5

Mio padre è sempre stato un sofista, ovvero un individuo che sa parlare bene, ma dentro di se non ha mai avuto nulla. Nella sua vita ha costruito un mondo fatto di parole, parole, parole e bugie, un mondo dal quale mi ero allontanata da anni e sono certa che non avrei potuto fare scelta migliore. Percorrere di nuovo i corridoi di quella casa era come un colpo al cuore, mi sentivo ancora una volta la bambina piccola che si rinchiudeva in camera con una copia di "La fattoria degli animali" di George Orwell e ogni volta che leggeva la parte in cui moriva Boxer piangeva, poteva essere anche la millesima volta che la leggevo, eppure piangevo. Ricorderò sempre la volta in cui entrò la mamma e mi vide piangere appallottolata sul letto mentre stringevo al petto il libro come se il mio battito potesse far tornare quello del cavallo di cui ero tanto innamorata, mi accarezzò la schiena e mi chiese perché stessi così tanto male e quando glielo spiegai lei non rise, nemmeno sorrise, mi strinse e pianse con me, sentiva il mio dolore e voleva che io lo sapessi, mi manca quella donna... crescere è brutto, soprattutto in una famiglia come la mia, a nessuno importava della cultura tranne che a mia madre, ricordo le derisioni di mio padre e di mio fratello perché mentre accontentavo mio padre facendo gli esercizi della sala attrezzi di casa, leggevo e ascoltavo musica classica. Quel posto lo chiamavo casa per convenzione sociale, non perché la sentissi davvero casa.

Tutto questo era per dire che ero di nuovo nel luogo in cui ero cresciuta e me ne pentivo particolarmente. L'obbligo di tornare a casa un weekend al mese era solo per potermi chiudere nell'enorme biblioteca a due piani di mia madre. Alcuni giorni prima che morisse mi aveva dato la chiave e mi aveva fatto promettere di farci entrare solo persone che avrebbero saputo rendere onore ad una tale bellezza ed io, ancora ingenua e caratterizzata da un tono infantile le risposi che lei era molto più bella di quella stanza e che avrei voluto essere come lei un giorno, anche in piccola parte. Il suo cuore si spezzò, glielo lessi negli occhi. Mi disse di stare tranquilla, che sarei stata addirittura più bella, ma la verità lei non l'ha potuta sapere. Non le assomiglio affatto, sono il suo opposto: lei era molto magra e non troppo alta, aveva due occhi di un colore simile all'indaco e a volte parevano lilla, i capelli lisci e rossi le arrivavano a metà schiena e le facevo sempre la treccia e anche se veniva uno schifo lei si pavoneggiava con tutti. Mi asciugai le lacrime che quei ricordi avevano risvegliato. Dire che provavo dolore non sarebbe mai bastato. Non ho mai superato quella perdita, lei era me e andandosene ha lasciato solo un ombra che mi ricorda molto vagamente.

Sento il tintinnio di una campanella, il pranzo mi attende. Guardo ancora una volta il volume di "Il mago di OZ" che riposa sulla poltrona di mia madre ed esco assicurandomi di chiudere a chiave. Ripenso al baule che non avevo mai aperto. Sopra c'era inciso il nome di mia madre con una calligrafia ordinata ed elegante, il colore verde e la pelle rovinata che lo rivestiva dimostrava che era ormai vecchio. Lo avevo rattoppato come potevo, ma in fin dei conti non sono mai stata buona in cose come quelle. Non lo avevo aperto per anni e la curiosità mi divorava, ma era ovviamente appartenuto a mia madre, come potevo farle una cosa simile? Raggiunsi la sala da pranzo avvolta nei miei pensieri e mi resi conto che anche se non fossi arrivata non avrei fatto la differenza. Tutti si stavano ingozzando e di certo non si sarebbero preoccupati di dover mangiare anche al mio posto. Mi sedetti davanti a mio fratello che aveva già gli angoli della bocca invasi dalla salsa barbecue delle costolette. Fui felice di vedere che l'insalata non era stata toccata così me ne servii quanto bastava e poi presi un paio di costolette non troppo grassose, come piacevano a me. Le osservai un attimo cacciando via l'immagine dell'animale che avevano torturato per permettermi di nutrirmi. Per un periodo ero stata vegetariana, ma non mi servì troppo prima di iniziare ad avere problemi mancandomi sostanze essenziali presenti nella carne, così rinunciai ai miei ideali e ripresi a mangiare. Condii l'insalata e mangiai lentamente. Nessuno parlava. Mio padre leggeva il giornale controllando la pagina dell'economia. La mia matrigna era impegnata nel bere la zuppa che si era fatta preparare per chissà quale motivo. Mio fratello, beh, lui sembrava divertirsi a divorare fino all'ultimo pezzetto di carne. Non si accorsero che li osservavo masticando un morso di quel morbido animale.

<<Travis>> ovviamente mio padre volle dare attenzioni a mio fratello. Negli anni mi ero abituata ad essere la sua delusione. <<Dobbiamo parlare del tuo posto in azienda>> dire che a mio fratello non importava nulla era solo evidenziare l'ovvio. Lui rispose con un mugolio indicando che lo aveva sentito e che poteva continuare. Aveva già deciso cosa avrebbe fatto in realtà, ma sapeva che quell'uomo canuto e avanti con gli anni non gli avrebbe permesso di non prendere le redini del suo duro lavoro.

<<Sof>> richiamò la mia attenzione Johanna. Non era una donna cattiva, ma non gradivo particolarmente la sua presenza nella mia vita.

