11. MISSIONE REGALO

"MISSIONE REGALO"

«Per la centesima volta, ti prego, se ti dice qualcosa mio fratello, di che sono con te o inventa un altro alibi» la pregai al telefono.

Perché si ostinava a darmi contro? Io per di più dovevo scappare via, non sopportavo essere in ritardo.

«Okay, okay, ma perché ti sto chiedendo! Dimmi, hai un appuntamento con qualcuno che non sta tanto simpatico a Xavier?» mi chiese curiosa Brooke.

Sapevo che per la sua testa girava solo quello e l'idea di non sapere il motivo della mia richiesta le dava fastidio. Molto fastidio, la sentivo praticamente corrodere dall'altra parte della cornetta. La conoscevo fin troppo bene e non la biasimavo, avrei voluto dirglielo per farla contenta dato che, a mio parere, non era una questione di Stato, di vita o di morte, ma dovevo tacere per quel giorno, lo avevo promesso. Poi ero io quella che si faceva i film mentali e fissazioni inutili.

«Senti, ti racconto tutto domani, te lo prometto, ora però devo andare e di corsa» sbuffai non potendone più della sua cocciutaggine e raccattando la contempo stesso le cuffie, cacciandole in borsa.

Sentii la riccia sospirare dall'altra parte della cornetta, sapendo di doversi mangiare le unghie fino al giorno successivo. «E va bene» sbottò stufa.

«Grazie, ti adoro. Ah, e ricorda a Matt che deve tenere occupato mio fratello, io sono in giro per Sydney e non voglio che mi becchi, se no tutta la copertura salta.»

«Sì, sì, mi ricordo, tranquilla» udii una porta chiudersi e poi sentire un ciao tesoro da Brooke, ma non si stava rivolgendo a me. «Ma guarda un po', si parla del diavolo e spuntano le corna. Ciao Scar e salutami il ragazzo con cui esci!» e con questo chiuse la chiamata.

Rimasi col cellulare in mano per una manciata di secondi, credendo al fatto che sarei stata io quella che avrebbe interrotto la chiamata e non lei.

Guardai a terra e feci spallucce, pensando che meglio di così non poteva andare. Poco prima avevo chiamato anche Suwa e pure a lui gli avevo chiesto di coprirmi. Io non capivo proprio perché nessuno dei nostri amici doveva sapere che saremo usciti per prendere il regalo per il compleanno di Xavier, era assurdo. Non riuscivo a capire di cosa aveva paura, che pensassero che noi ci frequentassimo in quel senso? Che stessimo andando ad un appuntamento? Solo Brooke poteva credere a una cosa del genere a mio parere, gli altri ci avrebbero guardati e si sarebbero girati dall'altra parte con al massimo alzando le palle, fregandosene altamente di noi, oppure, altra ipotesi, non ci avrebbero calcolati nemmeno.

Che rincoglionito.
Un meraviglioso rincoglionito.

Lo raggiunsi davanti alla famosa pasticceria, quella in cui avevo comprato biscotti a gogò nel giorno in cui avevamo litigato. Secondo lui, se fossimo usciti insieme dalla stessa stanza andando dalla stessa parte, sarebbe stato troppo ovvio per i suoi gusti, ma quel genio non aveva pensato che anche per andare all'università ogni tanto andavamo insieme avendo orari simili in alcuni giorni. Io non ci trovavo nulla di male nel fare un regalo insieme per mio fratello, credevo fosse una cosa normale nonostante fosse la prima volta che andavamo insieme a trovare qualcosa per Xavier in quasi diciotto anni che ci conoscevamo. Tanto tutti sarebbero venuti lo stesso a sapere che eravamo usciti insieme per prenderglielo, una volta che avrebbe aperto il pacco, ogni persona avrebbe saputo che lo avevamo fatto in comune. Forse voleva solo fare il bambino e giocare agli agenti segreti, sarebbe stato da lui.

