15. DARWIN DOLCE CASA

"DARWIN DOLCE CASA"

«Che bello! Festeggeremo insieme! Sono così felice di rivedervi!» mi urlò mia mamma al telefono, stonandomi un timpano. Capivo che era felicissima di venire a sapere che i suoi figli sarebbero tornati a Darwin, ma ne andava del mio udito. «E Samuel cosa farà? Tornerà in Italia?»

Mia madre era da sempre affezionata a Sammy, fin da quando eravamo piccoli. Lo trattava e lo adorava praticamente come un terzo figlio, si preoccupava del fatto che lui mangiasse a dovere, se lui stesse bene, che andasse bene a scuola e che non avesse bisticci con i compagni; mancava solo che gli facesse il bucato e che gli lavasse la stanza.
Come se io e Xavier non le bastassimo.

«No, ha detto che molto probabilmente rimarrà a Sydney, anche perché non ha tanti soldi per spostarsi» le comunicai provando un po' di tristezza per lui.

Per quanto ne sapevo io non aveva ancora incontrato nessun familiare, ma festeggiare la Pasqua in famiglia doveva essere di tradizione, o per lo meno lo era per me sicuramente. Ogni anno era sempre così: tutti i parenti si riunivano a casa di nonna Sophie, la madre di mio padre, e le madri cucinavano con lei il pranzo, o meglio noto come banchetto. Preparavano un sacco di cose buonissime che ti riempivano lo stomaco fino all'orlo. Altro che il tacchino nel giorno del ringraziamento, la pancia sarebbe scoppiato ancor prima.

«Perché non viene anche lui con voi? Gli pagheremo noi il viaggio, digli che non ci sono problemi, può stare a dormire anche da noi. E poi vorrei proprio vedere che bel ragazzo che è diventato.»

Alzai gli occhi al cielo quasi prevedendo che prima o poi avrebbe potuto dire parole simili. Volevo dirle che non doveva preoccuparsi, che Sammy era diventato un bel tipo, ma saltai quell'opzione. Mia madre poteva essere davvero insistente, iniziando a chiedere la descrizione totale del suo amato Samuel e con tutta sincerità non mi andava di dirle che aveva un corpo celestiale e un sorriso da uccidere persino un angelo, sarebbe stato alquanto imbarazzante. «Proverò a convincerlo.»

Mia mamma esultò di gioia peggio di una fan sfegatata e chiudendo la telefonata, mi sdraiai sul lettone. Le lenzuola bianche profumavano di pulito e i cuscini erano morbidi da farti addormentare all'istante. Quel giorno ero davvero stanca, senza però avere una valida ragione per esserlo. Avevo finito le lezioni sia di italiano che di spagnolo, come capitava in fin dei conti quasi tutti i giorni escludendo ovviamente il fine settimana; poi tornata in albergo mangiai a pranzo con Xavier, Danielle e Samuel.
Infatti, chiudendo lentamente le palpebre, fu facile prendere il sonno.

Quando mi risvegliai la sensazione di stanchezza non voleva proprio scivolarmi di dosso. Mi guardai attorno e non c'era nessuno a parte un rumore proveniente dalla televisione della sala. Appena trovai la forza di alzarmi, mi diressi dall'altra parte della parete e ci trovai Sam seduto comodo sul divano. Mi misi al suo fianco e notai che stava guardando Master Chef Australia. Ogni tanto lo guardavo anche io, mi piaceva vederli cucinare e spesso mi veniva l'acquolina in bocca.

Mi voltai verso il balcone e dalla vetrata riuscii ad intravvedere che fuori il tempo non era dei migliori, ma almeno non pioveva, anche se minacciava di farlo. Le nuvole coprivano il cielo completamente, rendendo la città meno splendente come invece lo era quando c'era il sole e il cielo totalmente celeste. Ma Sydney era bella sempre sotto i miei occhi, forse perché era una novità vivere in un posto che non era Darwin, dove il clima era sempre lo stesso e che si distingueva solo dalle due sole stagioni che c'erano dato che si trovava nella fascia tropicale. Invece mi sarebbe piaciuta vedere la neve, ma ero sicurissima che non l'avrei vista così facilmente. Una Sydney dipinta di bianco non sarebbe stata male.

