4. MIAMI
Matthew Davis nei panni di Aroon (papà)
Jaimie Alexander nei panni di Jane
Saluto Sam con un abbraccio, lei avvicinandosi al mio orecchio mi sussurra: «Ti voglio bene.»
Sorrido.
Torno in camera e trovo mio padre di spalle intento a osservare la foto di me e mamma che ho sul comodino.
Mi viene subito in mente il giorno che è stata scattata: eravamo al parco con Sissy e zia Ashley.
Mamma mi stava raccontando una delle sue bellissime storie di guerrieri celtici che adesso non ricordo più ed io la guardavo affascinata, quando partì il flash della macchina fotografica della zia. Ci aveva scattato una foto, immortalando uno dei momenti più belli che ricordo in sua compagnia.
Non appena mi vede colgo il suo imbarazzo. Si alza di scatto e viene verso di me, io d'istinto indietreggio e lui si blocca di colpo.
«Possiamo parlare?» chiede in un sussurro impercettibile, quasi non lo sento.
«Non vedo cosa tu abbia da dirmi ancora.» ribadisco risoluta.
«Josie, non sono qui per chiederti scusa. So che non potresti mai perdonarmi, ma sono qui per te. Ci sono tante cose che non sai e che vorrei dirti, possiamo provare a fare andare tutto per il me...»
Lo interrompo bruscamente: «Perché adesso? Perché proprio ora, per tre anni non hai fatto altro che fingerti un padre presente e ora vieni a dirmi di voler ricominciare, e che ti vuoi risposare!» dico tutto d'un fiato.
Mi accorgo solo ora di avere il fiatone.
Mi guarda senza parlare, non ha nulla da dirmi, lo so.
«Okay» alza le mani in segno di resa «tu pensaci. Non ti obbligo a fare ciò che non vuoi. Almeno potresti venire al matrimonio? È importante per me. Porta Sam se ti va, è la benvenuta.»
Ripenso alle parole di Sam. Non mi obbliga a trasferirmi, mi vorrebbe al suo matrimonio.
La mia migliore amica verrebbe con me, potremmo prenderla come una vacanza. Posso fare il sacrificio di essere presente al suo matrimonio? Sospiro. «Okay.»
∞
Mancano pochi minuti all'atterraggio. Da quassù riesco a vedere un panorama strabiliante: la bellezza dell'oceano mi mozza il fiato. Uno spettacolo che non ha eguali, considerando che l'ho sempre visto solo nelle immagini.
Eppure io ci sono nata a Miami, peccato che non ne abbia ricordi: ero ancora molto piccola quando i miei si sono trasferiti nel Regno Unito.
È tutto così diverso da casa mia, non riesco ancora a credere di essermi lasciata convincere da Sam a fare questo viaggio, lei ovviamente è entusiasta di andare a Miami. È sempre stato il suo sogno ed è così ottimista da credere che in qualche modo possa riallacciare i rapporti con mio padre.
Questi due giorni sono volati senza che quasi me ne accorgessi: la cerimonia dei diplomi, le valigie da fare e la ricerca di un bel vestito per il matrimonio.
I pensieri corrono a poche ore prima:
Le valigie erano già in macchina e mio padre mi aspettava davanti allo stipite della porta, sono scesa in salotto e non appena ho incrociato lo sguardo di Lely le sono andata incontro per salutarla.
«Ci vediamo tra qualche setti...»
Non sono riuscita a completare la frase che mi sono ritrovata le sue braccia al collo.
«Il fatto che te la stai svignando prima del tuo compleanno non implica che non possa spostare la tua mega festa.» mi ha detto, accarezzandomi i capelli.
«Tranquilla non sto partendo per sempre, sono solo un paio di settimane.» le ho risposto in tono calmo, cercando di tranquillizzarla.
«Lo so, ma sta' attenta.» mi ha stretto ancora più forte, posandomi un bacio sulla fronte.
Mi sono liberata dall'abbraccio e sono andata verso l'auto, lanciando un ultimo sguardo alle mie spalle; non sono mai stata lontana da casa o dalla zia dopo la scomparsa di mia madre.
Quando arriviamo nella grande villetta di mio padre, non perdiamo tempo.
Sam è euforica, vuole subito andare in giro ad esplorare questi luoghi sconosciuti (più per me che per lei). Decidiamo di infilarci in un bar vicino casa per non allontanarci troppo. Sembra un posto abbastanza calmo, molto affollato sì, ma tranquillo.
