6. RICHIAMO
Mi stropiccio gli occhi, preparandomi ad una bella sfuriata.
Quando lo metto a fuoco, accendendo la piccola abatjour sul comodino, però lo trovo a terra.
Mi copro la bocca con la mano. Ecco cos'è caduto. Non riesco a trattenermi e scoppio a ridere di gusto.
«Ben ti sta, Aiden!» gli urlo.
Continuo per qualche altro secondo. Lui impassibile, come sempre, si alza e si sistema la maglietta.
Bene, vediamo come giustificherà adesso la sua "effrazione". Mi guarda per qualche altro secondo, poi mi dice:
«Ero passato a salutarti.»
Mi sta prendendo in giro? Forse mi crede stupida, non mi conosce ancora.
«Provane un'altra, carino!»
Lui alza un sopracciglio. Resto un attimo intontita, guardandolo negli occhi... è proprio bello quando lo fa.
Mi riprendo subito e scaccio via questi pensieri mentre lui è ancora in silenzio. Decido di partire all'attacco.
«Quindi» inizio «sei entrato dentro casa di mio padre con tutte le luci spente senza bussare. Sei entrato dentro la mia stanza, al buio, mentre dormivo! Sempre senza bussare. Questa è la seconda volta che ti ritrovo qui dentro. Ora sei pregato di dirmi che cosa vuoi! E non te ne uscire con qualche piccolo aggeggio perché non sono stupida!» La sua espressione cambia: da seria a divertita.
Quel sorrisino, però, non mi piace per niente... e quegli occhi, cavoli... «Sono venuto a riportare l'iPod.»
Lo prende dalla tasca e lo osserva, facendo scoccare la lingua sul palato.
«A quanto pare non era il mio e volevo riportarlo prima che qualcuno se ne accorgesse. Non mi aspettavo di trovarti in... in questo stato.» mi deride con tono beffardo, indicandomi.
«Mi dispiace di non essere alla tua altezza, ma in tutta onestà non mi interessa. Adesso, per cortesia, tornatene da dove sei venuto e non tornare più qui dentro!»
Sfodero il mio sorrisino maligno, lui alza le mani in segno di resa.
«Sissignora!» dice ridendo «E per la cronaca, non farti strane idee. So che ti piacerebbe, ma casa tua è l'ultimo posto in cui vorrei stare.»
Odio il suo sorriso vittorioso, ma da quelle parole intendo vagamente che non vede di buon occhio l'unione dei nostri genitori. Prima di varcare la porta si gira e mi dice:
«Ci si vede, piccola Josephine.»
Gli lancio il cuscino che però colpisce la porta e cade a terra. Stronzo, non mi fido per niente!
Perfetto! E adesso? Grazie ad "occhi sexy" non riesco più a prendere sonno. Dove diavolo ho buttato il cellulare? Non sento Wayne ed Alex da un sacco!
Lo ritrovo come al solito spento, sulla scrivania. Non appena lo accendo iniziano ad arrivare una miriade di messaggi, decido di scrivere prima ad Alex:
"Alex che sta per Alexander, come va? Hai distrutto qualche altro supermercato?" La risposta è immediata:
"Sfortunatamente in tua mancanza è un po' difficile. Come va a Miami?"
Dopo aver fatto quattro chiacchere prima di partire, io e Alex ci siamo sentiti qualche volta e ne sono rimasta piacevolmente sorpresa.
"Sei sempre il solito". Gli scrivo, ridendo tra me e me "Comunque me la cavo" aggiungo.
Subito dopo aver mandato il messaggio ricevo una chiamata da Wayne (avevo una voglia immensa di sentirlo).
«Josie!» mi urla, facendomi quasi cadere il cellulare dalle mani «Che fine hai fatto?! Ti sei già dimenticata dei tuoi cari vecchi amici, eh!» sembra sincero.
«Scusami. Sai, mio padre e la sua bella famigliola, non mi hanno lasciato un attimo di pace. A te come va con quella ragazza di cui mi hai parlato?»
Sam mi ha raccontato di come si è scatenato in pista alla festa dopo che me ne sono andata.
