22. Luce
Il fuoco attecchì subito.
I vecchi registri erano infiammabili che era una meraviglia!
Vincenzo corse come un dannato. Se ci fosse stato un record per la corsa a serpentina tra mobili in procinto di finire in cenere lo avrebbe polverizzato.
O più probabilmente avrebbe mandato a fuoco anche quello, tanto ormai era diventato un piromane! Ma cosa gli era saltato in mente?
Se lo avesse visto sua madre... un momento, lui era gay, perciò per sua madre aveva smesso di esistere. Dunque al diavolo!
E così mentre correva tra le cataste di vecchiume Vincenzo urlò selvaggiamente.
«Che succede?!» domandò Tore allarmato, quando se lo vide arrivare davanti urlante.
«Niente. Prendi Anna.»
La bambina, che avevano già liberato della coperta, scelse proprio quel momento per svegliarsi, o forse era già da un po' nel dormiveglia e al primo contatto aveva reagito male.
Fatto sta che appena Tore fece per prenderla in braccio incominciò a menare calci e pugni gridando come un'ossessa. Del resto era sorella di Vale. Che ci si poteva aspettare?
«Anna, calmati!» fece Vincenzo, ma rimase inascoltato.
Tore cercò di placarla facendole segno di stare calma, e lei per tutta risposta gli tirò un calcio, cacciando uno strillo più forte degli altri.
Il piede mancò la faccia, ma in compenso centrò in pieno la mano, che Tore aveva alzato per difendersi. Naturalmente nella mano di Tore c'era ancora la pistola, e naturalmente non aveva rimesso la sicura, quel deficiente!
Il colpo passò a pochi centimetri dalla testa di Vincenzo e andò a conficcarsi dritto tra le corna di un alce impagliato dietro di lui. Nonostante le ginocchia molli, Vincenzo si costrinse a rimanere in piedi: se avessero perso altro tempo sarebbero finiti carbonizzati.
Decise di prendere l'iniziativa, scattò in avanti e catturò il polso di Anna.
«Anna, ma ci stai ferma, porco cane?» esclamò.
La bambina si paralizzò all'istante.
«Enzo?» sussurrò.
«Sono io.» le tolse la benda dagli occhi «Adesso lasciati prendere da Tore, che qui inizia a fare un po' caldo. Ti portiamo fuori.»
Per qualche strana ragione, quando uscirono c'era una folla pazzesca ad aspettarli.
Oltre il cancello era pieno di gente, che però non stava guardando loro ma una macchina che si allontanava verso il paese.
Chissenefrega.
La prima a girarsi fu una ragazza, che tirò per la spalla la sua amica in maniera molto ineducata.
L'amica si portò una mano alla bocca.
Poi ci furono quelli che li notarono con la coda dell'occhio, e quelli che udirono i passi, e quelli che sentirono l'odore del fumo.
Alla fine li guardavano tutti.
Tore, con un'espressione compiaciuta, sollevò Anna su una spalla in segno di vittoria.
Anna piangeva.
Solo Vincenzo si girò nella direzione in cui guardavano tutti, come se cercasse lo sguardo di qualcuno dietro di lui.
Addio, assurde scenografie della maestra Assunta.
Valeria sentì le voci farsi più forti, sempre di più.
Erano voci di festa. Scambiò un'occhiata col commissario, smarrita, ma lui, accigliato, sembrava non saperne più di lei.
Poi cominciarono a bussare.
All'inizio erano esitanti, poi sempre più insistenti, Finché i vetri della finestra coperta dalle tapparelle tremarono sotto i colpi.
Chiunque ci fosse fuori stava urlando qualcosa di incomprensibile.
Il commissario si alzò e andò alla porta.
«Che diavolo succede là fuori?» chiese infastidito a qualcuno che Valeria non riusciva a vedere.
L'interpellato replicò qualcosa in tono basso e vagamente spaventato.
«Ma quale rivolta popolare!» esclamò indispettito il commissario, abbandonando il suo interlocutore e tornando a grandi falcate verso la finestra.
La spalancò di botto, e la questura fu inondata dal sole di luglio.
Per un attimo l'unica cosa a stagliarsi contro la luce, davanti a Valeria, fu la sagoma scura dell'uomo. Poi vide quello che c'era dietro emergere lentamente.
Il contrasto tra la penombra dell'ufficio e l'esterno luminoso le fece lacrimare gli occhi, mentre distingueva facce che la chiamavano, come un'onda.
«Rilasciatela!»
«Valeria, Valeria!»
«È viva!»
Alcuni si voltarono indietro, tendendo le mani verso qualcosa che Valeria non vedeva, perché finiva fuori dalla cornice della finestra.
Era Anna.
Era Anna e volava sulla folla – no – veniva portata dalla folla appoggiandosi alle mani di chi la sosteneva, con un sorriso che sconfiggeva i confini del suo viso e le lacrime che le impiastricciavano le guance sporche.
Annina, che aveva urgente bisogno di una doccia.
