31

"Se ne andato?" la voce femminile lo svegliò dai suoi pensieri.

Annuì.

Elena entrò nel suo campo visivo. Si muoveva a piccoli passetti nel piccolo spazio tra lo stipite della porta del corridoio alla sedia di Gaudenzio.

"Ti sembra ancora strano, vero?" chiese mettendosi dietro di lui e prendendogli la fredda mano. Intrecciò le sue dita affusolate con quelle un po' più tozze del suo nuovo amato.

"Strano su cosa?"

"A noi due ... al nostro bacio ..."

Si girò e gli mostrò il suo più bel sorriso "io l'amore l'ho già provato, ed ogni volta è sempre diverso. Può assumere varie sfaccettature, può essere amaro oppure dolce come il nostro"

Lei trattenne una risatina " sei il mio primo vero amore, lo sai?"

"Me l'hai già detto"

"Da piccola ci ho sempre fantasticato, mi immaginavo come certe dame del secolo scorso, ricche, con una grande casa, un marito bellissimo e dei figli stupendi" sospirò e volse lo sguardo verso la credenza "solo che le circostanze della vita restringono i nostri sogni, li soffocano e ci troviamo a perderli. Sono cresciuta dalla sciocca bambina che ero e mi sono accorta che ricchezza o povertà, l'amore è sempre bello perché si può gustare ugualmente la pace della fantasia e dei sensi del nostro amore"

"Sono bellissime parole"

"Dici davvero?"

"Sì, per favore vai a scriverle su un foglio"

"Perché?"

Si alzò e prese entrambe le mani dell'amata, i suoi occhi brillarono, si avvicinò meglio a lei "perché è un pensiero vero. Oh, Elena, sei il mio secondo amore ma sembra come se fosse il primo. Ti prego, va a scrivere le parole che hai detto. Quando starò male le rileggerò e sono sicuro che dopo starò meglio" quindi le diede un piccolo bacio sulla bocca, tenero e affettuoso.
La mano di lui prese il braccio di lei; la strinse a sé. Quella, dopo tanto tempo, era la limpidezza di un bacio.

D'un tratto lui la prese in braccio. Pesava tanto e quando Gaudenzio riuscì nell'impresa di portarsela alla sua altezza viso, per poco non stavano cadendo. Continuarono il loro appassionante bacio. Le loro bocche si scontravano a non finire. Il tempo si fermò e il mondo sfumò in completo buio. Si mossero verso la camera e lì l'impulso venne spontaneo.

Lui la depose dolcemente sulle coperte sfatte. Elena si sdraiò, aprì gli occhi. Il suo amato era lì, davanti a lei, con il fiatone. Fermo.

"Sei sicura di volerlo fare?"

Roteò gli occhi al cielo "abbiamo aspettato tanto per capire che ci amavamo, non voglio aspettare per questo"

"Si tratta di una cosa un po' complessa ..."

"Della complessità mi interessa poco. Gaudenzio, guardami" ora lei aveva i gomiti della braccia a mo' di sostegno per guardarlo meglio "l'hai già fatto con tua moglie, non vedo perché non dovresti provare con me"

"Non hai paura di farti male?"

" Se proverò dolore te lo dirò"

"Non pensi alle conseguenze di ciò che potrebbe succedere?"

Elena sospirò "che intendi dire?"

"Mettiamo caso tu rimanga incinta ... dovremmo prendere uno di quegli oggetti ... non so se capisci" era morto dalla vergogna.

"Vivrò pure in un convento ma so benissimo cos'è un profilattico" ridacchio lei "non ci serve, per ora"

"Sei sicura?"

Sospirò nuovamente "sì, ti ho detto"

Gaudenzio si distese accanto a lei e iniziò a darle dei piccoli baci sul collo. A poco a poco scese fino ad arrivare alla scollatura della camicia da notte. Alzò la testa. Lei, beatamente, rivolse gli occhi al soffitto. Infilò un dito nell'apertura fino a scendere. Il suo indice toccò qualcosa che ipotizzò essere il seno di Elena; e allora si ritrasse. Riguardò l'innamorata e i loro sguardi si incontrarono in un soave bacio. Gaudenzio infilò la mano sotto il corpo di Elena, salì sulla schiena e trovò l'apertura del pigiama. A tentoni, prese la lampo e la tirò giù. A questo punto lei si alzò e si sfilò completamente la seta che aveva addosso e rimase a petto nudo. Aveva un petto pieno, la pelle candida come la neve, il suo emblema, la potenza e la fragilità, la tenerezza e la carica erotica; il sogno proibito di Gaudenzio, di ogni uomo che avrebbe incontrato, la sensibilità, la raffinatezza, la floridezza e la pienezza. Aveva delle dolci forme e sinuose curve, era l'espressione completa della sua grazia. Al sole che vedeva, Gaudenzio ne rimase meravigliato. Lei sorrise e lo guardò.

