6.

Il telefonino di Valeria era rimasto sul sedile posteriore della macchina da quando ce l'aveva lanciato, e sembrava fosse passato un decennio.

Anche il cellulare sembrava pensarla così, perché segnava ventisette chiamate perse.

Numero privato.

Il cuore di Valeria ebbe un sussulto, ma lei non perse tempo a chiedersi perché si sentisse così esposta: avevano chiamato ventisette volte, avrebbero chiamato ventotto.

E proprio mentre finiva di processare questa considerazione, lo schermo si illuminò, la suoneria partì.

«Pronto?» disse. Era solo un interrogativo, privo di qualsiasi altra inflessione. Si aspettava qualsiasi cosa.

«Valeria.» constatò la voce dall'altra parte.

«Chi sei?» fece lei, alzando un po' il tono. Non riusciva a inquadrare a chi appartenesse quel timbro scuro, un po' rauco, da persona che fuma. A meno che...

«Quello di oggi. Capelli chiari e calibro 15.»

Valeria sentì le gambe smettere di sostenerla, e prima di cadere per terra si aggrappò alla fiancata della macchina e finì per sedersi sul cofano.

Lo sapevano. Avevano capito tutto.

«Sono l'unico che sa.» ecco, quello fu il momento in cui la conversazione iniziò ad andare in una strana direzione.

Valeria non sapeva cosa dire. Subito le uscì dalla bocca una debole esclamazione, a metà tra un "uh" e un "eh", poi deglutì e si decise a parlare: «Cosa volete da me? Cosa volete da mia sorella?» si trattenne a stento dal gridare l'ultima frase.

«Hai detto a qualcuno di quello che è successo oggi?»

Valeria non rispose. Se avesse detto di sì ci sarebbe andato di mezzo Enzo, ma se avesse detto di no e il suo interlocutore avesse capito che stava mentendo ci sarebbe andata di mezzo Anna.

«A chi?» domandò implacabile il Muto. Il silenzio di Valeria aveva parlato da solo.

«A un amico.» mormorò lei, riluttante.

«Non importa il nome. So chi è.»

Valeria strinse più forte il cellulare, che sentiva caldo contro la sua mano gelata.

Quante cose ancora sapevano di lei?

«Ti puoi fidare di lui?»

Beh, questa era una domanda fuori contesto.

«Sì.» rispose Valeria, a denti stretti.

«Lo vedremo.»

«Senti, tu...»

«Il Muto.»

«Cosa?» Valeria non era sicura di aver capito bene.

«Io sono il Muto.»

«Muto» convenne Valeria, costringendosi a rimanere calma e a non irritare oltre misura l'uomo che teneva in ostaggio sua sorella «Non so cosa vogliate dalla mia famiglia, ma vi prego...» si interruppe, colpita da un pensiero improvviso «Uno scambio! Facciamo uno scambio, me al posto di Anna. Così qualunque cosa vogliate fare...»

«Il mio capo vuole tua sorella, non te.»

«Che...» Valeria, con tutte le possibilità che aveva preso in considerazione, non si sarebbe mai sognata che potessero volere Anna in quanto Anna.

«Valeria.» la voce del Muto richiamò la sua attenzione «Non devi parlarne con nessuno.» tacque.

Poi, come se temesse di non essere stato abbastanza chiaro, ribadì «Non chiamare nessuno. Né la Polizia né i Carabinieri, né qui né altrove.»

Questa poi era bella! Perché chiamarla? Non sarebbe stato poi così difficile farla fuori, visto che era così scomoda. Perché avvertirla e complicarsi la vita, sapendo che non c'era nessun motivo valido per cui lei potesse non denunciare il rapimento?

Al diavolo.

«Allora uccidimi, se ti pare.»

Udì un sospiro impaziente, poi il Muto parlò «Non ti serviranno soldi, denunce o minacce. Il mio capo vuole tua sorella morta, e la ucciderà.»

«No! Non... Non può, io...»

Il Muto interruppe il balbettio incoerente di Valeria: «Chi mi manda è una donna testarda. Se lei finisce in carcere, qualcun altro eseguirà i suoi ordini.»

La reazione di Valeria, a quel punto, fu quella di cercare di coprire le sue parole urlando: «Non è vero! Quello che dici è...»

«È già successo l'ultima volta.»

Ci fu un momento di silenzio, poi Valeria chiese, con una specie di singulto «L'ultima volta?»

«Matteo Barrisa. Sai chi è.» Matteo Barrisa, certo che sapeva chi era. Sei mesi prima un ragazzino era stato colpito per errore in una sparatoria tra bande rivali, e per colmo, solo poco tempo prima, lo stesso ragazzino era scampato per miracolo all'aggressione di un maniaco. Come dimenticarselo...

