Capitolo 38

È notte inoltrata, e io, Malka e Sarah abbiamo deciso di andarcene, con la sacrissima collaborazione di Anja.

La Tedesca dagli occhi magnetici che mi ha inevitabilmente conquistato ha tentato instancabilmente di farci desistere dal nostro intento, ma, avendo capito la nostra condizione, ci ha offerto un alloggio provvisorio.

Ci ha parlato di un piccolissimo appartamento che i genitori avevano acquistato per il fratello per agevolare gli spostamenti, ma, considerando il piccolo convitto vicino l'ospedale, la casa è rimasta inabitata.

I genitori avrebbero potuto venderla, ma le pressioni di Anja hanno fatto sì che, vista la comodità, la casa rimanesse nelle sue mani.

"Per il momento è vostra, ma di certo non è la sistemazione più sicura del mondo" ci ha detto, e tutt'ora non sappiamo come sdebitarci.

Ciò che mi ha sorpreso di più di Anja è stata la sua onestà: piuttosto che fare la figura della ragazza gelosa, ha preferito fidarsi delle mie parole, e anche di qualche mio bacio extra!

Ho preso tutto: le lettere che ho continuato fedelmente a scrivere senza un destinatario esplicitato, i miei fogli di carta, la matita che ho portato dal rifugio, e qualche vestito che ho indossato l'uno sopra l'altro.

Vista la stagione tiepida indossare strati di abiti pesanti può sembrare una manovra da incoscienti, ma agevola il trasporto, e d'altro canto la sera la temperatura è più rigida.

È scomodo portare il materiale in mano, ma ho deciso di ignorare il consiglio di Sarah, e di evitare di lasciare oggetti nell'ospedale.

«Siete pronti?» chiede Sarah, sussurrando appena.

Sono irrimediabilmente preoccupato per la sua salute: ultimamente la vedo più debilitata che mai, avendo un viso cereo, un fisico fin troppo asciutto e il fiato corto.

Ha condiviso con me la sua decisione di tagliarsi i capelli: non si può evitare l'inevitabile, come ha detto lei, e ormai è inutile nascondersi dietro un dito: la malattia la sta divorando, e il filo che la separa dal punto di non ritorno è sempre più striminzito.

La mamma si aggrappa con le sue forze a una speranza di sopravvivenza, tentando di farla distrarre: le mostra il fratellino appena nato, cerca con lei un nome, parla del padre, che non le ha seguite, ma di certo sarà al sicuro nel ghetto, della bellezza senza età di Berlino, nonostante le macerie, insomma, tenta a tutti i costi di mostrarle gli aspetti positivi di un mondo che ormai si sta decomponendo.

«Sì» rispondo io in riferimento alla domanda della mia giovane amica.

Malka tiene in braccio il figlio, robusto e in carne come il padre: prego Iddio che non inizi a piangere in un momento sfavorevole, o saremo spacciati.

Anja ci conduce nell'entrata posteriore dell'ospedale: scendiamo due rampe di scale, entriamo nelle cucine e il gioco è fatto.

Dalle stanze al pianterreno si sente un vociare confuso e un via vai continuo di gente, e devo dire che nel mio cuore sentirò la mancanza di un posto tanto popolato che, nonostante le circostanze, mi ha riservato calore e accoglienza.

Usciti dall'edificio, un senso di tristezza e angoscia mi pervade: ancora una volta mi ritrovo, nel giro di poche settimane, a cambiare rifugio, e il cielo scuro che si staglia sopra di me mi fa sentire volubile.

Non ho mai sofferto di agorafobia, ma devo dire che queste strade ampie e le piazze estese, che ora si ritrovano a sostituire la piccola ma graziosa e confortevole stanzetta dell'ospedale, non mi fanno sentire a mio agio.

Tuttavia, penso alle mie continue scappatelle dal rifugio, alle corse nel bosco e a tutte le volte che, con ingegno e astuzia, sono riuscito a cavarmela, e un senso improvviso di pace mi pervade.

