XIV

(Zante)

Finn fece una smorfia. La verità era che Zero poteva facilmente passare per un sedicenne o, se si strizzava gli occhi e dopo due bicchieri di idromele, per un diciassettenne. Pål aveva lo stesso problema, i loro tratti erano ancora abbastanza infantili, senza barba da uomini o peli sul petto.

«Dipende da quanto forte tiri il pugno a quella persona. Secondo me no» dichiarò. «Cavolo, io sto morendo di fame. Qui intorno non c'è niente che si possa cacciare.»

Finn inquadrò dei piccioni appollaiati sul tetto di un gazebo e sentì il suo stomaco brontolare. Per un attimo Zero pensò fosse un'ottima idea cercare qualcosa da mangiare, poi si ricordò che il mondo umano funzionava in maniera opposta, che gli animali non comparivano in mezzo ad una strada e non cercavano di ucciderti. Avrebbero dovuto andare in un supermercato, ma i negozi erano chiusi e mancavano i soldi.

«Qui la gente compra il cibo solo nei negozi. Ci sono degli allevatori, ma...» Era ridicolo che Zero provasse a spiegare il mondo umano a quei ragazzi. Nemmeno lui sapeva esattamente di cosa stesse parlando. «È diverso, ecco. E poi qui quelle bestie sono piene di malattie.»

Pål e Juho smisero di litigare e l'ultimo si massaggiò la testa, ridacchiando.

«L'entrata è gratuita nel caso una delle ragazze abbia lasciato un marchio promozionale» continuò assorto. «Juho! La ragazza che hai incontrato ti ha dato qualcosa?»

Juho ci pensò e fu la cosa più difficile del mondo. «Il biscotto... C'era qualcosa dentro quel biscotto! È fantastico! E mi ha dato un bacio verde.»

«Una ragazza ti ha baciato?» ripeté allibito.

Juho gongolò, si arrotolò la maglia sul braccio e mostrò lo stampo verde acido sulla sua pelle. Zero tirò le labbra, pensando fosse disgustoso avere addosso una cosa simile e il colore gli ricordò una malattia terminale. Juho però era al settimo cielo e aveva addosso un odore strano dolciastro.

Finn gettò un'occhiata a Zero e lui non se lo fece ripetere due volte. «Potremmo fare un salto là, Sands End è da queste parti. E poi torniamo a casa. Facile e veloce. Tuo padre si accorgerà che gli hai sgraffignato il cristallo?»

Finn alzò le spalle. «È quasi sempre ubriaco, non ci conterei. Il tuo?»

«È abituato alle mie fughe. Al massimo mi cercherà nei boschi dell'ovest, ero già in punizione» sminuì indifferente. «Chi ci sta?»

I ragazzi alzarono le mani all'unisono e si diressero verso Sands End seguendo le indicazioni. Uscirono dal parco e attraversarono nuovamente Albert bridge, incamminandosi lungo la via pedonale di World End Estate. Bastò arrivare vicino al Gambado per accodarsi ai numerosi gruppi di ragazzi che saltavano per intrufolarsi a quella festa: quasi tutti avevano addosso vestiti stravaganti, boa di piume al collo, borchie appuntite e creste punk. Alcuni di quelli avevano pantaloni di due taglie più larghi, scarpe con zeppe altissime e bottoni al neon.

Il raduno era in una vecchia pista d'atterraggio oramai chiusa, la portaerei era stata trasformata in un locale pieno di luci intermittenti, la pista era illuminata da fari colorati e ovunque era sparsa una nebbia dall'odore strano. L'area era chiusa da una recinzione al cui termine c'era filo spinato, dappertutto c'erano cartelli con divieti vari, messaggi di morte e oscene posizioni sessuali. Un enorme cartello blu e verde sfavillava all'ingresso del Neun.

Il Neun si trovava nel distretto di Hammersmith in una zona industriale che si affacciava direttamente sul Tamigi. Calata la notte le luci del locale illuminarono il cielo e la pista d'atterraggio era gremita di ragazzi che saltavano a ritmo di musica. O meglio, per Zero era semplicemente rumore che usciva da varie casse poste sopra un palco su cui un uomo girava dei dischi.

