Prologo
Non mi definirei critica, sicuramente diffidente, cinica, realista... non tutti ne colgono il lato positivo, ma io si.
Quella mattina, proclamatasi la stessa delle migliaia precedenti, non sapevo che sarebbe diventata la prima e l'ultima, non sapevo che avrei iniziato un percorso lungo e che avrei affrontato la sfida a cui avevo sempre detto no: scoprire chi sono. Se vi state chiedendo quanto sia al limite con un romanzo rosa sappiate che lo sto ancora cercando di scoprire pure io... ma non prolunghiamoci nei pensieri, altrimenti questa storia non inizia più.
La sveglia suonò svegliandomi bruscamente e mi accorsi subito di avere il viso tra le pagine di appunti a cui mi ero dedicata con tanta cura e che ora non sembravano altro che una brutta copia di una formula algebrica con lettere, simboli e colori qua e là. Lasciai che il mio corpo si destasse e cercai di raccogliere i resti di quei bellissimi schemi, oramai diventati ufficiosamente il mio cuscino.
Con forza e coraggio recuperai un completo da allenamento per il jogging mattutino, per me più indispensabile del caffè. Chiusa la zip percorsi i corridoi vuoti dello studentato, ricordo bene che quella mattina mi soffermai ad osservare il cortile semibuio, illuminato qua e là da alcune lucciole e da lampioni un po' datati mentre la luna si avvicinava a fine turno. Mi sentivo di star osservando un quadro, nel cielo vedevo quasi le pennellate delicate con cui quelle sfumature erano nate.
Raggiunto il parco iniziai a correre per il sentiero sterrato che si faceva spazio in un verde brillante mentre un lieve venticello mi sfiorava le guance. Guardandomi attorno i soliti ragazzotti ubriachi tornavano barcollanti, chi solo e chi appoggiato a qualche amico, probabilmente conosciuto qualche ora prima. Anche qualche ragazza sbucava di tanto in tanto con i tacchi in una mano ed i telefoni scarichi nell'altra.
Come mio solito rientrai in stanza per le 7 ed il mio programmino giornaliero poteva dirsi appena iniziato. Feci rapidamente la doccia e non mi feci mancare la skincare sulle dolci parole di una canzone... I wanna write you a song, One to make your heart remember me, So anytime I'm gone you can listen to my voice, And I sing along...
Rientrando in camera non decifrai subito la valigia sul letto di fronte al mio, mi servì qualche momento per collegare quell'oggetto al fatto che i miei ritmi si stavano per scombussolare. Il primo istinto fu quello di controllare i cassetti, fortunatamente le mie cose erano al loro posto. Prima del "grande" incontro mi vestì e riorganizzai i miei spazi. Mentre mettevo le ballerine sentii la porta aprirsi e vedetti una ragazza curiosa sorridermi nel porgermi la mano sudaticcia che non potei che guardare con ripugnanza.
<<Sono Elizabeth>>
Si presentò. Le strinsi la mano e dopo qualche imbarazzante momento di silenzio ruppe il silenzio.
<<Beh... come organizziamo gli spazi? Ad esempio con l'armadio?>>
Mi diressi verso quest'ultimo mostrandole che era inutilizzato.
<<Io mi terrei la cassettiera, come spazio mi è sufficiente>>
Mi accorsi che era sorpresa dalla mia affermazione, la stanza prevedeva una cassettiera da tre a testa e l'armadio in comune, ma il mio stile è estremamente semplice e cerco di avere sempre e solo l'indispensabile, niente più niente meno. Lei si limitò ad annuire e ringraziarmi.
Lasciai che trovasse i suoi spazi e mi lasciai catturare dai suoi vestiti perché non seguivano nessuno stile preciso e non riuscivo ad inquadrarla, passavano da tubini leopardati a maglie dolce vita a tinta unita a pantaloncini inguinali con borchie a blazer strutturati. Mi limitai a finire di recuperare le mie ultime cose e quando stavo per uscire richiamò la mia attenzione.
