4.

La giornata del Primo Dirigente del commissariato di San Graziano di Sotto era stata una giornata di merda, e non c'era nient'altro da dire.

Si era presentata come un'accozzaglia di minuti disgustosi passati a prendere gli ultimi accordi con persone disgustose nell'attesa di fare cose ancora più disgustose. Il casino era che non era ancora finita.

«Dottore» disse Concetta Imbroccati, la giovane appuntata al banco, con il tono di una persona che si ritrova improvvisamente circondata da spine e non sa più in che direzione muoversi «la ragazza che ha chiamato alla Centrale, quella del rapimento...»

«Ebbene?»

«Ho sentito di nuovo quelli di ***. Non ha più richiamato.»

«E spero bene. Se è abbastanza intelligente avrà capito, e non richiamerà più.»

«Ma l'avranno notata... E a *** l'hanno messa in attesa, perciò...»

«Fa differenza?» se anche l'avevano notata, bastava che la ragazza avesse capito e non avesse fatto sciocchezze.

Tutto qui.

Sperava solo di non essersi cacciato in una situazione più seria di quello che sembrava; aveva una brutta sensazione al riguardo, ma davvero – a guardare la faccenda per com'era adesso – sembrava solo uno di quei casi in cui ci si guadagna di più a non interferire.

Dopotutto avrebbero rilasciato la bambina, e anche se lei e i suoi genitori e sua sorella si sarebbero presi uno spavento tale da bastare loro per tutta la vita, così andava il mondo, e sarebbe anche potuto andare peggio.

"Io non do fastidio a loro" pensò "e loro non danno fastidio a me."

Beh, non più di quanto non facessero già.

Il suo sguardo scivolò automaticamente su uno schedario, che sapeva pieno di poco più che ritagli di giornale, il quale recava la scritta "Casco d'Oro".

Proprio una cosa da malafemmina, farsi chiamare con il soprannome di una troia francese.

«Dottore» disse ancora Concetta, interrompendo il filo dei suoi pensieri «Non c'entra mica lei, vero?»

Il Primo Dirigente cacciò fuori una risata «Casco d'Oro, quella puttana sanguinaria? Ma fammi il favore! I boss e i pezzi grossi non si interessano di cose del genere. Conosco, so che tipo è il padre della bambina, e ti dico che al massimo può aver pestato i piedi a qualcuno che vuole solo ricordargli di non farlo mai più.»

Detto questo il Primo Dirigente si ritirò in ufficio in compagnia di una rivista e del suo thermos di caffè.

Entro un paio d'ore, se la ragazza fosse stata furba a sufficienza, la famiglia si sarebbe resa conto della scomparsa. Allora sarebbe stato tutto un "commissario lì, commissario là" e lui avrebbe passato il tempo a fare finta di fare il proprio lavoro di fronte al resto della città, e a fingere di non volerlo fare di fronte ad un paio di persone.

Che giornata di merda.







Salvo detto 'il Muto' stava chiamando con il telefono ormai da parecchio tempo, a intervalli regolari di cinque minuti, ma nessuno gli rispondeva.

Il tempo passava a gocce. A gocce bastarde, per quello che lo riguardava, visto che non ne aveva molto.

Si decise a posare il cellulare sul tavolo. Tenerlo in mano era inutile, e non lo aiutava a pulire la pistola.

Era il primo giorno e già c'era da fare manutenzione.

Gli sfuggiva come qualcuno potesse aver dato a Tore – quel coglione che si erano dovuti portare dietro – una Beretta calibro 9. Non sapeva cosa ci aveva fatto, ma sembrava finita nella merda.

E ce l'aveva solo da un paio di mesi.

Lasciò i pezzi a riposare nel solvente e raccolse con metodo i fascicoli abbandonati sul tavolo.

Il suo sguardo si fermò sulla foto della ragazza con i capelli biondi e gli occhi verdi, attaccata con una graffetta ad un plico di fogli, e la sua inquietudine tornò, più pressante di prima.

La sua intuizione si era rivelata corretta: la ragazza era quella giusta, e per fortuna aveva pensato che potesse essere lei dal momento in cui aveva ottenuto le prime informazioni: se non si fosse reso conto delle coincidenze non avrebbe mai insistito perché gli procurassero il numero. Ed era andata bene che Beatrice se n'era lavata le mani e aveva lasciato fare tutto a lui, questo poco ma sicuro.

Ripensò alla ragazza. Valeria.

Sull'onore di suo padre, di Beatrice e di ciò che aveva di più caro, quel giorno era successa una cosa davvero incredibile...

Riprese in mano il cellulare e, per l'ennesima volta, chiamò.

Gli squilli rotolarono uno dietro l'altro, poi si persero, e Salvo restò ancora qualche attimo con il telefono sollevato all'altezza dell'orecchio.

Questa era la prova che stava per andare tutto a puttane.

Ricacciò il cellulare sul piano di legno, malamente, e ribadì a sé stesso che non avrebbe detto alla sua datrice di lavoro dei nuovi sviluppi, comunque andassero le cose.

La conosceva da troppi anni per non sapere quale sarebbe stata la sua reazione.

