34
Jacobi entrò dentro casa verso l'ora di mezzogiorno. Si aspettava di trovare Giulia ai fornelli, la tavola apparecchiata e l'odore del cibo. E invece nulla. Il salone era in penombra, le tende erano state tirate per coprire le finestre. C'era un silenzio che Bruno non aveva mai sentito in quelle mura. Tutto era al proprio posto; le poltrone, i quadri e il tavolo. Inquietato, si tolse il cappotto e lo mise sull'appendiabiti. Con passo felpato attraversò il corridoio, poi passò in cucina. Lì la piccola finestrella era chiusa. Allora la chiamò ad alta voce. Nessuna risposta. La casa improvvisamente era diventata troppo cupa. Il silenzio era una cosa rara in quelle stanze, la radio era sempre tenuta accesa, e quando non c'erano le canzonette a riempire l'aria, vi erano le chiacchiere. Bruno la chiamò ancora, una volta e un'altra volta ancora. Nulla. In camera da letto aprì i cassetti alla ricerca neanche lui sapeva di cosa. Un indizio? Un qualcosa che avrebbe giustificato la scomparsa di Giulia, visto che a quell'ora era sempre a casa ai fornelli. Nell'armadio frugò dovunque, dentro la valigia, tra i vestiti. Non c'era niente se non dei volantini. Sospirò. A grandi passi percorse il corridoio e senza volerlo entrò in bagno per guardarsi alla specchio. Che stava succedendo? Non sembrava più quell'uomo di mesi prima. La barba stava spuntando, aveva un leggero brufolo sul labbro e non se ne era mai reso conto. Il suo volto era il ritratto di un uomo sporco, meschino e approfittatore, dalle sue mani passavano così tanti soldi che gli sembrò di vedersi le dita più corte per via di tutte le banconote che passava e toccava.
Per due anni non aveva mai perso di vista la donna che diceva di amare, e ora lei spariva nel nulla. Sicuramente, pensò, se ne era andata quella notte, quando lui era rintanato al calduccio dai suoi amici mentre fuori imperversava la tempesta. Giulia non si sarebbe mai sognata di avventurarsi per una città in preda a una bufera, per giunta di notte.
Da qui passò a Gaudenzio. In quella stanza sarebbe morto, il vento avrebbe rotto le assi immergendo il tutto con la neve coprendo il corpo morto. Scattò in avanti e strabuzzò gli occhi; se Gaudenzio fosse veramente morto e trovato lì non sarebbe bastato nulla a capire che il corpo del torinese si trovava in una sua proprietà e, visto che l'ingresso necessitava per forza di una chiave che Bruno teneva sempre con sé, si sarebbe capito che lui c'entrava qualcosa e che l'uomo non fosse stato un semplice vagabondo alla ricerca di un riparo. Se i suoi ragionamenti erano esatti, avrebbe passato dei guai e si sarebbe visto la sua losca attività naufragare.
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Il motore dell'automobile scoppiettava mentre a fatica percorreva le strade di campagna. L'asfalto era stato sgombrato dalla neve che era stata ammucchiata ai lati in piccoli cumuli lasciando sulla strada una leggera patina che faceva scivolare di tanto in tanto il mezzo guidato con padronanza dal proprietario.
Inchiodò l'auto sotto un albero e scese. A piedi percorse il tratto di campagna diretta verso la stanza. Appena riuscì a scorgerne i tratti, da dietro una macchia d'alberi, tirò un sospiro di sollievo. Era intatta.
Entrò e rimase sconvolto. Il giaciglio era vuoto, la corda che gli teneva legate le gambe spezzata, per terra era riversa una candela usata. Si soffermò su quella, prendendola in mano.
La girò più e più volte analizzandola a fondo. Si riusciva ancora a sentire una debolissima puzza di bruciato. La cosa che più lo fece rodere era come Gaudenzio fosse riuscito a uscire; il suo era stato un piano studiato a tavolino per farlo stare lì.
Si sedette sullo stesso lettino che era stato occupato dal suo prigioniero. Mise pollice e indice nel ponte del naso e sospirò. Stette a schiena curva a pensare come aveva fatto a farselo scappare. Passarono i minuti e l'idea più probabile fatta lo fece trasalire: Giulia!
