Capitolo 22

«Il laccio emostatico non durerà a lungo! Dobbiamo portarlo da qualche parte, e il prima possibile!» grida Anja.

Vorrei poter dire che ha ragione, ma, nel cuore della notte, con questo freddo e altri dettagli che non c'è bisogno che io esponga, non penso che portarlo in un ospedale sia la scelta migliore: già affidarci a lei è stato un passo azzardato, dunque non c'è bisogno che ci mettiamo ulteriormente in pericolo.

«Non penso sia una buona idea» le dico, passandomi una mano sulla faccia: è stata una giornata decisamente intensa, anche troppo, e non vedo l'ora che questi problemi finiscano.

«Cosa proponi allora, zahnstocher?» mi risponde, irriverente.

Questa ragazza mi sta snervando: ci sta aiutando, e le sono riconoscente, ma se per farmi dare dei consigli per salvare la vita del mio amico devo farmi chiamare "stecchino", allora preferisco di gran lunga fare di testa mia.

«Qualcosa in cui tu non sia coinvolta» le rispondo sfacciato.

«Fantastico. Allora, quando il tuo amico sarà morto per un'emorragia, potrai dire agli altri ragazzi che è stato tutto merito del tuo orgoglio» mi dice, voltandosi per andare via.

«Aspetta! Scusami, hai ragione» le dico, toccandole il braccio: la maglia bianca si tinge di rosso, così ritraggo subito la mano.

«Vedo che stai ragionando. Ora possiamo procedere. Prendilo delicatamente per le braccia, così» mi dice.

Osservo accuratamente ogni suo movimento, lo sguardo concentrato, la crocchia sfatta.

Più passa il tempo, più mi convinco del fatto che affidarci ad una Tedesca sia stata una pessima scelta, ma questa è letteralmente una questione di vita o di morte.

Se la sua onestà è tanto reale quanto la sua bellezza, allora non avremo di che preoccuparci.

La mattina precedente

Caspita, devo aver dormito parecchio!

Mi stiracchio sul divano del salotto, e apro a fatica gli occhi, i quali collidono con la luce mattutina.

Mi siedo, mi passo una mano tra i capelli arruffati, e mi guardo attorno.

L'unica immagine che ho è quella di Orly che dorme profondamente ai piedi del divano: deve essersi addormentata insieme a me, nella speranza di poter rendersi utile.

Mi alzo, la prendo delicatamente in braccio e la faccio sdraiare.

In salotto non trovo nessuno, il che è decisamente strano: di solito tutti i ragazzi si riuniscono per fare colazione, eppure neanche un bicchiere o un piatto occupa il tavolo.

Poi, nel mentre, un ricordo mi balena per la testa: il bombardamento, lo scoppio della mina, Shimon.

Preso dagli eventi corro verso la porta, ma poi un istinto mi spinge a fermarmi, e a guardare quella bambina che, al momento, dorme beata davanti ai miei occhi: come posso lasciarla qui, da sola?

La fretta mi pervade, eppure non voglio interrompere il suo sonno ristoratore per catapultarla in uno scenario decisamente macabro, pertanto mi avvicino con passo felpato e, ancora una volta, la prendo in braccio, per poi portarla nel corridoio e aprire la porta della mia stanza.

La adagio sul letto, sperando di non svegliarla con tutto questo andirivieni, altrimenti lo sforzo sarebbe vano, e la copro con un lenzuolo: è una protezione minima, eppure è già qualcosa.

Uscito dalla stanza, posso finalmente occuparmi delle mie ricerche.

Apro la porta di casa, e me la richiudo alle spalle.

Mi guardo attorno, trovando un paesaggio totalmente innevato: o neve, o neve, pensi di allietare le nostre pene coprendo il sangue con il tuo manto candido?

Continuo a cercare gli altri con lo sguardo, e, dopo una frazione di secondo, mi trovo a correre verso la rimessa, dove c'è un assembramento di tre o quattro orfanelli.

«Alexander, è da tutta la notte che sei là dentro. Esci, ti scongiuro» grida Yona.

