione mentre la città partenopea era in mano agli americani. La città si era ripopolata. Molte strade erano già state sgomberate dalle macerie delle abitazioni e molte insegne dei negozi portavano termini inglesi; Napoli si stava americanizzando.
Patrizio non ne fu immune e imparò alcune parole che, però, riusciva a dire con molta fatica. Gli americani avevano tanta carne in scatola che davano ai cittadini. Il cielo era spesso splendente, il mare puro e celeste e a volte non si lasciava scappare l'occasione di una passeggiata sul lungomare.
Sul giornale, in un piccolo spazio, lesse la notizia dell'arresto di Bruno. Importante usuraio romano confessa l'omicidio di una donna partigiana e altri crimini, diceva il titolo del pezzo accompagnato da una foto in bianco e nero raffigurante Jacobi in manette. Lesse più di una volta l'articolo, come uno scolaretto che doveva imparare a memoria una poesia. Gli occhi gli brillarono donandogli un'espressione stupita. Al di là del vetro della finestra scorse la neve che aveva incorniciato il primo mese dell'anno con il suo manto bianco. La sua mente attraversò altri scenari, e un sorriso gli si aprì in faccia, mentre faceva capolino il pensiero che Jacobi in veste di carcerato fosse tra le cose più belle che avesse mai visto.
Felicità. Non era sicuro di sapere quale sarebbe stato il reale significato di quelle parole. Eppure l'istantanea era proprio quella.
Felicità di ritornare alla sua normale vita. Felicità di ritornare da Gaudenzio. Felicità di ritornare dalla sua amata. Quella sera riuscì a prendere il primo treno diretto alla capitale dove arrivò a notte fonda.
Tirò dritto verso la casa di Orsini, convinto che il dottore l'avrebbe ospitato e successivamente portato da Gaudenzio.
In via dei Coronari entrò nel piccolo cortile interno del palazzo e salì le scale. A distanza di mesi dall'ultima volta che aveva messo piede nell'appartamento ricordava tutto. Davanti al portone suonò il campanello. Non ricevette nessuna risposta. Iniziò a bussare. Ancora nulla.
Perché non risponde?
Proseguì così per una decina di minuti, poi sentì dei passi strisciare sulle scale e una luce avvicinarsi. Si mise immediatamente sulle difensive, fino a quando la figura che trovò era il portinaio.
"Che bussa a quest'ora della notte?" domandò l'uomo inaciditò alzando un sopracciglio.
"Cerco il dottor Orsini"
"Non lo troverà"
"È partito?
"No, macché,peggio. È morto!"
Patrizio venne travolto da un ciclone di dolore, tutto assieme, un fiotto inarrestabile, terribilmente dolorante. Sentì le ossa spezzarsi, i capelli cadergli, la pelle seccarsi, il cuore e il cervello smettere di funzionare. Il dolore lo prese alla gola, gli organi interni, fino a diventare dolore fisico che partì dalle tempie, inondò il corpo e lo fece rintronare, gli attanagliò il cuore. Le lacrime non esisterono più, troppo dolci erano per reggere un dolore forte come quello, troppo deboli per rendere giustizia all'assenza di colui che l'aveva fatto uscire dal carcere.
"Brutta notizia, figliolo. Veramente brutta ... l'hanno trovato impiccato"
Le parole non uscirono.
"Era un suo parente?"
"N – no ..."
"Poverino. Non aveva nessuno"
"hanno già fatto il funerale?"
"Oh, si. L'avesse visto, lo conoscevano in pochi ma si può dire che mezza Roma fosse con lui. Ma lei, dica, che ci fa qui a quest'ora? Credevo fosse entrato un ladro"
"Io ... sono appena rientrato da Napoli"
L'uomo annuì.
"Sa la strada per Tiburtino?"
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Dopo essersi fatto dire da un notturno che conosceva Giorgio dove si trovasse l'appartamento, Patrizio bussò alla porta. Si sentì una voce tuonante brontolare e subito dopo aprirsi il passaggio. Di fronte a lui comparve il cugino di Gaudenzio, con addosso il pigiama e gli occhi assonnati.
"Chi è?"
"C'è Gaudenzio?" chiese con un fil di voce spingendo la testa un poco verso l'interno della stanza.
" ... Come?!" Giorgio alzò di poco il tono della voce, strabuzzò gli occhi e si girò a destra e a manca ammutolito.
"Sono tornato" fu la risposta di Patrizio che suonò come una frase gioiosa e calda.
Giorgio si ritirò e andò nella stanza di Gaudenzio ed Elena e senza giri di parole, svegliò i due avvisandoli della novità. Dopo alcuni momenti di perplessità i due si alzarono.
Giorgio gli fece strada verso la cucina. Nel mentre Patrizio stava chiudendo la porta e quando si accorse della presenza dell'amico, un grande sorriso si stampò sul suo volto.
