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Il rumore sordo che fa l'ascensore prima di bloccarsi lo terrorizza al punto da farlo piegare sulle ginocchia, serrare gli occhi e parare la testa con le mani.
La voce borbottante di Manuel lo porta a sollevare lievemente la testa e guardare il maggiore che con le mani sui fianchi, va quasi volteggiando su sé stesso per il numero di volte in cui nervosamente gira in quello spazio ristretto.
Mentre gli occhi di Simone sono pieni di paura, quelli del maggiore sono colmi di una rabbia cieca.
Vorrebbe sfondare quelle rigide porte di metallo a furia di calci e testate, uscire e scappare via da quella situazione assurda, dal compagno di classe con cui non ha fatto altro che litigare tutto il tempo e pure da quel paesino sperduto tra i monti nei quali il professore Balestra l'ha costretto ad andare.
"Non ce volevo venire a 'sta cazzo de gita! É tutta colpa tua! Tua e di tu' padre!" ringhia contro il più piccolo, indicandolo con una mano.
"E alzate Simò che nun ce sta nessun masso che crolla! S'è solo bloccato 'sto schifo d'ascensore!"
Ma Simone rimane basso, anzi, oscilla su sé stesso, poggiando la schiena contro la parete rigata e si lascia scivolare.
Le ginocchia al petto, le braccia a cingerle.
"Siamo bloccati qui dentro?"
"Eh Simò. Se si è bloccato l'ascensore, secondo te, noi che ce semo dentro come possiamo esse!? Me pare che sei tu quello intelligente tra noi, no!?"
Il tono è sprezzante e pungente, come lo sono state tutte le ultime battute che si sono scambiati prima di entrare in ascensore. Ma in quel momento, il panico galoppa forte e la mente di Simone è totalmente offuscata.
Biascica qualche parola confusa per rispondergli ma cede in fretta.
Prende un grande respiro, allenta un po' le gambe per dare spazio al torace, si schiarisce la voce per soffocare le sensazioni e "Manuel, io ho paura."
Scandisce ogni parola e suono e il maggiore ha giusto il tempo di sentirlo e di chinarsi verso di lui, che già ha ritratto di nuovo le ginocchia al petto, stringendosi per quanto possibile ancora di più verso l'angolo.
"Ma de che hai paura, Simò!?"
"Di stare qua dentro."
Quegli occhi grandi e spauriti fissano Manuel come una silenziosa ma fortissima richiesta d'aiuto che- al di là di ogni rancore- non riesce ad ignorare.
Si maledice mentalmente per essere stato così rude nei suoi confronti.
Era stato troppo preso dal premere qualsiasi tasto per contattare chiunque possa tirarlo fuori da lì, dal voler distruggere a mani nude ogni parte di quel maledetto ascensore e troppo accecato dalla rabbia accumulata, per accorgersi di Simone.
Ma eccolo lì, ora.
Totalmente terrorizzato.
A dire il vero, non sa bene come comportarsi.
Non è certamente la prima volta che vede Simone in uno di questi momenti in cui il panico pare divorarlo dall'interno e ogni volta ha attuato dei metodi diversi per cercare di strapparlo a quel mostro nero che lo trascina.
E se la prima cosa che gli viene in mente è quello di concedere ad entrambi una passeggiata e tanta aria fresca, l'essere rimasti bloccati in ascensore li priva totalmente di entrambe le possibilità.
Segue l'istinto e si siede al suo fianco; una mano poggiata sulle sue ginocchia, l'altra sulla schiena.
Le muove in modo quasi impercettibile, accarezzandolo piano, nel tentativo di rassicurarlo un po'.
"Oh...Simò... guarda che ce tirano fuori " dice, sbuffando perfino una risata al limite dell'isterico. "Non ti devi preoccupare, ho già fatto scattà tutti gli allarmi possibili e immaginabili!"
Si rende conto solo in quell'istante d'aver perso totalmente il controllo e d'aver premuto quella piccola campanella d'allarme arancione per circa otto minuti senza sosta, quasi fino a far rientrare il tasto nella struttura di metallo piegata da quella pressione.
"Staranno per arrivà. Mica ce lasciano qua dentro!"
"E se non arrivano?"
"Ma certo che arrivano!" esclama, nel modo più rassicurante che riesce ad avere, mentre con una mano accarezza il suo volto per costringerlo a sollevarlo "Simo.. va tutto bene.."
"Si, va tutto bene..."
Non sembra per niente convinto, Simone, mentre annuisce alle sue parole e gli fa eco.
"Va proprio tutto benissimo."
"Mh...dobbiamo trovà un modo de passà 'sto tempo, ora. Hai visto? Noi volevamo scappare e invece dobbiamo parlà per forza"
"No, basta...ti prego."
La voce gli trema ancora, tanto da costringerlo a boccheggiare per riprender fiato.
"Ti prego, Manuel, basta litigare."
"Ma che litigare,Simò? è già tutto passato..."
Bugia.
Non è passato proprio niente.
Anzi.
Si sente un dannato incoerente, nel comportarsi in quel modo.
Qualche minuto prima, le mura della stanza dell'hotel che sono costretti a condividere- per disposizioni stabilite da Dante- stavano letteralmente per esplodere, tante sono state le urla che si sono lanciati l'uno contro l'altro
Ma si rassegna, perdonandosi in fretta.
Con Simone- del resto- funziona così.
Che un attimo prima lo fa infuriare e finiscono col litigare talmente tanto a lungo da dimenticare il motivo per il quale, in principio, si sia accesa la discussione.
Urlarsi contro di tutto, come se le loro voci debbano riuscire a sfondare quei muri che sono in grado di ergere in pochissimi istanti e di porre tra loro.