Sentii qualcuno alla porta bussare e mi distrassi dalla mia immaginazione.

«È aperto!» urlò Samuel e dalla soglia sbucò mio fratello.

Aveva in dosso la bella tuta sportiva rossa e grigia che gli aveva regalato Danielle per il compleanno e a lui era ovviamente piaciuta molto. Si chiuse la porta alle spalle e ci salutò con un sorriso in omaggio. «Hai sentito mamma?» mi domandò fissandomi negli occhi.

Annuii. «Ah, sì, Sammy,» mi voltai verso di lui e questo si girò nella mia direzione con scritto in faccia "io? Cosa succede, mi sono perso qualcosa? Stavo guardando la tv". Il solito, dovevo solo concentrarmi nel non ridere. «Nostra madre ha detto che desidera averti a Darwin con noi. Ti pagherà lei le spese del viaggio, quindi non devi preoccuparti del biglietto.»

Samuel sbarrò gli occhi incredulo. «Eh? Scherza? Sarebbe fantastico! Ma no, non posso farvi spendere troppi soldi» disse ripensandoci e assumendo quell'espressione da cucciolo triste che solitamente facevano i cagnolini.

«Ti avviso che se le dici di no, lei ci rimarrà molto male» intervenne Xavier.

Ed era vero. Quando mia madre ci teneva alle cose, se non andavano come desiderava ci rimaneva davvero male e dalla voce che aveva al telefono potevo confermare le parole del mio fratellone. Era anche da un sacco di tempo che non lo vedeva, di conseguenza era normale che ci tenesse in particolar modo.

Tutti e due rimanemmo a fissarlo fino a quando sembrò cedere. «E va bene, se proprio ci tiene così tanto vengo.»

·····

Il giorno della partenza era giunto. Con noi si era unito anche Suwa, però nel suo caso fu stato quasi obbligato da sua madre, usando la scusa che erano venuti a trovarli gli zii da Brisbane. Fortunatamente quando prendemmo l'aereo il tempo era soleggiato nonostante ci fossero delle chiazze bianche sparse qua e là nel cielo celeste. Quando arrivammo a Darwin per mezzogiorno, mio padre era all'aeroporto ad aspettarci impaziente. Era arrivato troppo in anticipo, pensando che fosse in un orario diverso. Appena lo incontrammo gli andai incontro per abbracciarlo forte a me dato che avevo sentito la sua mancanza. Come sempre la sua colonia era fresca e leggera, proprio come mi faceva sentire lui quando ero piccola prendendomi tra le sue braccia. L'unica cosa che avevamo in comune erano gli occhi scuri, riguardo ai capelli non assomigliavano nemmeno a quelli di mia madre. Tutti e due i miei genitori avevano i capelli castani, a mio padre oramai tendevano al grigio, ma a differenza di papà, mamma aveva gli occhi grigio-verdi. Avrei tanto voluto averceli anche io, erano magnetici e cambiavano colore in base al tempo.

Accompagnammo Suwa alla sua abitazione, che si trovava in Casuarina St., dove si riusciva ad intravvedere il mare attraverso le palme che si trovavano nel piccolo terreno verde dopo la strada. Da casa sua per scendere in spiaggia si doveva solo percorrere la via fino al punto in cui si potevano raggiungere le scalette che portavano direttamente sulla sabbia, che era nei dintorni dell'incrocio con la Walker St. e ci impiegavi tre minuti a piedi. Nonostante io fossi più verso l'interno, nell'Aralia St., ci impiegavo lo stesso tempo, scendendo dalla Walker St., per andare a farmi un bagno in oceano. Quando Suwa scese dall'auto nera di mio padre, i suoi genitori ci vennero incontro entusiasti, dicendoci che un giorno avrebbero chiamato per organizzarci meglio per un pasto insieme prima che partissimo nuovamente. Mio padre accettò l'idea senza nemmeno pensarci, erano diventati dei buoni amici di quartiere fin da quando si erano conosciuti.