"Sei ... sei tu"
Si strinsero tra le braccia e si crogiolarono l'uno sull'altro nelle calde sensazioni dei loro calori corporei che si fondevano. Gaudenzio sentì le sue arteria pulsare vigorose contro l'orecchio e penso un cuore così forte, così sano ... deve essere immortale. Quella lì era una notte serena. Patrizio, che davanti a sé aveva Giorgio ed Elena, anche loro stupiti da quell' inaspettato ritorno, sorrise e insieme gli risero gli occhi.
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Patrizio non volle incontrare Jacobi in prigione; gli bastava la sola soddisfazione di saperlo dietro le sbarre per ciò che aveva fatto e per l'omicidio compiuto. La sera prima che i tre ripartissero alla volta di Torino, Elena e Gaudenzio uscirono per una passeggiata nei dintorni.
"È stato un periodo intenso" iniziò a dire lui mentre camminavano a braccetto.
Elena lo guardò e in quel momento gli sembrò di trovare nel suo volto dettagli che non aveva mai visto, o era la sua impressione. Qualche brufolo e una cicatrice sotto al mento.
"Siamo anche stati molto affiatati"
"Sì, mi hai dato coraggio"
"Non è vero" ridacchiò lei.
"È così"
Elena scosse la testa sorridendo. Si strinse ancora di più all'amato, come se il vento che tirava avesse potuto permetterlo di portarselo via.
"Vieni con me" disse Gaudenzio.
Quindi la trascinò verso una piccola scalinata. La fece sedere sul freddo della pietra. Si chinò per darle un bacio sulla fronte.
"Oh, Gaudenzio" e con un gesto della mano lo attirò a sé. Entrambi scivolarono sugli scalini, ridendo come due bambini. Elena sbatté la testa contro un gradino mentre Gaudenzio aderiva il suo corpo su quello della donna.
"Ti sei fatta male?" interrogò lui.
Ella scosse il capo.
Silenzio.
"Perché Jacobi ha ucciso Gemma?" chiese lei d'impulso.
"Non l'hai capito?"
"No, ho capito perfettamente. Intendo dire, perché arrivare a togliere la vita a una persona che amava sapendo che c'era già Patrizio con lei, avrebbe potuto far scegliere alla ragazza"
Gaudenzio si tolse via da lei e si sedette accanto, trasse un sospiro.
"Perché l'amore è una cosa difficile" rispose.
"Immagino. Io lo sto provando solo ora. Non so cosa voglia dire essere tra due fuochi"
"Credimi, meglio non saperlo"
"Tu l'hai provato?" gli chiese girandosi verso di lui.
"No ... non lo so a dire il vero"
"Come mai?"
"Non ho mai saputo se piacevo a qualcuno ... anche prima del matrimonio. Mia moglie non mi amava"
Elena poggiò la testa sulla sua spalla.
"Una persona a cui piaci esiste"
Gaudenzio chiuse gli occhi e sorrise.
"E chi è?"
Di colpo non sentì più la testa di Elena sulle sue spalle e si ritrovò le sue labbra sulla bocca. Prima si sfiorarono esitanti, ma presto si insinuarono con più forza finché non si schiusero e sentirono il calore delle labbra dell'altro.
"Sei tu" biascicò amorevolmente mentre si staccava.
Gaudenzio la strinse a sé.
"Sposiamoci"
Lei non si voltò, ma sorrise compiaciuta verso un punto indefinito.
"È il mio sogno"
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Il giorno dopo i tre ripartirono. Salutarono Giorgio, tra abbracci, pacche sulle spalle e promesse di rivedersi.
"Quando ci saremo sistemati per bene" disse Gaudenzio al cugino "ti trovo una casa vicino la mia e un buon lavoro. Così vivrai con noi a Torino, mi si stringe il cuore a saperti solo qui a Roma senza nessuno"
"Assolutamente si!" esclamò Elena con uno sguardo che non accettava repliche
"È una bella proposta" rispose chinando il capo " forse è ancora un po' troppo presto per pensarci"
"È la scelta migliore" si intromise Patrizio.
"Hai visto?"
Davanti a quelle tre voci che lo costringevano al trasferimento in Nord Italia Giorgio si sentì confuso, li guardò tutti con un volto che non lasciava trasparire alcuna emozione. Fosse stato per loro tre, sarebbe potuto partire all'istante.
"Fidati do noi" lo incoraggiò Elena "guarda, la casa sta cadendo in pezzi e fuori c'è tanta miseria ..."
"Come se da noi fosse meglio" la interruppe Patrizio mentre si mordicchiava l'unghia del dito indice.
"Si risolverà tutto. Adesso andate, o perderete la corriera" li liquidò.
