6. HARRIS AI FORNELLI

"HARRIS AI FORNELLI"

«Pronto?» risposi al telefono.

«Finalmente! Ti ho chiamata otto volte!» sentii la voce di Brooke provenire dalla cornetta come un tuono.

Mi presi qualche secondo per guardare il display del cellulare e notai che, effettivamente, c'erano alcune chiamate perse da parte sua. «Sono cinque» specificai, volendo farle girare le scatole.

«Uffa, è uguale!» sbottò e da quanto la conoscevo aveva sbattuto un piede al suolo e messo il muso come una bambina. «Comunque ti ho chiamata dato che oggi non ti ho visto all'università. Volevo invitare te, Xavier, Danielle e Samuel a mangiare da noi questa sera. Suwa l'ho già avvisato prima» finì di dire un po' timidamente, come se fosse un poco nervosa.

Spalancai gli occhi. «Avete la casa tutta pronta e messa apposto?» domandai incredula.

Per Brooke mettere a posto era quasi come un parto. Odiava mettere in ordine e quando a Darwin andavo a casa sua il suo vestiario era posato sulla sedia e sul letto, nonostante avesse un armadio che definirlo grande era un eufemismo. Le scarpe erano o sotto la scrivania o ai piedi del letto, mai nella scarpiera. Sua madre aveva anche rinunciato a metterle a posto la stanza e puliva a terra solo quando riusciva a farlo. Era tutto in ordine solo quelle volte che chiamavano la donna delle pulizie e una volta riuscii a vedere la camera della mia migliore amica messa a lucido. Sembrava più grande e bella di quando c'erano i castelli di vestiti e mi veniva da piangere nel vederla in quello stato, sembrava di stare in un sogno. Di come si poteva capire, Brooke era una casinista e sentirmi dire che era tutto pronto e immacolato, non mi era possibile crederci per davvero. Era una cosa impossibile da parte sua, non poteva essere vero.

Le sentii fare un sospiro di sollievo, quasi con orgoglio verso la sua grande impresa. «Sì, non so come sono riuscita in realtà. Forse è perché Matt è ordinato al contrario mio.»

«Immaginavo» ammisi. «Wow, non ci credo, Brooke Harris ha detto che la sua casa è in ordine. Un sogno che non pensavo si potesse realizzare. Sono scioccata.»

«Sì okay, ho capito il concetto.»

«No davvero, è come sentire da Sheldon che lui ha torto mentre Leonard ha ragione, mi capisci vero?» continuai a farneticare ancora sotto shock.

«Sì va bene, ho capito, comunque ci sarete?» sintetizzò infastidita.

Pensai due secondi prima di risponderle con sicurezza. «Sì certo, però ti faccio sapere se viene Danielle, sai, con il lavoro...» le feci notare e lei annuì con un capito.

Quando la salutai staccando la chiamata, andai da mio fratello, dove c'era anche Samuel a giocare a UNO. Sembrava una partita accanita dato che avevano l'aria di esser lì da molto tempo ad aspettare che vincesse qualcuno. Sulle loro facce era dipinta un'espressione di sfida, il clima era simile a quando due del Far West si sfidano a duello, con gli occhi assottigliati e la mano pronta ad attaccare. Nonostante l'arduo scontro, li avvisai di quella sera e con sorpresa avrei comunicato a Brooke che Danielle aveva la serata libera.
Un record da parte sua.
Finalmente, erano secoli che non si usciva tutti insieme con lei. Tra una cosa e l'altra era sempre occupata e anche se avesse avuto ore o giorni liberi, aveva sempre qualcosa da sbrigare, come aiutare degli amici in negozio, andare a fare commissioni o quant'altro. In questo assomigliava molto a mio fratello, non riusciva a stare ferma nemmeno per un secondo.

Samuel ci convinse quasi subito a farci un bagno in piscina dopo aver vinto la giocata a carte e questo voleva dire lavarsi nuovamente i capelli nonostante li avessi puliti da un giorno. Fortunatamente non avevo i capelli ricci di Brooke, lei ci metteva come minimo quaranta minuti prima di uscire dal bagno con i capelli ben fatti, quando io ce ne mettevo anche quindici, sprecando più tempo ad asciugarli che a lavarli.