Quando pochi minuti dopo arrivammo davanti al cancello di casa, mia madre era fuori ad aspettarci con l'ansia addosso al posto del vestito. Con il telecomandino lei ci aprì il cancello verde che non vedevo da all'incirca due mesi, e poi mio padre parcheggiò nello spazio davanti a casa. Uscii dall'auto per prima sentendo caldo, l'aria era proprio come la ricordavo sentendo la nostalgia di casa andarmi piano piano via. Nonostante il tempo quasi afoso, si riusciva benissimo a stare anche con dei pantaloni lunghi in dosso. Mi stiracchiai per bene, osservando la figura di mia mamma precipitarsi da noi.

«Che bello rivedervi!» batté le mani e mi abbracciò velocemente, alzando poi la testa con curiosità. «Dov'è Samuel?»

Sembrava quasi che gli interessasse solo di lui, ma potevo capirla. Erano anni che non lo vedeva, e le uniche cose che poteva notare di uguale dopo più di sette anni erano i capelli corvini e gli occhi azzurri. Mio fratello scese poco dopo di me e chiudendo la portiera esclamò un finalmente a casa, e successivamente scese anche Samuel. Mentre papà aprì il baule, mia mamma fissò Sammy incredula. Sembravo io la prima volta che lo vidi alla University of Technology Sydney.

Finalmente so da chi hai preso.
Ma levati.
Avete avuto la stessa reazione, solo che tu ti sei avvinghiata subito addosso a lui, sembravi un Koala.

«Salve signora Willoughby, tutto bene?» le chiese col suo sorriso affascinante.

«Samuel! Da quanto!» mia madre sembrò una fangirl impazzita e lo abbracciò forte a se, felicissima di rivederlo. Glielo si leggeva da tutte le parti, mancavano solo gli striscioni di benvenuto e una maglia con stampata la sua faccia. «Mamma mia quando sei cresciuto ragazzone, sembri un uomo adesso, mi ricordo ancora quando eri piccolo, anche se sei sempre stato più alto di Xavier.»

«Mamma!» la rimproverò Xavier mentre aiutava papà a scaricare le valige dal cofano.

Lei non gli diede retta e andò avanti con il suo discorso. «Sai, sei diventato proprio un bel ragazzo! Immagino che hai la fidanzata a Sydney, nessuna potrebbe dirti di no.»

Samuel si grattò la testa con imbarazzo ed era forse la prima volta che lo vedevo in quello stato; sembrava insicuro di se stesso, non credevo che fosse lui dopo tutta la sfacciataggine che aveva emanato fino a quel giorno. «In realtà non la ho la ragazza» ammise.

«Come no?!» esclamò incredula. «Beh allora ti conviene metterti in fila Scarlett, non mi dispiacerebbe averlo come genero» disse rivolgendosi a me, poi tornò ad ammirare Sammy.

«Che?!» sbottai allungando la e finale, non potendo credere alle sue parole imbarazzanti.

Guardai Sam e quell'aria da insicuro si era completamente dissolta, lasciando spazio a un sorrisetto furbo. Roteai gli occhi e intrecciai le braccia sotto al seno.

«Ah, Samuel, è arrivato un pacco dalla California per te, lo abbiamo messo in camera di Xavier» intervenne di nuovo mia mamma.

Lui si voltò verso di lei un po' sorpreso. «Oh, grazie mille signora Willoughby, appena vado su dò un'occhiata.»

«La vuoi finire di chiamarmi signora Willoughby? Chiamami Caroline» lo rimproverò mia madre e lui annuì.

