Epilogo
Dicembre 1947
Ho vent'anni.
Oh, sì, sono stupito di essere riuscito a superare un simile traguardo, eppure sono qua, in carne ed ossa!
Quando io e mio padre siamo tornati dalla Polonia, uno strano senso di disorientamento ci ha pervaso: la nostra vecchia casa in Friedrich Strasse era già occupata.
Il senso amaro del furto e dell'inganno si è mescolato al ricordo del mio amico Fred, e di tutti i milioni di uomini morti nel campo.
L'Unione Sovietica e l'America hanno scoperto tutte le crudeltà perpetuate nei confronti degli ebrei, a partire dalla kristallnacht per poi continuare con la Soluzione Finale e i campi sparsi per tutta l'Europa nazista.
Si stanno ancora attivando per condannare tutti i nazisti coinvolti, ammesso che non siano riusciti a fuggire in sud America.
Hitler è morto con viltà nel suo Führerbunker, con una pasticca di cianuro e un colpo di pistola: non credo che abbia veramente avuto il coraggio di compiere un gesto tanto nefasto, ma la consapevolezza che prima o poi brucerà all'Inferno mi fa sentire estremamente confortato.
La prima cosa che io e mio padre abbiamo fatto è stata cercare una casa provvisoria, così è tornato nel quartiere ebraico e, seppure questo fosse ormai disabitato, abbiamo dormito giorno e notte nella tipografia
dove avevo incontrato il signore anziano con Zen, mentre mio padre scriveva un nuovo libro.
L'ispirazione non mancava, e il successo neanche, perché, mentre Berlino veniva ricostruita gradualmente, molta gente sentiva il desiderio di leggere succose storie scritte da un ebreo che aveva tastato con mano la crudeltà dei campi di concentramento.
Io, intanto, cercavo di dirigermi verso la vecchia casa che Anja ci aveva messo a disposizione.
In un primo momento sono crollato nella più totale disperazione: non riuscivo a ricordare la strada, e la consapevolezza di non essere accolto con gioia mi ha un po' frenato.
Arrivato finalmente, nessuno mi apriva la porta, e non ho potuto fare nient'altro che cercare di aprirla e raccogliere le ultime cose che io, Malka e Sarah avevamo lasciato.
Ma una cosa, o meglio qualcuno c'era, e si trovava nell'appartamento vicino, dove la simpatica signora aveva continuato a prendersi cura di Michael, che era diventato un bimbo bellissimo, con gli stessi occhi della mia amica.
Si è offerta di continuare a tenerlo fino a quando non avessimo trovato una casa, e, messo da parte un discreto gruzzolo per acquistare un appartamento nella stessa zona.
Mio padre era un po' insicuro: erano tempi duri, e sfamare un altro bambino era un'impresa ardua.
Tuttavia, nella speranza che prima o poi Malka e Sarah tornassero, lo abbiamo tenuto con noi.
Ma non abbiamo trovato nessuno, così come abbiamo appreso da una nostra vecchia conoscenza, dopo mesi dal nostro ritorno, che mia madre era morta nel campo di stenti.
Provo tutt'ora un profondo senso di colpa, e vorrei poterle far capire quanto io mi sia pentito di averla abbandonata in un momento tanto duro: penso al me di qualche anno fa, alle sue braccia che mi proteggevano sempre, ai suoi sorrisi e alle sue parole di incoraggiamento, eppure non riesco a sorridere neanche con questi dolci flashback o a risollevarmi.
Dopo essere tornati abbiamo realizzato di aver perso più cari di quanto pensassimo, e mentre io non riesco a risollevarmi per via del mio senso di solitudine, mio padre ha ancora in testa le immagini dei corpi senza vita che cremava nei forni crematori del campo.
Ci siamo aperti a poco a poco, forse dopo un anno: gli ho detto cosa avevo passato, quante persone mi avessero dato una grande mano, e lui mi ha timidamente rivelato di aver lavorato nella fabbrica di Monowitz per molto tempo.
Cammino per Alexander Platz mentre i lavori proseguono, tenendo in tasca la discreta paga della giornata: sono un semplice garzone, ma in fin dei conti ci aiuta a sbarcare il lunario.
La sartoria in cui lavoro confeziona ogni giorno abiti splendidi, e oggi ne sto portando uno particolarmente speciale.
Fischietto, sentendomi particolarmente allegro, e arrivo al punto in cui devo portare il vestito.
«Salve, dovrei fare una consegna» dico alla reception, dettando il nome del destinatario.
Vengo portato nell'ufficio, dove la dottoressa mi accoglie con un sorriso smagliante.
«È per me? Deve esserci un errore, non ho ordinato proprio niente» mi risponde la ragazza, alzandosi dalla sedia.
