8. STUPENDAMENTE ATOMICO
"STUPENDAMENTE ATOMICO"
Già fin di prima mattina non ero di buon umore e non sapevo come il resto delle donne passasse questo magico giorno, ma potevo dire per certo che per me era altamente irritante. Odiavo quella scomoda sensazione mattutina, quella di quando ti svegliavi e già sentivi che qualcosa non andava per il verso giusto e poi scoprivi solo quando andavi in bagno che le mutandine avevano cambiato colore, facendoti innervosire e cambiare umore da zero a cento. Ecco, il fatidico giorno del mese che solitamente le donne non aspettavano con felicità era arrivato. Ovviamente mettendo da parte quelle che dopo certi rapporti vorrebbero essere certe di non essere state messe incinta, allora la questione cambiava. Ma io non facevo assolutamente parte di quella categoria.
In qualsiasi caso, dormire con un ragazzo mentre si avevano le mestruazioni non era di certo di conforto, soprattutto nel pensare che magari un giorno ci si svegliava con una chiazza rossa in mezzo al letto e lui che o chiedeva cosa cavolo fosse successo oppure ridacchiando e scherzare sul fatto che saresti morta dissanguata. E questi fenomeni da baraccone dovrebbero sapere che rischiano di essere uccisi, accoltellati e trafitti in zero virgola un secondo da queste creature dolci in cerca di affetto che si potevano trasformare come un niente in demoni spietati come Lilith, Caino, Abaddon o i cavalieri dell'Apocalisse se presi o nel momento sbagliato o usando parole inappropriate. Per di più ero certa che Sam facesse parte della categoria "giullari di corte".
Era passato quasi un mese da quando Samuel aveva messo piede a Sydney e proprio quel giorno, presa dalla curiosità, dalla voglia di sapere e dopo che lui mi aveva aiutato nei compiti di italiano, cominciai a fare quelle domande che all'inizio non mi ero permessa di porgli per imbarazzo.
Chi me lo aveva fatto fare.
Nonostante fosse passato diverso tempo da quando ci ritrovammo a dormire nella stessa stanza, ancora avevo un filetto di timore nel domandargli del suo passato. Non sapevo il motivo, ma c'era qualcosa nella mia testa che mi diceva che non era il caso di parlare degli argomenti riguardanti l'intermezzo tra la sua partenza e il suo arrivo in Australia. Io sapevo veramente poco se non nulla, e conoscere il proprio coinquilino, noto anche come falso fratello maggiore, non credevo fosse un'idea malvagia. Eravamo anche abbastanza in confidenza da stuzzicarci a vicenda, da raccontarci cose stupide che riguardavano cose in generale o divagare nel ricordare i tempi in cui eravamo piccoli e senza pensieri.
Io dico che condividete anche il letto.
Detta così sembra esserci un doppio senso.
Ragazza mia, quando capirai che certe cose le dico apposta?
«Sammy, posso farti una domanda?» conclusi, cercando di porre fine al discorso creato con la mia vocina interiore.
Sei un genio, lo sanno tutti che non si deve mai iniziare un discorso con un ragazzo con una domanda.
Ecco che ritorna... Da quand'è che saresti un'esperta di dialoghi con i ragazzi?
Da quand'è che lo saresti tu?
«Sì, certo, spara» disse, sedendosi nuovamente sul divano dato che si era appena alzato da questo con l'intenzione di fare tutt'altro probabilmente.
Deglutii e presi coraggio, oramai avevo fatto il passo. «Com'è stato vivere in Italia e negli Stati Uniti? E per quale motivo sei ritornato in Australia?»
Lui mi guardò fisso negli occhi, forse un po' sorpreso, ma non sembrava che volesse esprimersi. Si era perso per qualche secondo nei pensieri e abbassando lo sguardo, evitò di incrociare il mio. «Ehm... normale.»
Aggrottai la fronte non capendo la sua risposta e mi scappò una risata, ma non aveva affatto l'aria di essere divertita. «Normale?» sbottai.
Mi sentii in un primo momento come se non dovessi parlare, ma mi dava fastidio che continuassero lui e Xavier, perché ero più che certa che c'entravano entrambi, a tenermi nascoste certe cose. Passavamo tutti i giorni insieme, condividevamo una stanza e ridevamo e scherzavamo ogni giorno, non riuscivo a comprendere cosa ci fosse di male nel voler sapere qualcosa in più su di lui. Quella risposta non solo aveva urtato i miei neuroni, ma stava anche riuscendo a farmi incavolare, tanto da far sciogliere a momenti la lingua e sparare di conseguenza cose a caso.