<<Non so ancora il tuo nome>>
Questa volta la osservai attentamente, nel dettaglio... capelli lisci, di un nero intenso ma luminoso, occhi di un verde molto chiaro che non mi era capitato di incontrare spesso e le sue labbra, a dir poco perfette, né troppo sottili né troppo carnose. Provai una leggera invidia per i suoi lineamenti e per il suo aspetto generale, era una piccola luce ma molto potente.
<<Sophia, Sophia Myers>>
Le scappò un risolino e non potei che guardarla confusa
<<Mi hai ricordato 007 e la cosa mi ha fatto sorridere...>>
Non le feci aggiungere altro annuendo e lasciai la stanza.
——————
Nulla sa farmi tornare alla realtà come la luce mattutina nelle gallerie di vetro che collegano gli edifici, entra soffice e crea quel tepore... ti senti baciato e protetto da quei raggi, come avessero vita e ti alimentassero.
Questa sensazione mi accompagnò fino al bar dove sedetti aspettando la mia migliore amica in compagnia del caldo del tè all'inglese che mi appannava le lenti degli occhiali. Una mano si posò sulla mia spalla e prima di potermi voltare mi trovai di fronte quell'insopportabile sorrisetto beffardo che, in tutti gli anni che ho trascorso in sua compagnia, hanno significato che mi dovevo preparare a fare un "semplice favore" del quale mi sarei pentita. Sospirai rinunciando all'idea di poterla aver vinta anche solo questa volta.
<<Buongiorno Travis>>
Si sedette prima che lo avessi invitato a farlo, ignorando come al solito il mio evidente fastidio.
<<Dai, non salutarmi come se fossi un professore>>
Ridacchiò e quel verso mi fece inevitabilmente alzare gli occhi al cielo.
<<Dimmi cosa ti serve così tagliamo corto>>
Il mio umore era stato compromesso dall'incontro di poco prima e volevo solo poter avere potere sul resto della giornata.
<<Solo se mi saluti come si deve, altrimenti ti perseguiterò per tutto il giorno.>>
Era inquietantemente serio.
<<Sai che lo farò>>
Sembrava quasi volermi minacciare. Un brivido mi percorse rapidamente la schiena, ma non mi affidai alle energie di ripudio che mi vengono spontanee quando semplicemente parliamo e cercai di velocizzare questo teatrino.
<<Giorno big bro>>
imitai una mossa da rapper che gli avevo visto fare con un suo amico e la cosa lo fece scoppiare in una rumorosa risata alla quale seguii il mio immediato ricompormi. L'intero bar ci fissava come fossimo dei casi da studiare attentamente e sopraffatta dall'imbarazzo cercai di placarlo con qualche calcio sotto il tavolo.
<<Ahia!>>
Lo disse tra una risata e l'altra, ma per lo meno piano piano smise.
<<Ora: dimmi cosa vuoi>>
Approfittai del momento di pace dei suoi polmoni.
<<Mamma e papà mi hanno tagliato i fondi dopo l'ultima festa alla confraternita>>
Disse tra un profondo respiro e l'altro.
<<Ho letto le cazzate che avete combinato là dentro>>
Si limitò a ridacchiare.
<<Sai dire anche le parolacce? Mi sorprendi ancora dopo 21 anni >>
Alzai istintivamente gli occhi al cielo
<<Potrebbe essere un record sai?>>
Lo lasciai continuare con le sue tiritere sperando che tornasse in sé il prima possibile e così fu...
<<Ecco, beh...>>
<<Quanto ti serve?>>
Immaginavo già cosa mi avrebbe chiesto, in fin dei conti ogni 4 o 5 mesi finiva così. Per fortuna ero molto brava a tenere in ordine i miei conti e potevo permettermi di aiutarlo.
<<500 dollari...>>
Mormorò e quasi non credetti alle mie orecchie. Ogni volta ne chiedeva di più e la cosa mi iniziava a preoccupare, più che altro perché conoscevo bene nostro padre... Fissai il vuoto per alcuni attimi pensando a cosa fosse giusto fare.