"Sei bellissima" mormorò mentre con le dita cercava di togliersi la maglia del pigiama. Lei gli si fece vicino e gli tolse i bottoni. Aveva il suo seno a pochissimi centimetri e lui, mentre era lì, abbagliato da cotanta beltà, non si accorse che Elena gli aveva tolto la maglia.

Gaudenzio si avvicinò ancora di più fino a che non poggiò le sue labbra su quelle sottili e morbide di Elena. Come ogni volta, si fusero in quei loro baci toccanti e poetici, prima timidi e poi sempre più arditi.

Con un sospiro si alzò e si mise davanti al letto; Elena lo scrutò con sguardo interrogativo. Con un gesto secco si tolse i boxer bianchi mostrando il sesso. Lei abbassò un sopracciglio, poi fischiettò "che robetta, eh?" disse nel modo più malizioso che Gaudenzio avesse mai sentito.

"Sei sicura che non vuoi usare il ... insomma, quello. Per stare sicuri, mi basta una corsa in una farmacia"

"Sarò io a farti fare una corsa mentre ti prendo a calci nel culo" rispose irritata "fare l'amore" riprese a parlare stavolta con voce dolce "è una bella cosa che non può essere interrotta da una tua paura, capisci? Non riusciremo a godercelo appieno questo nostro momento d'intimità"

"Hai ragione ... ma non pensi alle conseguenze? Potresti rimanere incinta"

Si alzò e si avvicinò a lui poggiandogli il seno con disinvoltura sul suo petto "ovviamente voglio rimanere incinta di te" iniziò a dire con un sorriso "e ovviamente voglio anche sposarti, magari faremo un figlio tra uno o due anni, che dici?" gli mise una mano sulla guancia; lui roteò di poco il capo per baciargliela. Elena si girò e si distese nuovamente in mezzo alle lenzuola, aprì le gambe e sorrise.

Gaudenzio le sfilò le mutandine beige di pizzo. Guardò la vulva solo per un secondo, poi distolse lo sguardo. Poggiò le mani sui suoi ginocchi per reggersi. Dopo poco il suo membro le entrò dentro lacerando le pareti della parte intima di Elena; lei con una mano strinse il più forte che poteva le lenzuola.

"Il dolore è normale ma piano paino ti ci abitui, appena sei di nuova pronta continuo"

Elena si riprese un attimo e gli fece un cenno.

"Oh, quanto sono stanca"

"Vuoi finire qui?"

"Neanche per sogno. Ormai che siamo qui continuiamo"

Gaudenzio si limitò a spingere avanti e indietro, stando attento a non farle troppo male finche entrambi non vennero in un gemito.

"Da oggi sono più contenta" esordì Elena distesa sul letto a fissare il letto "è stato bello sapere cos'è il sesso"

"Non avrei mai saputo mostrartelo cos'era. Credevo che per te sarebbe stato troppo scandaloso"

Lei si girò verso di lui "per me niente è scandaloso. Ci sarei rimasta male se non mi avresti veramente mostrato cos'era"

"Dici davvero?"

Annuì "ne sono davvero contenta. Ora però sarebbe meglio sistemare la stanza prima che Giorgio ritorni" disse senza prima baciare il suo amato.

Quando Giorgio rientrò a casa, verso mezzogiorno, portava una faccia scossa. Gaudenzio ed Elena non faticarono a capire che qualcosa di brutto era dietro l'angolo e, appena tutti e tre si sedettero a tavola, gli chiesero cosa succedesse.

"Stamani, stavo affiggendo dei cartelli. Insomma, il solito lavoro. Ero nelle zone di via dei Coronari quando sento un ambulanza sfrecciare a tutta velocità per la via a rischio di mettersi sotto qualcuno. Mi superò e si fermò pochi metri più lontani. Perciò ho preso le mie cose e sono andato a vedere che stesse succedendo" A questo punto si fermò e prese un fazzoletto lì vicino e se lo avvicinò agli occhi che iniziavano a lacrimare.

"Che cos'è successo?" chiese con la voce tremante Elena.

Giorgio tirò su con il naso per via degli strascichi del raffreddore e, soprattutto, per quello che lo aveva colpito nel cuore.