La sua improvvisa scomparsa, collegata a quell'evento, non poteva affatto essere casuale. Poche volte lei aveva fatto cenno all'amicizia che li legava dai tempi dell'università, ne parlava poco ma il tono che usava per parlare di lui era uno affettuoso e riconoscente.
Sapeva dove viveva Giorgio ed era già stato lì, sicuramente una volta uscito Gaudenzio si sarebbe recato lì.
Mentre guidava diretto a Tiburtino pensò a Giulia e al suo tradimento. Gaudenzio era l'amico di Patrizio, il suo nemico più grande che voleva morto. Se l'amico non fosse morto per mano sua era meglio uccidere prima Gaudenzio per attirare l'amico nella trappola. Perché si, disse, se fosse morto Gaudenzio, Patrizio avrebbe voluto vedere a tutti i costi il corpo dell'amico.
A Tiburtino si fermò in una piccola piazzetta isolata, una via in cui la Lancia passava a malapena. Controllò se nel cruscotto c'era quello che voleva; ovvero una pistola. Era tutto quello che serviva ed era sufficiente.
Infilò l'arma nella tasca del cappotto, si sistemò la sciarpa e cappello che calò per benino sopra gli occhi. Aprì la portiera e si incamminò verso l'abitazione designata.
Intorno a lui giocavano dei bambini che tra di loro si confrontavano su chi avesse ricevuto del carbone o dei dolcetti, le donne invece discutevano degli ultimi pettegolezzi di quartiere e gli uomini si confrontavano sul V Congresso del Partito Comunista Italiano guidato da Toglatti, in netta crescita di consensi, che si era concluso proprio quel giorno.
Parole al vento rispetto a quello che sarebbe successo di lì a poco. L'androne gli apparve come un luogo magico, quasi irreale e nascosto dalle avversità della vita. Salì le scale e arrivò davanti al portone. Mancava poco. Prese la pistola dalla tasca e bussò.
La porta scattò e senza perdere tempo puntò l'arma sulla prima persona che si presento lì; era una donna.
Elena sgranò gli occhi fin quasi fuori le orbite e urlò.
Bruno le si avvicinò e con violenza le tappò la bocca con la mano libera, con un calcio chiuse la porta. Gaudenzio, attirato dalle urla e dal rumore, comparve in cucina.
"Lasciala!" urlò a gran voce per poi fiondarsi sullo strozzino.
Bruno lo schivò. Mise il braccio sotto il collo di Elena per immobilizzarla e puntarle la pistola al collo. Ella sentì quel tocco forte e freddo penetrarle la pelle. Soffocò un gemito.
"Dimmi dov'è Patrizio!"
"Ti assicuro che non lo so" rispose lui ansioso. Si guardò freneticamente intorno. "per favore, lasciala"
"Tieni a lei?" interrogò puntando più a fondo la canna nel collo. "ho perso la persona che per me era la più importante, le volevo un bene da morire. Una vita senza amore che cazzo di vita è?" sbraitò.
Gaudenzio si passò una mano sulla fronte. Stava sudando. Doveva fare qualcosa o sarebbe successo l'irreparabile. Teneva gli occhi fissi su quelli di Bruno per non dargli il motivo di sparare. Gli sembrò quasi di sentire il suo dito premere il grilletto e il proiettile conficcarsi nella pelle dell'amata.
A quel punto, Gaudenzio si gettò su di lui in modo tale da togliergli l'arma di mano. Bruno non connesse la cosa e spinse via Elena che cadde a terra. Prima che venisse raggiunto dal suo assalitore, Jacobi fece partire due colpi; uno andò a vuoto mentre l'altro sembrò sfiorare Gaudenzio che ebbe un brivido sul fianco destro, in quel punto la camicia gli si bagnò di rosso. Egli si accasciò debolmente a terra.