<<Sophy...>>
Mi riportò alla realtà. Guardai dritto nei suoi occhi ed annuii. Non sapevo che in quel momento avrei potuto cambiare totalmente la trama della mia vita.
<<Posso darteli, ma non dovrai più chiamarla mamma davanti a me.>>
Semplicemente si alzò e mi venne incontro a braccia aperte. Misi le mani come scudo inutilmente e mi ritrovai stritolata dal suo affetto.
<<Vai. Ti prego, vai.>>
Lo supplicai tra un bacio sulla guancia e l'altro. Mi ringraziò mille volte e si allontanò urlando cose imbarazzanti come "SEI LA MIGLIORE!" O "SEI LA MIA SALVATRICE!" Mentre tentavo di nascondermi dagli sguardi scocciati e nervosi dell'intera università.
Travis non è il peggior fratello che potesse capitarmi, ma siamo veramente diversi e questo rende il nostro rapporto complicato. Lui è sempre stato più simile a nostro padre, amante della bella vita e degli sport, gli importa solo di essere l'incarnazione delle aspettative di chi lo circonda mentre io sono molto selettiva, tendo a prendermi tempo per me e dedicarmi più alla mia carriera, bado poco a dare un'impressione agli altri, voglio che i fatti parlino per me.
In realtà in passato siamo stati molto vicini, soprattutto quando è mancata la mamma, poi... però siamo cambiati, ho fatto scelte sbagliate e mi sono sentita sola, il che mi ha portato al punto in cui o reagivo e diventavo una versione migliore di me o mi lasciavo trascinare in fondo, con la certezza di non tornare più a galla... ed eccoci qui.
Il suono di un messaggio interruppe il mio flusso di pensieri e lessi che Margaret, la mia migliore amica, non sarebbe riuscita a raggiungermi e vedendo l'ora raccattai le mie cose.
Io e lei ci siamo conosciute al corso di orientamento matricole e da allora siamo cresciute assieme. Di primo acchito rividi in lei la pace, avevo bisogno di tranquillità, arrivavo da molto caos e molto rumore, ricordo bene lei seduta tra le prime file con un pantalone elegante sul grigio, camicia bianca e cardigan crema che litigava con alcuni ciuffi ribelli che si ostinavano a non restare raccolti dietro l'orecchio. Avevamo iniziato a parlare perché le porsi una forcina e da lì è storia.
Quella mattina avevo lezione nell'auditorium, la mia aula preferita. Uno spazio aperto che mi faceva sentire protetta. Era molto grande, poteva ospitare almeno 800 persone come pubblico, ma posso garantire che quando ti trovavi sul palco non esistevano, sentivo solo il mio battito che accelerava con me ed il mio respiro che trovava il ritmo della pace... avrei voluto esistere solo in quel momento per sempre, restare un personaggio scritto da menti brillanti che cercava solo un mezzo per raccontarsi, ma credo la magia sia proprio la consapevolezza che questo momento finisce e brami per averlo nuovamente.
Scesi la scalinata sentendo ogni gradino e salii sul palco guardando le sedie vuote. Il mio posto era sempre stato quello, forse non lo sapevo prima, ma la prima volta che respirai l'odore del parquet calpestato da mille mila storie e sentii il fruscio del sipario scostandosi sembrava di essere entrati in un universo a se stante destinato a farti vivere in volo. Ero consapevole degli sforzi che mi attendevano per essere veramente brava e fare la differenza, per essere un'artista pura, ma non ero spaventata perché mi bastava il pensiero di tenere tra le mani un copione o di dare voce a pensieri sottili per volerne ancora e ancora, all'infinito.
Dopo aver contemplato quello spettacolo meraviglioso mi sedetti al mio solito posto, in prima fila. Si, sono un po' secchiona, non una di quelle con la mano sempre alzata, sono più il tipo silenzioso in ascolto che assorbe e contempla.
La lezione del professor Smith fu veramente interessante quel giorno, credo più di altre volte perché entrammo in contatto con l'andare oltre l'essere esecutori e quel giorno fu il primo in cui sentii di vivere il momento appieno per davvero.
