L'uomo che sognava (King Crimson- Epitaph)
Johannes smise di correre. Arrivare un minuto prima o un'ora dopo non sarebbe servito a molto, ormai. Si fermò sotto il davanzale di uno dei condomini che lastricavano le vie grigie, per riprendere fiato senza sentirsi martoriato dalla pioggia che scorreva placidamente ma senza sosta sul bordo della strada, inzaccherando i suoi piedi non abbastanza coperti. Si sedette sul marciapiede, tenendo gli occhi fissi davanti a sé, come se un movimento troppo improvviso potesse lacerargli le cornee, lasciandolo cieco. Si chiese se forse non sarebbe stato meglio perdere la vista, l'udito, il tatto, ogni cosa. Decise di provare, alzandosi, ma non gli accadde nulla. Provò a infilare la mano dentro la tasca per afferrare il cellulare, per sentirsi meno solo, ma era scosso da tremori lungo tutto il corpo. Ritornò a sedersi. Credeva che a quel punto il suo corpo sarebbe stato devastato dal pianto e dalla disperazione, ma si sentiva come un oggetto, completamente vuoto di ogni emozione o sentimento.
"Avrei dovuto fare qualcosa" si continuava a ripetere nella sua testa, trovandosi a sussurrare quella frase, poi a dirla chiaramente, fino quasi a strillare per la strada su cui il crepuscolo si abbatteva. La pioggia cominciava a farsi più debole mentre la luce del sole si spegneva e quella effimera dei lampioni la sostituiva.
Johannes si rialzò di scatto, rimanendo disorientato per qualche secondo prima di riprendere a camminare. Camminare, correre o strisciare lungo il marciapiede come un verme, poco avrebbe cambiato per Johannes, che non era più sicuro nemmeno di quello che faceva. Continuava ad avere la mente annebbiata dalla voce distorta e impersonale che era giunta dal telefono solo pochi minuti (o ore, giorni, mesi) prima, eppure non riusciva a ricordare esattamente quello che Emil gli aveva detto.
Non si aspettava quella chiamata, venuta a disturbare la vuotezza dell'estate, che continuava a turbarlo ben oltre la propria durata. E se non avesse risposto? Se fosse rimasto fermo, in un letargo volontario, fino a quando il mondo non si sarebbe dimenticato di lui e lui del mondo? Nulla sarebbe cambiato al di fuori di se stesso, ma non sarebbe stato tormentato dalla voce di Emil proveniente dal telefono. Avrebbe però dato via libera a un nuovo tormento, forse peggiore: il senso di colpa, la paura dell'ignoto, di quello che sarebbe potuto essere, che avrebbe sentito come una lama gelida perennemente posata sul suo collo.
Si trovò, uscito dalla nebbia della sua mente, davanti al luogo nominato dal ragazzo, il parco K.Nielsen. Passandosi una mano tra i lunghi capelli bagnati, Johannes guardò le due sculture somiglianti a degli angeli, che sembrarono a loro volta ricambiare il suo sguardo con occhi spenti e granitici, quasi distorti dal vento. Varcò l'ingresso, segnato dai cardini che una volta dovevano ospitare un cancello, ora disperso e marcescente chissà dove. Johannes si diresse velocemente verso l'edificio troneggiante al centro del parco e l'unico che lo rendesse degno di tale nome, un oggetto a metà fra un tempio e una cripta. Non vi era mai entrato dentro, in parte per timore e in parte perché non credeva di poterci trovare nulla: ai suoi occhi era solo un imponente edificio vuoto, in mezzo a erbacce e pochi alberi che davano una parvenza di natura malsana e malaticcia a una città altrimenti morta.
Johannes entrò oltrepassando il pesante cancello lasciato socchiuso, senza guardarsi intorno. I suoi occhi impiegarono qualche secondo per abituarsi all'oscurità. Riusciva a distinguere poche forme distorte in un primo momento, tra cui dei piccoli gradini che conducevano al centro della stanza, dove troneggiava un oggetto di forma squadrata. Johannes si avvicinò titubante, lanciando occhiate alle sue spalle e alle pareti, come per non mostrarsi indiscreto nei confronti dell'oggetto. La stanza appariva molto più spaziosa dall'interno: le colonne arrivavano fino al soffitto troneggiando sulla struttura quasi sgraziatamente a causa della loro eccessiva sottigliezza, che le faceva apparire spettrali e defunte come alberi d'inverno. Le pareti, coperte in parte dalle colonne, mostravano decine di riquadri nel marmo, apparentemente tutti uguali tra loro, su cui era impossibile comprenderne le scritte nell'ombra.