"Hanno trovato un uomo impiccato"

A quella frase Elena emise un singulto e mise i gomiti sul tavolo intrecciando le dita delle mani.

"C – chi era?" chiese Gaudenzio.

"Non lo so, penso si trattasse di un dottore"

Possibile che sia Orsini? Fu questo ciò che penso all'istante Gaudenzio; era andata in quel modo, Orsini era stato trovato impiccato? E perché? E soprattutto, era stato un suicidio o dietro c'era la mano di qualcuno? Queste le domande che gli saltarono in mente all'istante, prima di arrivare a conclusioni affrettate avrebbe dovuto stabilire se si trattasse effettivamente di Orsini.

"Di pomeriggio andrò in via dei Coronari" disse.

Elena si voltò di scatto "a fare che?"

"Vedo un po' com'è la situazione"

"Non serve" s'intromise Giorgio "il corpo l'hanno già portato via stamattina quando l'hanno trovato"

"Non voglio vedere il corpo, voglio solo capire chi fosse, poi magari mi faccio una passeggiata"

"Vuoi che ti accompagni?" chiese Elena.

Gaudenzio scosse la testa e sorrise. "Tranquilla, non serve" e lontano dagli occhi di Giorgio le accarezzò dolcemente la mano che lei poggiava sulla gonna.

Dopo un pisolino, Gaudenzio uscì da casa alle quattro del pomeriggio, quando ancora era giorno. Trovò la via più affollata di quello che si aspettava. La strada era stretta e al centro stazionavano un furgone e un automobile, tutt'attorno c'era una massa di persone riverse verso la casa in cui era stato scoperto l'uomo.

L'ingresso era stato transennato e per evitare che qualcuno avesse scavalcato la barriera erano stati messi a guardia due poliziotti armati di pistole, pronti a sparare a chi avesse sgarrato il divieto. C'erano donne, bambini e anziani, tutti curiosi di sapere chi fosse l'uomo e come fosse morto, e tutti erano lì a farsi domande tra di loro, a chiedere ai poliziotti più informazioni. Lì Gaudenzio ebbe la conferma di tutto. L'ingresso sbarrato era quello in cui era entrato lui solo pochissimi mesi prima, quella casa così lussuosa ora era diventata teatro di un impiccagione che coinvolgeva proprio quell'umile e misterioso dottore con cui Gaudenzio aveva avuto occasione di parlare e che aveva preso a cuore Patrizio. Proprio lì, in quei momenti, alle sue orecchie arrivò la notizia che al Regina Coeli, quella notte, un uomo era riuscito evadere dalla cella.

"E chi è?" chiese una donna.

"Uno" rispose un omone che si avvicinò meglio alla donna e le disse qualcosa che la sconcertò. Ella si portò entrambe le mani a coprire la bocca per lo stupore "Dio mio, e se fosse proprio così?"

Gaudenzio cercò di intrufolarsi in quella piccola conversazione chiedendo se sapessero chi fosse evaso. Ancora una volta, l'omone rispose uno, dopodiché si avvicinò meglio a lui e gli fece cenno di seguirlo. Si spostarono di pochi metri e si fermarono vicino una scalinata.

"Si dice che quello che hanno trovato morto abbia aiutato l'altro che è evaso" "Di chi si tratta quello che è evaso"

"Questo non lo so. So solo che quello impiccato era alla festa di fine anno al carcere e si pensa che l'abbia aiutato lui a far evadere l'altro. Chissà dove si trova ora!"

"Che cosa tremenda ... grazie per l'informazione"

L'omone sorrise, chinò il capo e se ne andò.

Ora tutto era più chiaro. Gaudenzio non sapeva della festa ma per lui non fu difficile fare due più due per capire che Orsini in qualche modo aveva aiutato Patrizio a evadere in qualche modo dando la possibilità all'amico di svignarsela chissà dove, del resto da quello che sapeva Patrizio era l'unico che era riuscito a entrare nel cuore di Orsini e aiutarlo a farlo uscire dal carcere. Astuto quell'uomo.

Restò ancora lì un altro poco, sconcertato dal tragico epilogo che Orsini aveva avuto e rincuorato del fatto che Patrizio si trovasse da qualche parte; magari, pensò, era andato a Bologna dai Durastanti.