Rimasero in coda per un'ora, i ragazzi attorno a loro fumavano delle sigarette fatte a mano o si strofinavano tra i denti una polvere blu. Aspettarono il loro turno con ansia fino a quando si ritrovarono davanti ad un uomo corpulento, dedicò ai ragazzi l'ennesima occhiataccia che aveva riservato ad altri minorenni.

Juho saltò avanti, gli mostrò il braccio con il pass verde. L'uomo sospirò, sembrò palesare il suo disinteresse nel controllare i documenti e li lasciò passare senza porre domande. All'interno della zona c'erano tantissime ragazze vestite uguali, cameriere con stivali altissimi e bikini fluorescenti. Qualcuno diede loro dei braccialetti che brillavano al buio e alcune delle ragazze gli misero in faccia una specie di trucco brillante. Sotto le luci cambiava colore e Zero esplose a ridere nel vedere che qualcuno aveva disegnato uno smile sulla fronte di Finn.

L'interno della portaerei era un vero massacro, la gente si spingeva per ballare su cubi che galleggiavano in aria, sollevavano i bicchieri da cui uscivano bollicine frizzanti verso il cielo e li scolavano in un sorso. Il bancone era guidato da una stretta fila di uomini che riempivano shottini o bottiglie a chiunque lo chiedesse, alle loro spalle avevano un'intera parete di liquori colorati. Sui muri erano proiettate veloci immagini porno e si fermò a fissarle con strano interesse.

Juho venne rapito dalla medesima ragazza che lo aveva trovato al parco, aveva dei dreadlock avvolti da perline e fili di brillantini, lenti colorate e rossetto verde. Gli scoccò un altro bacio sulla guancia e gli infilò un altro biscotto in bocca. Juho tentò di parlarle, ma la musica era assordante e lei si limitò a fargli un ampio sorriso.

Zero sentì che qualcuno si stava appendendo alla sua schiena e si voltò. Accanto a lui comparve una delle tante ragazze, aveva una vistosa parrucca rosa e numerosi braccialetti uguali ai suoi.

Gli mimò qualcosa e provò a fargli mangiare uno dei biscotti che teneva nel cestino sotto il braccio. Zero si morse forte il labbro e lei corrugò la fronte, parlando senza riuscire a farsi sentire.

«Non lo voglio» obiettò Zero.

Finn intanto aveva aperto la bocca e due ragazze lo stavano imboccando amorevolmente, sghignazzando e accarezzandogli i capelli biondicci. Fece per dire qualcosa, ma uno sconosciuto appoggiò il braccio sulle spalle del cucciolo e lo tirò a sé; era uno dei ragazzi che lavorava all'interno del Neun, i pantaloni da aviatore erano ricolmi di cinghie e spille, era a petto nudo e i disegni splendevano sotto le luci ultraviolette.

«Non vuoi uno dei nostri biscotti speciali?» gli domandò vicino all'orecchio. «Li ho fatti io. Personalmente. Te lo posso assicurare.» Prese uno dei biscotti al cioccolato e glielo appoggiò sulle labbra. «Su, avanti. Apri.»

Zero rabbrividì, notando Juho, Finn e Pål iniziare a muoversi a ritmo di musica.

«Che c'è dentro?» domandò.

«Cioccolato, latte, uova e un po' di sativa. Erba, mi capisci? Vuoi che ti imbocchi io?» lo tentò malizioso e Zero arrossì fino alle orecchie. «È tutto a posto, ti fa sballare senza pericoli. È molto buona, giuro. Fa' il bravo bimbo.»

Zero deglutì e, malgrado in cuor suo sapesse che non dovesse fare una cosa simile, schiuse le labbra e il tizio gli spinse il biscotto in bocca. Lo osservò fino a quando lo vide mandar giù il dolce, poi gli accarezzò i capelli, trovando un'altra vittima.

Masticò il biscotto e si godette il sapore del cioccolato. Dopo lunghissime ore di digiuno quel misero dolce gli diede un sollievo momentaneo e il cervello sprizzò nuove energie. Si aggirò nei dintorni di quel ragazzo sconosciuto per chiedergli di dargliene altri e lui trovò la richiesta divertente. Zero si sentì un imbecille e al settimo cielo allo stesso momento quando lo imboccò come un bambino.