Ad ogni modo il vero problema per me non era il far sapere agli altri della nostra uscita, ma era il fatto che eravamo senza idee. Io pensavo a una cosa e lui ad un'altra. Io dicevo A e lui invece diceva B. Io ero entusiasta del regalo X e lui al contrario voleva prendere quello Y. Eravamo un caso perso, eppure avevamo deciso di uscire un intero pomeriggio per trovare il regalo perfetto. La cosa che ci spinse a farlo insieme era proprio perché lo conoscevamo meglio di tutti gli altri e non volevamo soltanto sorprenderlo, ma anche ringraziarlo per tutto quello che ci aveva dato e una di queste cose era la stanza in cui dormivamo, anche se dal mio punto di vista era merito del collegamento Danielle e signor Davis, questi erano dettagli.

«Quanto ci hai messo! Chi hai incontrato là dentro per metterci così tanto, James Hetfield?» mi stuzzicò, ma dal suo tono non sembrava arrabbiato.

Il solito burlone.

«No, Nicole Scherzinger, ti saluta» gli comunicai, inarcando un sopracciglio e dando corda all'ironia.

Si raddrizzò la schiena, sorpreso dalla mia risposta. Tanto gli piacque che fece un mezzo sorrisino di approvazione. «Oh, beh, è un onore. Ricambia la prossima volta.»

Scossi la testa non volendo credere a quanto era impressionante. Sospirai guardando a terra, pensando anche che fosse un caso perso, poi alzai lo sguardo e lo beccai a guardarmi con la coda dell'occhio con un leggero sorriso stampato in faccia, ma dava più l'impressione di essere sereno che a pensare a qualcosa o a qualcuno come la cantante-attrice-modella o qualcos'altro era che le avevo nominato prima. Distolsi subito la mia attenzione da lui e mi concentrai sulla strada e al regalo.

Avevamo solo quel pomeriggio per prenderglielo, poi avremo dovuto solo pregare al caro amico che portava sempre fortuna a Samuel. Dovevo iniziare anche io a fare come lui, riducendomi all'ultimo millesimo con tutta calma e con la cieca fiducia di trovare qualcosa in tempo e all'ultimo secondo. Lui dava proprio quell'aria disinvolta che aveva anche al suo primo giorno di università e che aveva anche avuto sempre da piccolo. Io al contrario suo ero agitata, nervosa e stavo per strapparmi i capelli tanto ero disperata nel non avere un'idea geniale.

«Che ne dici di un paio di scarpe?» propose Samuel, cercando di incastonare i nostri sguardi.

Mi voltai giusto il tempo di riflettere, poi ripresi a fissare le vetrine dei vari negozi. «Ne ha anche troppe e usa le solite» commentai. «Un CD?» proposi, cercando la sua approvazione, anche se ero certa che come idea era pessima.

Mi guardò e infatti non era molto convinto. «Non ha uno stereo in camera e poi non ha nemmeno una macchina per poter in qualche modo ascoltare quel magnifico CD che potremo anche trovare.»

Come non detto.

«Allora compriamogli uno stereo e alla prossima festa gli prendiamo un CD. Eh, che dici? Un'idea peggiore non poteva venirmi, vero?» scherzai delusa.

Lui cominciò a ridere, mostrando quelle dannate e meravigliose fossette. «Sì, anche se non sarebbe male come idea. Effettivamente potremmo prendergli entrambi. Ma non so, non mi convince, anche perché stiamo in un albergo» constatò grattandosi la testa. «Vorrei che aprisse il regalo e che urlasse "oh mio Dio, non ci posso credere", non so, per dare l'idea è come se Jensen Ackles ti chiedesse di uscire. Insomma, abbi il coraggio di dirgli di no! Anche io non ci riuscirei» scherzò facendo finta di essere omosessuale.

La preoccupazione che avevo era svanita con quel teatrino che aveva messo in scena, facendomi sbellicare dalle risate e rendendomi più sicura di come sarebbe andata la giornata anche se avrei dovuto disperarmi ancor di più.

«Aspetta, ci sono!» mi disse con un sorriso largo sul viso.

Lo guardai meravigliata, sperando che quella potesse essere una grande svolta. «Davvero?»

