Capitolo 20
Alexander
Momentaneamente scosso mi riprendo, per poi correre dai ragazzi e radunarli in casa.
«Aaron, devi aiutarmi a portare dentro i ragazzi. Stanno bombardando» strillo al ragazzo.
Tutti, dai più grandi ai più piccoli, non hanno neanche un cenno di esitazione, ed entrano in fila indiana nel rifugio.
«Dov'è Sheina?» mi chiede Aaron, guardandosi intorno.
«Non ne ho la più pallida idea!» dico di rimando, con una malcelata preoccupazione.
«E Shimon? E Saul? Possibile che nei momenti più pericolosi tutti spariscano come polvere?» chiede retorico il mio giovane "assistente".
«Sono... sono nel bosco» sussurro afflitto.
«Non ho capito. Dove sono?» chiede lui ancora una volta.
«Santo Cielo! Sono nel bosco! Sono usciti questa mattina, e non sono tornati!» sbotto.
Non voglio sfogare la mia rabbia su di lui, ma sto morendo dentro: sono frustrato, arrabbiato, contrariato, estremamente preoccupato...
«Ma cosa passa per la testa di quei due? Perché non riescono mai a usare il cervello?» risponde Aaron che sembra agitato quasi quanto me.
«Mi sono chiesto la stessa cosa, ma non è il momento: devi entrare dentro casa se non vuoi saltare in aria» gli spiego.
«Non parlare al singolare, Alexander. O tutti, o nessuno. Non entro senza di te» insiste lui, sul ciglio della porta.
«Mi dispiace Aaron. Siete tutti miei figli, e vi adoro indistintamente. Nessuno morirà oggi» rispondo, per poi chiudere la porta a chiave.
Lo sento protestare, battere sulla porta, piangere e strillare, ma ciò non mi fa desistere dal mio intento: andare a cercare quei due sconsiderati.
Mi addentro nel bosco, mi volto e vedo quella che è diventata la mia casa e, prendendo coraggio, continuo il mio folle percorso tra questa fitta vegetazione.
In lontananza vedo una massa rarefatta di fumo che, al solo pensiero, mi provoca una tosse stizzosa.
Spero solo che Shimon e Saul siano lontani dalla sorgente e dal luogo in cui si è consumato questo terribile bombardamento, o Dio solo sa cosa potrei fare.
***
Oramai è da un quarto d'ora scarso che sto camminando a fatica, e il fumo si vede e sente in lontananza; dei due ragazzi, neanche la più minima traccia.
In questo breve tragitto ho ripensato a quella terribile giornata nel bosco, e a come sarebbe potuta diventare l'ultima della mia vita se la pazzia di Uri non avesse indossato i panni della Provvidenza.
Che poi, più ci penso e più mi fa strano chiamarlo così: Uri, "impetuoso", "fiammeggiante".
Nonostante la mia prima titubanza, devo ammettere che è un nome che gli si addice alla perfezione: impetuoso, come il suo carattere, il suo stato d'animo, e ancora la sua vita, il suo atteggiamento
Tutto di lui è impetuoso, perfino il suo pensiero più recondito che tiene nascosto nel suo cuore.
Vorrei strillare, chiamarlo, correre, ma i miei polmoni affaticati, le mie gambe vecchie e la paura di attirare l'attenzione di un possibile soldato mi trattengono.
Inizio a tossire sentendo il fumo che mi invade prepotentemente i polmoni, e l'immagine che si apre dinanzi a me non è quella del bosco rigoglioso, vestito di foglie marroni per la stagione autunnale, bensì quella di un cumulo di alberi sradicati che hanno assunto forme irregolari e poco consuete.
«Diamine Uri...» mi dico, non osando immaginare cosa ci sia nella zona esatta in cui è esplosa la mina.
Ad un tratto sento qualcuno che, tossendo rumorosamente, si sposta con passo strascicato.
Mi accosto dietro un albero, sporgendomi appena, nella speranza che si tratti di Uri, o Shimon, ma il fumo e il cielo oscurato rendono l'impresa ardua.
