4. Ragazzi e vodka
La prima cosa a cui pensai in quel momento fu: non può essere.
Non poteva essere, non potevo assolutamente farmi rovinare la vita da quel ragazzo scorbutico e scostumato. O magari potevo, magari non lo conoscevo abbastanza, magari sembrava uno stronzo ma in fondo poteva trattarsi di una buona persona. Cosa potevo mai saperne io? Così decisi di offrirgli la possibilità di dimostrarmi che sbagliassi.
«Perdonalo» mi disse Lynette, come se mi avesse letto nel pensiero. «Con gli sconosciuti è un po' drastico, ma è un bravo ragazzo.»
Annuii, ma non dissi nulla. Volevo crearmi la mia idea senza farmi condizionare da ciò che pensasse lei. A quanto pareva erano amici da tanto tempo e quindi era naturale che lo difendesse. È questo che fanno gli amici.
La confraternita non era molto lontana dai dormitori e, a quanto avevo capito, era lì che abitavano Alexander ed Elijah durante il periodo accademico. Da fuori sembrava un edificio come un altro, ma dentro... beh, dentro cambiava ogni cosa. Era un po' come se stessi vivendo in uno di quei film pazzeschi dove gli studenti vanno al college solo per le feste -altrettanto pazzesche- e dove niente ha senso se non amoreggiare con un ragazzo. Era decisamente così. Dentro non si capiva molto, la musica era troppo alta, i ragazzi non facevano che appiccicarsi alle ragazze o comunque provarci con loro, le luci erano basse, troppo per i miei gusti. Eppure tutto quello piaceva. Lynette sembrava entusiasta della sua prima festa da universitaria, mentre Elijah e Alexander si erano persi già da un po' nella folla, forse anche loro con qualche ragazza degenere.
«Ti va di ballare?» mi chiese Lynette.
Alla fine era una festa, cosa potevo mai fare? Di certo non potevo abbandonare Lyn così, come se nulla fosse. E poi, per una volta che avevo fatto un passo avanti, potevo mai farne uno indietro?
«Certo!»
Mi feci prendere per mano dalla mia amica e mi lasciai trascinare in pista. Mi divertii davvero in mezzo a tutta quella gente. Per qualche istante pensai di poter essere una persona nuova, pensai che lì avrei potuto essere semplicemente me, anche se con i capelli azzurri o con degli abiti che magari ai miei non piacevano. Los Angeles non era Milano e il college non era il liceo. Non avrei più dovuto preoccuparmi di prese in giro o del giudizio della gente perché in America sapevo che sarebbe stato tutto diverso e migliore. E allora mi lasciai andare. Diedi tutta me stessa in mezzo a quella pista e solo quando i piedi non ressero più decisi di allontanarmi. Lasciai Lynette a ballare con un ragazzo e mi spostai nell'angolo che era stato adibito a bar.
«Ciao tesoro, cosa desideri?»
«Una vodka.»
Ignorai con prontezza le avances del barista e optai per qualcosa di forte. La mia prima sera a Los Angeles avrebbe dovuto essere indimenticabile.
Mi voltai verso la pista dove stavo ballando poco prima e notai con piacere che Lynette era scomparsa, magari era finita in un posto migliore con quel bel maschione con cui aveva cominciato a ballare. Almeno una di noi poteva dire di essere arrivata a fine serata soddisfatta.
«Grazie» esclamai quando il barista mi portò l'ordinazione che gli avevo fatto poco prima. Feci per avvicinare il bicchiere alle labbra, ma qualcuno me lo strappò di mano.
«Ehi!» protestai girandomi verso chi mi aveva proibito il mio drink.
Merda.
«Nessuno ti ha detto che alle matricole non è permesso bere alcolici?»
Io volevo dargliela una possibilità, davvero, ma più faceva lo stronzo più avevo voglia di tirargli un calcio nelle palle per farlo ululare di dolore.
Allungai la mano verso il bicchiere che aveva rubato per riprendermelo, ma lui si spostò e io afferrai soltanto l'aria. Portò il bicchiere alle labbra e fece un lungo sorso, scolandosi quasi mezzo drink.
«Vodka, eh?»
Diamine, se mi faceva incazzare.
«No, piscio di cane.»
Allungai di nuovo la mano e questa volta mi ripresi ciò che era mio per diritto approfittando del suo sconcerto, poi inclinò la testa da un lato e si fece scappare un risolino.
Io alzai gli occhi al cielo e finii quel poco di vodka che era rimasta, mentre Elijah chiese al barman il mio stesso drink.
«Non sei americana, vero?» domandò a un certo punto, spezzando la quiete che si era creata tra di noi.
«Cosa te lo fa pensare?»
«L'accento.»
Cavoli, è così brutto?
«Parli molto bene l'inglese, ma la cadenza non è americana. Si sente.»
«Sono italiana.»
Se i miei genitori avessero saputo che ero ad una festa a bere vodka con un quasi sconosciuto anziché in camera a studiare, mi avrebbero caricata senza ombra di dubbio sul primo volo per l'Italia.
«Figo.»
Lui smise di parlare, io pure, allora mi concentrai sul mio bicchiere vuoto, chiedendomi se fosse il caso di chiederne un altro. Cominciavo a sentirmi stordita, ma la sensazione quasi mi piaceva. Quando mi voltai, Elijah era sparito. Lo lasciai andare, in fondo non mi andava di discutere con lui. Non lo cercai nemmeno. Tentai di alzarmi da quello sgabello che ormai era diventato scomodo, ma un forte giramento di testa mi costrinse a riportare il mio fondoschiena al suo posto. Era come se la stanza intorno a me stesse girando vorticosamente, o forse ero io che mi muovevo in tondo, non lo ricordo. Provai ad alzarmi di nuovo, ma questa volta i giramenti di testa ebbero la meglio e caddi distesa sul pavimento freddo della confraternita. Avevo sonno, tanto sonno, e le mie gambe non si decidevano a muoversi, così chiusi gli occhi per qualche secondo.
