XV
Sollevò il braccio per colpirlo e Zero gli afferrò il polso. Gli guardò l'arto, ma ciò che ebbe davanti fu una protesi artificiale, un braccio di metallo grigio scuro, liscio e durissimo. Le placche erano sottili tra loro, si collegavano alla pelle del petto tramite degli innesti sottocutanei.
«Hai un braccio meccanico, che forza!» cantò Zero.
Zante ruotò su se stesso. Il braccio bionico si girò con lui senza procurargli alcun danno alle ossa vere e gli permise di sganciarsi dalla presa, mollando un colpo sinistro al cucciolo. Il pugno gli arrivò sul naso e Zero indietreggiò.
Zante si mise a posto il braccio e si tolse la felpa ingombrante. Sulla pelle erano ben visibili gli agganci e i cavi che si connettevano al suo corpo, le placche parevano vibrare e fischiavano.
Zero alzò le mani in difesa. «Tu non sai nemmeno chi sono!» provò a farlo ragionare.
«So benissimo chi sei» sputò. «Così come so chi sono i tuoi genitori. Un Vampiro e un Licantropo. Tu non dovresti nemmeno essere vivo in questo momento. Mio padre ti pensa spesso, Zero, sei il pezzo che gli manca per completare la sua collezione. Ha immaginato come potrebbe essere il tuo DNA, ha provato a replicarti senza molti successi. Come ci riesci?»
Non comprese la domanda. Tanti gli avevano chiesto come facesse a restare in vita, pensando che la fame dei Vampiri o lo scarso controllo dei Licantropi lo avessero a lungo divorato dall'interno. La verità era che lui stava semplicemente vivendo.
«Non lo so!» ammise. «Sono fatto così.»
«Ho perso il braccio a causa tua. L'oni di mio padre mi ha gettato in un'arena, volevano darmi una punizione e i miei fratelli sono rimasti a guardare. Ci avevano addestrati tutti, siamo nati per cacciare quelli come voi. Io avevo paura di farmi male, così Aargo mi ha tenuto bloccato e mi ha strappato via il braccio destro. Voleva farmi capire cosa fosse la vera sofferenza.» Si scrollò il braccio e le dita meccaniche si mossero, stringendosi sempre con maggiore velocità. «Mio padre ha dovuto sistemarmi. Mi ha fatto un braccio con la forza necessaria per spaccarti la testa. Vuoi provare?»
«No, grazie.»
Aveva commesso l'imperdonabile errore di sottovalutare il suo avversario, benché il braccio pareva un ammasso pesante, si muoveva con estrema rapidità e senza alcun tipo di impiccio. La fibra di carbonio era leggera e gli consentiva un'adeguata flessibilità; Zante lo usava come fosse un ariete e lo sfruttava per muoversi sul terreno, sorreggendosi nel gioco di gambe.
Zero bloccava i calci e i colpi senza sapere come reagire. Era velocissimo. All'ultimo riuscì ad afferrargli il collo e fermarlo. Sollevò il braccio in alto e il cucciolo incespicò, i piedi che a malapena sfioravano il terreno.
«Non ti ho fatto niente!» ansimò Zero, colpendo il braccio di metallo senza avere effetti.
«Joseph ha ucciso Ethan» specificò. «Lo hai detto anche tu. È una questione di famiglia. Servi a mio padre, Zero, ciò che c'è nel tuo sangue potrà aiutare la nostra razza. Dovresti essere grato di poterci servire, sei solo un animale. Il mio nemico, ecco chi sei. Puoi scegliere di venire con me d'un pezzo o in due.»
Zero smise di respirare, fece forza con le gambe e le avvolse attorno all'arto bionico. Girò su se stesso e trascinò Zante con sé, riuscendo a ribaltare la situazione. Gli bloccò il collo con una presa salda e gli storse il braccio artificiale, facendolo cadere in una posizione contorta.
«Ma che cazzo di problemi avete voi inglesi?» berciò Zero. «Io non ti ho fatto nulla!»
