19
Patrizio si fece lasciare alle porte di Bologna da una corriera stracarica diretta a Roma. L'autista fece un eccezione per la sua destinazione, una deviazione non avrebbe scombussolato ulteriormente il mondo. Erano giorni pericolosi quelli, gli Alleati, aiutati dai partigiani, stavano lentamente cacciando i tedeschi; in alcuni comuni nei giorni precedenti erano avvenute alcune manifestazioni di piazza. Protagonisti erano le donne che facevano sfoggio della loro forza.
Era il 6 aprile, il giorno prima gli Alleati avevano messo in pratica un attacco alla Linea Gotica nel settore tirrenico.
Si fece indicare la strada per Piazza Maggiore, il cuore di Bologna, arrivandoci nel giro di pochi minuti. Era la strada più comoda per arrivare a villa Durastanti, l'abitazione del suo amico Eugenio. Era di fretta, ma non poté fare a meno di fermarsi ad ammirare la piazza della città felsinea. Palazzo dei Notai, la Torre dell'orologio, Palazzo del Podestà, Palazzo Bianchi. Nella vista dell'ultimo edificio gli venne una fitta al cuore, Palazzo D'Accursio, dove nel 1920 una nutrita squadra fascista attaccò la folla riunitasi in occasione dell'insediamento della nuova giunta comunale. La gente camminava a testa bassa. I tedeschi erano lì, da due anni ancora facevano paura. Davanti il cancello della villa ci arrivò stanco. Suonò e il maggiordomo dovette aiutarlo. Il percorso sembrava breve, e invece sembrava non finire mai. Il sudore colava dalla fronte e respirava affannosamente ma era felice. Prima della guerra era già stato a Bologna e gli mancava. La città e il suo amico. "Patrizio, che ci fai qui?" chiese Eugenio, sorpreso di quella visita totalmente inaspettata.
" Non sei felice che io sia qui?" replicò lui ridendo sotto i baffi.
" Certo, certo..." si avvicinò alla cameriera e gli disse di preparare qualcosa per il suo ospite. Il maggiordomo che l'aveva accolto lo fece sedere su una poltrona. In fondo, amava beneficiare di quel lusso nonostante negli anni i Durastanti iniziarono a perdere un pò. Nella stanza entrò Angela. Patrizio si accorse che entrambi erano vestiti di nero. Alla fine del 1944 avevano perso la madre, erano ancora in periodo di lutto. Patrizio era sempre stato affascinato da Angela tanto da essere invidioso di Eugenio, fortunato ad avere una sorella come lei. Ai suoi occhi era una figura fantastica , immortale; aveva viaggiato, era abituata agli agi: era unica per lui. Alla sua vista i suoi occhi si illuminarono. Anche lei fu visibilmente sorpresa di vederlo, lo chiamò con voce assottigliata e tremante. Quando arrivò un bicchiere d'acqua, Patrizio lo assaporò lentamente. Angela lasciò soli i due, finalmente liberi di parlare. Eugenio si sedette sulla poltrona di fronte. "L'ultima volta che ti vidi" iniziò a dire Eugenio chiudendo gli occhi e ammirando il buio che si creava " sarà stato prima della guerra, forse due anni prima"
" Non essere sciocco" rise l'amico " ti avevo fatto visita nel natale di quattro anni fa. Da allora ci siamo scambiati molte lettere"
" Davvero? Sai quante? Esattamente due!" disse facendo il numero con le dita.
" Non farla così tragica, se avessi avuto un telefono ti avrei chiamato" "Peccato che noi non lo usiamo da un bel pò. Con l'aumento dei prezzi l'abbiamo venduto" sospirò " ma sicuramente non sei qui per sentire i miei affari."
" Infatti" e iniziò a raccontargli tutto. Dall'incontro con Spilla; la sua morte e la breve parentesi con i due coniugi Flora e Francesco. Infine, gli rivelò che magari l'avrebbe accolto finché non avrebbe trovato un alloggio. Finito il racconto, Eugenio soffocò una risatina
"Se fossimo semplici conoscenti penserei che tu voglia scoccare un buon letto e qualcosa di decente da mangiare" Patrizio divenne serio, si sistemò meglio sulla poltrona e scrutò Eugenio rabbioso e aspro.
"Non ridere. Vivi nel lusso ma lì fuori c'è gente disperata. E io l'ho vista" Eugenio abbassò il capo e ritornò serio.
"Hai ragione, scusami. Neppure noi c'è la passiamo bene".
I giorni trascorsero e una mattina, il 15 aprile, Angela sgridò la cameriera, una donna con i capelli bianchi e di bassa statura. Lei si scusò ma Angela non voleva starla a sentire. Patrizio assistette alla scena e una volta che la cameriera ritornò al suo lavoro, si avvicinò a Angela. " Che succede?" "Quell'imbranata" disse indicando con un cenno del capo la porta in cui era entrata la cameriera " non ne combina una buona"
" Ha dimenticato qualcosa?"