La piscina era fantastica. Dovevo ammettere che, nonostante l'avessi sotto gli occhi, non ci andavo spesso quanto mio fratello e il suo migliore amico. Era rilassante fare una nuotatina e in parte c'era anche un idromassaggio con l'acqua calda. Era un piacere stare in quel piccolo angolo di paradiso, le bollicine rilassavano tutto il corpo e non riuscivi a pensare ad altro. Mio fratello continuava a fare bracciate mettendoci ben poco a finire la vasca, come se non gli fossero bastati gli allenamenti alla Ian Tohrpe Aquatic Centre dove ci andava con frequenza ed entusiasmo. Samuel al contrario si stava rilassando come me, però sotto la cascata che collegava l'idromassaggio, dato che stava a poco più di un metro dal livello dell'acqua, con quest'ultima. E lui stava lì, beato, a sentire gli scrosci battersi sulle sue spalle quasi come se gli facesse un massaggio. Lo guardai un secondo sporgendomi dal bordo della vasca e lo beccai a passarsi una mano fra i capelli, bagnati dall'acqua calda della cascata. Era impressionante il quanto potesse essere affascinante anche con le gocce che gli scivolavano sulla pelle. Il fisico era palestrato come avevo visto quella prima mattina di risveglio con lui, ma c'era d'ammettere che c'erano stati altri giorni in cui potei vederlo senza maglia, quindi era diventata anche come un'abitudine. Non potevo negare il fatto che ancora mi imbarazzavo, ma certamente non ero più caduta dal letto impressionandomi della sua corporatura.

«Ti piace quello che vedi o ti sei imbambolata?» sentii domandare da sotto.

Alzai lo sguardo dai suoi addominali e notai che Sam era lì fermo a fissarmi con un sorrisino compiaciuto, mostrando quelle fossette odiose tanto quanto quella frase che aveva appena pronunciato. Potevo presumere un rossore dipingermi le gote dato che stavano andando letteralmente a fuoco. «Cosa? Sì, cioè no, aspetta, a cosa devo rispondere?»

Che figura di merda.
Si lo so, grazie, ora mi sento ancora più imbecille.
Ma lo sei.
Davvero, non serviva dirlo ancora.

Lui cominciò a ridere e Xavier fermò la sua nuotata, osservandoci e aggrottando la fronte. «Mi sono perso qualcosa?» domandò.

Negammo entrambi e io, uscendo dalla vasca, andai a prendermi l'asciugamano sugli sdraio, per poi avviarmi a fare una bella doccia rinfrescante in appartamento. La vasca da bagno che c'era non sarebbe servita minimamente, mi ero rilassata anche fin troppo. Se l'avessi usata avrei rischiato veramente di addormentarmi e di non arrivare in tempo alla cena a cui Brooke teneva molto, per di più con le dita che potevano sembrare quelle di una vecchietta se non peggio. Rabbrividii al pensiero.

Quando finii di rinfrescarmi, asciugai i capelli e li pettinai cercando di farli decenti. Contenta del risultato, mi truccai appena come facevo sempre, con un po' di mascara, un filo di matita e via; il fondotinta non sentivo che mi sarebbe servito, mi accontentavo della semplicità. Indossai una maglia a maniche corte bianca con del pizzo sulla legger scollatura che aveva. Una gonna a balze nera poco sopra alle ginocchia era di obbligo dato che era una serata un po' calda, e delle AllStar bianche per stare comoda. Di tacchi ne avevo solo un paio, ed erano neri, ma lì aveva portati Brooke a tradimento, dicendo che sarebbero serviti a qualcosa un giorno. Per me era già tanto se indossavo gli stivaletti, quei trampoli ai piedi non facevano proprio per me nonostante spesso mi sentivo dire che con il fisico che avevo ci sarei stata benissimo. Brooke aveva il sogno segreto da farmi da stilista un giorno, invece il mio di sogno lo aveva già realizzato mettendo in ordine qualcosa di più grande di un armadio.

Quando Samuel tornò in stanza, si fermò un attimo a guardarmi per non dire ad analizzarmi. Io mi sentii leggermente imbarazzata nel sentire il suo sguardo fisso su di me, anche perché aveva l'accappatoio aperto mettendo in mostra il suo costume a pantaloncino corto, molto simile a quelli che da piccolo indossava per le sue gare di nuoto. Fece un cenno con la mano indicandomi e alzò verso l'alto i lati della sua bocca, formando qualcosa di celestiale sul suo volto. «Stai bene vestita così.»