Essi ritornarono al Nord, ognuno con un sogno diverso. Elena e Gaudenzio con quello di sposarsi e avere una famiglia. Patrizio, invece, lasciò Roma con la soddisfazione di non aver visto quella brutta faccia di Jacobi, gli bastava il solo pensiero di immaginarlo in cella.
"E tu cosa farai, Patrizio?" domandò Elena.
L'interpellato si girò e sorrise.
"Ritornerò da Anna e troverò un lavoro"
"Se vuoi" gli disse l'amico "mentre cerchi una casa puoi stare da me"
Patrizio rifiutò la proposta facendo un gesto con la mano.
"Ma no! Riesco a cavarmela da solo"
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I successivi mesi furono cruciali per il Belpaese. Il 2 giugno gli italiani votarono per scegliere la nuova forma del governo; la repubblica o la monarchia.
Elena e Gaudenzio si recarono alla scuola elementare che lui aveva frequentato da piccolo e che per l'occasione era stata temporaneamente riconvertita in seggio. I corridoio erano tappezzati da manifesti a favore o della repubblica o della monarchia.
Aspettarono in corridoio davanti a una classe, fra molte anime ansiose di votare. Gli uomini ne parlavano uno sopra l'altro su chi avrebbe vinto, mentre le donne erano tutte elettrizzate poiché per loro era la prima volta che avevano avuto accesso al diritto di voto.
Gaudenzio aveva spiegato molte volte ad Elena come si dovesse votare ma lei aveva la costante paura di sbagliare a votare il partito politico. Gaudenzio non voleva influenzarla, ma le aveva consigliato di votare per la repubblica. Solo il giorno 10 la Corte di Cassazione proclamò i risultati provvisori. Tra lo stupore, tutti si chiesero se fossero già nella repubblica o incastrati ancora nella monarchia. Infine, uscirono i voti ufficiali e in tutte le città della penisola i giornali andarono a ruba, la repubblica aveva vinto con 12.718.641 voti.
Nel frattempo, il 13 giugno Umberto II di Savoia, con indosso un abito grigio e una cravatta blu, lasciò la patria diretto in esilio in Portogallo. Quel pomeriggio l'ultimo re d'Italia aveva lasciato la sua terra mentre al Quirinale veniva ammainato il tricolore con lo scudo sabaudo dopo 76 anni: l'Italia era cambiata ed era diventata una repubblica.
La sera stessa dell'uscita dei voti, i due uscirono per una passeggiata. Iniziava già a fare un po' di caldo e fuori la gente iniziava a preferire abiti più leggeri.
"Sei contento?" gli chiese Elena appena infilò il suo braccio sotto quello dell'amato.
"Io sì. Tu?"
"Pure io" sorrise.
Per un paio di minuti passeggiarono in silenzio mentre una leggera e improvvisa brezza di vento li colpì in faccia.
"Pensavo a cosa succederà tra dieci, venti o trent'anni. Mi chiedo se saremo ancora vivi, se avremo dei bambini ... se vivremo felici. Chissà cosa ci succederà, quale persone incontreremo, quali emozioni vivremo, che paese sarà l'Italia"
"Cerca di essere ottimista"
"Ma io sono ottimista!" ribatté "è che mi chiedo cosa succederà"
"Abbiamo passato tante pene eppure siamo qui, nella nostra città, felici e prossimi a sposarci"
Di colpo lui la bloccò.
"Che succede?" chiese lei guardandosi a destra e a manca per capire qualcosa.
"Guarda" prese le sue mani "ho sempre provato una certa malinconia per l'estate. Durante l'adolescenza ho cercato di vivere con serenità e spensieratezza, ma spesso si è rivelato un incanalarsi di aspettative, ansie e timori nel passaggio davanti a qualsivoglia ragazza. Ho avuto paura delle donne e nemmeno lo sapevo, come probabilmente non lo sapevano loro. E non so ancora parlarne e va bene così. Ti ho incontrata un anno fa e sono sicuro che quest'estate sarà la stagione che mi permetterà di amare una vera donna; e quella donna sei tu"
Elena chiuse gli occhi per non fargli vedere che stava piangendo, ma lui le accarezzò una guancia e, quando aprì gli occhi bagnati dalle lacrime, gliele asciugò con le dita, attento a non cavargli gli occhi.
"Su, su non piangere" la consolò mettendole un braccio intorno alla vita.
"Non sto piangendo ..." la sua voce apparve mielosa " è solo che hai detto delle parole bellissime, come quelle di Natale"
A quel punto lui l'abbracciò, stringendola con una forza che non aveva mai messo.
"Avremo una vita felice. Ti amo" le disse baciandola.
Lei non si mosse ma dentro si sé sorrise. Aveva ragione Gaudenzio, avrebbero avuto un futuro bellissimo.
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