Anja ci fa strada: nel suo impeccabile camice bianco, che forse le va anche troppo largo, presta attenzione come un segugio, assicurandosi che non ci siano pericoli e che le viuzze che stiamo attraversando siano sgombre.

«Manca poco, l'appartamento non è lontano» ci rassicura, e io sono tentato di correre tra le sue braccia e farle capire quanto il suo sostegno sia prezioso per me, ma la presenza di Malka e del bambino e gli occhi indagatori di Sarah mi mettono in imbarazzo.

«Ti ringraziamo infinitamente. Sei una ragazza dal cuore d'oro» interviene prontamente Malka, e io annuisco con vigore, nonostante Anja, che ora ci dà le spalle, non possa vedermi.

Vedo la sua schiena irrigidirsi e subito dopo rilassarsi, e io non posso non pensare a quanto il suo viso, sicuramente arrossato, sia di sicuro grazioso in questo momento.

Il bambino di Malka apre lentamente gli occhi, iniziando a emettere piccoli e delicati suoni.

Prima che la situazione possa degenerare mi metto a fare facce buffe: tiro la lingua in fuori, alzo le sopracciglia, sorrido con poca grazia, ma se in un primo momento il neonato non mi presta minimamente attenzione, successivamente mi guarda con un certo terrore.

Malka lo culla, e finalmente il bimbo torna a dormire.

«Vedo che ci sai fare con i bambini» osserva Sarah con un malcelato sarcasmo.

«Riuscivo sempre a calmare i miei fratellini, ma forse ho perso la mano» mi giustifico offeso.

Ripenso a quando sono nati e li ho sempre coinvolti con amore e dedizione, e una fitta mi attanaglia lo stomaco.

La voce di Anja mi fa riprendere dal mio stato di trance: «siamo arrivati» dice.

Alzo gli occhi, e vedo un bellissimo edificio beige che avrà a occhio e croce quattro piani.

«L'appartamento è al secondo piano. Mi raccomando, tutti sanno che è disabitato: non aprite la porta, limitate i rumori, tenete le tende chiuse e usate una minima quantità di luce» ci dice, porgendoci le chiavi.

Sarah ringrazia educatamente, aprendo il portoncino che emette un suono cigolante.

Malka, dal canto suo, bacia le mani di questo angelo caduto dal cielo, e Anja accarezza con fare materno la testolina del piccolo che dorme.

Sono preoccupato per il bambino, ma confido nell'attenzione della mamma e nell'insonorizzazione delle stanze.

Quando le donne sono già entrate, io rimango per strada con Anja.

«Sei speciale. Ti sarò riconoscente a vita» le dico, dandole un bacio a fior di labbra.

In un primo momento è così rigida per la sorpresa che temo di averla spaventata ma, quando mi stacco per vedere la sua reazione, lei si impossessa nuovamente di me, baciandomi tutto il viso, le guance, la fronte, il naso, e poi di nuovo le labbra.

«Fate attenzione. Io verrò il prima possibile a portarvi l'essenziale» mi dice, cingendo la mia vita.

Uno sguardo basta per ringraziarla ancora: lei abbassa il volto, si stacca da me, e se ne va.

Entro nell'edificio, chiudendo con delicatezza il portoncino.

Salgo le scale, facendo attenzione a non emettere nessun suono fastidioso, ed entro nell'appartamento.

Malka e Sarah mi aspettano confabulando, mentre io guardo la casa: c'è un salotto ampio con un divano e un grammofono su un tavolino, una piccola cucina con un tavolo per i pasti, un bagno con una vasca confortevole e due stanze.

Le pareti sono bianche, ma i mobili di legno e i fiori finti con uso decorativo rendono l'ambiente più vivace e accogliente.

Torno in soggiorno, e vedo che Malka e Sarah mi fissano con impazienza.

«Sei proprio cotto» mi dicono all'unisono, e sorridono, trascinandomi in una camera da letto e iniziando a farmi il solletico, mentre io quasi soffoco nell'intento di trattenere le risate.

Finalmente sto mordendo un'altra fetta di felicità, ma non so quante ancora ne avrò a disposizione.

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