Senti, capisco che hai le tue cose, ma calmati. Respira e-
Sta zitta!
Okay, sono le cose.
«Sì, normale. Non era nulla di che» ripeté, guardandomi un secondo con la faccia aggrottata, i pugni stretti e con l'intenzione di alzarsi e andarsene dal divano, facendomi percepire del fastidio da parte sua.
Boom.
«Sei praticamente sparito, Xavier si era anche trasferito lasciandomi da sola a Darwin e di te non ho saputo più nulla. È stato come perdere due fratelli e tu mi dici normale?» Forse mi ero innervosita troppo, ma sapevo che mi sarei comportata allo stesso modo con mio fratello.
Lui si irrigidì e sembrava più nervoso di me. «Non sono affari tuoi e poi non potresti capire» subito dopo si alzò e si prese una bottiglietta di acqua dal piccolo frigorifero che avevamo in stanza, cominciando a scolarsela.
Mi alzai anche io non volevo credere a ciò che avevo appena sentito, con le fiamme in gola pronte ad uscire dalla mia bocca. «Non potrei capire?! Se non mi dici nulla ci credo che non posso capire!» sintetizzai.
Presi lo zaino che avevo lasciato ai piedi del tavolino, con tutta l'intenzione di andarmene e di non vedere la sua faccia per un lungo ammontare di tempo.
«Sì, esci pure.»
Con la testa che stava per scoppiare dalla pressione che la rabbia mi aveva fatto venire, aprii la porta e mi voltai di scatto verso di lui. «Sicuramente non sarai tu a fermarmi» alzai la voce, facendogli la linguaccia e tornando a guardare subito dopo davanti a me, furibonda.
«Bene!» esclamò.
«Ottimo!» sbottai.
«Fantastico!»
«Stupendamente atomico!» e con questo uscii dalla stanza, sentendomi trattata come una bambina piccola di quattro anni.
"Non potresti capire", cosa sono, un eschimese che non parla la sua lingua?!
Oltre al fatto che non ha senso quello che hai detto, ma per caso anche lui ha le mestruazioni?
Ora non ti ci mettere anche tu, sono già su di giri per conto mio.
Sbattei l'ingresso per far capire quanto ero incazzata con lui e il suo atteggiamento, correndo giù per le scale e borbottando a bassa voce parole incomprensibili per chi mi passava accanto, che per di più si giravano a guardarmi male. Ero diventata anche un animale da circo, meraviglioso.
Io da Samuel volevo soltanto sapere qualcosa in più su di lui, non mi sembrava una cosa tanto malvagia porgli quella semplice domanda.
E cosa ti aspettavi che rispondesse?
Sicuramente non "normale".
Oh Scarlett, non sai con quante belle gnocche italiane e americane sono stato. Allora, c'era Anna, Francesca, Beth-
Okay, okay, ho capito il concetto.
Cos'è, ti da fastidio?
Sì, ma normale non è una risposta, piuttosto l'elenco.
Certo, così ti saresti sentita una merda.
E perché mai?
Pronto? Ti interessa.
No, non è vero.
Ovvio, è più normale incazzarsi per una parola detta da una persona qualsiasi.
Samuel non è una persona qualsiasi e non dire più quella parola, ancora mi ribolle tutto dentro.
Quale, normale?
Giuro, ora ti strozzo.
Scusa, scusa, volevo solo una conferma.
Scesi le scalinate guardando a terra, calpestando il suolo come se volessi calpestare la faccia di Samuel e la vocina creata dalla mia fervida immaginazione e domandandomi il perché Dio avesse creato una creatura immaginaria così testarda e irritante nella mia testa. Giunta in strada, ogni mio pensiero si disperse quando andai addosso a un ragazzo che solo poco dopo mi accorsi che era Shane, il mio compagno di corso. Non abitava dall'altra parte di Sydney? «Tutto apposto?» mi chiese con lieve preoccupazione nella voce, probabilmente aveva visto la mia espressione indemoniata e scontrosa. Che bello.