Zante mugugnava imprecazioni. «Terza legge di Newton. Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. È stata colpa mia se mio fratello è morto, avrei dovuto dare retta a mio padre. Se ti porto da lui sarà molto fiero di me.»
Il braccio si riassestò e diede una forte scossa. Il corpo di Zero tremò di fatica nel trattenere una macchina da guerra simile, malgrado in altri casi il suo avversario si sarebbe rotto le ossa, Zante riuscì a rialzarsi e ignorare quell'atroce dolore. Si liberò dall'agguanto e diede un pugno diretto.
Zero slittò sulla pista d'atterraggio e boccheggiò senza fiato. Si girò su un fianco e si massaggiò le costole, tastando se avesse qualcosa di rotto. Mosse i muscoli della schiena e tentò di alzarsi con una fitta atroce ai polmoni. Zante colpì il suolo con il braccio e saltò in piedi, stiracchiandosi.
«Joe mi ha reso quel che sono. Dovrei ringraziarlo» bofonchiò nervoso.
Zero emise un lungo verso disgustato e rabbrividì. «Oh, per le dee! Stavo per fare sesso con mio cugino!» lo accusò, rendendosene conto in quel momento.
Zante abbrustolì e Zero non comprese se fosse perché moriva dalla voglia di spaccargli la testa o se appena due minuti prima avevano in mente di fare sesso nella dimora dei più temibili Cacciatori inglesi.
Zante caricò su di lui e sferrò dei pugni. Zero si infilò tra le sue braccia e lo colpì alla gola. Era stato stupido a sottovalutare la sua abilità, ma imparava in fretta dai suoi errori. Lo spinse indietro in modo tale da fargli agitare le braccia per restare in equilibrio, usò la stessa spinta e investì con un calcio circolare, usando l'intera rotazione dell'anca.
Zante volò oltre il parapetto e finì nel Tamigi. Zero aspettò di vedere se fosse vivo, il ragazzo agitava il braccio buono e si portò il polso all'altezza delle labbra, attivando un sensore. Una luce rossa brillò e Zero si disse che fosse il caso di svignarsela in fretta.
«Zia Pip!» urlò Zante, faticando a restare a galla con quel braccio meccanico. «Ho trovato l'Ibrido, è qui! I suoi amici sono al tavolo, pantaloni marroni e maglia blu! Chiama i due bastardi, ora!»
Zero corse fino a non sentirsi più le gambe, si infilò nel capannone e si intrufolò tra la folla che stava saltando a ritmo di musica. Si tappò le orecchie e si massaggiò il torace. Presto o tardi gli sarebbe uscito un altro livido, l'ennesimo, e Bjørn gli avrebbe chiesto spiegazioni.
Finn stava baciando una ragazza con i capelli rasati, lo afferrò per la camicia e lo spinse. Lui aprì gli occhi, risvegliandosi brutalmente da quel sogno.
«Cacciatori!» urlò Zero. «Dobbiamo andarcene adesso o moriremo, mi hai capito?»
Finn era troppo ubriaco per capire a pieno la spiegazione, ma afferrò al volo la parola "Cacciatori" e il significato che portavano con sé. Andarono al tavolo, laddove Juho e Pål stavano ancora chiacchierando amichevolmente con gli altri ragazzi, e senza spiegazioni li tirarono via.
Zante emerse da un angolo, era bagnato da capo a piedi. Accanto a lui comparvero due persone, una donna di mezz'età con lunghi capelli marroni e un vestito attillato, e un ragazzo dall'espressione mogia. La donna parlò tramite una trasmittente all'orecchio e il ragazzo in completo nero incrociò gli occhi di Zero.
Ci fu un attimo in cui il cuore del cucciolo si fermò. Gli occhi dell'oni erano privi di qualsiasi tipo di emozione, ed ebbe un istantaneo mal di testa dovuto a quell'aura innaturale. Quelle onde erano incostanti, sfarfallavano e appena mosse un passo divennero oscure, peggio di quelle di un Demone.
«Che diamine è quello?» balbettò Finn paralizzato.