Ad occhio somiglia ad uno di quei locali retrò: con le luci basse e parquet in legno, qualche piccolo tavolo sparso qua e là, con divanetti in apparenza comodissimi e una vetrina d'esposizione molto graziosa seppur semplice. Prendiamo posto ed una ragazza bassina con i capelli azzurri e gli occhiali si avvicina sorridendo.
«Ciao ragazze, che cosa vi porto?»
Prendiamo due caffè e iniziamo a progettare le nostre giornate. Annuisco e assecondo distratta tutte le sue idee, quando improvvisamente sento la porta aprirsi e una raffica di vento caldo mi scompiglia i capelli, così mi giro per dare un'occhiata a chi entrato.
Ah...Un ragazzo! Indossa una maglia nera abbastanza aderente sulle spalle e dei jeans scuri; Si avvia con passo deciso verso il tavolo accanto al nostro e si siede. La sua bellezza mi colpisce immediatamente, non tanto perché non ne abbia mai visti di così belli; è che sul suo viso c'è qualcosa di diverso dai soliti bellimbusti: qualcosa che in qualche modo lo rende molto, molto inquietante. È molto alto, sarà circa un metro e novanta o poco meno, non è molto muscoloso, ma dalle spalle larghe che si ritrova presumo si tenga in forma. La mascella pronunciata, gli zigomi alti e i capelli di un biondo molto scuro. Quello che mi colpisce e di cui non riesco a distogliere lo sguardo sono i suoi occhi...non ne avevo mai visti di così prima d'ora, tanto belli quanto paurosi...forse.
Sembrano un miscuglio di colori: prima azzurro poi verde, come se stessero giocando fra di loro, contornati da un verde scuro tendente al nero.
Ha la pelle chiara e perfetta.
Misterioso e allo stesso tempo non abbastanza pauroso da non attirare l'attenzione delle ragazze.
Ha lo sguardo di chi è appena sopravvissuto a una battaglia: in bilico fra il crollare per la stanchezza e il combattere, penetrante. Il suo modo di fare che non lascia trapelare nessuna emozione.
Merda! Mi ha visto.
«So che è difficile, ma potresti smetterla di fissarmi?» Mi dice molto piano.
Mi rimangio tutto quello che ho pensato.
Che stronzo arrogante!
Da quanto tempo lo stavo fissando poi?
Faccio finta di non aver sentito e mi giro di scatto non appena incrocia il mio sguardo. Sam mi vede, mi sorride e si avvicina un po', sussurrandomi:
«Calmati Jo, sei diventata tutta rossa.» sgrano gli occhi mentre lei sghignazza.
Spaccone!
Credo di averlo già visto da qualche parte, forse a scuola? Non ricordo. Ma il colore dei suoi occhi...
Sam interrompe i miei pensieri, schioccando le dita:
«Mi hai sentito?» sbatto le palpebre un paio di volte.
«Come scusa?» lei alza gli occhi al cielo e sospira.
«Ho detto che dovremmo tornare a casa, si è fatto tardi.»
Così presto? Ma siamo appena uscite...
Guardo l'orologio; ah, è già passata un'ora e mezza. L'ho davvero fissato per tutto quel tempo? Beh, forse aveva ragione.
Mi rendo conto solo adesso di essere davvero stanca, annuisco e mentre faccio per alzarmi mi accorgo che anche il ragazzo sta uscendo dal bar. Non appena mi passa accanto mi guarda dritto negli occhi: i suoi azzurri-verde dentro i miei castani, rimango paralizzata per qualche secondo mentre sento il cuore battere leggermente più veloce.
Solo dopo che è uscito riesco a muovermi e a buttare fuori l'aria che non mi ero accorta di trattenere.
Non devo più bere il caffè a quest'ora.
Ce ne andiamo anche noi, fuori piove quindi ci incamminiamo a passo svelto verso casa.
Non passa molto e scorgo davanti a me il ragazzo misterioso che invece cammina tranquillamente. I miei capelli e quelli di Sam iniziano ad inzupparsi, quindi aumentiamo l'andatura. Quando lo superiamo quasi correndo mi accorgo che lui, al contrario, non sembra essere molto bagnato.
Arrivate a casa siamo così stanche che lasciamo stare le valigie che mio padre gentilmente ci ha portato in camera, facciamo una doccia e andiamo a letto.