La realizzazione colpì Valeria come uno schiaffo «Voi avete...»

«Io non c'ero. Vedi, però, come sia facile...»

No, no... Però... Non aveva senso! Perché allora non ucciderli da subito? A che scopo inscenare un rapimento? Matteo si era preso un colpo di pistola dritto al cuore. Anna...

«Perché? Perché, cazzo, perché?» urlò Valeria, e con l'urlo arrivarono ancora una volta le lacrime, piccole, agli angoli degli occhi.

Il Muto non rispose a questa domanda, mentre Valeria trovava un secondo di tempo per riflettere, e riusciva a pensare ancora una volta che se il rapitore si era disturbato a chiamarla, anziché mandare qualcuno a farla fuori, doveva esserci un motivo. Quale?

Forse stava bluffando, forse né lui né il suo capo potevano fare niente. Ma solo forse, e Valeria non avrebbe basato la vita di sua sorella su una possibilità.

«Perché hai chiamato?» domandò bassa.

«Io non voglio il mio capo in carcere, tu non vuoi tua sorella morta. Possiamo fare un patto.»

Valeria scattò in piedi, incredula «Un patto?» mormorò quasi tra sé e sé, poi fece una specie di sorriso, forse più un ghigno, e disse: «E se io uccidessi lei? Se uccidessi il tuo capo, come la metteresti? Non è tanto difficile capire chi è.» Beatrice Volpi, la donna per cui era stata scambiata e che forse il Muto conosceva di persona. E poi, a questo punto poteva anche sondare il terreno.

«Difficile.» le rispose il suo interlocutore, con quel suo modo preciso di allungare le sillabe e staccare le parole tra di loro, dando a ciascuna un peso «In tal caso, comunque» il Muto abbassò di un poco la voce «sarei io ad uccidere tua sorella. Personalmente.»

«Allora dimmi!» esclamò Valeria, quasi con ferocia, con il cuore che le martellava nel petto «Dimmi com'è questo patto!»

«Tu non dici niente a nessuno. Niente a nessuno

Valeria non replicò. Era sottinteso.

«Io» proseguì il Muto «Ti procuro documenti falsi per te, tua madre e tua sorella, un mezzo sicuro per espatriare e un posto dove andare, accetti?»

Aveva parlato lentamente, al punto che sembrava aver lasciato cadere le sue parole lungo uno o più anni, tuttavia Valeria ci mise un po' a capire quello che le si proponeva.

Lasciare tutto. E riavere Anna.

Fu a quel punto che realizzò un altro dettaglio che le fece quasi cadere il telefono.

«E mio padre?» chiese tremante.

«Tuo padre non deve venire.»

«Cosa?!» Valeria sentiva di voler gridare, eppure le uscì una voce strozzata, debole come se qualcuno l'avesse presa per il collo.

«Non deve venire.» ripeté il Muto con più forza.

«Adesso spiegami. Spiegami perché mio padre non deve venire, e perché avete preso mia sorella, e perché io non sono ancora morta. Spiegamelo!»

«Due settimane e ti farò avere i documenti.»

«Ehi...»

«Accetti?»

Valeria esitò. Ma esitò per poco, perché in quel momento non sapeva come altro tirare fuori Anna da lì, ed era disposta a provarle tutte. Poi si sarebbe visto.

«...D'accordo.»

Poi parlò ancora una volta, in tutta fretta per paura che l'altro mettesse giù: «Ma dimmi perché mi aiuti.»

«Si può dire» il muto fece una pausa, come se stesse riflettendo sulle parole da mettere assieme «che io abbia un debito. Con la tua famiglia.»

Valeria alzò un sopracciglio «Beh, non è molto convincente.»

«Tieni a mente» disse ancora il Muto «che io non ammazzo bambini. Non sono un assassino.» la sua non era una difesa, né una dichiarazione. L'aveva detto come si può far presente il colore dei propri capelli, o degli occhi.

«Ah, no? E cosa sei, allora?» Valeria non si preoccupò di smorzare i toni: tanto sembrava patetica, non sarcastica.

«Un uomo d'onore.»

A quel punto Valeria non sentì più niente.

«Ehi? Ehi!» chiamò con urgenza, ma non c'era niente da fare.

Il Muto aveva messo giù.








Valeria attraversò la strada annodandosi un po' meglio il fazzoletto sotto al mento. Doveva solo percorrere un paio di isolati senza farsi vedere e...

«Valeria!» la chiamò una voce lacrimosa alle sue spalle.

Valeria chiuse gli occhi, irritata, poi si girò con riluttanza «Claudia.» salutò rigida.