«Il biglietto mi dice che è per una certa Anja. C'è anche scritto che è la dottoressa più bella del mondo. Evidentemente il mittente deve essersi sbagliato» dico, scherzando.
Lei mi dà un pugnetto sulla spalla, e mi dà un casto bacio sulle labbra.
La avvicino a me, ma lei si discosta, mettendo la scusa del lavoro.
«Ho molte pratiche archiviate! A meno che tu non abbia qualche dolore al momento la dottoressa è impegnata» mi dice, invitandomi a uscire.
«Sì, effettivamente ho un problema qua» dico, indicandomi la fronte, poi la guancia destra, quella sinistra e infine la bocca.
Lascia un bacio dappertutto, poi arriviamo a parlare del vestito.
«C'è qualche evento speciale?» mi chiede, esaminandolo con un ampio sorriso: è carino, e d'altro canto visto quanto ho speso non c'era da aspettarsi il contrario!
«Mio padre vorrebbe invitarti a casa per l'Hanukkah, per tutto quello che hai fatto per Yona, e per me e Sarah e Malka. Ovviamente anche tua madre e tuo fratello sono invitati» le dico.
Il padre è stato arrestato dopo essere stato trovato al confine con la Francia. Ha fatto del male fisico ad Anja e alla moglie, ma loro hanno saputo tenergli testa.
Ricordo ancora quando, dopo mesi dal mio ritorno, mi sono diretto nella vecchia krankenhaus.
Sono entrato tremando, aspettandomi l'ennesima delusione, e quando l'ho vista mentre si confrontava con delle infermiere mi sono appoggiato allo stipite della porta, tenendo le mani in tasca.
Si è voltata lentamente, e l'ho trovata più bella e più laboriosa del solito.
«Uri, non puoi essere tu» mi dice, mettendosi una mano davanti la bocca.
«Sono un po' più magro e il ciuffo fluente sta per ricrescere, ma in fin dei conti non sembro proprio un gatto spelacchiato» le dico ridacchiando.
Aspetto una sua reazione, e lei allaccia le braccia attorno al mio collo, riempiendomi il volto di baci.
«Posso darti un bacio come si deve, o sei impegnata con un ragazzo palestrato dagli occhi azzurri e i capelli biondi?» le chiedo, sentendo una strana insicurezza.
«I miei sentimenti non sono cambiati di una virgola. Aspetto questo momento da quando ho trovato l'appartamento vuoto» risponde, baciandomi con trasporto.
«Questa volta devi essere ricoverato? Devo rimetterti su una barella sporco di polvere e macerie?» mi chiede ridacchiando, ripensando ai giorni più strani ed eccitanti della mia vita.
«Tutto pur di starti accanto» rispondo scherzando, continuando a darle teneri baci.
Dopo varie chiacchierate caute e dolorose, finalmente ha soddisfatto la mia curiosità, quella stessa curiosità che mi ha tormentato per mesi: la verità su Alexander.
Anja ha controllato dei documenti del padre, e ha notato articoli ritagliati di giornale, con la foto in bianco e nero del figlio. L'articolo diceva che il figlio di una vecchia SS era stato ucciso per aver disertato.
Così abbiamo fatto due più due: il desiderio di Alexander di sostituire il figlio, di consolarsi con tanti bambini, ma anche di porre rimedio alle violenze che i colleghi stavano perpetrando nei confronti degli ebrei.
O almeno questa è la nostra ipotesi: di Alexander non abbiamo nessuna notizia, e non sapremo mai se sia veramente morto o se fosse coinvolto nell'esplosione del rifugio. La prima opzione, almeno secondo il mio istinto, è la più plausibile.
La guardo, e immagino una casa grande nel bosco, mentre lei continua a studiare medicina e io scrivo libri, libri di avventura, di amicizia e di filosofia.
Proseguirò gli studi per conto mio, e quando avrò tanti soldi da poter comprare anche la mia vecchia casa in Friedrich Strasse la sposerò, eccome se lo farò!
«Verremo con piacere» risponde.
Le do un bacio, per poi uscire.
Guardo il cielo, da cui iniziano a scendere fiocchi di neve, e immagino i bambini del rifugio con Alexander, mia madre, Amos, Malka, Sarah e Friedrich che mi salutano con gioia e calore. Olly corre con le trecce al vento, Zen gioca a palla con Aaron e Alexander, Shimon legge con Sarah all'ombra di un albero e le ragazze preparano la confettura.
Sento i profumi del bosco, e quasi sento il fruscio.
Il vento sospira, ma per la prima volta il suo è un sospiro di gioia e sollievo.
Sei sopravvissuto Uri. Missione compiuta!
Fine
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