Presi la mia valigia e mi avviai in casa pensando alle strane osservazioni che mia madre usava fare nei momenti meno opportuni. Quando entrai dalla porta tutto era rimasto come lo avevo lasciato. Il parquet era di legno in contrasto con le pareti bianche, a parte quelle dove c'erano le scale e nella sala dove c'era appoggiata la televisione che erano rivestite in pietra, che andava dal marroncino al grigio chiaro. Anche le scale che portavano al piano di sopra erano di legno, e la mia stanza era sempre la stessa. Adoravo il soppalco in legno che papà mi aveva fatto con zio Jonah, con sopra il mio letto con le coperte a scacchi grossi grigi e neri, la scrivania bianca appoggiata alla parete dello stesso medesimo colore. Sull'altra parete c'era l'armadio beige e in mezzo alla stanza un tappeto bordeaux morbido, dove anche un cane ci avrebbe passato giorni e giorni a dormirci sopra. Mensole di legno erano sparse un po' ovunque, dove c'erano una marea di libri, manga e qualche modellino che davano colore alle pareti bianche. Degli acchiappasogni comprati o fatti da me erano appesi al muro e uno grande cadeva in centro appeso al lampadario sul soffitto. Lasciai la valigia accanto alla porta e mi buttai sul pouf bordeaux che avevo in un angolo della stanza, vicino ad un altro blu. Potevo dire con fermezza che adoravo il bordeaux, mentre a mio fratello piaceva tanto il colore della sabbia asciutta, a cui non sapeva dare un nome. Ogni volta si riferiva con quel termine, non riuscendo nemmeno a vederlo come beige.

Appena ebbi la voglia di alzarmi per disfare le valige, mi ricordai del pacco di Sammy e mi avviai in camera loro senza badare a queste.
Li beccai proprio appena Sam aveva finito di aprire la scatola, estraendo da questa una busta.

«Non ci credo, quei mascalzoni mi hanno sul serio mandato il pacco» esclamò con un sorrisone sul volto, mettendo in evidenza le sue fossette.

«Chi sarebbero?» chiesi, facendo girare entrami verso di me.

Samuel posò di nuovo gli occhi sulla busta e cominciò a leggerla.

Ehi aussie,
Spero che ci rispondi prima che arrivi il pacco! Ti abbiamo messo le cose che hai lasciato qua in appartamento e ci abbiamo aggiunto una cosa che ti ricorderà che tu sei stato qui a San Francisco con noi.
Manchi a tutti,
Jared e Earl

«Quei due sono fenomenali» commentò a fine lettera, mettendo questa da parte ed estraendo le cose dalla scatola.

«Ti sei dimenticato di prendere tutto dal tuo appartamento?» domandai incredula.

Lui scosse la testa con tra le mani un'altra busta, solo più spessa. «No, non ci stavano tutte in valigia e Jared ha detto che mi avrebbe spedito un pacco. Gli ho dato il vostro indirizzo, ma non pensavo lo facesse sul serio. Quell'uomo è rimasto di parola, non si smentisce.»

La aprì con delicatezza ed estrasse quelle che potevano essere delle fotografie. Osservai il suo viso e oltre ad essere felice, sembrò nostalgico. Poi, mentre le sfogliava, percepii in lui un filo di tristezza.

«Posso vederle?» mi scappò di bocca.

Mio fratello invece era rimasto tutto il tempo poco dietro di lui, osservando quelle foto senza fiatare.

Sammy si voltò verso di me e sorrise, ma sembrava uno di quelli falsi, come se volesse mascherare l'infelicità che provava nel tenerle tra le mani. Avevo paura che si arrabbiasse come l'altra volta non volendomi parlare del suo passato. «Sì, certo.»

Mi sorpresi nel sentirgli quelle parole, ma in qualsiasi caso mi avvicinai con cautela, come se avessi paura di un'improvvisa sua reazione brusca. Quando arrivai al suo fianco vidi le immagini di tre ragazzi, tra cui uno di loro era Samuel. Alla sua destra c'era un ragazzo dai marroni capelli lunghi fino alle spalle e gli occhi grigio-verdi, con un'espressione che lo faceva sembrare un cagnolino con gli occhioni, un Labrador marrone per l'esattezza. Dall'altra ce ne era uno di colore, capelli rasati alla Willy il principe di Bel Air, e con un sorriso alla Eddy Murphy. Il paesaggio dietro invece sembrava il tipico posto da college. «Loro sono-»

«I miei coinquilini, Jared è il capellone e Earl e il nero del gruppo» disse scherzando. «Siamo a Berkeley, al college che ho frequentato a San Francisco.»