Cerco di capire cosa diamine stia succedendo, quando mi accorgo di un particolare: tutti hanno gli occhi lucidi, e una faccia più sconvolta dell'altra.

Trovo Aaron seduto per terra in mezzo alla neve, e mi avvicino a lui.

«Hey, An, che cosa è successo?» gli chiedo, continuando a guardarmi attorno.

Lui alza il volto, e la sua espressione mi sconvolge: ha il volto rigato dalle lacrime, le occhiaie evidenti, il viso pallido.

«Oh, Saul, oh Saul» mi dice, per poi alzarsi, abbracciarmi, e scoppiare in un terribile pianto di dolore.

«Hey Aaron, è tutto okay! Cosa succede?» gli chiedo: sto iniziando seriamente a preoccuparmi.

«Sheina, Sheina è...» inizia a dire, ma, avendo capito, gli faccio segno di fermarsi.

Mi passo una mano sulla faccia ed espiro: Santo Cielo, possibile che questo Dio se la prenda anche con una ragazzina?

Inevitabilmente, anche io mi ritrovo a piangere: non avevamo mai legato, eppure era pur sempre una parte della nostra comunità, e avrei preferito sfruttare il massimo tempo possibile con lei, piuttosto che fuggire da Alexander per trovare un qualcuno che, al momento, sembra sia evaporato.

«E le ragazze? Come l'hanno presa?» gli chiedo ancora.

«Sono distrutte. Ruth, poi, non ti dico: non l'ha mai convolta più di tanto, non per cattiveria, ma perché non era il genere di amica a cui si sarebbe affezionata» mi spiega.

Guardo Ruth, e vedo che anche lei, come Aaron, è seduta a terra, il volto nascosto tra le mani, le gambe piegate.

«Alexander, te lo chiedo in ginocchio, esci! Non è prudente stare qui!» insiste Ben, colpendo la porta.

«Vuoi forse che ci sia un altro morto tra noi?»

Ecco, Ben l'ha detto ormai: è stato esplicito, rude, chiaro e diretto, eppure quelle parole, pronunciate così a un uomo già di per sé afflitto, non sono di certo le migliori.

Sentiamo la serratura della porta che si apre, e Alexander ne esce poco dopo.

Porta in braccio Sheina, e, alla sua vista, tutti riscoppiano a piangere.

Vedo il suo volto, e vedo anche il suo collo, e a quel punto capisco tutto.

Mi mordo il labbro inferiore per trattenere le lacrime, ma ogni mio sforzo sembra essere vano.

Mi soffermo poi sul viso di Alexander: è giallognolo, e al momento dire che è semplicemente "distrutto" sarebbe un eufemismo.

«Dobbiamo preparare un funerale» dice a bassa voce, tanto che quasi non lo sento, per poi procedere nella coltre di neve.

***

I dettagli preferisco saltarli, ma posso dire che, tra tutti, verosimilmente quelli che hanno provato più dolore sono stati Orly e Zeev, e, se già i ragazzi piangevano tanto, allora non potete di certo immaginarvi il loro stato d'animo.

Il pianto disperato di un bambino è il suono più reale e crudo che spezza il silenzio.

Ho saputo, poi, che Shimon non è stato lasciato sofferente nel bosco: Aaron ha trovato Sheina nella rimessa, ed è stato sempre lui a preoccuparsi delle condizioni dell'amico bloccato nel bosco con una rapidità impressionante.

Ha portato una pala, e, dopo aver scavato a mani nude nel terriccio vicino all'albero, l'ha usata per cercare di spostarlo, nonostante quel piccolo utensile non potesse far nulla in confronto al volume della pianta.

Per grazia di Dio, in suo soccorso sono intervenuti anche Ben e Yona; muniti di altre pale, sono riusciti, dopo vari tentativi, a spostarlo, un millimetro per volta, scavando e spingendo: fortunatamente in quel momento Shimon aveva perso conoscenza, o non avrebbe retto tutti quei movimenti.

Adagiatolo su una zona al sicuro dalle piante, hanno esaminato la ferita con l'aiuto di una torcia, e ne sono rimasti profondamente scossi: quella che un tempo era una gamba minuta, ma pur sempre una gamba, era adesso un intruglio di sangue e carne umana, essendosi il pantalone strappato durante la caduta dell'albero e le forzature per farlo uscire.