Valeria si alzò dalla sedia di scatto, tirò una ginocchiata contro la scrivania – ma in quel momento a chi importava? - cadde distesa sul tavolo, si rialzò e saltò sulla sedia del commissario per lanciarsi in avanti quasi accoppando l'uomo.
Colpo di scena.
Un colpo così forte che il mondo stava tremando, o forse erano solo le lacrime che le offuscavano la vista.
Valeria, sorridente, spinse di lato il commissario e tese le mani.
Qualcuno depositò con cautela Anna sul davanzale, e l'aria si riempì di scatti, ma non era una sicura tolta, o un grilletto: solo un mucchio di macchine che scattavano foto tutte assieme.
Anna balzò giù dalla finestra, atterrando la sorella e facendole dare una testata contro qualcosa di duro e di non identificato, e addio momento poetico.
Ma faceva nulla. Anna era viva, e a giudicare dal male alla capoccia non era neppure un sogno.
«Ma cosa ci fai in carcere, Vale?» disse la sorella, scuotendola per le spalle.
«Pensavano che ti avessi uccisa, ma evidentemente non è tanto vero.»
La bambina sollevò il viso sporco e incredulo verso il commissario «Come vi è venuto in mente? Proprio Valeria!» se la abbracciò e scoppiò a ridere, piangendo.
Il commissario aveva una faccia contratta in un'espressione indecifrabile, come se lottasse per non unirsi alla festa generale ma sapesse benissimo quanto fosse nei guai adesso. Anna tirò Valeria verso la finestra.
Prima di uscire, con un piede già sul cornicione, Valeria si voltò verso il commissario: «Devo proprio andare, adesso.»
Lui annuì. E basta.
Valeria si lasciò cadere nella luce.
Aveva sentito parlare di luce un sacco di volte da sua nonna, che parlava dell'illuminazione data dal Signore e di tutte quelle cose lì, ma Valeria non aveva mai visto luce più bella di quel sole di luglio, che cadeva sulla piazza e illuminava Anna e il cielo e tutta la gente.
Cercò con lo sguardo Enzo e lo vide lì, proprio al centro, con una macchina fotografica ancora stretta in mano e un ghigno che si sforzava di non far diventare un sorriso.
Corse trascinando Anna per un braccio, perché guai se gliel' avessero ancora portata via, e abbracciò Enzo di slancio.
«Grazie.» sussurrò «Ad un amico non si può chiedere più di questo. Grazie.»
«Mi hanno salvato lui e Tore.» precisò Anna, che probabilmente non ci stava capendo un granché.
«Tore?»
Enzo fece segno che le avrebbe spiegato dopo.
Anna guardava sbalordita tutta la gente che aveva attorno.
Quelli che la conoscevano la abbracciavano, alcuni erano addirittura commossi.
Anna tirò Valeria per i pantaloncini «Hai visto?» disse con gli occhi che le brillavano, forse per le lacrime, forse per il sole o chissà «Tutta questa gente... volevano tutti che tornassi!»
In quel momento si udì un stridore di gomme, e Valeria si voltò.
Una macchina doveva aver cercato di entrare a tutta velocità nella piazza, e incontrando il muro di folla aveva dovuto inchiodare.
«Anna!» la voce di sua madre tagliò l'aria sovrastando tutte le altre.
«Mamma! Papà!»
Mentre Anna spariva nell'abbraccio dei genitori, Enzo disse a Valeria: «Lo sai che tutta questa gente si è accalcata qui e ha voluto giustizia e si è commossa eccetera eccetera solo perché siete la notizia del momento, vero?»
Valeria annuì «Quasi tutti.» ammise «Dopotutto sono gli stessi che mi avrebbero fatto volentieri la pelle. Ma non c'è bisogno che Anna lo sappia adesso.»
«E ora? Non abbiamo ancora finito, o mi sbaglio?»
«No.» convenne Valeria.
«Prima però mi devo medicare le mani.» le fece notare Enzo, mostrandole le dita ferite.
«Avrai tempo dopo.» disse sbrigativa lei, rimanendo impassibile di fronte all'espressione irritata del ragazzo che diceva "la solita Valeria".
«Portatemi un decolorante, una tintura per capelli biondo grano, Chiara, un panino e una telecamera.» abbaiò invece rivolta a quelli che aveva attorno «E, già che ci siamo» aggiunse, gettando un'occhiata alle ferite di Enzo «anche un disinfettante.»
Poi, vedendo che la gente attorno a lei la guardava sbigottita, senza sapere bene che fare, ribadì: «Muovetevi!» E, detto questo, lei stessa andò a cercare una copia delle Pagine Gialle. Era sicura che ce ne fosse una, in comune, ammesso che le potesse servire a qualcosa.
Dietro di sé, Valeria sentì Enzo dire ad Anna, che doveva essere tornata indietro: «Sai, tua sorella è una tutta "io posso, io devo, io voglio", ma in fondo è una gran brava persona.»
Il telefono squillò, e ovviamente era il Muto.
«Sentimi bene» esordì il suo laconico interlocutore «Adesso...»
Valeria sorrise «Adesso niente» constatò «Ho già pensato a tutto io...»
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