Lui annuì contento. «Come ho fatto a non pensarci prima, dobbiamo comprare scatole di preservativi!»

La mia felicità svanì nel sentire quelle parole, facendomi sospirare pesantemente per non ucciderlo.
No, non potevo farcela.
«Ma che razza di idee ti vengono in mente, deficiente!»

«Lui ha la ragazza, gli serviranno sicuro, pensi che la palestra e il nuoto facciano quel fisico?» mi domandò alzando le sopracciglia, allargando le braccia e raddrizzando la schiena.

«Sì, fino a due secondi fa. Grazie per avermi illuminata» sbottai in tono sarcastico.

«Figurati, almeno ora sai come va il mondo.»

Mi voltai in cagnesco verso di lui e lo beccai ridacchiare nel vedere la mia reazione.

Entrammo in negozi differenti qua e là, facendo tutto e il più possibile a caso. Eravamo entrati in shop di vestiti, di elettronica e persino in uno per casalinghi talmente eravamo disperati. Anche se l'idea di prendergli un computer era buona, non pensavamo di sorprenderlo abbastanza. Volevamo impegnarci sul serio, doveva rimanerci secco come se si ritrovasse Ian Thorpe dentro a un pacco regalo. Questa era stata una delle tante idee di Samuel, ma come riuscire a contattare un olimpionico? E anche se ci fossimo riusciti a rintracciarlo, quante possibilità avremo avuto che accettasse un invito del genere da noi? E anche se avesse acconsentito, una persona in una scatola regalo per chissà quanto tempo, no, la mia risposta era no. E in qualsiasi caso, tanto ero pessimista per quella genialata che gli era venuta in mente, che ero sicura al mille per cento che non saremo riusciti nemmeno a contattarlo su Facebook o perlomeno a ricevere una risposta. Il messaggio sarebbe stato letto e cestinato.

Non sapendo più cosa fare, ci fermammo a bere qualcosa al bar per rilassarci un po'. Mi sentivo distrutta, potevamo aver girato mezza Sydney, ma non pensavo fosse stato possibile in quelle poche ore. Una volta seduti sulle sedie, stiracchiai le braccia lungo il tavolo, per poi tornar su. Samuel si era più preoccupato a guardare il menù del locale, ma io sapevo già cosa prendere: un cappuccino e una brioches alla crema.

Dal bancone una cameriera ci aveva adocchiati, forse aveva puntato più a lui che a me, ma ci venne in qualsiasi caso incontro sorridendo. I suoi capelli biondi e lisci come spaghetti ondulavano da destra a sinistra a ogni passo che faceva e con quella falcata voleva farsi notare. Era vestita da cameriera fortunatamente, ed ero felice di non vedere una minigonna talmente corta da poterla anche togliere, ma la cosa peggiore era che dava l'aria di averne il coraggio. Un dettaglio che sicuramente non passò inosservato era il suo voler mettere in evidenza il seno. Perché lo pensavo? Semplice, la sua camicia era sbottonata fino al bottone giusto per far sbavare i pervertiti del locale. Senza motivo mi venne da pensare se fossero vere. Avrei voluto non pensare a quella e fare gli affari miei, ma era quasi impossibile sentendo il suo sguardo volermi bruciare.
I suoi occhi color cioccolato si posarono prima su Samuel, successivamente con freddezza squadrò me. Senza pensarci troppo, voltò di fretta lo sguardo sul mio coinquilino con in faccia scritta la frase "cosa ci fa questa qui con lui".

È anche simpatica... wow.
Che cos'ha da guardare? Eh? Cos'è, ti piace Sammy? Beh, cocca, è già stato prenotato, quindi smamma.

Una volta affiancato il nostro tavolo, notai che portava delle scarpe col tacco che la facevano sembrare poco più alta di me. Finalmente a Sydney avevo incontrato una ragazza più bassa, ma lo sarebbe veramente stato se non fosse per quegli spilli che aveva sotto ai piedi e che illudevano la gente. «Salve, volete già ordinare?» la sua voce mi dava già il volta stomaco, non osavo immaginare come sarebbe stata la sua risata.