Quando arrivò l'ora di pranzo pranzo tornai in camera con un panino arruffato tra i rimasugli del bar e mi lasciai distrarre da qualche canzone molto orecchiabile. Notai con piacere che la nuova coinquilina non si era presa troppo del mio spazio, anzi lo aveva rispettato, cosa non scontata, ma non ero comunque felice di dover condividere la mia intimità con altri.
Mi concessi un breve pisolino per recuperare un po' di forze e quando mi svegliai notai che in camera c'ero ancora solo io e osservai la stanza illuminata dalla lieve luce che entrava dal piccolo spazio della finestra. Non accesi la luce perché non ero certa di volermi veramente svegliare.
Mi spogliai restando in intimo mentre frugavo nei cassetti alla ricerca di qualcosa di più comodo, ma non mi accorsi di una presenza da me del tutto disprezzata: un essere umano.
Dal nulla l'abat-jour della mia coinquilina si accese e spaventata mi scappò un piccolo urlo. Quando mi alzai fu la sua risata a invadere la mia mente e a diventare fin da allora il mio suono preferito. Non sapevo bene cosa stesse accadendo e quando mi voltai, rossa in viso per la vergogna, lo vidi per la prima volta.
Non era nulla di troppo speciale. Notai subito i suoi occhi, color cioccolato, e non potei fare a meno di sentirmi persa lasciando schiudere le mie labbra.
Non parve accorgersi concretamente di me, fu un suo rapido movimento a riportarmi coi piedi per terra.
Indossai rapidamente la t-shirt di mio fratello che tenevo tra le mani, mi copriva appena sotto il sedere e con un altrettanto rapido gesto recuperai dei pantaloncini da indossare fulmineamente. Non aveva distolto lo sguardo dai miei gesti, ma la sua risata si era fermata e avevo la strana voglia di fare qualcosa di ridicolo solo per ascoltarla ancora. Sistemai gli occhiali sopra il naso e portai i capelli su una spalla cercando di sfogare il mio imbarazzo e disagio in questi semplici gesti. Restammo in silenzio a guardarci per qualche momento fino a che realizzai di non sapere nemmeno chi fosse.
<<Chi sei? E che ci fai in camera mia?>>
Sbottai spezzando il legame che i nostri sguardi avevano creato.
<<Mi chiamo Christian...>>
La sua voce roca fu un vero e proprio colpo al cuore
<<Stavo cercando Elizabeth, mi ha detto di venire a prenderla qua, ma quando sono entrato ti ho vista dormire così mi sono messo comodo e ho letto un pezzo di questo libro>>
indica la mia copia di "Narciso e Boccadoro", uno dei miei preferiti
<<In realtà lo conosco a memoria, ma non mi spiace mai rileggerlo>>
Precisò.
Lo guardai fredda prendendo la copia tra le mani, la controllai accertandomi che non l'avesse rovinata e poi la posai sul mio comodino.
<<Tu sei?>>
Lo scrutai.
<<Mi chiamo Sophia>>
Risposi decisa.
<<Il tuo viso mi ricorda qualcuno>>
Sperai che non mi riconoscesse, ma quando vidi che addosso aveva la felpa della squadra di football non potei fare a meno che arrendermi ad essere di nuovo la sorellina di Travis Myers.
<<Probabile>>
Provai a fare la vaga, ma lui si avvicinò tanto che quasi credetti impossibile distinguere il mio respiro dal suo.
Mi scrutò e si soffermò per molto sulle mie labbra per poi ritrarsi. Sicuramente era una delle sue tecniche, mi fece sentire vulnerabile.
<<Sei parente di qualcuno della squadra di football?>>
Annui e lui fece un sorriso beffardo, mi ricordò molto Travis in quel momento il che mi infastidì particolarmente.
<<Sei la sorella di Mattew?>>
Scoppiai a ridere.
<<Cosa? No!>>
Scossi la testa ripetutamente. Nulla di male eh, senza pregiudizi o altro... ma Mattew ed io siamo molto diversi, è un ragazzo latino, tra l'altro un caro amico di Trav, lo conosco bene e l'unica cosa che può accomunarci è forse il colore di capelli!