«Sai tesoro, mi amano tutte, ma non appartengo a nessuna!»
Come mi mancavano le sue orribili battute!
«Sì, ti piacerebbe!»
Sento aprire la porta di casa, così mi dirigo verso il piano di sotto. Mio padre è insieme a Sam.
«A proposito, verremo a Miami per questo weekend. Nick muore dalla voglia di vedere Samantha.»
Non appena gli sento pronunciare quelle parole rimango allibita.
«Stai scherzando, vero?» dico mentre un sorriso si fa inconsapevolmente strada sul mio volto.
È fantastico! Mi ci vuole qualche serata da teppista come i vecchi tempi — beh in realtà sono passati solo cinque giorni—.
«Sai che non scherzo mai...o almeno non sempre.» dice ridendo «Comunque ti devo lasciare, ho delle faccende da sbrigare ci vediamo sabato.»
«Non vedo l'ora! A sabato.» riaggancio e vado subito da Sam.
Lei è felicissima. Corriamo subito in camera a programmare il weekend con i ragazzi; passano solo dieci minuti e gettiamo la spugna.
Sappiamo entrambe che loro non ci ascolteranno mai e vorranno fare i "gentiluomini".
Così ci lasciamo andare ai ricordi di tutte le stupidaggini fatte insieme: dagli scherzi ai professori alle scappatelle notturne; senza rendercene conto ci ritroviamo con le lacrime agli occhi per le forti risate.
Sam si butta sul suo letto, respirando affannosamente ed io mi siedo a terra poggiando la schiena al letto.
«Quindi, com'è andato il tuo incontro notturno con il figlio sexy della tua matrigna?»
Il respiro mi si mozza, mi sento avvampare. Fortunatamente, però non mi sta guardando.
Come dovrò spiegarle tutto?
«Non so di quale incontro tu stia parlando.» le dico, poggiando la testa sul letto.
«Oh, non fare la misteriosa.» insiste, girandosi a pancia in giù e abbracciando il cuscino, nel frattempo io faccio di tutto per evitare il suo sguardo «Andiamo Josie! So che lo hai sognato. Stanotte parlavi nel sonno.»
I miei battiti tornano regolari. Il sogno...lei parla del sogno!
«Ah sì, non lo ritenevo importante.» gliela butto lì, lasciandomi invadere da un'ondata di sollievo.
«Io non credo. Per quello che ho visto e sentito, era un sogno... acceso.» Perfetto! Di male in peggio, ci mancava solo che parlassi nel sonno.
«Tu vedi sempre qualcosa di acceso, ogni volta che parlo con un ragazzo!» le dico, saltandole addosso e iniziando a farle il solletico. «Può darsi,» inizia a divincolarsi «comunque quel tipo non mi piace, non caratterialmente almeno.» mi dice, ridendo.
A forza di parlare sono quasi le dieci di sera, mio padre ha una cena di lavoro. Ordiniamo una pizza e andiamo a dormire.
Alle sette del mattino apro gli occhi. La mia migliore amica dorme ancora, così decido di andare a correre. Metto dei pantaloncini e una canotta e mi avvio verso l'uscita della porta di casa.
L'aria mattutina è fantastica, le strade non sono gremite di persone come mi ero immaginata. Ne intravedo qualcuna che ha avuto la mia stessa idea. Sembra strano in una città come questa, ma a quanto pare papà si è cercato il quartiere più tranquillo vicino ad una piccola spiaggia poco frequentata.
Casa sua si trova proprio dietro un paio di enormi palme alla fine dell'isolato che gli permettono di avere più privacy possibile. Inizio a correre lungo il marciapiede, ascoltando della musica con gli auricolari.
Dopo una dozzina di minuti mi rendo conto di non sapere più dove sono; da quando ho iniziato a correre non mi sono più fermata, ma mi rendo conto che non dovrei allontanarmi così tanto.
Mi costringo a rallentare e proprio in quel momento vengo distratta da qualcos'altro: una strana essenza mi solletica le narici. Passa un millesimo e il battito del mio cuore accelera freneticamente, il mio corpo inizia a vibrare e perdo il controllo dei miei movimenti.