La figura si ferma in un contesto surreale, nel buio più totale, e riesco a percepire appena i contorni, che non sembrano essere quelli di un soldato.
Percepisco appena una frase pronunciata dal soggetto, ma mi arrivano parole spezzettate e confuse.
Strizzo gli occhi più che posso, e, se la mia vista non mi inganna, posso giurare di avere quasi davanti a me la figura di Uri.
«Sia ringraziato il Cielo» sussurro, volgendo lo sguardo verso le nuvole grigie, nere direi.
Decido di farmi più avanti, tanto oramai non ho più nulla da perdere, e tiro un sospiro di sollievo quando i miei dubbi diventano certezze, e l'esile figura di Uri si fa sempre più nitida.
«A... Alexander» balbetta lui, guardandomi incredulo.
«Sì, sono io» rispondo, abbracciandolo delicatamente.
«Dov'è Shimon?» gli chiedo, sciogliendomi da questo abbraccio di conforto che giova al mio cuore.
«Io... io... lo stavo cercando. Non lo so, non lo trovo!» si dispera, guardandosi intorno sconvolto.
Sospiro, chiudendo gli occhi, essendo preoccupato ora come non mai.
«Ascolta, dobbiamo mantenere la calma. Sono sicuro che si sarà nascosto da qualche parte. Adesso lo troviamo, okay? Di certo è al sicuro, deve esserlo, per forza. Ne sono certo, Dio lo avrà assistito di sicuro» dico più a me che a lui, cercando di convincermi.
Lui annuisce poco convinto, e iniziamo a camminare, mentre lui continua a tossire.
«E tu? Stai bene? Ti fa male qualche cosa?» gli chiedo premurosamente.
«Non sono io la priorità, Alexander. L'esplosione mi ha fatto perdere l'equilibrio e ho sbattuto la testa, ma non avrò nient'altro all'infuori di un bernoccolo, e un terrore tremendo. Non riesco a capire dove sia Shimon: era vicino a me, seduto davanti a un albero, ma quando mi sono ripreso dalla caduta non l'ho trovato» mi spiega, toccandosi la nuca dolorante.
È stato estremamente fortunato: un simile impatto con il suolo, quando la forza di gravità ha perso consistenza e la natura è stata smossa dal suo stato di quiete, avrebbe potuto portare conseguenze molto più gravi.
«Shimon!» inizio a urlare, ma non sento nient'altro all'infuori della mia voce che si propaga nel bosco, le foglie degli alberi che si muovono per il vento capriccioso, le nostre scarpe che calpestano qualche ramo.
«Alexander, qualcuno potrebbe sentirci!» mi ammonisce Uri.
Sono tentato di dirgli che, se ci troviamo in una simile situazione, è solo per colpa sua, ma mi trattengo.
«Shimon!» continuo, ignorandolo, ma di lui non c'è la più minima traccia.
«Dove eravate quando c'è stata l'esplosione?» gli chiedo.
«Io... io... non riesco a ricordarmelo» mi risponde Uri.
«Diamine, Uri, è di vitale importanza, letteralmente!» lo incito.
Nel suo sguardo leggo la dolorosa consapevolezza di essere stato scoperto, ma ha per lo meno la lucidità di rimandare la discussione, e sforzarsi di ricordare.
«Ricordo quell'albero! Ci siamo passati! Ci trovavamo più avanti!» mi spiega, e corre verso il punto che mi ha indicato.
Mi maledico per queste vecchie gambe che mi impediscono i movimenti, ma mi consolo vedendo che Uri, pur essendo giovane, si ferma.
«Che succede?» gli chiedo.
«Niente, solo... solo un giramento di testa» risponde, e io lo guardo titubante.
«Shimon!» continuo a strillare.
Rimango in attesa di un qualche segnale, e sento indistintamente il rumore di un sassolino che viene lanciato contro il tronco di un albero.
Vado verso la fonte di quel rumore, e quello che vedo mi lascia pietrificato: Shimon si contorce dal dolore, producendo rantoli confusi, mentre un albero gli blocca una gamba.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top