Misi il muso, feci un sospiro e cominciai a fare gesti strani con le mani per enfatizzare le mie parole. «Oltre al fatto che Sam non vuole raccontarmi niente della sua vita passata e che la mia testa sta delirando per colpa di una vocina scassa palle sto benissimo, non potrebbe andare meglio!» risposi esasperata, incrociando subito dopo le braccia sotto al seno e voltandomi per caso verso il negozio di paste che c'era lì vicino all'hotel. Lo avevo notato il giorno dopo esser arrivata, con una voglia matta di dolcetti che saliva dal profondo del mio stomaco e decidendo che da quel momento sarebbe diventata la mia pasticceria personale, in cui avrei voluto comprare una miriade di dolci. Un leggero profumo mi stuzzicò improvvisamente l'olfatto ed era l'inconfondibile odore della crema pasticcera che mi conquistò fin dalla prima volta. Guardai dall'altra parte cercando di non pensare almeno in quel momento al cibo.
«Mi dispiace, spero che si risolva tutto» mi disse Shane, ed effettivamente, a ripensare a quello che era successo, forse quella che avevo fatto poteva sembrare sul serio una scenata fatta da una bambina capricciosa, di conseguenza Sam, in un certo senso, aveva anche fatto bene a trattarmi come se avessi cinque anni, ma ad ogni modo il suo atteggiamento da "non puoi capire perché sei troppo ingenua" non mi era per nulla piaciuto. Quindi la sua giustifica era da revocare.
Beh, devi ammettere che in ogni caso ha un pochetto esagerato.
Ahhh, fammi il piacere di non comparire e poi, stupendamente atomico? Cos'è che ho detto?
Ah, adesso te lo chiedi? Aspetta un secondo che guardo il significato di quell'aggettivo sul tuo dizionario personale... stupendamente atomico, stupendamente atomico... no, non c'è, e casualmente mi toccherà un'altra volta prendere una penna e annotarmi "stupendamente atomico" nel registro delle "parole inventate al momento".
Sempre simpatica tu.
«Posso fare qualcosa per aiutarti?» mi chiese il mio compagno di corso, cercando di non farmi pensare al nome e al volto del mio coinquilino, che in quei minuti mi pareva Satana; già immaginavo la sua testa con le corna, la coda che usciva dalla colonna vertebrale e un ghigno sul volto. Con i suoi occhi taglienti il cosplay sarebbe stato a dir poco perfetto. Solo un aggettivo mi passava per la testa in quei attimi: antipatico. No, anche insensibile. E stupido. Okay, tanti altri aggettivi.
Sexy no?
No.
Avanti, con quel fisicaccio stento a credere che non sia sexy.
Mi voltai di scatto verso Shane e, percependo ancora quell'odorino sotto al naso, mi si illuminarono gli occhi. «Paste!» riuscii a dire e trascinandolo per qualche metro tirando la manica della sua felpa nera, ci dirigemmo verso il centro di quel dolce profumo che mi stava praticamente corrodendo, noto anche come paradiso terrestre.
Appena varcai l'ingresso, l'odore si accentuò ancor di più e per qualche secondo mi fece dimenticare il motivo per cui mi trovavo in strada. Sbirciai tra le vetrine col muso appiccicato come se più mi avvicinavo e meglio vedevo, e mi ispiravano in modo particolare i biscotti al cioccolato e quelli alla crema. Solo a passarci sopra gli occhi, sentivo il sapore espandersi nella mia bocca, dando un senso di piacere a tutto il mio corpo. «Prendo questi» dissi alla dipendente che con sorriso delicato mi servì.
«Posso avere anche io quelli al cioccolato?» intervenne la voce di Shane da dietro di me e mi accorsi solo in quel momento che mi ero completamente scordata di essere venuta lì con lui.
Pessima amica aggiunse nuovamente quella voce antipatica.
Quando pensavo al cibo quasi sempre capitava che dimenticassi le cose, ma non lo facevo apposta. Avevo un'attrazione particolare verso di esso e mi era impossibile non dedicarci tutta la mia completa attenzione. Aveva ragione Joey Tribbiani nel dire "il cibo è sacro", praticamente io avevo iniziato Friends solo per vedere lui con le sue mitiche uscite.
Una volta pagato il sacchetto di biscotti, uscimmo dal locale e prendendone su uno dalla busta di carta, lo addentai. Chiusi gli occhi senza saper descrivere la bontà che faceva sciogliere le mie papille gustative. Questo era quello che definivo amore. L'amore verso il cibo era un'emozione unica e speciale. Anche l'aroma stava facendo la sua parte e rendeva tutto più magico.