Che mi succede?
Mi fermo e mi piego appoggiandomi sulle ginocchia, respiro affannata come se avessi corso la maratona; prendendo lunghi e bisognosi respiri, riempio i polmoni di aria. Fa caldissimo e questo non mi aiuta.
Non appena riprendo fiato, mi alzo. Cerco di capire dove mi trovo esattamente.
Merda! Sono in spiaggia.
Come sono arrivata fin qui? Devo allontanarmi, ma proprio non ci riesco. Le mie gambe sono come murate col cemento, il mare mi attira come una calamita. So che dovrei andare, ma non resisto e, spinta da qualcosa dentro di me, mi avvicino di più.
Quando sono a circa mezzo metro di distanza l'acqua inizia a tremare. Come se piccole gocce di pioggia la stessero toccando, martellando senza tregua. Alzo gli occhi verso il cielo: no, non sta piovendo.
Ancora un altro passo.
Ormai non posso più fermarmi.
Non appena i miei piedi la sfiorano inizia a muoversi, ancora di più.
Come la reazione di un'onda. Si alza da terra come se avesse una vita propria e mi avvolge.
Mi manca il fiato; mi sento come alla festa di fine anno, quando quel bicchiere si era rovesciato, ma il suo contenuto era rimasto a mezz'aria.
Il tempo sembra essersi fermato proprio come quel giorno, ora sono in mezzo a una sfera d'acqua completamente asciutta.
Un'altra allucinazione? O sto solo sognando? Oddio.
Avvicino una mano come per toccarla e mi stupisco di constatarne lo stato, tutt'altro che liquido.
Sembra essere allo stato solido, anzi no! Ha la stessa consistenza della gelatina.
Scioccata e con la bocca spalancata ne prendo una piccola quantità, la tasto per un po' e poi la spingo via...osservandola attentamente. Questa si va a posare proprio dov'era prima, mescolandosi e amalgamandosi come niente fosse.
Non può essere, sembra... una caramella gommosa gigante.
Una volta successo questo la sfera inizia a rimpicciolirsi.
Il panico si impossessa di me mentre si fa via via sempre più stretta.
Poi si ferma e l'acqua inizia a staccarsi di nuovo, stavolta posizionandosi candida su di me come un secondo strato di pelle, come se fossimo una sola cosa da sempre e ci fossimo ritrovate.
Questa è l'impressione che mi dà.
La paura mi invade, ma non riesco a muovermi.
Il mio petto va su e giù ad un ritmo spaventoso. Vedo una luce bianca che mi acceca e poi... più niente, il buio.
Apro gli occhi, inspirando bruscamente. Mi gira la testa e una lieve brezza mi scompiglia i capelli.
A fatica mi guardo intorno, cercando di capire dove sono, ma vedo solo due fastidiosi occhi che mi fissano: Aiden.
Non so cosa sia successo.
Ricordo solo di essere andata a correre e di essermi ritrovata in spiaggia con i piedi in acqua senza rendermene conto. Ma ora non siamo più al mare, bensì in un luogo chiuso, ne sono certa.
Sbatto le palpebre confusa.
Come sono finita qui con lui? Come ha fatto a trovarmi?
Solo dopo mi accorgo di avere la testa sulle sue gambe...
Cerco di alzarmi, ma senza successo, così mi riappoggia delicatamente su di lui.
«Sei stanca, devi riposare. Quando ti ho trovata eri fredda come il ghiaccio.»
Aggrotto la fronte, sono decisamente più confusa di prima. Fredda? Ma avevo appena smesso di correre, non ha senso.
«Come hai fatto a trovarmi?» dico, spostandomi dalle sue gambe, stavolta mi lascia andare.
«Non sei l'unica che va a correre la mattina, Josephine.»
Certo che stupida...ma quante possibilità c'erano che avrei incontrato proprio lui? Non sono sicura che sia solo una coincidenza.
«È meglio che vada a casa, Sam sarà in pensiero.»