Una cornacchia che sta per morire.
Che fervida immaginazione.

Samuel staccò gli occhi dal menù per guardarla in viso e lei ricambiò con un sorrisino che non prometteva nulla di buono, per me. Era chiaro che volesse provarci.

Gelosa?
No, affatto.
E gli asini volano, sì certo.

«Sì, io prendo un caffè stretto, senza acqua,» specificò, facendomi pensare che rispetto all'Italia, nessun altro Paese sapesse cosa significava fare un buon caffè, «e poi una brioches alla cioccolata. Tu Scar?»

Era così bello vederlo sorridere a me e non a lei, provavo un certo gusto di soddisfazione e vittoria contro quella biondina che a momenti gli saltava addosso. «Un cappuccino e una brioches alla crema, grazie» le comunicai, forgiando il miglior sorriso falso che potevo dedicarle.

Con amarezza mi sorrise e se ne andò dicendo che sarebbero arrivati subito.

Uno a zero per Scarlett, evvai! Sammy è tutto nostro, cocca, hai fatto bene ad evaporare.

Samuel si appoggiò col gomito sul tavolo e la testa sulla sua mano, sorridendomi per non ridere.

«Cosa c'è?» gli domandai, pensando che probabilmente avesse capito che a me quella non piaceva per nulla.

Fece una piccola risata alzando le spalle. «No, niente. Stavo pensando che vi ci vedrei come migliori amiche, vi scambiavate sguardi così premurosi. Solo perché so che sei etero che non vi ho scambiate per lesbiche. Sei etero, vero?»

«E ti fai anche i dubbi?!» sbottai facendolo scoppiare a ridere.

«Eddai, chiedevo, non si sa mai, magari eri bisessuale dato che hai ammesso i sbavare per Jake Gyllenhaal.»

Ah, si ricorda ancora?
Il problema è che non capisce che tu sbavi per lui, non per il Principe di Persia.
Smettila.

Lo guardai negli occhi senza spiccicare parola e sperando che la tua testa prendesse a fuoco. Non era stato affatto divertente per i miei gusti, ma lui sogghignava solo a pensarci. «Cretino» conclusi alla fine e lui tirò le labbra ad una linea per non ritornare a ridacchiare.

«Suvvia, scherzavo. Invece, hai pensato a qualcos'altro?»

Buttai la testa all'indietro tanto non volerne sentirne parlare. Avevamo sbattuto la testa a destra, a sinistra, sul muro, su un albero, davvero, non sapevo in quale altro posto potevamo andare. Mi scoppiava il cervello solo a pensarci. «No, ti prego, non ora! Parliamo di altro, voglio morire» ammisi alla fine, quel benedetto regalo era davvero un incubo.

Samuel sbofonchiò qualcosa che poteva sembrare sì, okay, va bene signorina, per poi iniziare a pensare a cosa dirmi. «Sai che ho imparato a cucinare bene in Italia? Un giorno ti farò assaggiare cose che solo un italiano può preparare.»

Sorrisi nell'immaginarlo con un grembiule bianco a tagliare cipolle, a fare la pasta fresca e speziare la carne come faceva Jens. Mi scappò anche una risata.
Io ce lo vedrei anche senza maglia sotto al grembiule, ma dettagli.
Tu viaggi troppo.

«Ah, bene, così mi insegnerai qualcosa. Sai, me la cavo anche io ai fornelli» mi diedi arie tanto per imitarlo.

Dovevo ammettere che in parte non vedevo l'ora di provare qualcosa di italiano preparato da Samuel, mentre l'altra parte voleva imparare a cucinare da lui. Non capivo cosa volessi di più, anche se forse l'idea di preparare qualcosa insieme mi stuzzicava un po' più dell'altra. Probabilmente sarebbe stato più divertente.

Preparerete il piatto dell'amore.
Sì, certo, e sentiamo, come sarebbe?
Ma che ne so, so solo che dopo quel piatto arriva il dessert, che per specificare si trova sotto le coperte.
La devi smettere, dico sul serio.
Dai Scar, quando lo farete? Io mi annoio.