«Oh, grazie» risposi un po' nervosa, prendendomi letteralmente alla sprovvista.

Non ne sapevo il motivo, ma il suo complimento mi fece sorridere appena lui si chiuse la porta del bagno alle spalle, iniziando così a farsi una doccia. Sam ci mise davvero poco, cinque minuti se non di meno, e altri cinque per decidere di indossare dei pantaloni fino al ginocchio beige e una maglia a maniche corte blu notte, mentre ai piedi indossava le solite snikers bianche. Quando ci chiudemmo l'entrata con la chiave, chiamammo gli altri due piccioncini per vedere a che punto fossero messi. Dopo svariati minuti di attesa nell'atrio dell'hotel, osservando il facchino Oliver prendersi cura dei clienti che entravano ed uscivano dall'ingresso principale, Xavier sbucò dall'ascensore con dei jeans, una maglia bordeaux e con un paio di scarpe nere, mentre Danielle aveva un vestito a balze fino al ginocchio a righe verticali bianche e blu, con ai piedi delle ballerine bianche. I suoi capelli erano raccolti in una crocchia, al contrario mio fratello che li aveva lasciati sciolti, ma al polso avevo un elastico che usavo anche da braccialetto. Mentre si avvicinavano, notai che al collo lei portava la catenina d'oro che Xavier le aveva regalato per il compleanno nei primi giorni di gennaio, facendomi pensare che oltre al fatto di essere una cosa carina, le stava veramente bene nonostante fosse semplice.

Finalmente eravamo tutti pronti e ci dirigemmo a piedi verso l'appartamento dei nostri amici. Durante il tragitto tartassavo la mia mente di domande; come era la loro nuova casa, se era grande o se al contrario era piccola, quali mobili c'erano, se c'erano dei quadri attaccati alle pareti e di che colore erano quest'ultime. Insomma, tutte domande che uno si faceva quando andava in un nuovo posto e non sapeva cosa aspettarsi.

Quando arrivammo davanti ai citofoni di quel condominio, mi sentii leggermente nervosa.
Chissà se ha già sporcato casa.
Può essere, lei è Brooke, è capace di rompere il phone senza toccarlo.
Come quella volta in gita scolastica.
Come dimenticare, per chiudere la valigia ci si era messa sopra e nemmeno dopo aver sentito uno strano rumore si era chiesta se era necessario esagerare così tanto per chiuderla.
E quando l'ha riaperta a casa si è chiesta com'è potuto succedere se non l'ha toccata minimamente.
Dando la colpa allo staff dell'aeroporto, definendoli rozzi selvaggi.

«Smith, Jones, Nguyen, Robinson, Campbell-Harris, eccoli!» esclamai entusiasta.

Suonai il citofono e attendemmo una risposta dall'altra parte. Dopo qualche secondo si accese la luce della telecamera e si sentì una voce femminile. «Sì?»

«Signorina Campbell?» chiese Samuel, ridendo già sotto i baffi.

«Oh, ma per favore Sampson, sono ancora una Harris! Entrate dai. Allora, andate alla seconda porta, secondo piano, infondo al corridoio a destra e poi porta a sinistra.»

«Mi sono già perso» aggiunse Xavier in tono scherzoso.

Non che lei fosse stata chiara, secondo me non si ricordava bene nemmeno lei conoscendo la sua meticolosità in geografia.

«Vi vengo a prendere» si propose Brooke.

Strabuzzai gli occhi. «No! Il tuo orientamento è pessimo, fa venire Suwa se è lì.»

La sentii sbuffare. «Antipatica. Solo perché devo levare le cose dal forno che vi mando Suwa.»

E fu così che finì la chiacchierata al citofono. Il portone si aprì con un suono a mo di ronzio e noi entrammo lentamente uno alla volta. Mi ero ricordata della seconda porta e aprendola ci ritrovammo a sinistra degli scalini che salivano. Cominciammo ad incamminarci su per le scale e si sentivano i nostri passi rimbombare per tutto il giro scale. Samuel cominciò a fare come Ciuchino nel film di Schrek, chiedendo se eravamo arrivati. Io continuavo a dirgli di smetterla, fino a quando davanti a noi non comparve il mio migliore amico con dei pantaloni corti fino al ginocchio in jeans, una camicia leggera a maniche corte a quadri rossi e neri, e la solita collana di perle che gli circondava il collo. Un sospiro di sollievo uscì dalle mie labbra. «Wei ragazzi, tutto bene?»