La camera è abbastanza grande quindi mio padre l'ha adattata per me e Sam: due letti si trovano l'uno accanto all'altro divisi solo dal comodino. Una tv e un bagno in camera, cosa potremmo volere di più? Guardando un film scivolo in un sonno tranquillo e rilassato.
Mi sveglio di soprassalto, ansimando.
Ecco dove l'ho visto... il suo sguardo, quei colori... i suoi occhi: li ho sognati tante volte.
Tra Sam che non sta ferma un attimo, le chiamate e i messaggi di Lely, i miei amici e le valigie da disfare la giornata scorre velocemente, permettendomi di non pensare troppo.
Il giorno dopo mi sveglio con Sam che saltella sul mio letto, gridando:
«Tanti Auguri!»
Dietro di lei, davanti la porta, vedo mio padre con le braccia incrociate che sorride:
«Auguri tesoro, stasera ho organizzato una cena per festeggiare insieme. Non accetto un no come risposta.» precisa, senza darmi modo di controbattere. Si gira e se ne va.
∞
«Va' subito a toglierti i jeans e quell'orrenda maglietta!» urla Sam, facendomi sobbalzare.
«Piantala, è solo il mio compleanno, non un matrimonio.» sbuffo con aria indifferente.
«Stai scherzando? È il ristorante più costoso di Miami.» poi, stringendo gli occhi a due fessure continua: «Non costringermi a spogliarti, lo sai che lo faccio!» mi avverte in tono divertito.
Non ne dubito. Lo farebbe senza pensarci due volte e infatti, ancor prima di poter aprir bocca, lei mi è già addosso.
Non la ricordavo così forte! Beh, in effetti non era mai successa una cosa del genere.
Mezz'ora dopo mi ritrovo vestita e truccata di tutto punto. In valigia non avevo messo nulla di elegante o perlomeno presentabile, a parte quel dannato vestito per il matrimonio, così Sam me ne ha prestato uno dei suoi tanti: giallo, mono spalla. Lei è un po' più esile rispetto a me, infatti il corpetto è strettissimo e mette in risalto la vita per poi ricadere leggero lungo i fianchi. Come fa a indossare questa roba? È scomodissimo, per non parlare di queste orribili scarpe!
«Sei favolosa, ho fatto davvero un ottimo lavoro!» afferma soddisfatta.
Mi dovrebbe proprio ringraziare, ho accettato solo perché non sono in vena di litigare.
Ci stiamo avviando al piano di sotto, quando improvvisamente non la vedo più accanto a me, così torno in camera.
«Ehi, ma che fai?» le dico, appoggiandomi alla porta per il mal di piedi.
«Nulla, avevo dimenticato l'ombrello. Non si sa mai.» cerca di metterlo in borsa.
«Stai scherzando? Non dimenticare che siamo in macchina con quell'individuo che chiamo "Papà", metti giù quel coso e andiamo!» le dico, togliendoglielo dalle mani, ma lei mi blocca come al solito.
«Eh no! Prevenire è meglio che curare. Non si sa mai cosa può accadere con te in giro!» in questo non posso darle torto, cosi acconsento girando gli occhi e avviandomi verso le scale.
∞
Sam aveva proprio ragione. Il ristorante è bellissimo; sembra un castello uscito da un libro delle fiabe.
«Papà dov'è la tua futura moglie?» gli chiedo, guardandolo con la coda dell'occhio.
«Jane verrà tra poco, mi ha detto che aveva un affare da sbrigare, nel frattempo iniziamo a prendere posto.» mi fa cenno, avviandosi verso il tavolo.
Bellissimo e rotondo, completamente ricoperto da una tovaglia color avorio, ricamata in pizzo agli angoli e un grazioso centrotavola di rose rosse abbinate ai segnaposto bordeaux. È in questo preciso istante che mi accorgo che il ristorante più costoso ed elegante di Miami ha sbagliato la composizione del tavolo in onore del mio compleanno.
«Papà, ci sono cinque posti al tavolo, noi invece siamo quattro.» lo avverto, segnalando col dito il posto in più.
«No carina, questo è il mio posto.»
Ho già sentito questa voce e non appena mi volto ne ho la conferma. Scorgo una mano sullo schienale della sedia e alzo gli occhi lentamente: una giacca blu sopra una camicia bianca senza cravatta, delle spalle enormi e un ghigno vittorioso.
È quello stronzo che ho visto l'altra sera al bar.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top