<<Sono sorella di Travis>>
Non riuscivo a credere che non mi avesse rivisto in lui.
<<Scusa>>
sussurrò ridacchiando, quasi quella parola gli bruciasse nel pronunciarla.
<<Comunque non so dove sia Elizabeth... ma se torna le faccio sapere che sei passato>>
Ignorai il suo ringraziamento e presi il testo di economia dallo zaino. Mi osservò senza dire nulla mentre mi sistemavo sul letto e aprivo alla pagina che il prof aveva spiegato qualche giorno primo e cercavo gli appunti.
<<Che roba è?>>
Chiese. Alzai lo sguardo e risi divertita per la sua espressione. Sembrava avesse visto una cosa viscida e schifosa, non saprei dire bene se fosse disgusto, ma certamente non era piacevole.
<<Economia>>
Feci spallucce.
<<Nemmeno io ne vado matta>>
Fece un sospiro di sollievo che non compresi.
<<Da qua sembrava Chimica>>
Si portò una mano al petto, come se gli avessero appena tolto un gran peso.
<<Chimica è molto più bella>>
<<Mh... gusti>>
Si limitò a rispondere.
<<Comunque non dirle che sono passato, potrebbe farsi strane idee.>>
<<Tipo?>>
<<Che mi interessa>>
Nel frattempo si era alzato e mi parlava distrattamente mentre smanettava sul telefono.
<<É stato un piacere Sara>>
Aggrottai la fronte.
<<Sono Sophia, coglione>>
Mi sorse spontanea la nota acida e quella poca simpatia che mi aveva suscitato si vaporizzò.
<<Sisi come vuoi tu>>
Uscì sbattendo la porta e facendomi sussultare.
Sarei voluta andare a fargli una ramanzina, ma già gli avevo dedicato troppo tempo rispetto a quello che sarei stata solita con un qualsiasi individuo e di certo a lui non sarebbe importato.
Passai le restanti ore a studiare economia e matematica dato che avevo gli esami a breve. Essendo un venerdì sapevo di non avere impegni mentre la massa informe di reietti si sarebbe persa nei fiumi di alcol delle confraternite e mi concessi alla lettura di un libro che aveva fatto scalpore tra le adolescenti di tutto il mondo: "After".
Non sono solita a leggere questi libri, ma Margaret mi aveva più volte fatto notare che sono molto disillusa e spesso lo stesso prof Smith mi aveva invitato a stimolare la mia immaginazione per lavorare meglio e cosa poteva aiutarmi più di uscire dai miei soliti schemi?
Nelle prime pagine Tessa, la protagonista, mi parve perfetta. Mi riconoscevo molto in lei, ma andando avanti l'incontro con Christian sembrava molto analogo a quello del libro e mi spaventai perché non volevo un ragazzo, soprattutto non uno "popolare" e pieno di problemi esistenziali a cui non avevo tempo di dedicarmi! Prima di tutto la carriera e lo studio, subito sotto amici e per ultima la famiglia, ecco com'era composta la mia vita.
Tessa mi faceva pena, convinta che un ragazzotto tatuato con il viso bucato potesse colmarle il vuoto che suo padre aveva deciso di lasciarle. Quando chiusi il libro avevo raggiunto ormai la metà e mi ero sempre più convinta che lei fosse stupida a farsi abbindolare e lui stupido a cercare di farsi capire da lei che era cocciuta e non era di certo pronta ad accoglierlo nella sua vita.
Chiusi gli occhi e sognai due occhi color cioccolato, un sorriso beffardo e un ciuffo scombinato, ma prima di accorgermene quella bellissima figura aveva appoggiato le proprie labbra su quelle di una ragazza che non ero io, erano Elizabeth e Christian.
Mi svegliai di soprassalto, confusa, con il respiro affannato, del tutto sorpresa di constatare di essere ancora sola nella stanza, ma ero sinceramente felice di non essere sembrata stupida agli occhi di nessuno.
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