Aargo corse verso di loro e i ragazzi fecero altrettanto, fuggendo dalla parte opposta. Finn era in testa, teneva Pål per un braccio per assicurarsi di non perderlo, si faceva strada con la forza e Zero spingeva Juho per farlo muoversi. Si stava lamentando di perdersi un appuntamento al chiaro di luna e il cucciolo era così furioso che voleva unicamente dirgli di starsene zitto e ringraziare di respirare.
Uscirono dalla portaerei e lo spazio aperto permise loro di correre meglio. Si fiondarono verso la staccionata e Zero udì un fischio acuto.
«Giù!» urlò e un proiettile d'argento gli sfiorò l'orecchio.
Lo sparo fece urlare i presenti vicini, mentre coloro che erano altrove erano indaffarati a bere e la musica soppressò altri rumori. Il rimbalzo del proiettile aveva ferito Pål al polpaccio e si mise le mani sopra il taglio, fermando il sangue. La ferita bruciò a causa del materiale e il ragazzo si sforzò di stringere i denti.
«Dammi una mano!» ordinò Zero senza perdere tempo.
Juho annuì e insieme lo tirarono su a forza, facendosi passare le braccia sulle spalle. Finn ebbe uno spasmo nel sentire nelle narici quel caldo odore di sangue e Zero boccheggiò, sapendo cosa sarebbe successo.
Aargo si umettò le labbra con un sorrisetto compiaciuto, sfoderando la sua spada. Finn si trasformò in mezzo al piazzale buio e il colpo di coda fece cadere i tre ragazzi dietro di lui. Juho e Zero dovettero aggrapparsi alla collottola per impedirgli di ingaggiare battaglia. Con le migliori probabilità avrebbero arrecato gravissimi danni a qualcuno, senza però riuscire a scappare in sicurezza.
Finn sbatté gli occhi e uggiolò scontento, rendendosi conto di aver perso il controllo. Si curvò e fece salire Pål sulla groppa, lamentandosi quando gli tirò il pelo bruno vicino alle orecchie. Juho recuperò il cristallo a terra e diede una spintarella a Zero.
«Dove vai, cucciolo?» lo chiamò Aargo, facendo dei suoni simili a come si chiamano gli animali randagi. «Ho un conto aperto con il tuo papà. Voglio testare quanto sono resistenti le tue ossa!»
Zero alzò il dito medio e seguì i suoi compagni. Il Licantropo si fiondò contro la palizzata, la graffiò e la rete cedette sotto i suoi durissimi artigli. Finn tornò umano nel momento sbagliato e Pål gli cadde addosso.
«Zero! Muoviti!» urlò Finn, dandogli la mano.
Ne aveva avuto abbastanza del mondo umano, dell'Inghilterra e specialmente di gente che lo voleva morto. Si lanciò su Finn e gli afferrò il braccio un attimo prima che la magia del cristallo li avvolse. Juho lo tirò come meglio poté, ma c'era qualcosa di sbagliato ed era la magia di Finn. Il mana era precario a causa dell'alcol in corpo e la paura fece il resto. Zero si focalizzò su Arcadia, sui suoi monti e fiumi. Venne distratto da qualcos'altro nella sua testa, da Ru e da alcune parole che ricordò quel momento di un'altra città umana, la sua preferita.
La magia lo strappò brutalmente da Juho e li sentì gridare. Il collegamento li divise e venne sbalzato via.
Si svegliò perché qualcuno stava cercando di togliergli una scarpa. Un uomo con la barba piena di sporcizia e vestito di stracci gli stava slacciando le stringhe, biascicando parole senza senso e Zero cacciò un urlo, balzando a sedere. L'uomo alzò le mani e sembrò dirgli di andare a quel paese, poi continuò ad agitarsi e lui comprese che dovesse spostarsi.
Zero si alzò dalla panchina su cui era piombato e lasciò che quel barbone spostasse il carrello ricolmo di spazzatura e si ficcasse al suo posto, prese una coperta e se la mise sul cappotto logoro.
«Cester! Non fare il maleducato, non è la tua panchina!» strillò una donna con i tacchi a spillo viola e un vestito terribilmente corto. «Fa' sedere anche me, ho i piedi distrutti!»
