Capitolo 23

Siamo a febbraio, e il mio amico, oramai, sta quasi per superare il sottile filo che separa la vita dalla morte.

L'incompetenza e la superficialità dei medici tedeschi è stata fatale.

Questo è il loro ragionamento.

Ospedali da campo si riempiono durante la guerra come le Chiese la domenica, pertanto, per garantire sanità e uomini, bisogna salvare il salvabile.

C'è una frattura? Il sistema vascolare è andato a farsi benedire? La ferita perde sangue? Si amputa.

Chiunque sia contrario all'amputazione, può pregare Dio che la linea della vita non si accorci improvvisamente, perché i medici chirurghi non possono fare altrimenti.

Quando ho messo piede nella struttura, mi sono preparato al peggio (e, d'altro canto, il mio stato d'animo ai tempi dell'imprevisto con Alexander non era più di tanto diverso).

Potrai leggere biografie, testi storici e diari, eppure nessun messaggio sarà efficace tanto quanto quello diffuso da Remarque in "Niente di nuovo sul fronte Occidentale": Kemmerich, prima della vita, ci ha rimesso una gamba in quel conflitto.

Ancora una volta, mi ritrovo a ringraziare mentalmente mio padre per l'educazione che mi ha dato, l'esperienza, e a elogiarlo per la prontezza e la scaltrezza con cui, nonostante la censura, sia riuscito ad accaparrarsi testi sovversivi o didatticamente esaustivi: sarò anche un ragazzo passivo, papà, eppure ciò che mi avvicina a te è l'astuzia con cui riesco a camminare tra i nostri nemici senza incappare nella mina nazista.

Nonostante Anja si sia impegnata affinché a Shimon venisse dedicata un'attenzione speciale, il bollettino della sanità non ha fatto eccezioni, con il risultato che, dopo più di un mese di ricovero per tenere sotto controllo la ferita (fasciata alla bell'è meglio, avendo categoricamente rifiutato l'amputazione), il mio amico è visibilmente destabilizzato.

Nel corso di questi giorni, tanti ragazzi del rifugio sono venuti a fargli visita: Aaron e Orly, Ben, Yona...

Sorprendentemente, Alexander si è limitato a chiedere notizie del suo protetto: sembra ormai che la sua autostima sia talmente bassa da arrivare ad incolparsi di ogni qualsivoglia tragedia che accade tra di noi.

Io, nel mio piccolo, ho fatto anche tanto: oltre a visite giornaliere, mi sono impegnato per garantirgli vestiti puliti e cibo commestibile, insieme a compagnia e qualche testo.

La solidarietà dimostrata da tutti è stata eccezionale, così come il coraggio di Anja che, conoscendo il nostro piccolo segreto relativamente alla nostra nazionalità, ci ha creato un alibi e una copertura perfette.

Non sarò mai abbastanza grato a quella stupenda ragazza per tutto ciò che sta facendo per noi, nonostante, puntualmente, il fato abbia la meglio sulle azioni umane.

Un evento che mi ha fatto riflettere sulle piccole fortune che, alle volte, io e i ragazzi abbiamo, è avvenuto qualche giorno fa.

Avendo fatto dentro-fuori nell'ospedale per giorni e giorni (visto il tragitto, sono diventato un corridore provetto), ho avuto modo di intromettermi nelle vite altrui, da pettegolo esperto quale sono.

Ho avuto modo di sentire il soldato anziano Hoffmann che ha sofferto dopo essere stato messo al corrente della morte della moglie, il comandante Weber, arruolatosi da anni, venuto a conoscenza della gravidanza di cinque mesi della moglie, e la naturalezza con cui oramai cammino tra le SS mi lascia di stucco.

Sono tutti dubbiosi, ma il cloroformio con il quale sono stati imbottiti rende le menti piacevolmente offuscate.

Quanto ai medici, sono talmente indaffarati da non rendersi neanche conto di chi mette piede nella loro struttura.

Tuttavia, tra i tre piani deve esserci per forza qualche soldato sospettoso, il che giustificherebbe l'evento a cui ho precedentemente fatto riferimento.

Una mattina come le altre, una SS è irrotta con prepotenza nella stanza, cercando un certo Yosef Itskowitz.