Io gli sorrisi pensando anche di averci azzeccato e lui cambiò foto. In quella c'era una combriccola di ragazzi ad una festa potevo presumere. Erano tutti vestiti in modo strano, con costumi e stupidi gommoni a forma di fenicotteri, unicorni, macchine e quant'altro. Alcuni portavano dei cappelli in testa, altri degli occhiali da sole e nella mischia intravidi anche Sammy, che era sulla schiena di un tipo, entrambi a dorso nudo che sembrava urlassero qualcosa in coro.

«Lascia stare, sono tutti dei coglioni di vicini di stanza» disse ridendo, probabilmente ricordandosi di quella serata.

Quella foto la mise dietro al mazzo e in quella che comparve c'erano, oltre a lui e i suoi compagni di stanza, due ragazze. La prima che notai era bionda e aveva una faccia buffa, mentre l'altra era a dir poco stupenda; alcune ciocche dei suoi capelli lisci e mori le ricadevano oltre alle spalle e i suoi occhi grigi erano luminosi e attraenti. Tutti stavano guardando la camera, a parte quest'ultima che aveva gli occhi puntati su Sam che stava facendo il selfie. Un qualcosa dentro di me si mosse, era fastidioso e quella sensazione non mi piaceva.

Sei gelosa.
Non è vero.
Dai, lei lo sta solo guardando, guarda che faccia buffa che fa Sammy, come fai a non prenderlo per il culo?
Lei lo guarda in un altro modo.
Tu la vedi qui?
No.
Allora non preoccupartene.

«Questa» disse indicando la bionda, «è Evelyn, mentre l'altra è Kayla. Comunque queste foto le possiamo finire di guardare dopo, ora voglio vedere cosa mi hanno messo dentro.»

«Il tuo cervello se lo sono ricordati?» gli chiese Xavier facendomi ridere.

«Ha ha, divertente.»

Subito dopo tirò fuori un vestito messo in una busta di plastica e sopra c'era attaccato un bigliettino. Mentre Samuel leggeva quelle righe con aria seria, io osservai l'indumento. Era elegantissimo, tutto in nero con una camicia bianca e persino una cravatta, sempre di colore nero. Sembrava il vestito do uno che era andato ad un matrimonio e la voglia di sapere come gli stava in dosso cresceva sempre di più.

Quanto sarebbe sexy da uno a mille?
Che domande fai?
Giusto, lui supererebbe ogni canone.

«Troppo elegante per andare anche ad una festa» osservai ad alta voce senza pensarmi. Subito dopo mi morsi la lingua.

Sam si voltò verso di me con aria leggermente spezzata, ma sul viso aveva uno sguardo dolce. Non ci capivo assolutamente nulla, stavo morendo dalla voglia di sapere.

Modalità Brooke on.

«È una storia lunga» pronunciò soltanto e a quel punto, dopo averlo osservato attentamente, lo posò sul letto di mio fratello.

Okay, quell'aria da funerale mi stava uccidendo, quindi mi avviai in camera dicendo a loro che avrei sistemato la mia valigia. Ed era vero, mi seccava lasciare la roba piegata là dentro, quindi con della buona musica misi tutto in ordine, ritornando col buon umore nonostante avessi costantemente tra i pensieri il volto di Sammy in quei pochi minuti. Era straziante vederlo in quello stato, faceva star male anche me.

Senza farlo apposta, mia madre dal piano di sotto urlò il mio nome, distraendomi. Scendendo le scale immaginavo già cosa volesse da me, lo avevo captato da quel urlo alla Tarzan che aveva fatto. «Tesoro, chiameresti tuo padre e gli altri ometti e dire a loro che è pronto?»