Un fortissimo rumore alle spalle di Zero lo fece saltare a lato. Una macchina sfrecciò a pochi centimetri da lui, tagliò la strada a due biciclette e tirò dritta sull'infinita strada nera. Era circondato e schiacciato da rumori di qualsiasi genere, clacson, urla, musica e il mal di testa tornò a martellargli il cervello. In qualsiasi posto fosse finito era chiaro che non fosse Arcadia: tutt'intorno a lui c'erano edifici altissimi con luci accecanti, palme a fiancheggiare i viali, piscine all'aperto da lui fuoriuscivano getti d'acqua in aria. In cielo volavano elicotteri e le stelle si muovevano. Suo padre gli aveva spiegato che gli umani si spostassero in quel modo per i viaggi lunghi e a Zero l'idea di volare faceva venire il vomito, dopotutto le dee non gli avevano dato le ali e credeva fortemente di dover sfruttare il terreno su cui posava i piedi.
I colori di quella strana città gli fecero male agli occhi, c'erano troppe insegne, persone che gridavano e ruote che stridevano sull'asfalto nero. L'aria in sé era irrespirabile, puzzava e gli bruciava in gola. All'improvviso in cielo esplosero dei fuochi e nessuno dei presenti in strada parve notarli.
«Ehi, ragazzo, ti sei perso?» domandò la donna con il rossetto sbavato che intanto stava combattendo per sedersi sulla panchina. «Mi capisci?»
«Hvor er jeg?» domandò Zero e gli rivolse uno sguardo inespressivo. «Dove sono?» tradusse.
Sapeva di avere un accento strano, ma anche in quel posto c'era qualcosa di diverso nel parlato. La lingua era meno elegante rispetto a quella parlata a Londra, viscida e cruda. Aveva paura nel pensarlo, ma dubitava persino di essere in Inghilterra. Glielo diceva il suo istinto.
«Las Vegas» sottolineò lei guardinga. «Scommetto che hai perso la tua comitiva o i tuoi amici ti hanno lasciato indietro. Ne passano tante di qua. Dove alloggi, al Bellagio o all'Excalibur? Se vuoi posso tenerti compagnia, dolcezza. Hai diciotto anni, vero?»
Zero fece un passo indietro con fare intontito. Fu quasi investito da una macchina nera che si fermò a lato del marciapiede, il finestrino si abbassò e un uomo chiamò la donna, la quale trottò felice sull'auto.
Si concentrò per mantenere la calma. Un attacco di panico lo avrebbe destabilizzato maggiormente e doveva rimanere lucido, pensare a cosa fare e come uscire da quella situazione. Fece su e giù un paio di volte, poi notò sempre maggiori sguardi ostili su di sé e se ne andò, tirando dritto su quell'interminabile marciapiede liscio. La strada era ricolma di sporcizia, cartacce unte, bidoni pieni e cacche spalmate sotto le suole della scarpe.
Gli faceva male la testa e forse l'aveva sbattuta atterrando in quello strano posto. Mise in ordine le idee e sentì le orecchie bruciare nel pensare a Zante. Immaginò se le cose fossero andate in maniera diversa, se una volta entrato a casa sua avrebbe trovato numerosi Cacciatori pronti a sminuzzarlo in minuscole parti.
Gli faceva ancora male lo sterno, laddove lo aveva brutalmente colpito. Gli venne in mente quel braccio bionico e non riuscì a provare alcun odio nei confronti di quel ragazzo. Zante era suo cugino. Lui lo detestava, era naturale. Joseph aveva calpestato molte vite e alcune di quelle gli erano rimaste appiccicate addosso, come la merda su quei marciapiedi disgustosi. I McKingsley erano Cacciatori, Joseph un Vampiro, erano due mondi che si contrapponevano a vicenda, un po' come Vampiri e Licantropi. Nonostante quel pensiero si domandò perché Zante lo odiasse tanto. Sarebbero potuti essere amici.
