10.

«Adesso spiegami perché diavolo gli hai mandato una mia foto.» sbottò Valeria, non appena si furono seduti nella tavola calda che avevano scelto.

Enzo sussultò. Comprensibile, visto che da quando erano usciti Valeria non gli aveva rivolto una sola parola e adesso gli stava urlando contro.

Poi incassò la testa nelle spalle «É stato lui a volerla, quando gli ho chiesto se potevo portarti agli studi.»

«E ti è sembrata una buona idea fargli "accidentalmente" sapere che io assomiglio a Beatrice?» ira, sospetto. Forse anche Enzo... no, neanche per idea! Eppure...

Non che non ci avesse rimuginato su per tutto il tragitto.

«Abbassa la voce, per favore! Gli ho mandato una vecchia foto che avevo sul cellulare. É sfocatissima, e poi avevi le guance più tonde.»

«Oh!» fece Valeria, fingendosi impressionata «E come gli hai spiegato che i miei capelli da biondi sono diventati...» finse di pensarci su «"Mogano scuro 023"?»

«Gli ho detto che la scomparsa di tua sorella ti ha un po' fatto andare fuori di testa, che non appena hai capito che non sarebbe tornata a casa sei entrata in bagno e ne sei uscita conciata così. L'ha trovata una cosa interessante, sai? Ha tirato fuori una foto di Anna dal suo dossier e ha detto "proprio come lei".»

«L'hai convinto così, senza spiegare i motivi per cui avrei fatto una cosa del genere?»

«Per l'appunto. Se li avessi spiegati sarei suonato falso, ma visto che non li ho detti Riccardo può immaginarsi tutto quello che vuole.»

«Dovresti essere tu l'attore.» disse Valeria, iniziando a frantumare metodicamente un grissino.

«Più che un attore sono un manipolatore.»

«E guarda come ne vai fiero!» Valeria sorrise ad Enzo, poi fece una pausa, chiudendo per un attimo gli occhi e rovesciando la testa all'indietro «Prima, quando mi hai presentato a Riccardo, mi sono sentita un po' come se mi avessi venduta.»

A Valeria parve che Enzo non sapesse se offendersi o ridere.

Quello che ne risultò, comunque, fu una specie di sbuffo divertito.

«Che stupida.» commentò, ma non sembrava arrabbiato: del resto, con quell'ammissione Valeria aveva quasi voluto scusarsi, era sicura che Enzo non l'avrebbe presa male.

Ci fu un attimo di silenzio.

«Enzo» disse alla fine Valeria con voce bassa «dici che ce la farò?»

Enzo sembrò rifletterci su. Il suo sguardo assorto scivolò attraverso il locale, fermandosi su un puzzle incorniciato - piuttosto brutto, in effetti - che ritraeva un'aquila.

«Sai» iniziò «quando ho detto a Riccardo che conoscevo la sorella di Anna Rita Guzzani era molto contento, non gli pareva vero. E dopo che ti ha visto, tutto soddisfatto mi ha detto: "quella lì è una figlia di papà che improvvisamente si è trovata in questa situazione e non sa bene da che parte cominciare". Io mi sono dovuto trattenere dallo scoppiargli a ridere in faccia.»

«E questo dovrebbe essere consolante?»

«Sì, perché è evidente che non ti conoscono.»

Quando finirono di mangiare, Enzo si diresse dritto verso un piccolo parco nelle vicinanze.

«Ma dove andiamo? Non è il momento per il relax.» gli gridò dietro Valeria, perplessa, vedendo che l'amico era partito in quarta.

«Dobbiamo chiamare Chiara, meglio qui che agli studi.» replicò lui, lasciandosi cadere molto poco elegantemente su una panchina e tirando fuori il computer.

Pochi minuti dopo il viso di Chiara apparve sullo schermo, ed era come se fosse seduta lì al parco con loro, e non a 200 chilometri di distanza.

Quando ebbero finito, Valeria era tesa e soddisfatta.






Un'enorme bambola di stracci la fissava dal buio. Valeria la scavalcò semplicemente pensando che l'avrebbe fatto.

Un fondale con la piazza di San Graziano dipinta sopra scricchiolò ai suoi passi sul parquet consumato.

Ma Valeria non ci fece troppo caso, come non le importava delle corde sparse sul pavimento o dei costumi di scena appesi a grucce in procinto di andare in pezzi.

Riservò un'occhiata veloce a tutte queste cose, poi riprese a camminare.

Attorno a lei era tutto un vociare di persone che non riusciva a vedere. Era il pubblico, e la stava aspettando.

Doveva arrivare, doveva arrivare...

Un guizzo rosso, il sipario.

Scostò le quinte nere con foga e corse verso quel mare color sangue.

Eccolo, eccolo!

