3. Sei perfetta così

Proprio nel momento in cui Alexander mi lasciò sola, sentii una goccia fare capolino sulla mia fronte. Inizialmente credetti stessi cominciando a sudare, poi le gocce aumentarono e mi resi conto che non ero io, ma che provenivano dall'alto. Era pioggia.

Imprecai, cominciando a correre per il campus con lo sguardo basso e la borsa sulla testa, come se potesse davvero proteggermi da tutta quell'acqua. L'aria si era fatta improvvisamente fredda e se non avessi raggiunto il dormitorio al più presto, ero certa che sarei potuta gelare.

Avevo attraversato mezzo cortile quando sentii un tonfo e poi mi ritrovai con il sedere sul terreno sotto di me.

«Cazzo, guarda dove metti i piedi!» imprecò quello che mi era appena venuto addosso.

«Guarda anche tu la prossima volta, dannazione!»

Alzai lo sguardo e incrociai il suo, più scuro del petrolio. Avevo trovato due pozze nere senza fondo a fissarmi e quel solo sguardo mi aveva provocato un tremito che attraversò tutta la schiena, risalendo su per la spina dorsale.

Sto gelando qui fuori.

Mi rialzai svogliatamente da terra, con la pioggia che aveva cominciato a picchiettare ancora più forte e senza il suo aiuto che, ovviamente, non mi aveva nemmeno offerto. Cercai di ripulire al meglio i pantaloncini, ottendendo l'effetto contrario. La macchia di fango si era allargata e non avevo la più pallida idea di come rimuoverla. Era Sarah che si occupava di queste cose, avrei dovuto chiamarla al più presto.

«Cazzo» urlai quando mi resi conto che la mappa del campus era finita nel fango, diventando illeggibile. «Grazie tante, coglione.» Riversai la mia rabbia sul ragazzo, poi afferrai la borsa e la mappa nella speranza di poterla recuperare in qualche modo e mi diressi verso il mio dormitorio, senza nemmeno dargli il tempo di replicare.

Entrai nell'edificio piuttosto silenzioso e mi guardai intorno. Ebbi l'impressione opposta a quella che avevo avuto al mio ingresso nella scuola. Qui non fiatava una mosca, mentre lì c'era un brusio assordante che rimbombava nelle orecchie. Seguii il corridoio, così come mi era stato mostrato dalla segretaria, e salii di un piano. Quando finalmente trovai la mia stanza, infilai la chiave nella toppa.

Avevo freddo, molto freddo, e avevo assolutamente bisogno di riscaldarmi prima che quei brividi si fossero trasformati in una polmonite.

Entrai.

La stanza era buia, le tende erano tirate davanti alla finestra per non far entrare la luce, così mi avvicinai e le aprii. Pensai che dovevo assolutamente farmi una doccia. Non appena la luce fece capolino nella stanza, sentii un «Ehi!» piuttosto contrariato, così mi voltai e mi guardai intorno. Su un lato della stanza c'era una scrivania con due sedie e sopra di questa delle mensole per lasciarvi libri o altri oggetti; sull'altro lato, invece, c'erano due letti singoli molto semplici, con accanto due comodini. Su uno di questi si era appena seduta una ragazza che mi guardava con aria truce.

«Tu saresti la nuova coinquilina?» mi chiese con la voce impastata dal sonno. Io la guardai, incerta se annuirle e sorriderle o mandarla a quel paese. Così non dissi niente e lasciai che fosse lei a prendere la parola. «Cosa hai combinato, hai fatto a botte con un maiale per caso?»

Abbassai lo sguardo sui miei vestiti: aveva ragione, ero tutta sporca di fango e facevo davvero schifo.

«Io sono Lynette» continuò, poi si alzò e prese a camminare verso di me. Mi raggiunse e allungò una mano.

«Melissa» annunciai, le strinsi la mano e lei sorrise.

«Da dove vieni?» mi chiese poi, tornando ad accomodarsi sul suo letto.

«Da Milano... a proposito, è per caso arrivata una valigia?»

«Sì, è lì» indicò con un dito un punto accanto alla scrivania. Non so come avessi fatto a non notarla prima. «Io invece vengo da Sydney.»

«Australia?» esordii con sguardo sognante. Era sempre stata uno dei posti che avrei voluto assolutamente visitare durante la mia vita.

«Già.»

Mi avvicinai alla valigia e la aprii. Presi i primi vestiti che trovai e annunciai che sarei andata a farmi una doccia. Avrei pensato più tardi a mettere a posto le mie cose.

«Comunque, se ti va, stasera diamo una festa in una delle confraternite. Ci saranno anche dei miei amici, magari può farti piacere...»

Sentivo già mia madre esprimere il suo no categorico e mio padre chiedersi dove fosse finita la sua figlia prediletta, ma i miei adesso non erano con me ed io potevo gestirmi la mia vita da sola.

«Verrò.»

Poi entrai nel bagno e sentii Lynette uscire e sbattere la porta.