La mamma di Enzo, ci mancava lei.

La donna le si avvicinò, e Valeria notò che era parecchio cambiata dall'ultima volta che l'aveva vista. Aveva un aspetto dimesso, camminava leggermente curva, raccolta su sé stessa come se avesse paura di perdere i pezzi, e aveva delle ombre sotto agli occhi.

«Sei stata da Enzo, vero?» domandò senza tante cerimonie.

«Sì.» rispose Valeria, voltandosi e già allungando il piede per rimettersi a camminare.

«Aspetta!» la fermò lei «Quando è tornato speravo che avesse messo la testa a posto. Che fosse solo una pazzia, che sarebbe passata...» tirò su col naso «Ma adesso sei arrivata. Ti prego, diglielo tu, fagli cambiare idea!» esclamò, trattenendola per un braccio.

Valeria girò la testa e la guardò da sopra la spalla.

«Non è una cosa su cui si possa "cambiare idea"» replicò mentre si scostava, sottolineando ironica le sue ultime parole.

«Mio figlio, il mio unico figlio, un finocchio!» Claudia, addolorata, si torse la stoffa del vestito tra le mani e farfugliò: «Io... Un così bel ragazzo... Avrei voluto dei nipoti, e sapere che...»

Ma Valeria era sorda a tutto questo, aveva cose più importanti a cui pensare e il modo in cui quella donna e suo marito avevano trattato il suo migliore amico per così tanto tempo la disgustava anche adesso, e nel profondo. Lanciò un'occhiata di disprezzo alla sua interlocutrice attraverso le lenti scure e se ne andò, cercando di convincersi che Claudia l'aveva riconosciuta solo perché la conosceva bene.










Arrivata a casa Valeria gettò la borsa sul pavimento e si sedette sul divano guardando davanti a sé come se avesse sviluppato un particolare interesse per il vuoto.

Aveva lasciato la sua valigia nella macchina, macchina che in questo momento si trovava nel garage di Enzo con la targa staccata. Chissenefrega.

Tutto quello che era successo... Le stava venendo un gran mal di testa.

Tolse gli occhiali di Enzo e la sciarpa e li cacciò nella borsa con foga per farli sparire.

Lo specchio nero del televisore del salotto le restituì la sua faccia seria, senza segni.

Lei però non si sentiva normale, non lo era, e appena i suoi fossero tornati a casa...

Rovesciò la testa all'indietro, sullo schienale del sofà. Da una parte c'era Anna, morta, dall'altra c'era ignorare completamente quello che le era successo e comportarsi come se quel giorno non fosse stata lì, mentre si preparava a lasciare la sua casa, i suoi amici, la sua vita. Suo padre.

Vinceva la seconda, di gran lunga, ma non poteva non chiedersi cosa avrebbero fatto a suo padre. Lo avrebbero ucciso? Ne avevano bisogno per un altro motivo?

Avrebbe detto ai suoi genitori della chiamata del Muto e del patto e di Beatrice Volpi, ma solo se e quando non ci fosse stato altro da fare.

Si alzò e andò in cucina. Spesso Valeria cucinava e anche quella volta, sì, avrebbe cucinato, per far sembrare tutto come doveva essere.

Dunque, torta di mele.

Non c'era alcun bisogno di farne una, poteva dire dalla terrina sporca di cioccolato nel lavandino che di dolci in casa ce n'era già a sufficienza, ma in ogni caso... Torta.

Era la cosa più semplice da fare.

Mentre lasciava la teglia a raffreddarsi, salì al piano di sopra.

Entrò nella camera di Anna con più esitazioni di quante ne avesse mai avuto in vita sua, temporeggiando, ma dopo essersi stufata di stare sulla soglia a fissare il vuoto si decise a fare un passo oltre.

Anna sarebbe tornata lì dentro, ne era sicura. Avrebbe dormito di nuovo circondata dai suoi peluche, si sarebbe svegliata al suono della sua sveglia a forma di mela e si sarebbe rifiutata di mettere la stanza a posto dopo che lei e le sue amiche avevano replicato la battaglia di Waterloo sul pavimento. Sì.

Poi ricordò che se avesse dato retta al Muto – e se lui non le avesse uccise, questo era ovvio – sarebbero dovute partire, e il groppo alla gola tornò.

Gettò una rapida occhiata dentro all'armadio, per accertarsi che quel pomeriggio Anna indossasse davvero la sua tuta bianca e rossa. Lo zaino era quello blu, ce l'aveva sulle spalle quando i rapitori l'avevano caricata in macchina, e lì nella stanza non c'era.