Elena, rannicchiata dietro il tavolo, si alzò e prese il vaso accanto e lo direzionò verso la testa di Jacobi. Lo colpì, si ruppe in diversi cocci che si infransero per terra mentre all'assassino cadeva la pistola. Accortosi di non avere più l'arma in mano, Gaudenzio fece uno sforzo strisciando il suo corpo per terra e riuscì a dare un calcio a Bruno. Il tentativo di farlo cadere non funzionò e, guardando intorno per la stanza, incontrò lo sguardo fermo ma al tempo stesso inquietante di Elena che gli puntava la pistola.
Bruno sentì un urlo crescergli in gola. E quando Elena lanciò uno strillo poiché non sapeva cosa fare, Jacobi sfondò il vetro della finestra con il gomito.
Elena non capì subito. Bruno si mise cavalcioni sul davanzale. Poi si udì un tonfo, qualche urlo e la pistola che gli cadde di mano.
Elena andò in soccorso dell'amato riverso sul pavimento con il sangue che aveva macchiato le mattonelle del pavimento. Gli toccò la ferita e si vide la mano colorata di rosso. Le tramava il labbro e non sapeva cosa fare. Con le gambe che le tremavano si alzò e si appoggiò allo stipite della porta. Era con un uomo in punto di morte.
Negli occhi di lui si intravedevano scorrere fiumi di parole, freni che si arrampicavano e ruzzolavano giù dalla grande montagna della paura di morire che lo impadronì in quegli istanti.
" G- Gaudenzio ... i – io ..." non fu in grado di continuare.
Elena si accarezzò il volto mentre piangeva silenziosamente. Guardò per l'ultima volta il corpo e scese correndo le scale invocando a gran voce soccorso ...
***
Gaudenzio stette una settimana sul letto d'ospedale. Appena saputa la notizia Giorgio si era precipitato dal cugino per supportare Elena.
Lei passò l'intero lasso di tempo nella stanza insieme a Gaudenzio. Al mattino si svegliava prima di Giorgio e dalle otto fino alle sette di sera stava con il suo amato. Tutte le volte gli accarezzava le guance e piangeva. Lo abbracciava come meglio poteva dandogli dei piccoli baci. La ferita, dissero, non era grave e si sarebbe ricucita quasi subito. Gaudenzio sotto le coperte sembrava che fosse andato un ultima volta in pezzi ed ella credeva che se non avesse avuto il supporto che gli stava dando, sentì come se avesse spazzato via le sue macerie. Era un pensiero stupido, mormorava, ma sapeva che se lo avesse ignorato in quei momenti lui sicuramente non ne sarebbe uscito. Quell'evento fece cadere in pezzi pure lei. Prima e durante la guerra Gaudenzio aveva sofferto tanto. E ogni volta che soffriva si rompeva ed era costretto a raccogliere i suoi stessi cocci uno per uno, rinchiudendosi nel silenzio; la moglie non l'avrebbe mai aiutato. Li ricompattava come meglio poteva, ma ogni volta gliene sfuggiva uno e, inevitabilmente, la struttura sarebbe crollata. Ed era così, Gaudenzio aveva costruito una casa su un terreno instabile perché quella che credeva essere la sua roccia, sua moglie, non riusciva a vedere i piccoli segnali d'aiuto che gli mandava. In tutti quegli anni brandelli di vita sparivano nelle sabbie mobili, e lui scavava più che poteva, sempre più a fondo per recuperarli. Cercava un appiglio che non trovava perché nessuno gli dava.
La notte Elena piangeva in silenzio. Lui gli aveva mostrato la sua anima, ora toccava a lei rimetterlo assieme e ricostruirlo su un terreno stabile e sicuro fatto d'amore.
"Ti amo" sussurrava ogni giorno.
Anche Bruno venne portato in ospedale. Stette solo soltanto cinque giorni; la sua caduta era stata attutita dal cumulo di neve ammucchiata sul muro della casa. Una volta uscito, venne preso dalla polizia. Qualcuno aveva denunciato la colluttazione e il tentato omicidio a Tiburtino.
Gaudenzio aprì gli occhi il penultimo giorno d'ospedale. Era mattino presto e aveva chiamato uno dei medici per farsi portare un bicchiere d'acqua. Quando Elena lo seppe era al settimo cielo.