Detto ciò Suwa ci fece strada fino all'appartamento, commentando anche lui entusiasta del fatto che era veramente tutto in ordine, e all'ingresso venimmo accolti da un tappeto marroncino con su scritto Welcome. Quando finalmente oltrepassammo la soglia, potei notare le pareti bianche della casa, con qualche quadro di loro due appeso qua e là e diversi ritratti di Marilyn Monroe e paesaggi vari. Una televisione era appoggiata a un mobiletto marrone con due paia di cassetti e con davanti un divano rivestito di tessuto blu. Dietro a quest'ultimo c'era un tavolo rotondo fatto in legno, mentre le piastrelle, mi accorsi poco dopo, erano lisce e di un beige scuro, mentre la libreria nera era appoggiata al muro con una serie di libri già messi sparsi tra i cubi, ma sorprendentemente in modo ordinato. Purtroppo ero convinta che fosse solo questione di tempo prima che il disordine avrebbe fatto da sovrano, o almeno, speravo non del tutto, se no Matt sarebbe sicuramente impazzito. La cucina era divisa a parte, e ce lo confermò il padrone di casa quando venne a salutarci.

«Finalmente eccovi qui, vi piace?»

Annuii contenta del risultato. «È davvero deliziosa Matt.»

«Sono felice» disse entusiasta. «Brooke è in cucina, volete vederla?»

Annuendo lo seguimmo e potei osservare le pareti grigie con una cucina mezza bianca e mezza rosso opaco, e per fortuna dato che le cose lucide a Brooke davano fastidio. Altro in rosso c'erano il frigorifero, il forno e la maggior parte degli elettrodomestici che erano in vista, come la macchinetta del caffè e il frullatore. Trovai la mia migliore amica proprio lì, intenta a tirare fuori con le manopole indossate delle patate al forno. 

Appena ci notò, sul suo volto comparve un sorriso che partiva da un orecchio e finiva dall'altro, potendo notare la grande emozione che provava nell'averci lì nel suo nuovo piccolo mondo. «Ben arrivati ragazzi!» ci accolse e la prima cosa che fece dopo aver messo le patate sopra al ripiano, fu quella di abbracciarmi calorosamente.

Notai che sopra ai fornelli c'erano delle bistecche ed effettivamente si poteva sentire il profumo che emanavano fin da quando ci aprirono all'entrata, ma vedere l'appartamento davvero messo tutto in ordine aveva sconvolto la mia vita, aveva superato così tanto le mie aspettativa che aveva preceduto davanti al resto, specialmente perché, come avevo detto in precedenza, sapevo che lì ci abitava Brooke.

Andando in sala, dopo aver aiutato la mia amica a fare i vari piatti insieme all'aiuto di Danielle, vidi la tavola apparecchiata per bene. Merito di Matthew senza ombra di dubbio. Arrivò subito dopo il momento in cui tutti ci sedemmo intorno al tavolo, con un bel piatto fumante sotto agli occhi e la voglia di cominciare a mangiare. Suwa partì ad ingozzarsi dopo aver augurato una buona cena, mentre tutti iniziammo il nostro pasto, notai che al contrario nostro Samuel prese la birra e se la versò nel bicchiere. L'unico che non aveva delle posate tra le mani.

«È davvero una bella casa, congratulazioni» si congratulò Danielle con un sorriso genuino dipinto sulle labbra.

Annuii essendo completamente d'accordo. «Facci una foto Matt, tra non molto questa casa sarà ribaltata dall'uragano Brooke» e con questa battuta feci ridere tutti. 

«Ehi! Posso riuscire a lasciarla pulita per molto tempo!» sbottò Brooke, fulminandomi con lo sguardo e diventando leggermente rossa.

E sotto le risate di tutti, misi in bocca il mio primo boccone di bistecca cucinata dalla mia migliore amica. Sapendo che non era molto ferrata ai fornelli, avevo creduto che fosse bruciata, ma al contrario era sorprendentemente buona e non pensavo che lei fosse capace di cucinare così bene. Se non andavo errato era la prima volta che faceva delle bistecche.