Un brivido gli salì addosso e gli percorse l'intera colonna vertebrale. Chloe diceva che se sentivi le orecchie fischiare qualcuno stava pensando a te. Zero aveva nelle orecchie un intero ciclone, l'intera stirpe dei McKingsley lo stava cercando, per non parlare di quel losco individuo con i proiettili d'argento in tasca. Qualunque cosa fosse non era un Cacciatore normale, aveva visto troppe aure per definirne una vera e la sua era mutata.
Si ritrovò davanti un enorme cartello pieno di luci con la scritta "Benvenuti a Las Vegas" e numerosi turisti che si stavano facendo delle foto. C'erano autobus a due piani, ma erano diversi da quelli di Londra, così come le persone che erano dentro. Gli uomini erano grassi con pesanti macchine fotografiche legate al collo, sudati, mentre le ragazze indossavano pantaloncini corti e magliette con scritto "le bambine di papino".
Cercò Finn e gli altri in quel gruppetto di persone senza trovarli. Si mise le mani nei capelli con il cuore martellante. Juho lo aveva afferrato all'ultimo momento e Finn si era premunito di aspettarlo prima di attivare quel cristallo, aveva focalizzato tutte le sue energie nel pensare ad Arcadia, ne era sicuro.
Poi però aveva pensato ad altro. Si era distratto nel considerare che Ru avesse avuto ragione e, in un modo o nell'altro, aveva ripensato a quello che gli aveva raccontato delle grandi città. Aveva pensato a Las Vegas in modo involontario e il cristallo aveva tergiversato i suoi intenti. Pregò che almeno Finn e gli altri fossero giunti a casa sani e salvi.
Gli venne da piangere. Era completamente da solo in un posto che non conosceva, aveva fame ed era spaventato. Se fosse stato suo padre avrebbe preso a pugni un muro, poi si sarebbe mosso per scoprire come tornare a casa senza che a Lance partisse un embolo. Doveva tornare a casa prima che qualcuno notasse la sua assenza.
Si appostò vicino ad un lampione, ma dopo poco dovette spostarsi. Alcune persone lo invitarono a salire nelle loro auto e un'altra donna lo spinse via, maledicendolo perché gli stava rubando la zona. Mezz'ora dopo odiava quel posto.
Vicino ad un negozio trovò un barbone che stava prendendo a pugni una scatoletta meccanica. Dentro di questa c'erano pacchetti di patatine, sigarette, bibite e persino preservativi al gusto fragola. L'uomo parlava da solo, si grattò il sedere e pigiò con più forza i tasti per ottenere una bottiglia di birra gratis.
«Mi ha mangiato un dollaro!» tuonò. «Un dollaro intero! Ma lo riavrò!»
Zero indicò la macchina. «Questo coso dà del cibo?»
Aveva davvero fame, non aspettò nemmeno che l'uomo si fosse spostato per tirare un pugno al distributore automatico e infrangere come se nulla fosse quel vetro. I pezzi gli si infilarono nella mano e se li tolse con calma, dopo aver afferrato un alcune buste di patatine al bacon. Canticchiò appena vide che ci fosse anche un piccolo cartone con del latte al cioccolato.
Il barbone era caduto a terra e parlava da solo, dopodiché la fame ebbe la meglio e si intrufolò anche lui a racimolare qualcosa. Zero si esaminò le ferite, mosse la mano e leccò il sangue in superficie, lasciando iniziare il processo di guarigione.
Un uomo sbucò dalla porta del negozio di fianco con una mazza in mano. «Che cazzo pensate di fare? Mi avete distrutto il distributore! Dovete pagarmi!»
Zero masticò la bustina, faticando ad aprirla con le mani ricolme di scatole di biscotti e brick di latte al cacao. «Avevamo fame» si scusò. «Io mi sono perso e lui...»
«Non me ne frega un cazzo, ragazzino! O mi paghi o ti spacco la testa!» attaccò l'uomo.