Spostandomi, mi accorgo che indossa una maglietta termica bianca con un piccolo alone di sudore.
Fa da specchio ai suoi muscoli e alle sue spalle larghe. La mia mente vaga, ammettendo suo malgrado, che di bello non ha solo gli occhi.
«Ti accompagno. Non puoi andartene da sola.» mi ammonisce, afferrando un mazzo di chiavi.
Cavolo, quando non fa lo stronzo è persino un po' simpatico oltre che carino!
Un passaggio mi farebbe comodo; non posso andarmene a piedi non sapendo nemmeno dove mi trovo. A questo proposito, lascio finalmente correre lo sguardo su ciò che ci circonda.
Siamo in una stanza: deve essere sicuramente casa sua.
Scorgo una graziosa cornice vicino al suo comodino: una foto di lui bambino. Lo riconosco da quelle dolci iridi cangianti che sorridono all'obbiettivo mentre stringe una bambina dolcissima in braccio a lui. Ha una sorella? Nessuno ne ha mai parlato. Lo seguo verso l'uscita.
«Dov'è la macchina?»
Lui non mi ascolta e continua a camminare, aprendo il garage accanto.
«Questa è la macchina.» mi dice, indicando una moto blu e rossa con quel solito sorrisetto sul viso.
«Io non salgo su quel coso, soprattutto con te!!»
Si appoggia alla moto.
«Non preoccuparti, non andrò molto veloce.» dice, porgendomi il casco «Le ragazze pagherebbero per un giro con me...in tutti i sensi.»
Sbarro gli occhi. Che sbruffone! Sale, ignorando la mia faccia schifata e facendomi cenno di seguirlo.
«Stronzo.» borbotto, infilandomi il casco.
Poi lo guardo curiosa non riuscendo a trattenermi.
«Scusa, ma tu non metti il casco?»
Salgo sulla moto non ricevendo alcuna risposta. Sbuffo e mi sistemo, mantenendo una certa distanza, ma lui mi avvicina delicatamente a sé, allacciando le mie mani alla sua vita.
Uno strano calore mi invade, ma non mi dà fastidio quindi non dico nulla. Mi lancia un ultimo sguardo alzando un sopracciglio, accende la moto e partiamo.
Quando arrivo a casa, Sam è seduta in veranda. Non appena mi vede insieme al mio accompagnatore si alza e mi viene incontro.
«Ehi Josie, dove sei stata?» si rivolge a me, ma sta guardando Aiden con un'espressione contrariata.
«Beh, in realtà ero andata a fare una corsetta» alzo le spalle a mo' di scuse «poi però mi è successo qualcosa di strano e credo di essere svenuta. Quando mi sono svegliata c'era mister simpatia.» lo indico dietro di me.
«Ah!» ammicca lei con tono beffardo.
Sposta lo sguardo da me a lui: «Guarda un po' che coincidenza, proprio lui a salvarti!»
Beh, salvarmi, non è successo chissà cosa.
«Il mio nome è sempre Aiden, nel caso ve lo foste dimenticate.» fa lui serio, ma Sam è immersa nei suoi pensieri.
«In ogni caso ti ringrazio per averla riportata sana e salva.» dice frettolosa.
Mi prende sottobraccio e mi conduce dentro casa.
Sono esausta, mi aiuta a spogliarmi come una mamma premurosa e mi mette a letto con cura.
«Dove sei andata?»
«Te l'ho detto. Sono andata a correre, ma ero stanca morta e fermandomi mi sono resa conto di trovarmi in spiaggia. Ricordo di essermi avvicinata e poi nient'altro. Mi sono svegliata a casa di Aiden con lui che mi osservava.» Inquietante.
Sam fa una faccia strana: «Che gentile. Resta a letto, ti porto qualcosa da mangiare.»
∞
I primi raggi del sole penetrano dalla finestra. Apro gli occhi, lei al solito dorme ancora.
Sul mio comodino trovo un vecchio libro di cuoio verde e oro.
Lo guardo curiosa. Non l'ho mai visto prima, anche Sam ha iniziato a leggere?
Oh bene, ci mancava solo lei.
