Una tazza (Cigarettes after sex- Keep on loving you)


Il tintinnio sottile della maiolica riportò Stefan alla realtà. Davanti a lui il té fumava, appannando le finestre all'inglese della sala e nascondendo la pioggia ai suoi occhi. Sollevò lo sguardo dalla mano sottile di Agnes verso il suo viso sorridente. Indossava un vecchio vestito, sopravvissuto a macchie e a rattoppi per anni. Quella piccola donna era sempre stata orgogliosa del suo té: a quell'età c'è chi va fiero del proprio pollice verde, chi si vanta della propria abilità nei giochi di carte, e anche lei aveva qualcosa da poter sfoggiare, quantomeno davanti a se stessa e a suo marito.

"È sempre un piacere passare il pomeriggio così" disse, come un fruscio, muovendo appena le labbra sottili.

"Così come?" rispose Stefan, odorando l'infuso.

"Non saprei. Forse è la pioggia, forse è il calore, forse sei tu... Ma non riesco a immaginare una situazione diversa da questa. È come se ci fosse sempre stato qualcosa che dà un'aria diversa a tutto." Stefan rimase in silenzio per qualche secondo. "Scusami, sto vaneggiando" proseguì Agnes, con un mezzo sorriso che increspava gli angoli della sua bocca.

"No, anzi, capisco quello che intendi, tesoro. Lo penso anche io. Se anche una sola cosa dovesse mancare non sarebbe più lo stesso qui." Stefan, nonostante il tempo, continuava a percepire una sorta di brivido caldo quando si riferiva a sua moglie come se fossero degli adolescenti. Avrebbe pensato che fosse una cosa stupida ignorare lo scorrere degli anni, ma non poteva fare a meno di sentirsi bene quando lui o Agnes se lo dicevano.

"Quanto zucchero vuoi?" gli chiese lei.

"Due cucchiaini."

Stefan cercò di mantenere la calma. Possibile che avesse dimenticato anche questo? Sperò di aver sentito male, di essere stato lui ad aver dimenticato qualcosa, o quantomeno che lei avesse dimenticato un'altra cosa, ma prima il tarlo del dubbio e poi quello della certezza si erano già annidati dentro la sua testa. La sua mente avrebbe già iniziato a vagare fra memorie remote, ma cercò di fermarsi. Non voleva allarmare Agnes, non meritava di preoccuparsi anche lei. Cercò di mantenere un'espressione calma, nonostante il male che gli faceva vedere un altro ricordo sgretolarsi. Un dettaglio, certo, ma un dettaglio che era stato una costante nella loro vita insieme.

Il vapore aveva smesso di uscire dalla tazzina semivuota, che ora non gli appariva come nulla se non un orpello inutile, evitabile, che avrebbe distrutto senza esitazioni per la minima parvenza di speranza nel ritrovare i ricordi che giacevano dentro Agnes. Tutta la casa gli sembrava un vanto superfluo: a cosa sarebbe servito circondarsi d'oro se quell'oro era cieco, privo di cervello, muto e immobile? Rivolse nuovamente il suo sguardo ad Agnes, che continuava a sorseggiare con la calma di chi non conosce il proprio destino. Per la prima volta gli sembrò anziana: per la prima volta vedeva i suoi occhi che andavano ad affievolirsi e sembravano ritrarsi dentro le orbite, per la prima volta vedeva i tremori delle sue mani, affusolate e percorse da vene stanche.

"Non bevi?" chiese lei.

"Sì, aspettavo solo che si raffreddasse" mentì Stefan.

"Sai, spesso mi capita di fare dei sogni, e a volte si avverano. Questa notte ho sognato che un uomo sarebbe venuto alla mia porta e mi avrebbe chiesto di raccontargli qualcosa. Purtroppo i sogni sono così vaghi, e non riesco a ricordare molto di quello che è successo poi."

Stefan le rivolse uno sguardo di approvazione, senza riuscire a farsi abbastanza coraggio per rispondere. Notò a malapena la preoccupazione di Agnes, che lo osservava come un bambino osserva la propria madre nei momenti di dolore. Le tazze erano entrambe vuote.

Agnes proseguì: "E, mi dispiace chiederlo così, ma lei chi sarebbe? Non credo che abbiamo avuto la possibilità di presentarci."

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