«Ti sono venuti quegli esercizi di pagina cinquantasette di italiano?» mi chiese di punto in bianco Shane, facendomi ritornare sulla terra ferma. Ero arrivata nel paradiso dei dolci e correvo tra di essi insieme a Joey nel reparto biscotti al cioccolato, mancava solo che diventassi uno di loro. La realtà certe volte faceva veramente male.
«Sì, tutto grazie a Sam-» mi stoppai di colpo, ricordandomi il motivo per cui mi stavo affogando in quei meravigliosi biscotti leggeri alla cioccolata.
«Oh no, scusami, non avevo intenzione di-»
«Tranquillo,» lo fermai non volendo sentire altro, «è tutto apposto.»
Gli sorrisi cercando di non farlo preoccupare ulteriormente e fortunatamente funzionò.
Anche con Shane avevo stretto amicizia sempre di più, tanto da farlo uscire anche con gli altri. A Brooke gli stava particolarmente simpatico dato che non era tanto più alto di noi, come al contrario era tutto il restante della compagnia, mentre a Matthew e a Suwa piaceva la sua natura tranquilla, ma sapeva essere anche divertente. Non si era ambientato completamente come volevo, ad esempio quando Xavier lo invitava alle grigliate lui rifiutava, e pensavo che forse era ancora di poco influenzato dal suo passato. Doveva essere brutto convivere col ricordo di esser stati bullizzati, quindi potevo solo immaginare il disagio che sicuramente provava. Non osavo immaginare la sua reazione nel rivedere quei rivoltanti volti.
A proposito di grigliate, anche quella sera Xavier si sarebbe trovato con i suoi amici e con lui, oltre a me, sarebbe venuto ovviamente e senza ombra di dubbio Samuel. Brooke, Matthew e Suwa avrebbero cenato insieme per poi far visitare la zona al nuovo arrivato, Danielle doveva rimanere all'hotel per lavoro e Shane rifiutò come a suo solito. Sarei voluta andare con i miei migliori amici, ma il giorno prima avevo già acconsentito la mia partecipazione alla villa, quindi mi sembrava scortese disdire la parola data.
Come ogni volta, ci offrì un passaggio Hugh e mi toccò star nei sedili posteriori con Samuel. Non ci scambiammo neanche una parola durante il tragitto, standocene in silenzio ad ascoltare i discorsi di mio fratello e del surfista mentre guardavamo attraverso finestrini opposti. Il percorso in macchina sembrava lungo ed eterno nonostante fossero soltanto diciassette minuti ed era la prima volta che non avevo intenzione di comunicare con Sam. Era strano non parlarci, ma non riuscivo a non tenergli il muso, era stato antipatico a non spicciare una parola, poteva dire bello, ho visto questo e questo, finendo lì la chiacchierata, invece aveva risposto con normale. Basta, quella parola era da bandire.
Coscienza, elimina normale dall'archivio.
Già sei ritardata di tuo, figuriamoci se elimino una parola così frequente dal tuo vocabolario.
Una volta scesi dall'auto, mi precipitai da Jensen che stava giustappunto cucinando, proprio come speravo. «Heylà!» dissi, sbucandogli dietro alla schiena e facendo finta di essere felice.
Lui si voltò e sorrise come sempre. «Scarlett! Ciao, tutto bene?» mi diede due baci sulle guance e ritornò al suo lavoretto, ma tenendo un orecchio teso per ascoltarmi. Ancora dovevo scoprire come riuscisse ad essere così concentrato.
Annuii contenta, ringraziando il cielo del fatto che non si fosse accorto del mio vero stato d'animo, lasciandomi ammirare il come stesse rosolando la carne che stava preparando. «Che buon profumino, impeccabile come sempre Jens.»
Lui sorrise e mi ringraziò, offrendomi un pezzo di carne. «Assaggia» mi invitò.
Lo presi con una forchetta dato che poteva essere semi-incandescente e solo dalla fragranza potevo dire che era delizioso. Soffiai un paio di volte assicurandomi di non scottarmi la lingua e diedi un morso. Sentivo un gusto leggermente diverso dalle altre volte, ma era come se una bomba di sapori fosse esplosa nella mia bocca. Era impressionante come fosse favolosa la sua cucina.