Zero aveva passato un'orrenda ultima ora, era furioso con ogni essere vivente e desiderò proprio vedere cosa avrebbe potuto fargli. Lasciò cadere la refurtiva a terra e mosse le dita, invitandolo ad avanzare senza paura. L'uomo non se lo fece ripetere, sollevò la mazza sopra la testa per spaventare entrambi, senza avere l'ardire di fare altro. Il barbone urlò, coprendosi la testa con le mani, mentre Zero prese la mazza con una mano e gliela strappò di netto. Il legno era leggero, molto diverso da quello con cui ad Arcadia costruivano lance o asce.
«Hai tre secondi per...» iniziò a dire l'uomo.
Zero spaccò a metà la mazza sulla gamba e gli tirò i pezzi ai piedi, gongolando. L'altro restò in silenzio e, lentamente, fece dei passi indietro. Fuggì di nuovo dentro al negozio, urlando di chiamare la polizia. Lui non sapeva cosa fosse la polizia, ma la associò ad una cosa brutta.
Si sentì irrimediabilmente in colpa per come aveva trattato quell'uomo, aveva distrutto una sua proprietà e non si era nemmeno scusato. Certo, Zero stava morendo di fame – e la fatica per aver usato il cristallo gli pesava ancora – eppure poteva vedere nella sua mente l'immagine di Alba e Chloe mentre scuotevano delusi la testa.
Prese un singolo sacchetto di snack salati e il latte al cioccolato, il resto lo passò al barbone, il quale lo ringraziò e gli consigliò di girare alla larga dal nord della Strip.
Zero si sedette sotto i lampioni di una stazione di rifornimento a mangiare le sue patatine al bacon senza altri impicci. Il latte al cioccolato era pastoso, ma aveva troppa sete per fare lo schizzinoso.
Ignorava esattamente dove fosse, là le strade si assomigliavano tutte e avevano le stesse cose: hotel, fontane, fast food, edifici di lusso e macchine da corsa posteggiate nei parcheggi esclusivi. Ciò che sapeva era che si trovava in una cosa chiamata "Strip". Ovunque posasse lo sguardo c'erano gruppi di persone che stavano camminando o bevevano in allegria senza un attimo di tregua, tra alcuni grattacieli avevano costruito un ottovolante, il Big Apple Coaster. Aveva l'impressione di trovarsi in più posti contemporaneamente, come se la città non fosse affatto giusta: c'era la Torre Eiffel, i canali di Venezia e a pochi metri da una chiesa avevano costruito un museo su Satana. Le insegne di Shacke Shack e Five Guys gli lampeggiavano davanti e c'erano un misto di odori, tra piscio, gomma bruciata e pizza scadente.
«Non puoi stare qui, ragazzo» venne a dirgli un uomo con il cappellino blu.
«Sto solo seduto. Sto aspettando delle persone» spiegò.
«Certo» lo prese in giro. «Va' a casa.»
Ci sarebbe volentieri andato se avesse saputo come.
Rinunciò in fretta alla speranza che Finn o Ru lo avrebbero trovato, la città era fin troppo grande e confusionaria. Reincarnava alla perfezione la teoria del caos. In meno di un'ora Zero vide in diretta una rapina, due risse e un matrimonio celebrato da un tizio travestito da alieno.
Era impossibile stare fermi da qualche parte, le panchine o le tettoie riparate erano occupate da senzatetto e difendevano con unghie e denti i loro pochi averi. Malgrado l'orario notturno le strade pullulavano di comitive e limousine da cui uscivano odore di alcol e musica ad alto volume.
Esausto, si fermò davanti all'entrata di un enorme hotel dalle pareti di vetro. Curvò la testa per ammirarne la magnificenza, era costruito a forma di S e davanti all'ingresso numerose luci erano disposte a vele, illuminando la maestosa entrata con il tappeto rosso. Il parcheggio era rotondo con una fontana colorata al centro, numerose macchine posteggiarono vicine all'ingresso e alcuni ragazzi in divisa bianca ci salivano dentro, portandole via, mentre gli ospiti si accingevano ad entrare. Erano uomini brutti, di mezz'età e grassi, accompagnati da bellezze mozzafiato.