Mentre pensava a queste cose, non si accorse di aver urtato un uomo. Lo colpì per sbaglio alla schiena quasi facendolo cadere. L'uomo si girò e un espressione di sdegno comparve sul suo viso; era Jacobi. Le parole gli morirono in bocca ancora prima di metabolizzare che la persona che aveva davanti era proprio quello strozzino che aveva cercato di ucciderlo.

"Che ci fai qui?" domandò adirato l'uomo alla vista di Gaudenzio.

"Non sono affari tuoi" rispose per poi allontanarsi. Tentativo vano, visto che Jacobi lo bloccò per il braccio.

"Eccome se sono affari miei" puntualizzò lo strozzino.

"Io non ho più bisogno di te e dei tuoi stramaledetti aiuti" esclamò Gaudenzio capendo che Jacobi, come lui, cercava Patrizio "adesso lasciami andare, bastardo"

"Sta zitto! Io sono l'unica tua risorsa per ritrovare il tuo amico, vivo o morto" dichiarò Bruno, tirando un pugno a Gaudenzio in faccia.

Incredibilmente per la via non c'era nessuno. La zona era vuota e non si sentiva nessun rumore, tranne che per qualche vociare indistinto proveniente da lontano. "Io a trovare gli amici me la cavo da solo, non vado a fare patti con degli stramaledetti aguzzini" rimbeccò, pronto a restituirgli il pugno.

Stava per compiere quel gesto, mancava poco che gli colpisse il naso quando Jacobi lo bloccò il polso e lo costrinse a girarsi, lo sbatté contro il muro e tirò fuori dal taschino una pistola.

"Sta attento a ciò che dici" insistette Bruno tenendogli puntata l'arma sulla nuca "ora vieni con me" lo strattonò e lo costrinse a camminare mentre gli teneva la canna della pistola puntata verso la schiena, cauto a non farsi vedere da nessuno. Attraversarono dei vicoli fino d arrivare a una piazzetta dov'era parcheggiata la lussuosa automobile di Bruno.

"Sali!" gli ordinò continuando a minacciarlo con la rivoltella.

Jacobi mise in moto e, con una mano sul volante e un'altra puntata su Gaudenzio, si destreggiò per le strette vie della capitale. Passò il tempo e stava iniziando a tramontare, mano a mano che si allontanavano dal centro di Roma le strade si facevano sempre più deserte fino a quando non raggiunsero una strada di campagna completamente immersa nel buio e illuminata dalla flebile luce dei fari. "Dove mi stai portando?" mormorò Gaudenzio notando che quella era una strada di campagna.

Bruno non rispose e Gaudenzio replicò la domanda.

"Che palle, dove mi stai portando?" la sua voce si fece autoritaria.

"Non fiatare!" rispose l'altro irritato come se fosse stato morso da una tarantola "non dire nulla e vedrai, cazzo!" concluse alterato e iniziando a scuotere la pistola.

A quel punto Gaudenzio gli prese il braccio che teneva in mano l'arma e provò a strappargliela di mano; senza successo. Allora, senza mollare la presa sul braccio lo costrinse a fare una manovra rischiosa, l'auto sbandò bruscamente per qualche secondo, finirono per proseguire la corsa nel campo. All'interno dell'abitacolo Jacobi aveva perso la pistola che era scivolata sul sedile del passeggero ma in quel momento non se ne accorse, tanto era preso da staccare Gaudenzio che gli impediva di guidare l'auto che intanto procedeva liberamente per la zona.

Fu in qui secondi tanto frenetici quanto ansiosi che Gaudenzio vide, nonostante il buio e i fari del mezzo che non illuminavano bene, che si stavano scontrando contro un albero. Anche Jacobi se ne accorse e, preso dal panico anch'esso, buttò di peso Gaudenzio contro il finestrino e con una mossa veloce e lesta sterzò, appena un attimo prima di schiantarsi. Lì riprese il controllo dell'auto e cercò di regolarizzare il fiatone che si portava dentro. Gaudenzio lo sorprese con una mossa che lui, impacciato e timido qual'era, non avrebbe mai fatto; aprì la portiera dell'auto e si buttò per terra mentre Bruno proseguiva la sua corsa.

Atterrò sulla superficie morbida dell'erba ma in quel momento avrebbe tanto voluto mangiarsi le mani.

Ho dimenticato di prendergli la pistola!

Iniziò a maledirsi per non avergli preso l'arma ma non c'era più tempo. Si alzò e iniziò a correre nella direzione opposta a quella dove stava andando la macchina, pregando di fare quanta più strada possibile pur di seminarlo. C'era il fiatone, c'era angoscia e ansia per quello che sarebbe potuto succedere, tutto era una vera e propria incognita per lui e per ciò che Jacobi avrebbe potuto fare. Percorse un paio di metri e poi si girò. L'auto stava sfrecciando sulla strada accanto; Jacobi stava ritornando a riprenderlo!