Non so se hai presente quella sensazione di vuoto che ti attanaglia lo stomaco, un po' come la sensazione di malessere che provi dopo una giornata di pioggia. Mi sono sentita così per tanto tempo, sono stata all'apice della felicità per poi cadere nel più profondo oblio. E avrei voluto trovare una soluzione, un modo per risalire su e smetterla di annegare nell'oceano, smetterla di affondare e di raggiungere la profondità. Ma esiste davvero un modo? Voglio dire... è davvero possibile trovare una soluzione a tutto questo dolore?

Premetti stop e smisi di registrare. Era una cosa che mi faceva bene: accendere il cellulare, attivare il registratore vocale ed esprimere a voce alta i miei pensieri. Poi li passavo sul pc e qualche tempo dopo li riascoltavo, così avevo sempre a portata di mano la mia vita, potevo controllarla e ricordarla, potevo arrivare dove la semplice memoria non sarebbe mai giunta e mi stava bene. Mi aiutava moltissimo. Mi ricordava chi ero.

Lynette rientrò in stanza pochi minuti dopo.

«Oddio, ma sei ancora in pigiama! Devi vestirti!»

«Calma, Lynette. Vi vestirete insieme.»

Era stato un ragazzo a parlare e per qualche strano motivo mi sembrava una voce conosciuta. Quando una chioma bionda entrò nella stanza, mi sembrò quasi impossibile crederci. Il mondo è grande, ma le persone che sono destinate ad incrociare il nostro filo della vita in qualche modo torneranno sempre, l'avevo sempre vista così.

«Alexander?» esclamai, quando fui sicura che fosse lui.

«In carne ed ossa! A quanto vedo sei la nuova coinquilina di Lyn.»

«Sì, sono io.»

Non riuscivo ad essere scorbutica con Alexander, era stato così gentile con me quella mattina che quasi mi dispiaceva essere rude con lui. Non sarebbe stato giusto.

«Vi lascio vestire, dai. Passo a prendervi tra un'ora.»

«Grazie, Alexander.»

Aspettai che uscisse, poi chiusi la porta dietro di me e raggiunsi Lynette che stava cercando disperatamente qualcosa di carino per la serata. Durante il pomeriggio avevo messo le mie cose a posto, posizionando i vestiti nell'armadio per colore -purtroppo non riuscivo a concepire nessun altro modo di sistemare un armadio- e spargendo qualche foto qua e là nella mia parte di stanza.

«Conosci un bel posto dove poter fare shopping da queste parti?» le chiesi, aprendo l'armadio per scegliere un vestito decente da poter indossare.

«Sì, c'è un centro commerciale non molto lontano da qui. Possiamo chiedere ad Alexander ed Elijah di accompagnarci. Sai, guidano. Faremmo molto prima.»

Non le avevo chiesto di accompagnarmi o di costringere i suoi amici a farlo, ma il pensiero che lei avesse deciso di venire con me mi aveva fatto contenta.

«Perché no, sarebbe fantastico.»

«Ti va di andarci domani?»

«Certo!» esclamai, poi cominciai a prepararmi.

Un'ora dopo io e Lynette eravamo pronte davanti alla porta, in attesa di aspettare che ci venissero a prendere come stabilito. Mi presi del tempo per osservarla meglio, quella giornata era stata così impegnativa da non riuscire nemmeno a trovare il tempo per chiamare Sarah o anche solo per guardarmi in faccia. I capelli lunghi e corvini le ricadevano morbidi sulle spalle mentre se li pettinava con la spazzola davanti allo specchio. Di lei sapevo poco, se non che vivesse a Sydney, ma avevo un anno intero davanti per scoprire qualcosa di più su di lei. Per certi versi mi ricordava molto Sarah, uno spirito libero un po' pazzerello e amante della vita, ma solo il tempo avrebbe confermato o respinto la mia teoria.

Stavo facendo pipì quando bussarono alla porta, così, trafelata, cercai di sbrigarmi ad uscire da quel bagno. Per la prima volta da tanto tempo mi fermai a guardarmi allo specchio, volevo sembrare perfetta almeno per una sera, senza difetti, senza odio, senza dolore. Volevo fingere di essere quello che non ero: una persona felice che si godeva la vita e che non stava di certo precipitando in un pozzo senza riuscire ad arrivare sul fondo.

«Siete pronte?» sentii chiedere da Alexander.

Sei perfetta così, mi dissi, poi uscii dal bagno esordendo con un «Assolutamente sì».

Sorrisi a Lynette che mi squadrava comunicandomi con gli occhi la sua gratitudine per avercela fatta in tempo, poi seguii entrambi per i corridoi dei dormitori. Fuori era buio, all'esterno ci stava aspettando un altro ragazzo. Intravidi la sua sagoma da lontano, mentre appoggiato al muro e con le braccia conserte osservava un punto impreciso davanti a sé.

«Finalmente ce l'avete fatta» esclamò lo sconosciuto quando ci vide arrivare. Un lampione aveva fatto un po' di luce intorno a noi, alzai lo sguardo e quando realizzai mi sentii morire. Lui non era sorpreso invece, o se lo era non lo mostrò. Fece solo un sorriso sghembo rivolto nella mia direzione, ma non disse altro. Aspettò che Alexander lo affiancasse e poi proseguì nel buio della notte con me e Lynette alle calcagna.

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