20.



Valeria attraversò l'ingresso praticamente camminando rasoterra, e il poliziotto alla scrivania non si accorse di lei se non quando sbatté la porta.

Fuori!

Certo, con i polsi tenuti assieme da un pezzo di metallo, ma fuori!

Poteva essere ancora in tempo, anzi, no, Enzo poteva aver già liberato Anna e non ci sarebbe stato che da far vedere a tutti come stavano le cose, oppure scappare...

Grazie, commissario!

Forse alla fine quel pover'uomo aveva sentito il morso della coscienza.

Dunque, da lì qual era la strada più veloce per la scuola? Ma sì, la traversa di via dei Mille!

Ecco, il problema adesso erano le manette.

La chiave non l'aveva, superfluo dirlo, e non sembravano qualcosa che si distrugge facilmente.

Con un po' di fortuna poteva usarle per strozzare Tore, ma pur con tutto il suo ottimismo doveva ammettere che era un'idea campata in aria.

E correva, correva.

Si ritrovò ad un certo punto a metà di Via dei Mille circondata da gente che la fissava.

Solo in quel momento si ricordò di essere una ragazza scarmigliata con un paio di manette ai polsi e una furia omicida negli occhi.

Non doveva sembrare una brava persona.

Per la sorpresa Valeria ristette e non si mosse per un secondo. Fu un secondo di troppo, perché non bisognerebbe far vedere agli altri che non si ha uno scopo o che si ha paura. Mai.

«Mamma» disse con insistenza un bambino, tirando la borsa della madre «ma quella è l'assassina della TV?» pronunciò la parola "assassina" con il tono di chi non sa bene cosa vuole dire una parola, ma bastò. Bastò perché lei si era fermata e loro la fissavano e avevano capito che potevano prenderla.

«Ferma lì!» un uomo si gettò contro di lei.

«Via, bambini, via!»

«Bastarda! Com'è scappata?»

Valeria smise di essere una lepre abbagliata dai fari e svoltò a tutta velocità nella via più vicina.

«Fermate 'sta strega maledetta!»

Le casalinghe di San Graziano che disponevano di un cortile, e sua madre era una di quelle, avevano mantenuto inalterata la vecchia, pessima abitudine di stenderci dentro.

Così, quando Valeria si rese conto che la strada da lei imboccata non era altro che un'infilata di cortili divisa da steccati, capì subito che appena saltato il primo si sarebbe trovata davanti un arsenale di lenzuoli.

Il che poteva essere un bene, considerato che là dentro l'avrebbero trovata con difficoltà, ma poteva più probabilmente essere un male, visto che prima che uscisse di lì i suoi inseguitori avrebbero fatto in tempo a bloccarle l'uscita.

La scuola.

Doveva arrivare alla scuola e dimostrare a tutti loro che Anna era viva. Anzi, magari avrebbe potuto usare la loro rabbia a suo favore e fargliela tirare fuori da lì!

Si tuffò in quel mare multicolore e, nonostante quello che promettevano i detersivi, non del tutto smacchiato.

Dopo aver scostato con urgenza una tovaglia a girasoli con ancora qualche traccia di caffè le si parò davanti l'uscita.

Nella foga di raggiungerla perse l'equilibrio, e con le mani legate non ci fu verso di recuperarlo, perciò l'unica cosa che le restò da fare fu aggrapparsi all'ultimo lenzuolo, che le cadde addosso.

Ma porco cane.

Proprio in quel momento Valeria sentì uno scalpiccio attorno a sé e intravide alcune figure attraverso la tela.

Ferma, immobile. Tanto ferma da diventare parte dell'ambiente. Con un po' di fortuna 'sta gente non avrebbe fatto caso ad un lenzuolo caduto proprio di lato, accanto alle scale.

«È ancora là dentro?»

«O ce la siamo fatti scappare?»

«È pazza! Non può...»

«Dobbiamo riportarla in questura.»

Questo mai!

Probabilmente il gruppo, non vedendola, si era inoltrato nel vicolo, perché sentiva i loro passi allontanarsi.

Non perse tempo ad accertarsene e si levò bruscamente il lenzuolo di dosso, gettandoselo dietro e ricominciando la sua corsa.