Zero mise le mani sul vetro e spiò all'interno. La reception era enorme, molto più grande della sala del trono del re Gael, ed era illuminata dal doppio dei lampadari. Tanti uomini e donne che pulivano andavano ad ogni dove, persino ragazze in bikini.
«Ehi, tu!» si sentì chiamare.
Un uomo in divisa bianca si staccò dal gruppo, aveva l'espressione agitata e gli strappò le dita dal vetro immacolato. Con grande disgusto notò che ci aveva lasciato delle impronte.
«Non puoi stare qui, vattene. È zona privata. Se vuoi entrare devi pagare. Sei un ospite?» gli domandò al volo. «Allora, sei con qualcuno o no?»
«No. Posso entrare a vedere?»
L'uomo si voltò e i suoi colleghi emisero delle risatine. «Se vuoi entrare devi registrarti e devi sborsare. Pagare, ragazzino, e tu dubito abbia dei soldi in tasca. Come ti ho detto, qui non puoi restare a dormire. Torna in comunità, di quelli come te ne abbiamo già troppi. Da dove cazzo sei scappato?»
Zero si impettì, provando a sistemarsi la maglietta. Era sudato, sporco e stanco. Non aveva voglia di litigare, il latte al cacao scaduto gli aveva messo mal di pancia. L'unica cosa che desiderava era quella di fermarsi a riposare. Voleva i suoi boschi e la sua mamma. Forse Alba e gli altri avevano ragione, si disse, a considerarlo ancora un cucciolo inesperto.
«Quelli come me?» replicò confuso. «Fatico a capire.»
«Capisci benissimo, invece» lo accusò. «Mi metterai nei guai, vattene, o ti riporto a calci in culo dal buco in cui sei uscito. Ce li hai almeno dei documenti, il visto?»
Zero inclinò il capo, faticando a tradurre quell'ammasso di parole. «Mi sono perso. Ero insieme a dei miei amici, dovevamo tornare a casa e... mi sono svegliato qui. Non so dove sono e non posso tornare a casa. Sai dove mi trovo?»
«A Las Vegas, la città del peccato» disse evasivo.
«Dov'è Las Vegas?»
«In Nevada.»
«E il Nevada dov'è?»
«Negli... Stati Uniti.» Persino l'uomo si sforzò di trovare una risposta adeguata. «Ora dimmi che non stai per chiedermi dove sono gli Stati Uniti d'America.»
Zero sbatté gli occhi. Aveva studiato il mondo umano, ma quei nomi per lui non avevano alcun senso o valore. Il suo unico metro di paragone era Havkfall, tra le quattro capitali era quella del sud ad essere la più moderna, eppure nulla era simile al confronto.
«È vicino a Londra?» chiese Zero speranzoso.
«Ma certo!» scherzò. «Vicinissima. Scommetto che ti sei fatto una dose così forte da esserti fritto il cervello. È così che vi divertite voi giovani?»
«Dov'è Arcadia?» insisté spazientito.
L'uomo si illuminò. «L'Arcadia Casinò? Sulla Flamingo. Vai da Gawds a prenderti la roba?»
Zero saltò in avanti facendo una finta e l'uomo balzò all'indietro in un urletto, preso alla sprovvista. Si beccò alcuni insulti e il cucciolo scappò via senza voltarsi. Si infilò di nuovo nella Strip e si confuse tra gli altri passanti, tenendo il naso basso. Era inutile provare a chiedere aiuto ad un umano qualsiasi, nessuno di loro riusciva a vedere oltre il Velo del mondo e i pochi eletti diventavano prede, o Cacciatori.
Proseguì sulla Strip fino alle fontane del Bellagio, poi sviò a sinistra per la Flamingo e la sua faccia divenne rossa quanto un peperone. Davanti a Zero comparve un immenso casinò con numerosi luci ad invitare i passanti ad entrare, i più sfortunati erano seduti fuori a piangere o a bere i cocktail gratuiti, altri stavano festeggiando. La scritta "Arcadia Casinò" gli brillò davanti agli occhi e provò un pizzicore alla base della testa.
«Che città di merda» ringhiò basito, calciando una lattina.
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