«È... buonissimo... no, non so nemmeno qual è l'aggettivo appropriato. Porca vacca, come fai a cucinare così divinamente?!» a momenti non mi reggevo in piedi tanto era squisito. In qualsiasi caso presi un altro boccone, finendo così il pezzetto che mi aveva fatto provare. Mi stavo sciogliendo come il burro poteva fare stando a contatto con una padella calda.
Jensen mi fece un inchino di ringraziamento e così facendo mi fece ridacchiare, divertita dalla messa in scena. «Sono onorato, mi fa piacere che ti piaccia» disse, formando con la sua bocca uno dei suoi bei sorrisoni caldi.
Riuscii soltanto a sorridergli e ad osservarlo mentre cucinava il resto della carne e alcune verdure per gli unici vegetariani del gruppo, ovvero Conny ed Erwin, denominati i cugini Lee. Erano veramente cugini, ma sembravano dei gemelli opposti talmente si assomigliavano. Il primo aveva i capelli corti e marroni, l'altro era biondo con i capelli lisci e lunghi alla Axl Rose; uno aveva gli occhi grigi mentre l'altro li aveva castani. Le facce erano le stesse, era incredibile come fossero uguali.
Aiutai Jensen a portare le padelle piene di cibo nei tavoli di legno e un'ondata di gente si fiondò per mangiare. C'era talmente tanta varietà di scelta che sarebbe potuto avanzare persino ad un esercito intero di militari appena tornati dalla loro missione. Ovviamente tutta quella carne era stata comprata da Hugh e Jensen, ma avrebbero diviso il prezzo in tante parti quanti eravamo quella sera. Volevo dare anche io il mio contributo, ma Xavier aveva sempre insistito per pagare pure la mia parte, ritenendosi per l'ennesima volta responsabile della sua sorellina. Dato che eravamo in molti il prezzo era ridotto, quindi non gravava di molto le sue tasche, così diceva, ma a me dava comunque fastidio il dover dipendere dal suo denaro. All'incirca ci trovavamo una volta a settimana, sempre se non era il compleanno di qualcuno di cui, in quei casi, noi non sborsavamo nemmeno un dollaro, portando al massimo dei dolci come dessert oppure gli antipasti per dare un piccolo contributo.
A tavola mi trovai tra i miei due fratelli e con uno di loro non avevo il piacere di avere la sua compagnia accanto. Non parlammo nemmeno in quelle circostanze, ma per fortuna davanti a me c'era Jensen con cui scambiare due chiacchere, ma purtroppo qualche volta si doveva alzare per preparare altra roba. Immedesimandomi in lui potevo pensare di stare al lavoro, c'era gente che lo chiamava dicendo se poteva portare altre bottiglie da bere o gli chiedevano di preparare altra carne, lo trattavano come un servetto, ma a lui non sembrava dispiacere. In ogni caso al guardarlo fare avanti e indietro dimagrivo al posto suo. Capitavano serate in cui avanzava qualcosa, ma come in quell'occasione, i ragazzi avevano fatto piazza pulita, ma c'era d'aspettarselo.
Quella sera stava cominciando ad essere un tantino noiosa, ma di certo non potevo stare tutto il tempo incollata a Jensen, già al pensiero mi sentivo di stargli fin troppo appiccicata come un parassita, quindi mi allontanai dal gruppo e mi sedetti sulla spiaggia a guardare l'oceano e la luce della luna calante riflettere sulla tavola d'acqua che avevo di fronte. Il suono dolce delle onde riempiva lo spazio che avevo attorno, rendendo ovattate le voci lontane provenienti dalla villa. La sabbia fresca sotto ai piedi nudi si infilava tra le dita e il leggero venticello mi accarezzava dolcemente la pelle, spostando con delicatezza i miei capelli che sotto a quel cielo apparivano scuri con dei piccoli riflessi rossi.
Poco dopo sentii dei passi avvicinarsi sempre più a me facendo muovere i piccoli granelli dorati e infine, sedendosi al mio fianco, notai che quella persona era Xavier. Si sistemò per bene appoggiando le mani alla sabbia per tenersi sollevato e tenendo una gamba piegata e l'altra distesa verso l'oceano. Guardò per un po' di tempo il punto dove prima avevo posato i miei occhi, ma successivamente si voltò verso di me, con mezzo volto coperto dall'ombra e il resto illuminato dalla luce lunare. «Tutto bene?» mi chiese con un tono un po' preoccupato.