" Sì, ieri si è dimenticata il cervello dal fornaio. Ed è ritornata senza. Si è dimenticata di farsi dare il resto" "Posso ritirarlo io se vuoi" "Tranquillo. Forse neppure io devo prendermela, per poche lire poi..."
"Ci metto poco. Così ne approfitto pure per una passeggiata"
" Lo faresti davvero?" chiese lei rivolgendogli uno sguardo dolce. "Certamente" Angela gli disse il luogo esatto e di presentarsi come maggiordomo dei Durastanti.
La panetteria, un piccolo buco a pochi passi dai portici, era vuota. A riempirla, solo il profumo di pane sfornato. Gli scaffali erano vuoti, erano pieni solo quelli dietro il bancone, il resto delle mura era tappezzato di foto incorniciate raffigurante l'inaugurazione che portava la data di 8 settembre 1927. Si fece dare il resto e lo infilò in tasca, pronto a darlo ad Angela. Ne approfittò per una passeggiata sotto i portici, il salotto della città, l'essenza dell'accoglienza. Un luogo di riparo dalla guerra per lui, nato come un curioso, lento e appassionato. Passò davanti una libreria. Sembrava invitarlo ad entrare. L'insegna che campeggiava era nera e si poteva benissimo vedere che i libri esposti erano pochi. Si avvicinò alla vetrina per guardarli. Non aveva soldi e non si sarebbe mai sognato di usare quelli del resto. Non se ne accorse, ma qualcuno lo toccò alle spalle. Si girò e dietro di lui c'era un uomo alto, giovane e pressappoco della sua età. Portava un vestito simile a quello degli aviatori. Patrizio poté notare che dalla tasca fuoriusciva un rigonfiamento.
" Io lo so" disse. Patrizio lo guardò con sguardo interrogativo.
" Cosa sa?"
" Di Spilla"
" Non conosco nessuno che si chiami così"
" Bugiardo. E se ti dicessi Gemma?" "Non mi dice nulla"
" Secondo me ti dice tanto" disse l'uomo caricando le parole di crudeltà.
" Chi è lei?"
" Qualcuno che ti porterà sulla forca" Patrizio si allontanò per poi fermarsi pochi metri dopo. Sentiva che l'uomo lo bloccava dalle spalle
" Non costringermi a usarla" disse con rabbia puntando quello strano rigonfiamento sulla schiena di Patrizio. Nonostante fosse di spalle, lo capì: quella forza che lo stava pungendo era una pistola.
" Non la conosco e mi lasci stare, oppure la denuncio per aggressione" " Che stronzate!"
" Le ripeto che non ho la ben che minima idea di chi sia"
" Lo sai benissimo" urlò.
" Non urlare così, ci sentirebbero!" disse con tono pacato ma alterato. "Mò ti sei ricordato, allora".
Patrizio stette zitto. L'uomo lentamente staccò la pistola dalla schiena e si allontanò lasciando un ultima minaccia
"Ci ritroveremo, te l'assicuro".
Patrizio aveva ancora impresso nella mente lo sguardo con cui l'uomo lo guardava, era spaventato come davanti all'apparizione dell'orrore. Una volta uscito dal portico, non potè credere ai suoi occhi. Il luogo in cui si trovava era denominato "Portico della Morte".
Arrivato a casa era ancora incredulo. Diede il resto ad Angela che notò che probabilmente c'era qualcosa che non andava. Gli chiese cosa fosse successo, ma lui divagò. Non fece parola con nessuno, non osò scrivere nulla sul suo diario, a pranzo ridusse la conversazione a normali banalità. Soltanto poco prima di cena, dopo un pomeriggio passato a dormire beatamente, decise di rivelare in parte a Eugenio quello che era successo. Era nel suo ufficio a leggere un libro.
" Oggi è successa una cosa strana" esordì Patrizio.
" Dimmi tutto" disse Eugenio posando il libro sulla scrivania.
Raccontò dell'incontro con quell'uomo e di come lo avesse minacciato. Eugenio era sorpreso, insistette di farsi dire da Patrizio come fosse fatto l'aggressore. Prese un foglio e una penna, pronto ad ascoltare il racconto dell'amico. Era teso e deglutì, dalla descrizione omesse alcuni particolari come l'abbigliamento, il viso e il colore dei capelli. Rossi invece di quelli scuri. "Mai viste persone con i capelli rossi in Italia" disse sospettoso Eugenio. Patrizio allargò leggermente le braccia
" Sarà qualcuno raro"
" Comunque sia, domani ti accompagno per la denuncia".