Annuendo li andai a cercare, trovando per primo mio padre nel garage. Andai a cercare i due fuori dalla casa e li vidi parlare sul prato nei pressi del cancello. Stavano entrambi osservando la vecchia casa di Samuel, facendomi venire nostalgia della nostra infanzia. Quando correvamo da una casa all'altra, i compleanni con i giochi d'acqua, l'ambiente accogliente che sua madre creava quando entravamo in salotto, i bisticci che Samuel aveva con i suoi fratelli. Tutti quei ricordi mi facevano sorridere, volendo allo stesso tempo tornare indietro nel passato e diventare di nuovo piccola.

Mi voltai verso l'abitazione e da quella casa notammo che stava uscendo qualcuno. La prima domanda che mi venne in mente in modo spontaneo era se l'avessero venduta. Un uomo che poteva avere sui ventotto anni, uscì dal cancello bianco e attraversò la strada nella nostra direzione. Ci guardava e io a stento lo riconoscevo. Aveva dei capelli corvini corti e un accenno di barba gli ricopriva la parte bassa del viso. «Da quanto tempo fratellino!» esclamò con felicità e sfoggiando un sorriso identico a quello di Sam.

Rimanemmo tutti e tre di sasso nel vederlo. Fino pochi mesi fa, quando ancora ero a Darwin con Xavier, lui non si era mai fatto vivo. Più che altro non sapevo nemmeno dove fosse finito, era sparito nel nulla proprio come il fratello minore e il resto dei Sampson, eppure erano stati i nostri cari vicini di casa per molto tempo. Uscimmo tutti e tre dal cancello verde di casa mia e ricordai della loro grande assomiglianza, a parte il fatto che Anthony aveva gli occhi verdi.

«E tu come mai qui alla vecchia casa?» chiese curioso Samuel abbracciando il fratello.

Appena sciolsero l'abbraccio notai che erano quasi uguali di altezza, ma Anthony era poco più alto. Quest'ultimo mi guardò e sorrise, ignorando completamente la domanda del fratellino. «Scarlett, sei davvero tu? Wow, quanto sei cresciuta, sei diventata proprio una bella ragazza!» mi abbracciò a se e non potei non ricambiare la stretta arrossendo. Era bello sentire ancora il vecchio affetto dei Sampson, ma mi venne in mente che fin da piccola mi imbarazzavo nel stare al suo fianco, sentendomi piccola e debole in confronto. Poi si alzò, dato che ero bassa rispetto a lui e guardò Xavier facendo la stessa cosa che prima aveva fatto a me. «Xavier, che piacere vederti! Porca vacca come siete cresciuti. Tu però Sam mi hai sorpreso, sei quasi alto quanto me» affermò, misurando la loro altezza passando una mano dalla sua testa a sopra di quella del fratello.

Anthony sorrise a trentadue denti e nello stesso istante si sentì una vocina sottile provenire dalla vecchia residenza dei Sampson. «Papà!» si sentì urlare e ci voltammo tutti curiosissimi per guardare chi fosse.

Un bambino piccolo si stava precipitando verso di noi, e potei solo immaginare che Samuel era diventato zio da due paia d'anni sicuro. Mi lasciò di stucco il fatto di vedere quest'ultimo sorpreso. Aggrottai la fronte, pensando che forse non si era più sentito con il suo fratellone. Anthony prese in braccio il piccino che era la sua esatta fotocopia di quando era bambino lui, ricordandomi anche dell'album fotografico che tempo indietro la loro madre ci aveva illustrato.

«Ragazzi, lui è Hayden. Di ciao Hayden.»

Il piccolino nascose il viso sulla spalla del padre, sicuramente imbarazzato da tutti gli sguardi che aveva addosso. Era incredibilmente carino, avevo voglia di spupazzarlo.

«Su, saluta almeno lo zio Sam.»

Piano piano si voltò e quando i loro sguardi si incrociarono, Samuel gli fece un sorriso simpatico. Hayden lo salutò semplicemente con la mano e poi ritornò a nascondersi. Come non si poteva pensare che era dolce?!