La sua fu una felicità incredibile, a stento riusciva a credere che si fosse svegliato. Era la dolcezza, la delicatezza di prendergli le mani e baciargliele, la sicurezza della presa, la decisione del gesto nella fugace mossa che sollevava l'animo; ecco cosa colpì Gaudenzio di Elena in quel momento.
"Dio mio ..." iniziò lei con un fil di voce.
"Come stai?"
"Ora che sei qui con me sto meglio" rispose lei con le lacrime agli occhi.
Gliele asciugò con le dita, le toccò il polso.
"Ora sono qui. Va tutto bene"
Stettero accanto per lunghi minuti fino a quando Elena si staccò da lui con un sorriso e gli occhi lucidi.
"Non piangere" esordì dolcemente lui.
"Ho avuto paura di perderti ..." rispose.
Venne dimesso il giorno dopo. Poco prima di uscire i due medici che l'avevano seguito si raccomandarono di stare a riposo. All'uscita li aspettava Giorgio. Elena sorreggeva Gaudenzio e appena il cugino di lui li vide si lanciò verso i due per aiutare il parente.
"Come stai?" fu la sua prima domanda.
"Decotto" rispose.
"Hai bisogno di riposo" si intromise Elena.
Quanto erano belli quegli attimi di pace e amore, pensò mentre si dirigevano a casa.
"Che fine ha fatto Jacobi?" interrogò ai due una volta che lo fecero accomodare sul letto.
"L'hanno preso" rispose Giorgio.
Quella notizia fu per lui come vedere la luce per la prima volta. Gli ci volle qualche minuto per assimilare la notizia. Sorrise a entrambi per far capire loro di quanto fosse contento per quella novità.
"Patrizio lo sa?"
"Non sappiamo dove si trovi"
"Non è importante. Voglio proprio vedere quella cartuccia in prigione"
"Hai ragione" disse Elena rimboccandogli le coperte come se fosse un bimbo piccolo "ora riposa" concluse dandogli un bacio sulla fronte.
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I giorni successivi scivolarono lenti. Giorgio era sempre fuori casa. Gaudenzio passava le giornate a letto mentre Elena aveva iniziato a uscire e a concedersi delle passeggiate per il quartiere. In quei giorni di solitudine Gaudenzio cercò di riabituarsi a tutto. Un giorno sollevò il braccio verso il pacco di fiammiferi e accese la candela sul comodino.
La luce che emanava bastò a fargli vedere le dita sottili delle mani. Erano diventate più magre rispetto a quando le aveva visto le ultime volte. Elena sembrava cambiata. La immaginò con le guance rosse a causa delle lacrime che non accennavano a smettere di cadere in quella settimana. Sorrise alla parete, come se vi fosse la sua amata lì davanti. Con la mente immaginò di alzarsi dal letto e appoggiare la testa all'altezza della sua, i loro occhi erano paralleli a i suoi tanto da potervi specchiare. Non sopportava vederla piangere. Sollevò la mano e la sistemò a lato della sua guancia, mentre delle piccole lacrime gli bagnarono le dita. Anche lei fece lo stesso. Sorrise.
Era tutto un sogno bellissimo, Gaudenzio si era addormentato e la mente gli fece viaggiare verso il suo amore con Elena; e lui, senza rendersene conto, era baciato da lei.
Elena continuò a dormire con Gaudenzio stando ben attenta a non toccarlo o sfiorarlo per fargli male involontariamente.
"Come ti senti?" gli domandò una sera.
Elena lo guardò con sguardo interrogativo.
"Intendo" ricominciò lei " come stai ora che mi sai al tuo fianco?"
"Meglio" rispose con un sorriso.
Si guardarono per lunghi istanti, fino a quando Gaudenzio allungò la mano per accarezzarle dolcemente la testa di lei che non sentiva più le sofferenze del passato, le sue mani sembravano quasi prosciugare ogni sua piccola e insignificante ansia. Entrambi volevano tutta la felicità per loro perché anche lei aveva bisogno di allontanare le paranoie di quei giorni e quelle future.
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