Un groppo alla gola lo percorse come se fosse su un cavallo
" Non credo sia necessario"
" Ti hanno minacciato. Da che mondo è mondo non si denuncia un aggressione?" si alterò.
L'indomani, 16 aprile 1945, si recarono alla più vicina stazione di polizia. Eugenio l'accompagnò con l'auto che fermò davanti l'ingresso. Erano ancora dentro all'abitacolo, quando Eugenio chiese se avesse preso il foglietto con le informazioni. Annuì. Eugenio chiese se poteva venire pure lui.
" Assolutamente no" disse con voce ferma ma tremante
" è un mio affare, e me la sbrigo io" Eugenio fece spallucce. L'amico scese ed entrò nell'androne. Non avrebbe mai consegnato quella denuncia. Aveva paura, stava mentendo, la sua vita stava andando avanti e sapeva che se avrebbe denunciato, presto sarebbe arrivata la sua fine. Così superò l'ufficio del Capitano e chiese dove trovare un cestino della spazzatura. Alla fine di un corridoio bianco lo trovò, appallottolò il foglio e lo gettò lì; senza rimpianto, senza nessuno che l'avesse visto. Pensò che se fosse tornato immediatamente da Eugenio si sarebbe insospettito, perciò chiacchierò una ventina di minuti con un carabiniere.
" Tutto fatto?" chiese Eugenio una volta che la portiera si chiuse. Patrizio rispose con un sorriso falso.
Nel frattempo, il giorno dopo le truppe polacche e i patrioti italiani liberarono varie città.
Nel pomeriggio del 20 aprile le truppe americane si dirigevano verso Bologna. I tedeschi iniziarono ad abbandonare le linee difensive alla periferia della città e iniziare una ritirata verso il Po. Passavano per i viali, notte e giorno, file interminabili di tedeschi, carri, cavalli e carretti. Il giorno che tutti aspettavano arrivò. Alle 6 del mattino del 21 aprile entrarono in città le prime unità combattenti alleate: si trattavano delle avanguardie del 2° Corpo Polacco dell'VIII Armata. Alle 8 iniziarono ad entrare i reparti della 91° e 34° divisione USA e diversi gruppi di combattimenti italiani. Dalla loro villa, Eugenio, Angela, Patrizio e la servitù, sentivano le prime urla di gioia della gente che provenivano dal centro. Si prepararono e decisero di uscire, consapevoli dei pericoli.
Erano ansiosi, camminavano rasenti ai muri. I gruppi partigiani avevano preso possesso dei principali edifici pubblici e controllavano le strade del centro con i fucili imbracciati; i tre evitarono di guardarli dritti negli occhi. Di tanto in tanto passava qualche macchina carica di gente, probabilmente partigiani, che urlavano festanti per le strade.
Videro che sulla cima della torre degli Asinelli svettava una grande bandiera bianca e rossa, i Polacchi erano lì. Piazza Maggiore era intasata di gente, era un grande parcheggio di mezzi militari alleati. I bambini volevano salire sui carri armati, le giovane donne arrossivano per come venivano guardate e se venivano invitate a salire su un mezzo, si rifiutavano arrossendo; sapendo che in fondo sarebbero state felici. Le strade erano animate di migliaia di gente, si rideva, si urlava di felicità, si piangeva di gioia. I tre si persero, Angela si fermò con delle amiche, Eugenio conversava con dei soldati e Patrizio ammirava estasiato tutta quella festa. Felice, fino a quando tra la folla non vide l'uomo che l'aveva minacciato. Indossava un cappotto, stava bevendo qualcosa da una tazzina, aveva uno sguardo truce e stava appoggiato davanti un bar pieno di gente e soldati. Squadrava da capo a piedi chiunque gli passava davanti, specialmente i soldati e i partigiani. Poi rientrò nel bar e poco dopo ne uscì per sparire nel bagno di folla.
A sera ancora si sentiva la festa, non solo nel centro, ma anche in periferia. Dopo la sua visione, Patrizio decise: sarebbe ritornato a Torino.
" Come mai?" gli chiesero i due fratelli che oramai si erano abituati alla sua presenza.
Mentì dicendo che avrebbe tanto voluto ritrovare un lavoro e un'abitazione. Era quasi un mese che si trovava a Bologna e gli mancava Torino. A sera, gli animi della liberazione non si erano ancora placati, Eugenio accompagnò l'amico alla fermata della corriera. "Promettimi che ritornerai" gli disse avvolgendolo in un abbraccio.
"Vorrei che anche tu venissi a Torino" "Magari presto ci sarà occasione"
"Lo spero" disse. Un'attimo prima di salire prese dalla tasca un taccuino rosso, il suo diario.
" Tienilo, leggilo così capirai cosa ho passato" disse prima di sedersi.
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