Le energie iniziarono a spegnersi, le speranze iniziarono ad affievolirsi sempre di più lasciandolo inerme. Tutta quella situazione divenne un qualcosa di sgomento e buio mentre si veniva a svilire la sua totalità dell'essere; condizionata da quanto le sue gambe avessero corso più veloce, a quanto Jacobi avrebbe impiegato a raggiungerlo. E lì, per Gaudenzio, fu l'attimo più traumatico in cui penso di morire, di lasciare Elena e Giorgio, di non sapere che fine avrebbe fatto Patrizio, Orsini che si era suicidato. Chissà anche a cosa avrebbe pensato Anna a sapere che stava per morire, lui gli aveva promesso che le avrebbe riportato Patrizio, pronto per sposarla. Le gambe cedettero e si accasciò a terra, impotente, si premette la mano contro il petto e in quel momento tutto si dissolse realmente, la sua disperata corsa l'aveva sfiancato, o forse era il pensiero di morire per mano di Jacobi che l'aveva destabilizzato a tal punto da farlo svenire sul prato senza più una speranza.

Si svegliò con un dolore lancinante alla testa. C'era buio, sentiva di essere su una superficie morbida; probabilmente era su un materasso. Gli faceva male la schiena, intorno a lui non c'era nessun rumore, nessun segno di dove si trovasse. Mugolò e intanto con le mani cercò di tastare l'ambiente circostante e cercare di capire cosa ci fosse. La sua mano tastò quelli che presumibilmente erano fogli. Mentre ancora cercava di riprendersi e metabolizzare il tutto, uno spiraglio di luce penetrò da una porta che stava per essere aperta: era Jacobi. In mano aveva un portacandela la cui luce era sufficiente a illuminare tutta la stanza tanto era piccola. Ancora con gli occhi impastati di sonno, Gaudenzio vide l'aspetto di come si presentava la stanza. Il bugigattolo era piccolo; c'era un vecchio materasso logoro e vecchio su cui stava dormendo, la sua mano aveva effettivamente tastato dei fogli di giornale tutti sparsi in modo casuale e che portavano date di almeno cinque anni prima. Il resto della stanza era formato da alcune foto appese raffiguranti Mussolini. Sotto la comparsa di foto figurava un cassettone polveroso.

"Bella stanza, vero?" lo prese in giro bonariamente.

"Bella come la tua faccia, adesso fammi uscire" rispose aspro Gaudenzio.

"Non ti alterare" fu pronto a rispondere lui puntandogli nuovamente la pistola "non l'ho usata prima perché eravamo all'aperto e qualcuno avrebbe sentito gli spari. Ma nulla mi vieta di freddarti qui sul momento"

"Che cosa vuoi da me?" domandò con una calma che non riusciva più a controllare.

"Da te non voglio nulla, è Patrizio che cerco"

Gaudenzio soffocò una risatina "è evaso"

"Non può essere andato così lontano, sarà ancora qui in Italia"

"Che cosa cerchi da lui?" A quella domanda Jacobi si ritrovò in difficoltà. Era il momento, si chiese, di vuotare il sacco su tutta la faccenda che andava avanti ormai da un anno? "Non sono affari in cui devi immischiarti"

"Stai cercando di uccidermi e vuoi Patrizio da me, io proprio non riesco a capire ... se mi farai qualcosa la polizia lo verrà a sapere e ..."

"La polizia non saprà nulla!" alzò la voce in tutta risposta "I pochi fascisti rimasti come me fanno parte di forze dell'ordine di un certo livello, basta mettere loro sotto al naso un po' di soldi e faranno tutto quello che richiedo; come un vero usuraio fa" Gaudenzio non capì, volse la testa verso le foto su Mussolini.

"Quelle foto non ti servono più" gli disse con tono sfinito.

"Ci sono ancora fascisti tra di noi, non vogliono farsi vedere perché la ferita è fresca" puntualizzò Jacobi " bastardo, io me ne vado. Non pensare che venga a portarti da mangiare, deperirai in questa stamberga, ah! Eccome se deperirai, sarai la mia vendetta per Patrizio"

Gaudenzio sentì confusamente queste parole, la stanchezza aveva preso il sopravvento e, poco prima di sentire lo scatto della porta chiudersi, si addormentò nuovamente ...

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