Un'altra ragazza ci portò le nostre ordinazioni e notai con piacere che, a differenza della prima, sembrava non voler saltare addosso a Sam, però dovevo ammettere che quando mi passò accanto, mi vennero i brividi. Dava talmente tanto l'aria di essere una persona fredda, che avevo l'impressione che mi si fosse raffreddato il cappuccino. Per di più quella lunga frangetta nera davanti al viso non aiutava di certo a sembrare solare. A momenti mi sentivo in The Ring, e lei era Samara versione 2.0 . Quando se ne andò verso un altro tavolo, ripresi a respirare.

«Ammazza oh, in questo locale hanno cameriere di tutti i tipi, wow, c'è proprio l'imbarazzo della scelta. Dalla falena alla Okiku Doll*, ne abbiamo altre?» osservò Samuel, facendomi ridere.

«Manca quella che fa cadere le ordinazioni» gli feci presente, ma lui scosse la testa, indicando dietro di me.

Appena mi voltai, vidi una cameriera intenta a pulire un tavolo, dove probabilmente aveva appena rovesciato della roba notando le facce scocciate dei clienti. «C'è anche questa, e c'è pure il tipo con le braccia tutte tatuate. Non manca davvero nessuno all'appello.»

Tra una chiacchierata e l'altra finimmo di bere e di mangiare le nostre ordinazioni, anche se a dirla tutta ogni tanto sbucavano fuori quei silenzi imbarazzanti che venivano coperti dal chiacchiericcio degli altri clienti, facendo come da sottofondo insieme alla musica riprodotta a volume basso in tutta la sala. Samuel pagò il conto per entrambi lasciando le monete sul tavolo ed uscendo dal locale ci avviammo lungo le vie di Sydney. Ancora. Mentre sfogliavo con gli occhi le vetrine dei vari shops, mi soffermai ad osservare la vetrata di un negozio dove c'erano esposti degli strumenti musicali. Mi soffermai proprio davanti alle chitarre elettriche messe in bella vista e mi venne in mente quando Xavier mi aveva confidato molto tempo prima di volerne una. Avevamo gusti simili, quindi non sarebbe stato un problema scegliere per lui il modello e il colore, ma mi ricordavo anche che quella volta mi aveva anche descritto come la volesse. Desiderava una Gibson Les Paul, stile Orleans rossa. Ed eccola lì, davanti ai miei occhi e costava quasi duecento dollari, inclusa la custodia, un plettro e un jack da poterla collegare all'amplificatore. Peccato che mancava anche quello. Ce ne era uno della Fender che costava ottanta dollari, ma potevamo permetterci o uno o l'altro.

«Questa la desiderava da tempo» confessai a Samuel, notando che la stava osservando anche lui.

Accarezzai il vetro immaginando il mio fratellone tenerla in braccio e suonarla. A casa ne aveva una acustica della Yamaha e senza dover andare ad un corso, imparò da solo guardando su internet. Era veramente bravo e ogni volta che suonava qualcosa dei Green Day, ero lì accanto a lui a canticchiare le loro canzoni. Adoravo quando facevamo il duetto di Wake Me Up When September Ends, quella era la prima canzone che mi fece amare quel gruppo tanto da diventare degli idoli per me. Eravamo riusciti persino ad andare a un loro concerto due anni prima alla Fortitude Valley, un distretto di Brisbane, nel Queensland, molto più vicino a Darwin rispetto a Melbourne ed Adelaide che erano a sud dello stato australiano. 

Senza girarmi verso di lui, lo sentii tirare un sospiro quasi sconfitto. Non era da Samuel Sampson, il che mi parve strano. «Sì immagino, guarda quant'è bella.»

Guardai a terra e notai che in mezzo ai miei piedi c'era un biglietto da visita del negozio, ma non mi sarebbe servito a nulla nonostante la tentazione di prenderlo da terra era forte. Cosa potevamo regalare al mio fratellone?

«Weilà ragazzi, che si dice?»