Un po' per allontanarsi.
Un po' per proteggersi.
E un istante dopo basta uno sguardo complice, un gesto, una parola, per disinnescare.
E tornano i sorrisi, gli abbracci e i momenti in cui tutto intorno sembra sparire.
Perchè in fondo, per Manuel, non c'è niente che valga di più di Simone.
E per Simone, non c'è niente che valga più di Manuel.
"Famo così. Te racconto un paio de robe che ho combinato così te faccio fà due risate, te va?"
"Mh mh."
"Provamo. Te ascoltami bene e nun pensà a nient'altro."
Lo vede annuire contro il suo stesso braccio che- complice il volume della felpa che copre le braccia- copre il viso.
"Ce la fai a stà più dritto,Simò?" gli chiede, a voce appena udibile. "T'aiuta a prende aria"
"Non ci riesco, Manu." pigola il più piccolo. "Non voglio-"
"-guardare?"
É una leggera stretta al cuore, per Manuel, vedere Simone annuire, completamente in preda alla paura anche di osservare le pareti della struttura.
Immagina che in quell'istante gli appaiano estremamente soffocanti, quasi pronte a stringersi ancora di più e schiacciarlo.
La mano che accarezza la schiena si sposta verso il suo volto, sfiorando con i polpastrelli la fronte che si è già imperlata di piccolissime gocce di sudore freddo.
"Tieni gli occhi chiusi, Simò." gli sussurra.
"Te li copro io con una mano, se vuoi."
Con le dita, percorre la sua fronte, fino ai ricci ai lati delle tempie che sposta piano, nella speranza che questo possa regalargli un piccolo senso di libertà.
"Non guardare quello che è intorno, però almeno respiri un po'. "
Con estrema lentezza, Simone annuisce.
Attende che le dita di Manuel puntino sul lato sinistro del suo viso e gli coprano gli occhi, prima di sollevarlo.
Poggia il capo contro la parete metallica, schiacciando i ricci tra i suoi piccoli solchi.
E con fatica, allarga le spalle e il petto, per inspirare quanta più aria possibile da sbuffare via, in piccoli soffi, con lo stesso ritmo lento e cadenzato che gli è stato suggerito più volte, per controllare quegli attacchi di ansia che da qualche tempo a questa parte, lo raggiungono.
Non chiede alcun permesso, mentre inclina la testa e la lascia poggiare sulla spalla del compagno.
É un gesto naturale, non ragionato, di cui si rende conto solo quando inizia a sentire il profumo di Manuel che riempie le sue narici.
Sa di buono, sa di casa.
E nonostante la mano di Manuel si allontani dal suo volto, averlo così vicino lo rasserena.
I tratti del volto si fanno più distesi e gli occhi, ancora chiusi, pizzicano lievemente per le lacrime che spingono per affiorare.
Stende le gambe sul pavimento per voltare il busto verso il maggiore e senza pensarci troppo, lo abbraccia, affondando il volto nell'incavo del suo collo coperto dal tessuto della felpa che accoglie le prime lacrime.
"Mi dispiace per le cose che ti ho detto, Manu."
"Anche a me dispiace Simò, non le penso quelle cose."
É strana, quella sensazione di pace che giunge veloce nel cuore di entrambi.
"Manu, perchè finiamo sempre così?"
"Così come?"
"Litighiamo sempre."
"Lo so che litighiamo sempre, Simò, ma facciamo sempre pace. No?"
Dal più piccolo non giunge una risposta, ma lo sente annuire, contro la sua spalla, strisciando piano il volto sul tessuto che ormai ha accolto più di qualche lacrima.
Accarezza piano i ricci del più piccolo, affondandovi una mano e raccoglie ogni briciola di coraggio che possa servire per racimolare quelle parole che non è mai stato in grado di pronunciare.
Perchè la vita è imprevedibile e stravolge ogni piano.
E se quel momento, Manuel non ha fatto altro che immaginarlo in mille versioni diverse, la versione di loro due chiusi in un ascensore non è mai stata un'alternativa possibile.
"Tu per me sei importante, Simò."
Ogni parola detta è un atto di coraggio.
"Possiamo litigà mille volte però faremo pace mille e una. Perchè per me, tu sei davvero- davvero importante."
"Anche per me tu lo sei, Manu."
"E se litighiamo tanto è perchè-" le parole gli muoiono vigliaccamete in gola.
Vorrebbe concedersi un istante, riformulare.
Ma dei rumori provenienti da fuori attirano la sua attenzione.
"Se litighiamo tanto è perchè io ti amo!"
"Tu cosa!?"
La scena di Simone che, in quel momento di assoluto sconforto, si raddrizza per guardarlo e strabuzza gli occhi verso di lui è forse la più divertente che Manuel abbia mai visto.
Non era così che immaginava il momento in cui si sarebbe dichiarato.
Non era così che doveva andare.
Ma è così che, semplicemente, è successo.
"Simone, io ti amo." scandisce, a voce alta e fiera.
"Ma allora zitto e baciami, cretino!"
Le bocche si incontrano e le labbra si cercano, innamorate e furenti.
E quando le porte metalliche finalmente si aprono, rivelano, agli occhi del mondo, il loro amore.
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NOTE AUTRICE:
Questa storiella nasce da un prompt scritto da una ragazza nel mio cc che doveva dar vita ad una delle piccole os di "Briciole".
Ringrazio quindi la ragazza che mi ha scritto su cc e spero che questa storia vi piaccia.
Ci vediamo, come al solito, se volete, nei commenti.
Vi mando un immenso bacio.
Vostra, G.
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