<<Dimmi>> la guardai dopo aver deglutito preparando già la prossima forchettata di rucola e pomodoro.

<<Mi accompagneresti a fare un giro per negozi nel pomeriggio?>> sorrise <<come madre e figlia>> l'idea la esaltava e il cibo mi andò di traverso. Presi a tossire e l'espressione sul suo viso divenne preoccupata come quella di mio fratello, mio padre mi guardò per un attimo preoccupato, ma appena vide che lo notai tornò al suo stupido quotidiano. Bevvi un sorso lungo d'acqua e feci un respiro profondo. Già di mio detestavo cose come quelle e se in più avevano lo scopo di permettere a quella brutta copia di Cameron Diaz di prendere il posto di una delle persone più importanti della mia vita non potevo che rifiutare, pur sempre gentilmente.

<<Scusa Johanna...>> iniziai.

<<Jo>> mi corresse. Respirai profondamente.

<<Jo>> mi corressi <<Ma non verrò con te a comprare un vestito o qualunque altra cosa perché non sei e non sarai mai mia madre>> va bene, alla fine non ero stata gentile, ma non riuscii a trattenermi. Lei si rattristì e mio padre sbatté a terra il giornale prima e una mano sul tavolo dopo. Sussultammo tutti. Se avessi saputo che serviva questo a suscitare in lui una reazione lo avrei fatto anni prima.

<<Basta!>> si alzò in piedi mostrando il suo elegante abbigliamento. <<Ora basta!>> esordì ancora. Leggevo la rabbia in ogni parte di lui e il gesto eclatante fu il bicchiere di whisky che lasciò schiantare contro il muro. Ringraziai la lunghezza eccessiva del tavolo perché mentre lui si dirigeva a passo deciso verso di me, Travis poté saltare il tavolo e piazzarsi davanti a me lasciandomi pochi attimi di sollievo. L'omone non si fece problemi a spingerlo via per raggiungermi e strattonarmi da un braccio stringendo con troppa forza rispetto a quanto sarebbe stato opportuno che usasse.

<<Papà!>> urlai dal dolore mentre continuava a stringere.

<<Non sono tuo padre>> avvicinò il viso al mio di modo che le parole mi raggiungessero meglio. L'odore forte del liquido ambrato mi infastidiva e lasciava intendere che ne aveva bevuto un bicchiere di troppo.

<<C-cosa?>> le lacrime raggiunsero i miei occhi e minacciavano di uscire, erano dovute sia al male sia alla freddezza che aveva usato per pronunciare quelle parole.

<<Hai sentito bene piccola ingrata>> parlava a denti stretti. La donna che prima era tanto radiante si era spenta e a capotavola aveva lasciato posto ad una pessima attrice in lacrime. Mio frat... Travis spostava lo sguardo tra l'uomo che avevo sempre chiamato padre e me. Non sapevo se sentirmi sollevata o meno, mi bastava sapere che non avevo più vincoli con il mostro che mi sovrastava. <<Sorpresa?>> rise in modo malvagio e sincero. <<Buon Dio che soddisfazione dirtelo. Avrei dovuto cacciarti via dopo la morte di Marianne, ma non potevo abbandonarti in un orfanotrofio>> per un attimo credetti che si riferisse ad una specie di rimorso che avrebbe provato nel farlo <<ma Marianne mi aveva fatto promettere e la rispettavo troppo>> ma poi mi resi conto che era solo un illusione, come tutta la mia vita dopotutto <<piccola ingrata, dopo tutto quello che ti ho dato, non rispetti nemmeno la donna che amo>> la rabbia nel suo tono era tornata ad ardere. Non sapevo che fare. Iniziai a versare lacrime. <<Debole>> mi disse e riprese a ridere. Provai a divincolarmi. Volevo scappare. Il mondo attorno a me era bloccato e non provavo altro che un forte male al petto. Avrei voluto mia madre, ma Marianne non la era, quindi volevo solo una donna che mi aveva fatto sentire l'amore che una madre può dare. <<Non ti voglio vedere fino a quando non arriva Roger per portarvi via>> Roger era stato il nostro autista per anni quando ero piccola, ma essendo anziano morì poco prima di mia madre. Non mi pareva il caso di farglielo notare dato il suo stato d'animo. Mi scaraventò a terra con forza e sentii il ginocchio dolorante. Johanna si era alzata e Travis provò ad avvicinarsi, ma Alexander, l'uomo che avevo sempre chiamato padre, lo trattenne. Mi alzai da sola e me ne andai. Quando ero ormai a corridoio inoltrato iniziai a correre nonostante il male al ginocchio sentendo sempre più lontane le urla di Travis. Raggiunsi la biblioteca, non sarei mai più tornata in quel luogo quindi dovevo recuperare i volumi dei libri che più avevo amato. Fortunatamente molti me li ero portata dietro nelle visite precedenti. Guardai il baule e l'unica cosa che mi venne in mente era che sarebbe rimasto un mistero. Per ultima recuperai la copia di "Il mago di OZ" poi chiusi la porta e corsi in camera. Impiegai poco per rifare lo zaino e aggiunsi i libri. Caricai in spalle tutto e presi l'uscita sul retro per non essere vista. Salii sulla mia amata BMW -si avevo un macchinone, ma sentite, l'azienda di mio... "padre"... faceva orologi che non costavano mica poca eh- e accesi la radio cantando con i Nirvana fino al college.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top