Percorse la piazza principale quasi volando, anche se ormai non sapeva più dove prendere l'aria. I polmoni... riserva d'ossigeno... qualcosa del genere.

Incespicò, superò la gelateria "I giardini di marzo", quella dove lei e Anna mangiavano sempre la coppa triplo strato con bouquet di biscotti d'estate, e si lanciò giù per la discesa che portava dritto davanti alla scuola.

Quante volte aveva fatto quella strada e non si era mai accorta di quanto fossero scivolosi i ciottoli e fosse troppo esposta rispetto alla piazza per nascondere una ragazza che correva alla disperata?

Ed ecco che già dalle vie attorno si riversava la gente, e quelli che finora l'avevano solo guardata imbambolati si univano agli altri.

Ma certo. Lo sapevano anche loro che sarebbe tornata a scuola, no? Lì era stata arrestata, lì sarebbe tornata.

Erano ancora lontani, comunque, e lì staccò sull'ultima curva, perché loro non correvano come lei; non avevano un posto dove andare con così tanta forza che non importava che le gambe si spezzassero e il cuore battesse troppo ed esplodesse.

E mentre correva e non faceva altro che correre le venne in mente una canzone, confusamente e così poco all'improvviso che forse la canticchiava già da un pezzo senza rendersene conto: "...quando si correva per rabbia o per amore, ma fra rabbia ed amore il distacco già cresce, e chi sarà il campione già si capisce".

La scacciò dalla testa, perché doveva solo pensare a mettere una gamba davanti all'altra, solo questo.

Attraversò il cortile, sfrecciando sul ghiaino e schizzando pietruzze grigie dappertutto.

Sollevò lo sguardo sulla scuola, perché era arrivata, ce l'aveva fatta...

L'urlo di Anna. Poi lo sparo, subito.

Valeria per un attimo rimase perplessa davanti all'edificio, con la testa inclinata. Non riusciva a capire il senso di quello che stava succedendo.

Prima che se ne rendesse conto era a terra e stava urlando.

No, non era un urlo, era un rantolo, perché non aveva più fiato.

Anna era morta.

Si chiude il sipario. Buio.

Quando arrivò il primo schiaffo Valeria ritrovò quello che le stava attorno.

Fu come se qualcuno avesse schioccato le dita dentro alla sua testa. Era in piedi, anzi, forse era più esatto dire che a tenerla in piedi erano le spinte della gente che aveva attorno, ed era circondata da facce, decine di facce che ondeggiavano.

Istintivamente alzò il braccio per parare il secondo schiaffo.

«Oh, sei tornata fra noi.» fece una voce falsamente impressionata. Difficile dire a chi appartenesse.

Qualcuno la prese per i capelli. Questa volta lei non cercò di difendersi.

Eccola lì, pronta per il linciaggio, il mostro che aveva ucciso sua sorella in un modo che nessuna di quelle persone poteva sospettare: sbagliando.

«Lasciatela.»

Le persone, al suono di quella parola calma, non si allontanarono, ma chiunque la stesse trattenendo la lasciò andare.

Valeria crollò sulla ghiaia, come un rifiuto restituito dal mare sulla battigia. Davanti a lei c'erano un paio di sandali spessi.

«Torni in centrale, Valeria.» le disse il commissario.

La fece salire sulla volante. Valeria non sapeva chi aveva attorno, non riusciva neanche a dare una collocazione precisa alle cose nello spazio.

«Immagino che adesso abbia capito.»

Valeria annuì.

Questo fu tutto quello che si dissero durante il viaggio in macchina.

Valeria entrò in questura come se niente fosse e si risedette al suo posto.

Sentiva una strana pace dentro di sé: era finita, non c'era più niente da fare. Era una pace arida, come se fosse morta, ma pace, senza dubbio.

Meglio restare lì che andare dovunque stesse andando, meglio perdersi per sempre in essa e non tornare più.

«In carcere non resterò tutta la vita, per omicidio.» disse con distacco quasi professionale, innaturalmente calma «Quando mi toglieranno di mezzo?»

Il commissario le rispose come se parlasse dei danni della pesca abusiva di trote nei piccoli comuni della Valle d'Aosta: «Non appena sarà credibile un suo suicidio.»

«Capisco.»

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