Trasalii dallo spavento e mi girai di scatto guardando in faccia colui che stava per farmi avere un infarto, nonostante avessi potuto vederlo ugualmente dalla vetrina del negozio dato che si poteva intravvedere il suo riflesso. «Per la miseria, Hugh, mi hai fatto prendere un infarto!» gli urlai contro, rifilandogli un pugno sulla spalla.

Ritrassi la mano dal dolore allucinante che mi procurai nel colpirlo. Ma cosa era, Hulk? Che male. Quel ragazzo aveva sul serio un fisico d'acciaio dannazione,  ma come diamine faceva? Lui non si era nemmeno mosso, anzi, sorrideva tutto contento di averci visti per strada, dava l'aria di non avermi nemmeno sentita, nemmeno un'occhiata, era come se fossi stata una mosca che per sbaglio gli era finita addosso.

«Ne è passato di tempo, eh, ragazzi? Come mai siete in giro?» ci domandò il surfista, senza lasciarci spazio di rispondere alla prima domanda facendocene una seconda.

Samuel si grattò la nuca con uno sguardo un po' sconfitto nonostante sorridesse. «Stiamo cercando un regalo per Ashton» e io storsi il naso nel sentir chiamare così Xavier da lui.

Hugh pensò per una manciata di secondi, continuando ad annuire con la testa. «Ah capisco...» poi di scatto sembrò come illuminarsi. «Ehi! Anche io sto cercando qualcosa! Lo stiamo facendo in gruppo, ci siamo io, Jensen, i cugini Lee, Scotty e la sua ragazza Mary-»

«Un momento, chi sono Scotty e Mary?» domandò curioso Sam, fermando l'elenco del gigante. Effettivamente me lo stavo domandando pure io.

«Ah, loro sono arrivati da poco da un viaggio in Africa. Compagni di liceo, Scott mio e Marilyn di Ashton. Comunque poi al regalo c'è un altro, non mi viene il nome, con tutti quelli che conosco è già tanto se ricordo le facce. Comunque lo dividiamo, pensavamo massimo venti dollari a testa, se di meno tanto di guadagnato. Voi sapere darmi un consiglio?»

Io e Samuel ci scambiammo un'occhiata complice, sorridendo e pensando probabilmente la stessa cosa. Con quella colletta che avevano intenzione di fare, potevamo riuscire a prendere tutti e due i regali, quindi entrammo in negozio trascinandoci dietro il surfista che non capì cosa ci stava passando per il cervello.


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*Okiku Doll: fa parte di una delle storie giapponesi più famose, e si tratta di una bambola maledetta. 
Racconto: Si racconta che fu acquistata nel 1918 da un giovane di nome Eikichi Suzuki in un negozio di Sapporo e che venne regalata alla sorella minore Okiku. La bambina fu molto contenta di ricevere la bambola in dono, ma poco dopo morì improvvisamente. I genitori così misero la bambola su un altare e ogni giorno pregavano per la propria piccola. Dopo alcuni mesi i capelli della bambola iniziarono a crescere. Nel 1939 la bambola venne portata nel tempio di Mannejin dove risiede ancora oggi, e i suoi capelli continuano a crescere (senza alcuna spiegazione scientifica).

Salveeee aussie,

Approfitto di questo spazio per comunicare a voi che ho un prototipo di protagonista...

Ringrazio MelissaSottile4 per avermi aiutato in questa scelta, lei mi ha consigliato questa bell'attrice e se volete passare da lei ha scritto una storia che personalmente mi piace davvero tanto, ovvero "SOLO TU" con il suo sequel "SOLO NOI" ❤
La storia di Victoria e Dylan è davvero emozionante, nonostante facciano ridere essendoci personaggi strampalati, è una storia che ti prende e che regala sorrisi, pianti, risate e tensioni... passate da Mely se volete emozionarvi!

Ecco a voi Holland Roden nei panni della piccola Scarlett Willoughby
Spero vi piaccia 

Io sono entusiasta dell'idea!!
Grazie ancora Mely 😘

Buone cose ☀🐨

~ Niki_Rose


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