Era lo stesso tono di voce che usava quando da piccola era venuto a consolarmi perché avevo litigato con Brooke, e come sempre, grazie ai suoi consigli, ero riuscita a far pace con la mia migliore amica. Da quella volta con lei non avevamo più bisticciato in quel modo, che per di più era per una cavolata, ma da piccoli ogni problema sembrava più grande di quanto realmente fosse.
Annuii, anche se mi veniva voglia di rispondergli il contrario e sfogarmi di tutto pensando a Samuel e a quello che era successo in camera. Ero stata un idiota, probabilmente dovevo starmene zitta, fare i cavolacci miei e ascoltare il mio sesto senso che mi diceva di fare l'opposto. Purtroppo la mia curiosità sovrastava tutto.
«È successo qualcosa con Sammy, non è vero?» domandò, scrutandomi il viso.
Lo guardai sorpresa, non potendo immaginare che mi potesse scoprire così facilmente e mi venne il dubbio se mio fratello avesse imparato a leggere nella mente. «Come fai a saperlo?»
Lui si voltò verso l'oceano sorridendo leggermente. «Di solito cerchi di parlare con lui, oppure vi mettete a discutere e a bisticciare, invece oggi sembrava che vi evitaste a vicenda, forse più te che Sam.»
Abbassai lo sguardo e ascoltai per una manciata di secondi le piccole onde infrangersi sulla sabbia bagnata, per poi ritirarsi indietro e ripetere la stessa identica cosa all'infinito. Era rilassante ascoltare il respiro dell'oceano nonostante potesse risultare monotono, personalmente sarei rimasta ore ed ore ad ascoltarlo. «Gli ho chiesto dell'Italia e dell'America, e lui mi ha risposto normale invece di raccontarmi qualcosa come speravo. Tutto qui.»
Ammettendo ad alta voce quello che invece speravo che succedesse in quel primo pomeriggio, mi faceva sentire ancora più piccola di quanto già mi credessi. In quell'istante anche una formica avrebbe potuto prendermi in giro, che vergogna.
Xavier annuì, capendo molto probabilmente cosa volessi dal suo caro e vecchio migliore amico. «Non è stato un bellissimo periodo per lui, specialmente l'ultimo» mi spiegò con un velo di tristezza, togliendo quel sorrisetto che poco prima era comparso sul suo volto. «Ma se lui non vuole raccontarti, di certo non posso farlo io, se no che razza di migliore amico sarei?»
Sorrisi a questa sua affermazione, pensando che avrei fatto lo stesso con Brooke, con Suwa e con chiunque si sarebbe confidato con me. Probabilmente avevo preteso troppo da Samuel e sul momento non avevo minimamente pensato all'alternativa che invece mi rivelò Xavier. Era normale per una persona non voler parlare di cose brutte e dolorose, non sapevo cosa avesse passato per non parlarmene, ma potevo immaginare. Forse voleva semplicemente dimenticare quel periodaccio e venire in Australia magari era una distrazione.
Ora puoi sentirti una merda.
Grazie.
«Semplicemente non gli va di ricordare e soprattutto di raccontarlo a qualcun altro all'infuori di me. Cavolo, così mi sento importante, wow.»
Risi a quella sua osservazione e lui si unì a me. Non capivo ancora come facesse a farmi cambiare, anche se pur di poco, l'umore. Fin da bambini era bravo a farmi sorridere di gioia dopo un pianto e in questi casi lo sentivo ancor più vicino a me e faceva sciogliere il cubetto di ghiaccio che mi congelava il petto.
Xavier sorrise a trentadue denti come solitamente usavano fare i protagonisti dei miei cari cartoni animati, mettendomi il buon umore. «Finalmente ridi sorellina» affermò, scompigliandomi i capelli, per poi alzarsi in piedi con lo sguardo fisso sull'oceano e facendo riflettere una dolce luce nei suoi occhi color nocciola. «Sai, per lui sei importante come una piccola sorellina, non ti potrà mai odiare se è questo quello che ti preoccupa, sta tranquilla.»
Lo guardai sorpresa mentre si infilava le mani nelle tasche, e prima di andare dagli altri aggiunse dell'altro. «Si preoccupa per te più di quanto tu possa immaginare, trattalo come se fosse me. Cosa faresti in quel caso?»
Il rumore dei suoi passi sulla sabbia asciutta si faceva sempre più lontano e io rimasi lì, a pensare, abbracciando le mie gambe raccolte e guardando l'orizzonte infinito di quella grande e immensa distesa d'acqua.
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