E nel momento in cui superò l'ultima di quelle quinte infinite si ritrovò dall'altra parte, di nuovo nell'oscurità.

Era tornata fuori scena senza riuscire ad arrivare sul palcoscenico, ed era... beh, non ricordava quante altre volte fosse successo, ma era sicura che fossero parecchie.

Di questo passo non sarebbe mai riuscita a fare il provino.

«Ah, eccoti qui.» disse la voce di Riccardo nel buio.

Valeria non fece in tempo a girarsi perché venne presa per una spalla e spinta in avanti. Incespicò e quando rialzò la testa si ritrovò su un palco completamente vuoto.

"Finalmente" pensò.

Il sipario si aprì con un fruscio che sembrava un sospiro, erano tutte le persone che erano state lì che respiravano. A Valeria sembrò che lo facessero con dolore, e si sentì come se le avessero fatto scivolare un cubetto di ghiaccio dritto accanto al cuore.

Il vociare aumentò. Era fremente, adesso, era un'onda.

Ma quando la tenda si spalancò del tutto, in platea non c'era nessuno.

Le voci si spensero, senza però andarsene: tacevano e guardavano, in attesa. Era una collettiva trattenuta di fiato.

«Valeria» disse una voce calda «ti stavamo aspettando.»

Abbassò lo sguardo e lì, nella prima fila di poltroncine sotto al palco, c'era Beatrice che le sorrideva.

Non c'era cattiveria in lei, ma Valeria sotto quello sguardo provò un'acuta sensazione di minaccia e si sentì improvvisamente piccola, nonostante fosse lei a guardare la donna dall'alto in basso.

I capelli biondi di Beatrice erano quasi luminosi nel buio, e ondeggiarono come una fiamma mentre lei girava la testa di lato.

Valeria seguì il suo sguardo e lo vide.

Su un'altra poltrona accanto a quella di Beatrice c'era un uomo.

Come se un riflettore si fosse spostato su di lui, all'improvviso la sua figura divenne chiara. Indossava una camicia bianca, ma il suo viso era scuro come se fosse fatto d'ombra, e i suoi lineamenti erano indistinguibili.

Era comparso in quel momento, eppure era sempre stato lì.

Valeria seppe, al di là di ogni dubbio, che si trattava del Regista.

«Iniziamo.» disse, senza che Valeria riuscisse a vedere un solo muscolo muoversi sul suo volto.

«Un momento, cosa devo fare?» intervenne lei. La sua voce riecheggiò nel teatro e andò a sommarsi alle altre voci, che avevano ripreso a farsi sentire con un vago tono di scherno.

«Improvvisa.» disse Beatrice, con noncuranza e ovvietà.

«Ma non posso! datemi un copione...»

«Eccolo.» fece annoiato il Regista.

Un fruscio le fece alzare la testa verso i loggioni. Un foglio volò dall'alto sorretto da un vento inesistente e planò tra le sue mani.

Valeria lo squadrò lo rigirò lo spiegazzò, mentre la sua disperazione aumentava.

«Ma non c'è scritto niente!» esclamò, nel panico.

«Inventa.» disse Beatrice, dolce «Sarai bravissima, tutti ti adoreranno! Le case di tutto il paese grideranno il tuo nome, il cielo ti rifletterà, le stelle cambieranno il loro posto per disegnare il tuo volto, sarai immortale!»

«É il business, mia cara.» disse il Regista «Improvvisa.»

«Improvvisa» ripeté Beatrice, caramellata e crudele «altrimenti dovremmo dire addio a te e ad Anna...»

Valeria rimase paralizzata al centro del palco. Non le mancavano le idee, non aveva abbastanza paura per rimanere ferma, eppure non riusciva a fare un passo.

Un pianto straziante le fece voltare la testa. Dietro alle quinte qualcuno si muoveva, e quel qualcuno era Anna, pallida come la cera e con una camicia da notte chiara.

Anna, accompagnata da due figure che la tenevano stretta per i polsi. Una terza ombra la fece salire su una scaletta e annodò una delle corde delle quinte attorno al suo collo.

«No!» urlò Valeria «Aspettate! No, no, io...»

Anna non diceva niente, piangeva e basta. Tese la mano verso Valeria in un ultimo, disperato gesto, poi la terza figura venne avanti.

Al suo tocco la stoffa delle quinte divenne fumo e avvolse tutto, portando via Anna.

Valeria non fece in tempo a fare nulla, perché sentì qualcosa cigolare sotto ai suoi piedi.

Guardò ancora una volta Beatrice, che le rivolse un sorriso affilato e troppo largo per essere umano, prima che la botola si spalancasse sotto di lei.

E mentre Valeria cadeva nel baratro, il soffitto del teatro si aprì in una miriade di vetri luminosi.

Erano schermi, a migliaia. E tutti ridevano. 

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