1. Cambiamenti del passato

Ci sono cose che non si dimenticano, come la mia prima volta su una bicicletta, ricordi? Dopo nemmeno cinque minuti caddi a terra come una pera cotta, sbucciandomi il ginocchio, mentre mio padre mi urlava di riprovare senza neanche preoccuparsi di come stessi. La casetta sull'albero, quello è un altro ricordo indelebile nella mia mente, per tutte le volte che ci siamo saliti di nascosto durante la notte. Il primo giorno di scuola, quello sì che fu terrificante. Bambini ovunque che, all'epoca, per una ragazzina timida e insicura come me erano sinonimo di mostri. E ancora le gite, i viaggi, le corse al luna park, il messicano -come dimenticarlo?- e la nostra adolescenza insieme.

Ci sono alcune cose, però, che nel dimenticatoio ci finiscono eccome. La buona condotta, ad esempio. Quella non sapevo neppure più cosa fosse. Ero cambiata, tanto, al punto che se mi avessi vista, probabilmente non mi avresti riconosciuta. Ero cambiata dentro e quando le persone cambiano interiormente è complicato. Non è un semplice taglio di capelli a renderti diversa, ma hai un intero mondo dentro che ti rende diverso. E così d'improvviso ogni cosa intorno a te perde di significato, nessuno è più in grado di comprenderti e tu continui a crogiolarti nell'idea che il tuo modo di comportarti è giusto, ma magari non è così. Magari sei nel torto più grande e non vuoi ammetterlo, perché ammetterlo significherebbe riconoscere la propria sconfitta.

I miei genitori ci avevano rinunciato. Ripetevano sempre che vigeva solo una regola in casa nostra: finché sarai sotto il nostro tetto. Poi la frase continuava ogni volta in modo diverso, ma per loro quella lì era sempre la stessa regola.

Era quasi esilarante vedere mio padre che inventava ogni giorno una scusa nuova per non portarmi alle cene con i suoi colleghi o a quelle di famiglia.

«Mia figlia ha la febbre.»

«Oggi non si sente bene.»

«È uscita con gli amici, sai come sono i giovani.»

«Sta studiando, ci tiene molto a diplomarsi con un buon voto.»

Tutte balle. Io non ne ho mica più avuti amici dopo di te. Alla fine ce l'ho fatta davvero a diplomarmi con un buon voto, ma di certo non ho buttato sangue sui libri per loro, anzi. L'ho fatto per me.

Credo che la sensazione che si provi quando si è liberi non abbia prezzo. E per liberi non intendo quello che credono ormai tutti i giovani di oggi, non intendo le passeggiate in spiaggia o i capelli al vento, ma la libertà di esprimersi, la libertà di opinione e il diritto al dibattito. Questa è vera e propria libertà e si può raggiungere soltanto con la cultura.

Io non ero libera.

Ero libera di bighellonare per il quartiere, di uscire con i miei amici -che si riducevano a mia cugina, sì, quella pazza-, di vivere la mia vita ma fino a un certo punto, come diceva sempre mio padre. Non avevo la libertà di esprimermi in quella casa, e per quanto amassi i miei genitori più di chiunque altro al mondo, certe volte erano davvero pesanti. Io parlavo, ma loro non mi ascoltavano. Dicevo la mia, ma avevano sempre ragione loro. Dov'è la libertà in tutto questo?

Avevo bisogno di crearmi uno spazio tutto mio, lontano da loro. Avevo bisogno che non mi giudicassero più per i miei vestiti o per il mio colore di capelli, che la smettessero di pressarmi per lo studio. La vita scolastica -o universitaria che sia- non è al centro di tutto. Esistono gli affetti, quelli importanti che vanno messi sempre al primo posto. Ed ero stanca. Ero stanca di combattere per qualcosa su cui non saremmo mai andati d'accordo: la vita. I genitori dovrebbero essere persone che ti appoggiano nelle tue scelte, non che ti deridono davanti agli altri rendendo agli occhi di tutti le tue decisioni un qualcosa di stupido.

L'unica decisione della mia vita che fu accettata senza discussioni fu quella che presi una volta terminato il liceo: l'università. Desideravo ardentemente andarci perché avrebbe significato ottenere finalmente la mia libertà, in tutti i sensi. Fu la scelta dell'università, invece, che non venne particolarmente apprezzata, ma non mi interessava. Ero maggiorenne ed era la decisione della mia vita, su quello non avrebbero avuto parola.

Fu la mattina più bella di sempre, l'unica in cui mi alzai prestissimo di mia spontanea volontà, senza aspettare nemmeno che la sveglia risuonasse nella stanza. Mia madre entrò alle sette in punto, come la sera prima aveva detto che avrebbe fatto, e mi trovò già lavata e vestita, pronta per la mia avventura.

«Non ti ho mai trovata pronta così presto.»

Buongiorno anche a te, mamma.

«La sveglia è suonata prima» mentii. Non avevo voglia di raccontarle quanto fossi felice, perché avrebbe sicuramente smorzato la mia gioia, e non volevo.

Avevo trascorso gli ultimi anni a preoccuparmi troppo dei loro desideri per pensare ai miei, adesso era giunto il momento di cambiare le carte in tavola.

«Ho preparato la colazione.»

Ignorò completamente il mio commento, ma non era una novità. Lei mi ignorava sempre. Non dubitavo che fosse una buona madre, del resto un tempo lo era stata, solo che poi è stata come persa da quando tu sei andato via. Probabilmente barricarsi in se stessa è stato l'unico modo che conosceva per difendersi dal dolore, proprio come il mio era stato tingermi i capelli o vestirmi con top e pantaloncini anche d'inverno, e tu lo sai, io sono più un tipo da calzamaglie e felpe. Il punto forse è che ognuno reagisce come meglio crede, l'importante in situazioni del genere è proteggersi dal dolore, perché troppo stroppia.