A ciò, si aggiunge il fatto che loro, di primo soccorso, non ne sapessero assolutamente niente.

Dio, comunque, è curioso: ci ha messo crudelmente alla prova, e poi ci ha inviato un'altra mano dal Cielo.
Dal bosco, infatti, è spuntata una squadra di soccorritori che, venuti a conoscenza del bombardamento, si sono sparpagliati per tutta la zona, al fine di accertarsi che non vi fossero soldati feriti.

Aaron, previdente, ha fatto nascondere Ben e Yona: pur non indossando la stella, infatti (la nostra è una sottocomunità, e pertanto non c'è bisogno di segni contraddistintivi tra noi, ormai), li ha messi al sicuro, dicendo che di vittime ce ne sono state troppe ultimamente, e uno è meglio di tre.

I volontari si sono occupati della ferita, la quale è stata lasciata alla ragazza più giovane del gruppo, che, grossomodo, aveva la mia età.

Allarmato per la superficialità con cui hanno lasciato Shimon ad una Tedesca, corro nel bosco, senza dare ulteriori spiegazioni, nella speranza che in queste ore il mio amico non sia stato portato da qualche altra parte.

Alexander, oramai, è abituato, e d'altro canto ha preoccupazioni ben più importanti.

Oggi il vento sospira veramente tanto, e questa nevicata rende l'aria ancora più gelida, specie in un bosco in cui non filtra neanche un raggio di luce.

Trovo il luogo dove Shimon è stato bloccato per ore, e, poco dopo, trovo una ragazza con una leggerissima giacca bianca, intenta a rassicurare Shimon, che ora è sveglio più che mai e strilla per il dolore.

Mi avvicino a lui, e, dopo avermi visto, il mio amico mi stringe la mano, continuando a piangere: oggi ne ho abbastanza di dolore.

La stringo a mia volta, e poi mi giro verso la volontaria che è al mio fianco.

Caspita se è bella: ha i capelli biondi raccolti in una coda fatta alla rinfusa, gli occhi color nocciola, come i miei, e la pelle candida.

«Ti ringrazio per il tuo aiuto» le dico, cercando di mostrare il mio tedesco perfetto.

«È il mio dovere» mi dice, e rimango stupito: ha parlato in ebraico.

«Ho capito tutto, e devo ringraziare la mia insegnante che mi ha fatto lezioni private» mi spiega, cercando di sdrammatizzare.

«Perché siete ancora qui?» le chiedo, cercando di parlare il più lentamente possibile e di scandire per bene le parole.

«Mi serve qualcuno per portarlo in ospedale, e gli altri volontari si sono occupati dei soldati» mi spiega, parlando la mia lingua in maniera sciolta e fluente.

Guardo i suoi guanti insanguinati, e poi guardo la ferita di Shimon.

La guardo negli occhi, e la sua espressione mi dice che, ormai, non c'è più niente da fare.

«La ferita perde troppo sangue per essere medicata qui, e sta già soffrendo troppo. Ho fatto un laccio emostatico e ho passato la notte ad accertarmi che il battito fosse regolare e non avesse altri traumi interni, ma più di questo, qui, non si può fare» mi spiega.

«Ne sei sicura? Non sarebbe meglio cercare uno dei tuoi colleghi? Sei giovane, hai poca esperienza...» inizio a dire, ma la sua espressione mi dice che avrei fatto meglio a starmene zitto.

«Sono Anja Schulz, mio fratello è un medico in gamba, e mi ha insegnato i trucchi del mestiere. Se questo non ti basta, allora di certo puoi cavartela da solo» mi dice risentita.

«Va bene, scusa, non agitarti, pensiamo alla gamba» le dico, cercando di mantenere la calma.

Shimon è ancora dolorante, ma non ha più le forze per divincolarsi e strillare.

«Il laccio emostatico non durerà a lungo! Dobbiamo portarlo da qualche parte, e il più in fretta possibile!»

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