Capitolo 36
Cerco di apparire il più neutro e distaccato possibile, ma di certo non posso dire di non sentirmi ridicolo mentre, con imbarazzo e timore, mi scopro in questo lettino, davanti a Sarah.
In un primo momento lei è confusa e intimorita, ma le bastano pochi secondi per riconoscermi, nonostante sia cambiato in quest'ultimo periodo.
«Uri, sei proprio te?» chiede lei in un sussurro, mettendosi a sedere.
«Sì Sarah, sono io» le dico.
Mi serve un po' di tempo per abituarmi a questa situazione, ma dopo aver preso coraggio, mi alzo, e la abbraccio con vigore, tenendola stretta a me più che posso.
«Oh, Uri, non sai quanto mi sei mancato. Non puoi neanche immaginarlo» mi dice lei, mentre sento la mia maglia che inizia a bagnarsi all'altezza delle spalle per le sue lacrime.
«Se ti sono mancato anche solo la metà di quanto tu sei mancata a me, allora posso immaginarlo» rispondo, cullandola tra le mie braccia.
Dovrei sentirmi a disagio, ma sento solo di aver ritrovato la mia migliore amica, e non una potenziale compagna.
Avevo bisogno di questo incontro per capire meglio i sentimenti che il mio cuore prova, e non avrei potuto fare scelta più saggia. Ora sento che la sensazione di peso sullo stomaco è svanita, e sono pronto ad affrontare nuove esperienze con Anja, per quanto le circostanze siano le meno propizie possibili.
«Dove sei finito?» mi chiede lei, staccandosi dalla stretta. Mi guarda con circospezione, osservando ogni mio lineamento, mentre io sbatto le palpebre per far sì che le lacrime non scorrano.
«Sono stato fortunato, ma abbiamo tempo per parlare di questo. Ti basterà sapere che ho trovato un posto accogliente e sicuro. Te, invece?» le chiedo.
È una domanda scomoda, considerando gli aggiornamenti di Shimon, lo so, ma ho bisogno di sapere da lei stessa che sta bene, e che supererà anche questa mattina.
«Non sei cambiato per niente. Resti sempre il solito introverso in cerca di risposte» osserva, e io sorrido alla sua osservazione.
«Uri, non sto molto bene» mi dice, e a quelle parole sussulto.
Io la guardo in cerca di ulteriori risposte, ed è solo in questo momento che noto un dettaglio importante: i capelli sono più corti del previsto, le occhiaie sono evidenti e profonde, e ha una vistosa cicatrice sul collo.
«Cosa ti hanno fatto quegli animali?» le chiedo. Non ricevo risposta.
Continuo ad osservare quel segno, lei se ne accorge, tanto da cercare di coprirlo con i capelli.
Io, però, la blocco, e continuo ad analizzarlo. Lo sfioro, sentendola tremare sotto i miei polpastrelli.
«Sono finita in un bordello.»
***
Sembra sia passata un'eternità da quando sono entrato nella stanza di Sarah, e l'atmosfera si è fatta sempre più pesante. Ha avuto bisogno di un po' di tempo per raccogliere le idee, ma è riuscita a raccontarmi tutto nei minimi dettagli.
Il dottore che si era offerto di curarla a sue spese l'ha venduta per pochi marchi, e se ne è lavato le mani.
Shimon mi aveva parlato con entusiasmo e ammirazione di quell'uomo, eppure le sue considerazioni non avrebbero potuto essere più lontane dalla realtà: era un uomo corrotto e subdolo.
Sarah ha vissuto pene indicibili, ma anche lei ha trovato il suo Alexander: dopo aver perso conoscenza dopo l'ennesima violenza, una compagna ha convinto un suo intimo amico a portarla nell'ospedale.
Quanto alla mamma, lei non sa nulla: sa che il dottore l'ha tenuta in cura per un po' di tempo, e ha voluto portarla qui per qualche accertamento.
La malattia la sta consumando dentro, e Sarah è convinta che se ne andrà da un momento all'altro.
Tuttavia, affronta il suo destino con gioia, pervasa dal desiderio di lasciare sulla Terra il ricordo del suo sorriso, e tutte le preoccupazioni che rendono la sua vita una terribile agonia.
A nulla valgono le mie parole di conforto: lei piange, si dispera, si copre, mi abbraccia e si allontana, e io non posso fare nient'altro che assistere a questi suoi sbalzi d'umore, sopraffatto dal desiderio di vendicarla.
Devo farle capire che ha tanto da perdere, e altrettante cose a cui aggrapparsi: la famiglia, il piccolo fratellino, me.
È a questo punto che mi torna in mente il ricordo di Shimon, e le sue confessioni più intime.
«Quando sono andato a vivere in una casa nel bosco con i ragazzi di cui ti ho parlato prima, ho incontrato un ragazzo della nostra età con cui ho fatto amicizia negli ultimi giorni. Era un ragazzo incompreso, apparentemente burbero, ma da un cuore d'oro. Quel ragazzo si chiamava Shimon» le dico, contorcendomi le mani.
«E ti conosceva bene. Aveva una cotta per te, ed era sempre stato geloso di me. Pensa come è piccolo il mondo.
Quando sono andato a vivere lì, ho preso la malsana abitudine di uscire di nascosto per andare a cercare mio padre. Ho setacciato ogni singolo quartiere, ma a nulla è valsa questa mia furbata. Un giorno ha deciso di aggregarsi a me, con l'unico scopo di trovarti. Mi ha detto che il fratello prendeva lezioni di musica da tua madre» le spiego, ripensando alle parole che Shimon ha proferito in punto di morte.
«Oh, ho capito chi è! Aspettava sempre il fratellino nel nostro soggiorno. Più di una volta abbiamo parlato davanti ad una tazza di tè» mi dice, mostrando un certo imbarazzo.
«Ma dimmi, come sta? È da tempo che non lo vedo!» mi spiega con un risolino, e io scuoto la testa per farle capire che il povero Shimon, il ragazzo dalle mille sfumature e un passato turbolento e avvincente, ci ha abbandonati.
«Come è successo?» mi chiede, portando una mano alla bocca e commuovendosi.
«Dopo una delle nostre fughe, un bombardamento ci ha sorpresi nel bosco. Un albero gli ha bloccato la gamba. L'amputazione non è valsa a nulla» le spiego.
«Shimon ha lottato, e tu sei stata uno dei suoi ultimi pensieri. Sono sicuro che vorrebbe vederti fare lo stesso» le spiego.
Passiamo altri minuti a parlare del più e del meno, e vedo che le energie stanno lentamente abbandonando il suo esile corpo martoriato.
Si lascia cadere senza forze tra le mie braccia, e io, per pochi secondi, mi preoccupo.
Poi, però, la sento respirare profondamente.
Dorme tra le mie braccia, senza farsi problemi, senza pensare a cosa siamo, o a quanto ha sofferto tra le braccia di altri uomini.
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