Ho sempre odiato i libri, forse perché ne vedevo sempre troppi in giro per casa, ma questo attira la mia attenzione.
Sulla copertina non c'è scritto nulla, solo: Legend.
Lo prendo, rigirandomelo tra le mani e, constatandone la pesantezza, lo apro.
Nella prima pagina c'è scritto:
"Per l'anima è morte divenire fuoco, per il fuoco è morte divenire acqua, ma dall'acqua nasce il fuoco e dal fuoco nasce l'anima"
Che cavolo vuol dire? Dall'acqua nasce il fuoco?
Lo chiudo e lo rimetto a posto, anche se non so chi ce l'abbia messo e perché.
«Ehi, che stai facendo?» mi volto di scatto, facendo cadere il portapenne.
«Scusa non volevo spaventarti.» mi dice mio padre con aria dispiaciuta.
Sta cercando di lasciarmi un po' di spazio per poter migliorare le cose, lo so. Cerco di fargli un piccolo sorriso e abbasso lo sguardo.
«Vedo che lo hai già trovato.»
Trovato cosa? Indica con la mano il comodino e allora capisco: si riferisce al libro.
«È tuo?» gli chiedo senza pensarci su due volte, ma lui non mi risponde e mi fa cenno di seguirlo verso il suo studio.
«Era di tua madre. Voleva che lo avessi tu.»
Si ferma davanti alla foto della nostra famiglia. Tace, sembra immerso nei ricordi.
«Tua madre amava leggere e quel libro in particolare la appassionava. Avrebbe voluto regalartelo lei per i tuoi diciotto anni... quindi, eccolo qui.»
Mi guarda e abbozza un sorriso. Era di mia madre... sorrido anch'io.
«Grazie papà.»
Un altro suo oggetto. Non me ne sono rimasti molti oltre il bracciale che porto sempre al polso e qualche regalo meno prezioso. Lo leggerò prima o poi, lo prometto.
Vedo la mano di mio padre alzarsi. Mi irrigidisco, ma non mi muovo. Lui mi accarezza piano i capelli e poi mi sussurra:
«Vado a preparare la colazione, tu sveglia Sam.» annuisco e vado in camera.
Svegliarla si rivela un'impresa, ma alla fine, farfugliando qualcosa di incomprensibile, apre gli occhi.
«Buongiorno Josie.» mi dice, stropicciandosi gli occhi.
«Su dormigliona alzati. Mio padre ci sta preparando qualcosa da mangiare.» scatta su senza farselo ripetere due volte e io alzo gli occhi al cielo ridendo.
Almeno lei è sempre sé stessa; mi stanno succedendo cose strane, ma lei rimane la solita Sammy.
Scendiamo di sotto ridendo come delle scolarette.
Inutile dire che divora tutto, come un cane randagio che non tocca cibo da settimane. Non appena torniamo in camera si toglie il pigiama e indossa un paio di jeans con una t-shirt.
«Cosa stai facendo?» le chiedo perplessa.
«Mi sto cambiando.» cerca di sviare il discorso.
«Questo lo vedo! Dove devi andare?» e soprattutto perché indossa dei jeans, non li mette mai!
«Ieri sono andata in un negozio e come al solito ho dimenticato una cosa, quindi vado a riprenderla.» può anche darsi, la cosa non mi stupirebbe, ma stavolta non mi convince.
Poi ci rifletto un po', stiamo parlando di Samantha Rich, lei non mi nasconderebbe mai niente.
«Sei sempre la solita.» le dico, ha già preso la borsa ed è davanti alla porta.
«Okay, allora posso andare mamma?»
Le faccio la linguaccia e lei si avvia sorridendo. Dopo aver messo un po' in ordine la stanza, mi siedo sul letto, riflettendo.
Faccio per prendere il libro di mia madre, ma il suono del campanello mi blocca.
Avrà sicuramente dimenticato qualcosa. Apro la porta senza guardare, iniziando già parlare.
«Allora, cosa hai dimenticato stavolta?»
Mi blocco restando a bocca aperta. Davanti a me, c'è Aiden.
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