Infilai le mie vecchie e logore converse nere ai piedi, gli unici indumenti che avevo deciso di continuare a indossare, e con non poca fretta mi avviai verso la cucina, mentre nella mia testa sembrava appena essere scoppiata la terza guerra mondiale.

Stavo realizzando che sarei partita sul serio, che la California si stava avvicinando e che presto di tutta la mia vita passata sarebbe rimasto soltanto il ricordo. Non sapevo se e quanto spesso sarei tornata a casa, in realtà avrei preferito godermi il sole californiano per qualche anno prima di tornare, ma sapevo che i miei genitori sarebbero morti per così tanto tempo senza vedermi. Decisi che ci avrei comunque pensato a tempo debito.

«Buongiorno» mi salutò papà senza nemmeno distogliere lo sguardo dal giornale. Non gli risposi, non lo facevo ormai da un po', era diventata un'abitudine che a me stava bene, a papà forse un po' meno, ma non mi interessava.

Eravamo una famiglia spezzata. Non c'era più niente di integro tra noi, ci erano rimasti soltanto i ricordi di una famiglia normale, quella che non saremmo mai più stata.

Mi sedetti al mio solito posto e addentai i pancakes con la Nutella che mamma preparava sempre in occasioni speciali. Capii che quella che io avevo preso, per lei, doveva essere una scelta importante. Ad ogni modo non dissi nulla al riguardo. Gustai il sapore del cioccolato sciogliersi sulle papille gustative. Stavo addentando l'ultimo pancake quando mia madre mi pose davanti la solita tazza di latte di Peter Pan. Eh già, quella tazza. E tu mi dirai: «a diciotto anni bevevi ancora da quella tazza?» Sì. Ci bevevo ancora. Che male c'è? Tutti hanno una tazza strana a ricordarci la nostra infanzia.

«A che ora hai il volo?» chiese mia madre, quando posai la tazza di latte ormai vuota nel lavandino.

«Alle nove. Tra poco arriverà Sarah che mi accompagnerà all'aeroporto.»

L'espressione di mia madre si contorse. Odiava Sarah, lo sapevo bene, e la detestava perché sembrava essere l'unica a non essere stata scalfita dal dolore, ma a me lei faceva bene. Stare con mia cugina -la pazza, come la chiamavi tu- mi permetteva di distrarmi per un po' ed essere più solare per qualche ora. E ne avevo bisogno.

Uno scampanellio piuttosto acuto mi riportò alla realtà e mi precipitai alla porta.

Che tempismo.

«Tesoro!»

Sarah mi avvinghiò con le sue braccia in una morsa di ferro, dondolandosi di qua e di là e soffocandomi quasi.

«Sei pronta per volare?»

Se ero pronta per volare? In realtà non lo sapevo, non avevo mai volato prima e non avevo la più pallida idea di come sarebbe stato un viaggio in aereo. Avevo un po' paura, in realtà, o forse era soltanto adrenalina, o entrambe, non ne ero ancora certa. Vedere un aereo che vola dalla terraferma o in un film non è certo la stessa cosa che trovarvisi sopra.

«Tu che dici?»

«Secondo me sì.»

«Allora voliamo!»

Adoravo quando faceva così, mi contagiava con la sua spensieratezza e dovevo ammettere che un po' mi sarebbe mancata. Era la persona più vicina ad una migliore amica, per me.

Salii in camera con lei alle calcagna, afferrai la valigia che avevo riempito con lo stretto necessario e qualche vestito di ricambio -avevo deciso che mi sarei fatta un guardaroba nuovo in America- e controllai di aver preso tutto l'indispensabile. Passaporto, chiavi di casa -che non credevo mi sarebbero servite per un bel po'-, cellulare, fazzoletti, assorbenti, portafoglio, la student card -senza la quale non avrei potuto studiare in America- specchietto e trucco. Avevo tutto. Scesi le scale cercando di non rompere il mio povero bagaglio e uscii nell'aria fresca di Milano. Settembre era sempre così: fresco e cupo. Sarah aveva riposto la valigia fucsia fluorescente nel bagagliaio della sua auto e adesso non c'era altro da fare se non salutare tutti con un caloroso arrivederci. Inutile dire quanto odiassi il momento degli addii, almeno questo non era cambiato.

«Stai attenta. Non fidarti degli sconosciuti, non andare a quelle stupide feste di confraternita, studia, presta attenzione durante i corsi e... oh, la mia bambina cresce!»

E poi accadde quello che non credevo più possibile da molto tempo: mia madre scoppiò a piangere e mio padre corse ad abbracciarla. Mamma non piangeva mai, non più, e papà non dimostrava più affetto né con lei, né con me da una vita. Fu quello, credo, il momento in cui mi sciolsi definitivamente e capii che forse qualcosa sarebbe potuta cambiare. Allora mi unii all'abbraccio perché sapevo che era quello di cui mamma aveva più bisogno in quel momento e, parliamoci chiaro, lo necessitavo anche io.

«Sii prudente, Mel.»

«Non preoccuparti per me, papà. Starò bene.»

Non so se mi scioccò di più il fatto che mi sorrise o che mi allungò la mano per tirarmi in un abbraccio. Fatto sta che la mia vita stava cambiando e io non vedevo l'ora.

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