«La carne l'hai fatta te?» commentò Suwa, indicando il suo piatto col coltello e infilandosi ancora un altro pezzo dentro la bocca, assumendo la faccia di uno scoiattolo con le guance piene di cibo.

Brooke alzò lo sguardo dal suo piatto leggermente preoccupata. «Sì, perché? È venuta male?»

Lui scosse la testa. «No, al contrario, è buona» e da questa rivelazione, lei sembrò togliersi un peso di dosso, sorridendo a trentadue denti come una bambina. «Non credevo che sapessi fare una bistecca, sicura di averla cucinata tu?» chiese ulteriormente incredulo e non potevo biasimarlo. Era difficile trovare Brooke ai fornelli, se non c'erano i suoi genitori a casa, o veniva da me o da Suwa, oppure ordinava direttamente qualcosa da asporto. Solo quando dovevo arrangiarmi nel preparare qualcosa a casa lei si proponeva ad aiutarmi, ma dopo aver fatto cadere dalle mani pacchi di farina inondando di conseguenza la cucina e non solo di una nube giallastra, non mi feci più aiutare in certi compiti per lei difficili.

Si sentì uno sbuffo uscire dalle labbra della mia migliore amica, quasi scocciata. «Ho chiamato la mamma di Scarlett per aiutarmi, va bene?» confessò.

«Perché mia mamma?» dicemmo contemporaneamente io e Xavier con sorpresa.

«Perché la mia non sa cucinare bene come la vostra, dovresti averlo capito da tempo ormai» continuò, parlando a me, «e soprattutto dal mio decimo compleanno. La sua torta ha fatto vomitare due bambine e la nonna è rimasta chiusa in bagno per giorni. Per fortuna che tua mamma aveva fatto degli stuzzichini a parte. Non so come sia potuta passare nella testa di mia madre l'idea di provare a fare una torta, era anche la sua prima volta e usare il mio compleanno come cavia non era stata una buonatrovata. E per di più continuava a chiedere cosa c'era che non andava, fino a quando non l'ha assaggiata anche lei. Subito dopo si è precipitata in bagno a spostare la nonna per vomitare al posto suo. Quelli si che sono stati giorni difficili.»

«Sarei dovuto esserci» disse Suwa con delusione.

«Cosa diavolo ci aveva messo dentro?» si aggiunse Samuel, disgustato.

«Meglio non saperlo» rispose Brooke, continuando a mangiare come se nulla fosse e lasciando il mio coinquilino sconcertato.

«Com'era invece il cibo in Italia, Samuel?» domandò Matthew.

Effettivamente fece bene a cambiare il discorso, parlare di vomito a tavola non era proprio il massimo.

A Sammy gli si illuminarono gli occhi, sembrava quasi onorato di dover parlare di cucina. «Beh, non voglio fare paragoni ragazzi, ma lì il cibo era davvero squisito, era come stare in paradiso. Era tutto buonissimo, non si può immaginare nemmeno quanto. Ho mangiato meglio lì che in qualsiasi altro posto al mondo. In America c'era la moda del fast food, tutti lì andavano, non sapevano cosa si perdevano in una sana alimentazione casalinga. Stando in Italia ho imparato a fare qualche piatto e vado fiero della mia cucina» concluse, infilandosi in bocca un pezzo di carne. «Comunque anche questa bistecca è buona. Certo, lo chef amico suo» continuò a parlare, indicando Xavier, «è davvero formidabile, ma ripeto che anche questa è buona» disse con sincerità e sul volto di Brooke comparve un sorriso leggero, che diceva espressamente di essere soddisfatta di se stessa e grata delle parole di Sam.

«Bene, allora la prossima volta che si mangia qua cucini tu» disse contenta la riccia. «Almeno non devo sforzarmi troppo.»

Ecco, ora si che la riconosco pensai.
Finimmo il pasto tra una chiacchierata e un'altra, soddisfatti della buona cena. Anche se era la sua prima bistecca, Brooke si era impegnata veramente tanto e forse poteva migliorare come casalinga, per di più non poteva permettersi da sola di far venire una donna per le pulizie, quindi era meglio così. Ero contenta della sua nuova esperienza, l'avrebbe migliorata e resa una persona altrettanto migliore di quello che già era.