Johannes raggiunse la struttura che gli si parava davanti: un coperchio in marmo, bianco come tutto il resto in quel luogo, copriva l'interno dell'oggetto, stranamente simile a una bara. Il ragazzo si chiese se ci potesse essere qualcuno lì dentro. Avrebbe voluto chiamare Emil, ma ricordò che non gli avrebbe risposto.
"Johannes!"
Una voce proveniente da dietro le colonne in fondo a quella macabra sala gli fece balzare il cuore in gola. La sua confusione si tramutò in gioia quando riconobbe Emil che camminava verso di lui. Scendendo gli scalini a tre a tre, Johannes si scagliò verso di lui, abbracciandolo e passando una mano fra i suoi capelli corvini.
"Credevo ti fosse successo qualcosa!" disse Johannes. Emil non rispose, e non ricambiò il suo abbraccio.
"Cosa ci fai qui? Perché mi hai detto quelle cose?" continuò, senza prestare attenzione alla inusuale freddezza di Emil.
"Johannes" rispose il ragazzo, scostandosi da lui, "mi dispiace."
"Di cosa?"
Emil non rispose. Mise una mano tremante alla borsa che portava sempre con sé, che aveva sin da quando i due si erano conosciuti. Una pistola scintillò, colpita dalla luce della luna che si nascondeva dietro nubi temporalesche. Era puntata contro Johannes.
"Cosa stai facendo?" rispose immediatamente il ragazzo, paralizzato dallo stupore. "Mettila giù Emil, non è divertente."
"Non posso." La voce di Emil si incrinò mentre guardava negli occhi l'altro ragazzo, con le pupille dilatate. Gli sembrava di poter sentire il sangue fluire nelle sue vene lungo tutto il corpo.
"Cosa stai dicendo? Prima mi chiami nel cuore della notte, poi mi fai venire in questo posto di merda e ora questo?" gridò Johannes, senza muoversi dalla sua posizione. Sentiva che avrebbe potuto scoppiare a piangere.
"Ti prego, non rendermi tutto questo più difficile. Girati, vai verso la bara." Emil rispose. Il suo respiro si faceva affannoso e digrignò i denti cercando di fermare i tremori che lo attraversavano.
Johannes si voltò. Non aveva alternativa. La scalinata che conduceva al centro della stanza gli sembrò interminabile mentre la saliva, arrivando infine di fronte alla bara. Dall'esterno penetrava un filo di vento che scuoteva i suoi capelli nell'aria notturna del tardo agosto. Senza pensarci, passò una mano sopra il coperchio della bara. Credeva che sarebbe stata sporca e polverosa, invece era sorprendentemente lucida, come se fosse stata pulita di frequente. Le sue dita incontrarono delle sottili linee di metallo che non riusciva a distinguere nel buio, in rilievo rispetto al coperchio. Una sembrava avere la forma di un uncino, un'altra era ovale, la terza invece somigliava alla lettera H.
Johannes non osò andare avanti. Trovare il suo stesso nome scritto lì, in quella situazione, era al di là di quello che avrebbe potuto pensare di trovare in quel luogo. Doveva essere una coincidenza, ovviamente, doveva essere qualcun altro con lo stesso nome, si era solo fatto impressionare da Emil.
"Sì, quello sei tu." rispose l'altro, che aveva salito le scale insieme a lui, continuando a reggere l'arma. "Mi dispiace, Johannes. Ti voglio bene."
Il grilletto fu premuto.
Johannes non ebbe il tempo, o la forza di rispondere. Cadde a terra, ai piedi della bara, con gli occhi sbarrati per la paura, per la sorpresa, per la confusione. Emil si avvicinò al corpo, da cui il sangue continuava a defluire lungo gli scalini. Si inginocchiò accanto a lui e chiuse gli occhi azzurri di Johannes per l'ultima volta mentre passava una mano sulla sua guancia. Gli sembrava di sentire ancora un debole respiro provenire dal suo petto devastato. Avrebbe voluto rimanere lì, a contemplarlo per sempre, immerso in una dimensione senza tempo.
A occhi chiusi, ripeté la litania che continuava a sentire sussurrata nei suoi sogni. Forse avrebbe smesso di essere perseguitato, ora che aveva obbedito.
Emil riaprì gli occhi. Il corpo di Johannes non c'era più, così come il suo sangue, così come la bara.
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