La porta si spalancò ed entrò il suo collega, che finalmente aveva deciso di togliersi quel dannato berretto rosso.

«Ehi, Muto. Ho mandato quello stronzetto di Tore a portare su la roba da mangiare.» rise di una risata poco significativa, da telefilm americano «Sembra una moglie cornuta, con tutte quelle borse.»

«La bambina?» chiese Salvo.

«E cosa vuoi che faccia la marmocchia? Dorme. Comunque torno a darle un'occhiata fra un po'.»

Salvo annuì, senza dire niente.

«Minchia! Adesso ho capito perché ti chiamano 'il Muto', un morto ammazzato parla più di te.»

Salvo invece aveva capito perché chiamavano il suo complice 'il Biscia' ancora prima di incontrarlo.

Lo conosceva di fama, anche se con lui non ci aveva mai lavorato prima, e non ne era particolarmente impressionato, in nessun senso.

Salvo in vita sua aveva ucciso – spesso, anche – e non era solito pentirsene. Ma considerava sé stesso un uomo d'onore, senza nulla a che spartire con gente come il Biscia: feccia e, nello specifico, assassini di professione.

A metà strada tra Salvo e un serial killer, ma più verso il serial killer.

«Senti, ti volevo dire» riprese Biscia, togliendosi il giubbotto senza maniche della tuta da lavoro e rimanendo in canottiera «a te non è sembrata un po' strana la faccenda di oggi, con la Volpi che viene qui e tutto il resto? Che non dico che ci abbia venduti o roba strana, eh» si affrettò ad aggiungere «ti chiedo solo se tu c'hai qualche idea del perché.»

«Ho già chiamato i capi. Tutto regolare.» replicò Salvo.

Era quasi divertito da quella situazione così beffarda, e si chiese senza troppo impegno se il Biscia si sarebbe mai trovato a rendersi conto di quanto poco sapesse.

Probabilmente sarebbe morto prima.

«Ti dico, non sembrava nemmeno lei, non so se mi sono spiegato...» riprese il collega, sempre ironicamente ignaro.

A Salvo venne da ridere. Che minchia ne sapeva il Biscia di com'era Beatrice Volpi?

«Era lei. Io l'ho già vista, ed è proprio così.» Salvo, che stava metodicamente staccando l'etichetta del solvente, giusto perché finché l'altro non se ne fosse andato non avrebbe avuto nulla da fare, cominciò a desiderare di poter uccidere il Biscia in quel momento. Non si stava neanche più divertendo.

«Ma va', la conosci? Dal vivo?»

Salvo alzò le spalle.

«Ma porco di un cane» fece il Biscia, scaraventando il giubbetto blu su una sedia «mi venisse un colpo se non era rigida come un bacco. Aveva paura, te lo dico io.»

Salvo fece un sorrisetto, senza curarsi di non farlo sembrare sprezzante «Per quello che ne sappiamo noi, magari c'aveva le mestruazioni.»

Il volto del Biscia rimase lì di fronte a lui, tondo e vuoto d'espressione come un uovo al tegamino, finché il suo proprietario non fece una risata sguaiata «E c'hai ragione, va'... E del resto, che ti hanno detto i capi?»

«La signorina aveva da sistemare alcune cose a ***» continuò senza fretta e con poca voglia, pensando che se Beatrice lo avesse sentito chiamarla 'signorina' si sarebbe fatta una risata molto poco a modo «ed è passata di qui.»

«Già, che la Volpi viene da ***, vero?»

«Sì.»

«Senti, a me importa che mi paghino, e chissenefrega se la Volpi ce l'aveva storta.» decretò il Biscia, poi corrugò le sopracciglia folte e scure come due processionarie, quei bruchi grassi e pelosi che si mettevano tutti in fila sui muretti o negli spiazzi, e che Salvo da piccolo giocava a separare l'una dall'altra con un legnetto.

Questo gli ricordò il giorno in cui era bambino e suo padre lo aveva portato a vedere Beatrice appena nata, perché si era sempre fatto così, e quello era stato l'ingresso di Salvo nel suo mondo, che era stato il mondo di suo padre prima di lui...

La voce del Biscia, cui evidentemente era riuscito di fare una pensata più profonda del solito, lo separò dai suoi ricordi come lui aveva separato i bruchi un tempo «Dev'essere davvero una che conta... e dimmi, con chi ha legami? Donnafugata? Casco d'Oro? Il Masiello?»

Salvo alzò le spalle «Non so.»

Tirò fuori i pezzi della Beretta con deliberata lentezza e li dispose su un panno, poi si dedicò ad asciugarli, senza una parola.

Gettò un'occhiata al cellulare.

Non poteva chiamare di fronte al Biscia, o si sarebbe chiesto che cosa stesse succedendo, e davvero: ne aveva abbastanza. Perciò si alzò e fece scivolare il telefono nella tasca dei pantaloni.

«Vado al cesso.»










N.d.A.: Sì, lo so che vi ho sconvolto aggiornando in anticipo U.U

Spero che fin qui sia tutto chiaro, se c'è qualcosa di troppo fumoso fatemelo sapere!

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