Improvvisamente, l'assordante confusione dell'ospedale si è spezzata, e si è tramutata in un silenzio ancor più tamburellante.

La marionetta (quanto mi mancava chiamarli così) si è addentrata nei corridoi più oscuri e nascosti dell'edificio, mentre al piano terra, dove Shimon era ricoverato sulla barella con l'immancabile fasciatura da cambiare e un carrello con cibo di dubbia provenienza (si sarebbe concesso poi una crostata gentilmente offerta da Orly e il sottoscritto, con tanto di classica confettura fatta in casa), si è alzato un vociare confuso.

Ho guardato il mio povero compagno, che quasi non si è reso conto della situazione, e, per distrarlo, ho intavolato una conversazione stentata con lui.

«Cosa starà succedendo lassù?» gli ho chiesto, appoggiandomi di profilo al muro dietro al letto.

«Nulla di buono. Se nella stessa situazione ci sono un Tedesco vestito di tutto punto e un povero Ebreo, allora stai pur certo che la legge di sopravvivenza verrà applicata» mi ha risposto lui, interrompendo a tratti il discorso per mettersi più comodo.

«Stai veramente paragonando quest'odio ingiustificato nei confronti della nostra cultura alla selezione naturale, amico? Dove siamo, nella preistoria?» gli ho detto sarcastico, ma la sua serietà mi ha destabilizzato.

Infatti, mi ha risposto: «non so, dimmi tu. L'uomo ha già ricchezze a sufficienza, eppure non è mai sazio. Continua ad evolversi tecnologicamente, nonostante a livello comportamentale abbia molto su cui lavorare. Perfeziona armi per avere la meglio su un altro essere umano, come i primitivi potevano fare con un gruppo di nomadi che cercava di marcare il territorio. Se questa non è preistoria, non so cos'altro possa essere, ma so per certo che la legge del mio amico Darwin è di grande attualità.»

Come al solito, avevo parlato a vanvera senza ragionare: le parole di Shimon sono state talmente inaspettate tanto da farmi distrarre dal tema SS-Yosef.

Siamo rimasti in un silenzio tombale fino a quando degli strilli e un rumore di oggetti che cadevano non ci ha fatto sussultare.

Dalla nostra posizione strategica, siamo riusciti a intrasentire qualche parola.

Lurida bestia, sporco, rozzo, va' al diavolo.

Il trambusto era cessato, fino a quando il soldato non ha fatto nuovamente la sua entrata nel grande atrio.

Trascinava un signore anziano dal colletto, mentre questi a sua volta cercava di muoversi sulle stampelle: fortunatamente, però, tutto era al suo posto.

L'uomo aveva ancora la cartella sulla quale erano riportate le generalità, e aveva un'espressione smarrita e addolorata.

«Ti sei finto un Tedesco pur di godere di benefici che non ti spettano, canaglia!» gli ha urlato, continuando a trascinarlo, fino a quando il suo ritmo non è diventato talmente sostenuto da causare la caduta del poveretto, che è stato brutalmente preso a calci.

«La scongiuro, ho una moglie a casa, e il nostro orticello non basta per il sostentamento» gli ha detto il vecchietto, dopo essersi accasciato a terra.

«Non si fanno sconti» ha risposto la SS.

Gli ultimi ricordi che ho dell'evento sono legati alla brutalità di quei gesti, al terrore, al senso di panico che mi ha pervaso e deve aver corroso anche l'animo di Shimon.

E se fossimo stati scoperti? E se la spia dell'ospedale ci avesse beccati?

La furia nazista, a quel punto, avrebbe superato di gran lunga il terrore di non superare la notte per una ferita alla gamba che è parzialmente integra.

«Ho dolore, Uri, ho dolore
dappertutto» si lamenta Shimon, tenendo gli occhi chiusi.

«Devi dormire, amico mio, o quegli ingranaggi che hai nel cervello si consumeranno a furia di ruotare» ironizzo io.

«E se non dovessi svegliarmi?» mi spiazza lui, stringendo il lenzuolo tra le mani.

«Non ci sarà scuola domani, hai tutto il tempo che vuoi» continuo a scherzare io, piegandomi sulle ginocchia per raggiungere l'altezza della barella.


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