Il calendario sopra il letto era pieno di scritte esagerate, fatte coi pennarelli indelebili.

La data di quel giorno era ripassata più volte in rosso, con sopra una frase gigante che copriva parecchi altri numeri: "TORNA VALERIA!!!"

Le lacrime di Valeria si fermarono giusto prima di scendere, visto che la proprietaria degli occhi gli aveva intimato di stare dove stavano.

Bel ritorno, davvero. Non aveva potuto fare niente per rivedere la sua sorellina, quel giorno lì.

Sulla scrivania, stranamente in ordine, c'era un pezzo di stoffa rossa sfilacciato con sopra un biglietto: "mamma, me la cuci?" la firma era una faccina triste.

La riconobbe subito: la fascia di Anna.

Anna Rita se la portava sempre dappertutto, come una specie di portafortuna, e infatti oggi non ce l'aveva e guarda cos'era capitato...

Valeria non era superstiziosa. Per niente. Ma prese ugualmente la fascia come segno di buon augurio e se la mise in tasca.

Ci avrebbe pensato lei a restituirla ad Anna, di persona. Ma poi avrebbe dovuto spiegarle che se ne dovevano andare, e che papà sarebbe rimasto lì... questo se non avesse trovato un'altra soluzione in tempo, ma non sembrava essercene una all'orizzonte.

Vide dalla finestra la macchina dei suoi entrare nel vialetto e corse giù. Pronta per la scena madre?

Pronta.

«Valeria, sei tornata!» la abbracciò la madre, baciandola sulle guance. Poi la allontanò da sé e la squadrò in viso, preoccupata. Valeria trattenne il fiato.

«Ma mangi abbastanza?» disse infine la madre «Ti sarai mica messa a dieta?»

«Me lo dici tutte le volte» fece Valeria, con fare esasperato «e io mangio sempre nello stesso modo.»

«Ehi, Anna, ma non sei andata ad allenamento?» la voce di suo padre giunse dal salotto.

Papà...

«No, no, non è Anna: c'è Valeria!»

«Ciao papà!» disse lei, tirando fuori tutta la riserva di felicità che aveva accumulato nel corso degli anni; sembrava che non ce ne sarebbe stata più per un bel po'.

"Tuo padre non deve venire."

"...D'accordo"

Si sentì come se le avessero tirato un pugno con forza, in pieno stomaco.

Michele Guzzani entrò in cucina in tutta fretta «Ciao, bellezza!» disse scherzoso. Si salutarono come facevano di solito, con una forte pacca tra le mani, a palmi aperti.

«Non ho visto la tua macchina, in garage.»

«Prima di venire qui sono andata da Enzo, e sono tornata a casa a piedi per fare una passeggiata.» scrollò le spalle con un sorriso «Andrò a prenderla domani.»

«Hai visto Anna?» chiese suo padre.

Valeria aggrottò le sopracciglia, mentre tutti i muscoli del suo corpo si tendevano senza che lei avesse chiesto loro di farlo.

«No, sarà andata a pattinaggio prima che arrivassi.» replicò, e dicendolo pensava che Anna non era a nessuna lezione, ma nella stanza di una casa sconosciuta, al buio, spaventata, e che il giorno dopo si sarebbe svegliata con l'illusione di essere a casa sua e invece...

«Ah, quindi non sei tornata da tanto! Costanza» aggiunse Michele rivolto alla moglie «quando torna Anna potremmo andare a mangiar fuori tutti assieme.»

Ma Anna non sarebbe tornata quella sera, e Valeria non ce la faceva più. Fece per uscire dalla cucina, ma la voce di sua madre la trattenne.

«Valli, ma hai fatto una torta?» disse Costanza, dispiaciuta «Ne ho già fatta una io.»

Valeria si fermò sulla porta, con la mano che scivolava lungo il battente.

«Oh, quella è per i miei amici.»

Alle otto sua madre iniziò a preoccuparsi e chiamò il cellulare di Anna.

«Anna, dove sei?» la sentì dire Valeria al telefono, d'impeto.

La ragazza trattenne il fiato con un filo di speranza in gola, pronta a gridare "grazie al cielo". Poi vide la realizzazione e l'ansia sul volto della madre.

«É spento.»

Alle otto e un quarto si preoccupò anche suo padre, e ad essere chiamata fu l'insegnante di pattinaggio.

«Dice che non è andata... Alla lezione, non c'è andata!» disse Costanza, andando in iperventilazione.

Alle nove furono chiamati i carabinieri, solo dopo che metà del paese era stato arruolato per trovare Anna.

Venti minuti e diciassette secondi dopo, a sentire l'orologio di Valeria, cominciò l'inferno.

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