Mentre i ragazzi si misero a fare zapping tra i vari canali della televisione, io e Danielle ci facemmo guidare da Brooke per vedere tutta la casa. Il bagno era in beige con piastrelle bianche nel box doccia, la loro stanza da letto invece aveva delle lenzuola viola, dicendoci che le aveva spedite sua madre appena ebbe la notizia che sarebbero andati a vivere insieme, con ad entrambi i lati un piccolo comodino fornito di abat-jour e per finire un armadio a quattro ante e fatto in legno.

«Sopra il letto pensavamo di mettere un quadro o qualcos'altro, la parete è un po' spoglia ad essere sinceri, ma per ora va bene così» disse Brooke perdendosi nel guardandola, poi si girò e mi sorrise, come per cercare una conferma da me. «Ti piace?»

Io le ricambiai il suo sorriso e annuii. «Sì, certo che mi piace! Wow, Brooke, sei riuscita ad arrivare fino a qui, davvero tanti complimenti! Sono fiera di te e di Matt per aver fatto un passo così grande» e con orgoglio l'abbracciai stringendola forte a me, non sapendo cos'altro dire.

Lei mi strinse ancor di più a sé come per scaricare la tensione che fino a quel momento aveva addosso e mi bisbigliò un grazie all'orecchio.

«Hai fatto un passo importante Brooke, pensa che io e Xavier siamo bloccati nell'hotel di mio nonno. Hai fatto bene ad andare con Matthew, lo avrei fatto anche io al posto tuo, è un'occasione da non perdere» si complimentò Danielle con voce soave e dolce, piena di affetto e ammirazione.

Ero certa che quelle parole per Brooke erano importanti e sicuramente non se le sarebbe mai dimenticate. Per scherzare la definiva come la sua rivale numero uno in amore, ma sotto a quella corazza cosparsa di polvere d'invidia, c'era ammirazione e rispetto verso Dani. In parte dovevo ammettere che sarei stata felice se la mia migliore amica fosse riuscita a conquistare Xavier diventando di conseguenza mia cognata, era una di quelle cose che si condividevano con le migliori amiche, diventare qualcosa di più per marcare maggiormente la nostra amicizia, ma ero più che soddisfatta per come erano andate realmente le cose. In quei minuti di confronto, potei constatare che ognuna di loro provava ammirazione verso l'altra, anche se per motivazioni differenti.

Pian piano che passava il tempo, conoscevo sempre di più Danielle e non mi stupiva il fatto che mio fratello si fosse innamorato di lei. Era carina e gentile, simpatica e intelligente, sempre disponibile e sincera con tutti, sapeva darti buoni consigli e sapeva ascoltarti come la sorella maggiore che avevo sempre fantasticato di avere, senza mai però ammetterlo al mio fratellone dato che da piccoli forse era leggermente geloso del fatto che adorassi Samuel, dedicandogli un sacco di attenzioni.

«Sapete, io questo non me lo sarei mai immaginato. Pensate, di là abbiamo una stanza che usiamo come studio, però la prima cosa che mi venne in mente quando la vidi fu "questa sarà la stanza della nostra futura figlia". Io forse sto andando troppo in là, forse correrò troppo, ma ci pensate? Cioè... è, boh, strano. E non so nemmeno perché ve ne sto parlando» ci confessò Brooke, lasciandomi stupita e con la bocca aperta. Sapevo che adorava stare con i bambini, che desiderava averne minimo due, di cui sperava tanto che fossero due femminucce e volendole chiamare Daisy e Violet, ma non pensavo che fosse arrivata a fantasticare sul fatto che quella sarebbe potuta diventare la stanza di una sua futura​ prole. Già a pensarlo non era cosa da poco, facendomi sperare che un giorno o l'altro, presto o tardi, avrei avuto dei nipotini da parte di mio fratello e la sua adorata fidanzata.

Io e Danielle ci guardammo e ci scambiammo un sorriso. Da parte di Brooke quella era una confessione dolce. Se la conoscevi di persona il primo aggettivo che le davi era solare, e subito dopo le davi della pazza. Ma se la si conosceva come io la conoscevo, lei in fondo in fondo nascondeva un lato dolce e premuroso. Preferiva dimostrare il suo affetto con i fatti, ma sapeva dirti anche un semplice ti voglio bene che io non riuscivo a dirlo nemmeno a mio fratello. Lei era una dolce pazza o una pazza dolce, con la testa a terra e che riusciva a prendere la realtà a pugni se solo avesse voluto. Io, al contrario suo, andavo un po' troppo sulle nuvole e come spesso capitava, mentre si viaggiava su una nuvola fatta di sogni e speranze, spesso questa scompariva e ti faceva cadere, sbattendo di conseguenza la faccia contro il suolo ruvido. Quello si che faceva male e sarebbe stato bello saper fare a pugni come faceva lei.