Mi risvegliai in una stanza che non era la mia. Era buio, doveva essere ancora notte, e faceva freddo. Spostai le coperte dal mio corpo e mi resi conto che avevo ancora tutti i vestiti addosso, per fortuna. Sentii la vodka bevuta durante la serata risalire prepotentemente su per l'esofago, così corsi verso una delle due porte presenti nella stanza sperando di trovare il bagno e mi fiondai sul gabinetto. Vomitai anche l'anima. D'improvviso qualcuno dietro di me mi afferrò i capelli e cominciò ad accarezzarmi sulla schiena, come per consolarmi. Solo quando ebbi terminato di prosciugarmi mi posi il problema di chi potesse essere.
«Va meglio?»
È un ragazzo, porca miseria!
Mi voltai, sperando di incontrare uno sguardo conosciuto, ma caddi in due occhi più chiari del ghiaccio di un ragazzo che non avevo mai visto prima di quel momento.
Annuii, incapace di parlare o di compiere qualsiasi altro gesto.
«Mi fa piacere. Ti va di dormire un altro po'? Ti farà bene.»
Scossi la testa, ma lui non mi ascoltò. Mi aiutò ad alzarmi e mi riportò a letto, rimboccandomi le coperte esattamente come già fatto prima.
«Cosa è successo?»
«Non hai retto l'alcool, sei caduta e ti sei addormentata sul pavimento.»
Melissa e le figure di merda parte uno.
«E come ci sono finita qui?»
«Ero seduto al bar accanto a te quando sei caduta. Ho pensato che lasciarti lì sarebbe stato crudele, così ti ho portata qui.»
Non sapevo se stesse dicendo la verità o meno ma decisi di chiedergli.
«Devo andare, grazie per l'ospitalità davvero, non so proprio come ringraziarti ma...»
«Hai davvero intenzione di andartene con il buio?»
Lo guardai nella penombra della stanza, mentre si passava una mano tra i capelli ramati e corti, tenuti su da troppo gel in uno stupido ciuffo. La mia stanza era dalla parte opposta del campus, ma non potevo restare in quella di uno sconosciuto.
«Di sicuro non ho intenzione di restare qui.»
Cercai di ostentare sicurezza, ma in realtà dentro di me stavo vacillando. Non sapevo chi fosse quel ragazzo, il mio sesto senso mi intimava di scappare prima che potesse succedere qualcosa, ma la testa era troppo pesante e immaginai che chiudere gli occhi per qualche minuto non avrebbe potuto farmi che bene. Ci ero quasi riuscita quando sentii la porta sbattere e qualcuno urlare un «È qui?»
Sapevo benissimo di chi era quella voce e quando realizzai spalancai gli occhi per la sorpresa e mi tirai a sedere.
«Che cazzo le hai fatto?»
«Ehi amico calmati, sta bene. Sta riposando.»
«Sta riposando un cazzo! Ti avevo detto di tenerla d'occhio!»
Tenerla d'occhio? Ma a chi?
«Okay, Elijah, calmati.» Questa volta era stato Alexander a parlare, lo avevo riconosciuto subito. La sua voce era sempre pacata e tranquilla, anche nelle situazioni di emergenza. «Non è successo niente di male. Melissa si è sentita male e Blue l'ha soccorsa. Tutto qui. Non mi sembra il caso di litigare.»
Stavano parlando di me, ora ne ero certa, ma cosa importava ad Elijah come stessi io proprio non lo capivo. Non mi conosceva, anzi, sembrava addirittura che mi odiasse. Mi trattava male, mi gettava per aria, non mi permetteva di bere, però poi mi cercava per il campus e se la prendeva con l'unico ragazzo che mi aveva salvata, se così si può dire. Perché? Non lo capivo.
Quando Elijah si rese conto che li stavo guardando, avanzò nella mia direzione.
«Stai bene?» mi chiese, ma non gli risposi. Incrociai le braccia al petto e lo guardai di sbieco. «Eddai Melissa, non fare la bambina!» mi sgridò, per poi prendermi in braccio e tirarmi su dal letto.
«Elijah! Mettimi giù!» urlai, tirandogli qualche pugno -ovviamente inutile- sul petto.
«Andiamo nella tua stanza.»
La sua voce sembrava categorica, ma la mia lo fu di più quando dissi: «Voglio restare qui.»
Lui mi squadrò cercando di nascondere la sorpresa, ma fu impossibile. La trovai nei suoi occhi, quella sorpresa che lui provava ad occultare con così tanto sforzo. Cosa pensava? Che non mi sarei opposta?
Mi riadagiò sul letto, stringendo le labbra in una linea dura. Chiusi gli occhi, non ce la facevo più a tenerli aperti. Non vidi nulla, ma sentii Elijah intimare a Blue che se mi fosse successo qualcosa sarebbe morto.
Ancora non sapevo che le parole di Elijah, in quella scuola, erano legge e chiunque non le rispettasse ne pagava sempre -e dico sempre- le conseguenze.
Angolo autrice
Buongiorno gente!
Finalmente sono tornata! Ecco qua il nuovo capitolo, cosa ne dite? Troviamo una Melissa un po' brilla che si caccia nei guai xD
Voi vi siete mai cacciati nei guai da ubriachi? Fatemelo sapere nei commenti!
Presto un nuovo capitolo, si spera xD
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