Voglio un bambino.
Sì, sono d'accordo, specialmente se è così carino come lui.
Beh, allora va in stanza con Sammy e procreate una sua fotocopia.
Tu sei pazza.

«Non sapevo che fossi diventato padre» affermò Samuel.

Anthony lo guardò un po' dispiaciuto. Forse gli avrebbe fatto piacere farlo sapere ai suoi familiari dall'espressione che aveva dipinta sul suo viso, oppure forse alcuni di loro lo sapevano mentre Sam no. Insomma, dalle mie scarse informazioni potevo immaginare che Sammy si fosse trasferito con la madre in Italia date le sue origini, mentre Anthony era rimasto in Australia col padre. Riguardo alla sorella di mezzo non sapevo proprio nulla.

«Sì. Lui ha cinque anni, poi ne ho una più piccola di quattro. Sì chiama Hayley. Gli ha scelti entrambi mia moglie Mikayla i nomi. Ve le presenterei volentieri, ma sono dalla nonna e dal nonno. Non è vero Hayden?»

Suo figlio annuì, strusciando la testolina sul collo del padre, aggrappato a lui come un koala. Era talmente carino che mi sarebbe piaciuto fargli da babysitter. Tanta era la mia curiosità, che avrei voluto anche vedere le sue donne e conoscerle. Non riuscivo nemmeno ad immaginarmele e il piccolo non mi dava uno straccio di indizio avendo lo stampo Sampson.

«Scarlett!» sentii urlare da casa mia di punto in bianco. Dalla voce poteva essere solo lei, arrabbiata. Brividi di terrore mi attraversarono la spina dorsale come carta vetrata. «Ti ho chiesto di chiamare-»

Mi voltai verso mia mamma e la vidi bloccarsi, probabilmente non voleva farsi vedere che urlava a squarciagola davanti ai Sampson. Feci un sospiro di sollievo nel vederla calma e tranquilla. Avevo già un piano per non sentirmele: sarei sgattaiolata in casa con dietro Xavier e Samuel, in quel modo l'avrei fatta contenta e così l'avrei anche scampata.

«Anthony! Cavolo, non ho pensato a voi, se no vi avrei invitati a pranzo!» si preoccupò subito mia madre, mortificata.

Quindi si erano già visti mi passò per mente e guardando mio fratello potei constatare che non ero l'unica ad aver fatto la stessa osservazione.

Anthony scosse la testa con un leggero sorriso. Anche lui aveva delle leggere fossette, quelle maledette fossette che avevano tutti i Sampson. «Tranquilla signora Willoughby, avrei dovuto raggiungere in qualsiasi caso Mikayla dai suoi genitori per pranzo.»

Lei gli sorrise amichevole, poi si voltò verso di noi e ci minacciò con lo sguardo. «Voi filate subito a mangiare!»

Deglutii e voltandomi verso Anthony lo salutai amichevole, per poi entrare in casa. In realtà non vedevo l'ora di mangiare, ma con tutti quei ricordi che riaffioravano mi ero distratta al punto di dimenticarmi del cibo. Guardando Samuel mi sembrava strano vederlo a Darwin, ma allo stesso tempo mi faceva piacere. Fare un tuffo nel passato era piacevole, anche perché erano anni felici che mai avrei potuto e voluto scordare.

Era proprio questo per me il significato di sentirsi a casa.

~~~~~~

Aussie,

Spero vi sia piaciuto questo capitolo !!

Grazie mille per le 550+ visualizzazioni, sono mooolto contenta e spero che aumentino presto ❤

Vi lascio con un prototipo di Xavier... anche lui è stato difficile da pensare, e come ho sempre creduto siete liberi di immaginare chi volete, io do solo dei prototipi come vi ho già detto 😁

Gregg Sulkin nei panni di
Xavier Willoughby

(Per indecisione ne metto due, massi... 😂)

A me piace da impazzire... voi che dite? Un vostro parere mi fa sempre più che piacere ❤

Bye bye 🐨

~ Niki_Rose

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