Quando Brooke ci accompagnò al famoso studio, notammo che aveva le pareti bianche fino al bordo sotto alla finestra e da lì in giù era rivestito in legno, lasciando un leggero bordino. Lì dentro c'era un po' di tutto, come se fosse mezzo studio e mezzo magazzino. C'erano le valigie, una scrivania con sopra delle mensole dove c'erano dei libri di economia, lo si vedeva chiaro e netto anche da lontano grazie alle scritte cubitali che aveva il bordo del libro grosso e spesso. Poi lì a fianco c'erano delle scatole di scarpe, di cui la maggior parte erano senza ombra di dubbio di Brooke. In un angolo c'erano una scopa e un aspirapolvere, e in una scatola li vicino c'erano dei detersivi per lavare a terra e altri erano per la cucina o per i piatti. Gli stracci governavano un altro scatolone, insieme a spugne nuove. In un altra scatola c'erano shampoo, bagnoschiuma, balsamo e maschera per i capelli, con anche del sapone per le mani e un pacchetto di spazzolini da denti ancora chiusi nell'imballaggio. Insomma, in quella stanza c'era un po' di tutto e mi sorprendeva il fatto che Brooke utilizzasse tutta quella roba per pulire. Ancora scioccata sotto questo punto di vista, non sapevo nemmeno che sapesse prendere il mocio.

«È anche un ripostiglio» si corresse Brooke appena vide la mia espressione, come se mi avesse letto nella mente.

Poco dopo tornammo in sala dai ragazzi, che erano fermi ad un canale che trasmetteva un film. Mi allungai per vedere meglio lo schermo e notai il famoso attore Jack Black, facendomi uscire gli occhi dalle orbite, semplicemente lo adoravo. Era per di più nella scena madre di tutti i film che aveva fatto, in cui stava guidando un furgone con in sottofondo Immigrant Song.

«Questo film lo avrò visto almeno un centinaio di volte!» esclamai entusiasta e cominciai a ridere come una cretina nel vedere Jack fare facce strane mentre la cantava la canzone dei Led Zeppelin.

«Io non volevo neanche guardarlo» disse sconsolato Matthew.

Brooke si sedette sul bracciolo del divano dove era il suo ragazzo e iniziò ad accarezzargli i capelli. Danielle si mise dietro a Xavier, che le allungò una mano e gli baciò la sua portandosela alla bocca.

«Scommetto che lo avete costretto» ipotizzò lei.

«Certo! È mitico questo film!» si fece sentire Suwa.

Noi interessati alla visione ci sedemmo tutti sul divano e io riuscii a trovare dello spazio in mezzo ai due spilungoni dato che era l'unico posto più largo che c'era. Brooke, Matthew e Danielle invece si misero in cucina a parlare non volendo vedere il film come noi altri. Non riuscivo a comprendere come School Of Rock non potesse piacere, era un qualcosa di educativo per la nuova generazione, uno di quei film che non puoi non aver mai visto e che non si può odiare.

Mentre guardavamo la televisione, senza un motivo ben preciso posai per un secondo lo sguardo su Sam. Era strano sentirgli parlare dell'Italia, in realtà, a pensarci, non lo aveva fatto nemmeno volontariamente, glielo aveva chiesto Matthew e sembrava avergli risposto per cortesia, ma chissà com'era veramente stato il resto della sua avventura. Volevo domandarglielo, ma in un certo senso non mi sentivo pronta. Pronta per cosa pensai, ma sentivo questo presentimento e sentivo il bisogno di ascoltarlo, almeno per il momento. Scossi la testa volendo scacciare quei trip mentali e concentrarmi sullo schermo, ma proprio quando volevo dirottare la mia attenzione su altro, lui si girò verso di me sentendosi orse osservato e mi sorrise amichevolmente. Io ricambiai e voltandomi verso lo schermo, continuai a guardare il film.

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