Alcuni minuti dopo cominciò a vederci doppio e gli venne da ridere in modo incontrollato per ogni minima cosa. Pensò a quanto suo padre gli avrebbe urlato addosso se lo avesse visto in quelle condizioni, addirittura le lamentele di Lance e Alba lo fecero ridere maggiormente.

«Oh, eccoti qui!» commentò il ragazzo a neon. «Tutto okay?»

Zero annuì. «Questi biscotti sono fantastici. Complimenti allo chef.»

«Me la cavo parecchio con le mani» ammise con fare provocante. «Che fai più tardi, dolcezza? Io oggi sono di turno fino alle cinque di mattina, ma dopo potremmo fare qualcosa noi due. Mi piacciono gli stranieri.»

Zero si umettò le labbra e annuì senza sapere cosa stesse facendo. Il ragazzo si guardò in giro e gli fece un sorriso sornione.

«Prendi i tuoi amici e vieni con me. Mi devi un grosso favore» sentenziò divertito, prendendo Zero per un polso.

Sussurrò qualcosa ad una collega e lei alzò le spalle. Ebbe qualche difficoltà a togliere Finn dalle braccia di una ragazza che lo stava letteralmente divorando vivo, afferrò Juho e Pål e trotterellò dietro il ragazzo-neon. Lo teneva per la mano e attraversarono la pista, infilandosi tra numerose persone che saltavano e ballavano, a volte si fermava a lanciare biscotti allucinogeni e respirare a pieno polmoni il fumo nell'aria.

Entrarono nella portaerei, laddove la musica era ancora più alta e faceva tremare il pavimento e le lastre di metallo dei muri. I tavoli erano occupati da ragazzi di ogni età, facevano roteare la bottiglia in mezzo e bevevano a turno, altri erano piegati a vomitare.

Il ragazzo-neon trascinò Zero e la comitiva in un angolo privato, laddove un altro gruppo di ragazzi era impegnato a bere e mangiare stuzzichini. Alzò la mano e un tipo seduto lo salutò con un sorriso, invitandolo ad avvicinarsi. Il primo zampettò verso l'altro, sussurrò qualcosa e il secondo emise un sospiro sconsolato.

«Okay, potete restare qui. I miei amici hanno un tavolo riservato» spiegò il ragazzo. «Fa' il bravo e non dare impicci a Mason. Non vorrei proprio rovinasse questo bel viso.»

Zero dovette trattenersi per non aprire la bocca a "O". Era abituato a ricevere complimenti dalla regina o da alcune Vampire che pensavano fosse il loro cucciolo prediletto, ma sentirsi dire una cosa simile da un bell'inglese gli solleticò le membra.

I ragazzi del tavolo si alzarono e strinsero le mani di Finn, Juho e Pål, invitandoli a sedere. Senza lasciarselo ripetere, i Licantropi balzarono sui divanetti viola e si ingozzarono di tartine al salmone.

«Grazie» disse Zero.

«Ti sdebiterai dopo» ammiccò. «Tienimelo d'occhio, Zante.»

Il ragazzo di nome Zante aveva più o meno sedici anni, aveva i capelli mossi e bruni, occhi verdi. Gli fece un ampio sorriso e notò incuriosito che fosse l'unico del gruppo ad indossare una felpa a maniche lunghe. Un tutore gli bloccava il braccio destro, nonostante ciò gli porse la mano sinistra con fare amichevole.

«Me ne occupo io» gli assicurò. «Va' al lavoro o mia zia se la prenderà di nuovo con me.»

Il ragazzo-neon gli mandò un bacio al volo e Zante roteò gli occhi, guardandolo tuffarsi nella calca. Zero mugugnò dispiaciuto, senza aver tempo di riprendersi Zante gli mollò delle pacche sulla schiena.

«Fammi indovinare. Mark ti ha dato uno dei suoi biscotti» scherzò. «Gratis.» Zero annuì. «Lo sapevo, fa così con tutti.»

Uno dei tanti vicino a Finn rise spudoratamente. «Vorrà un pompino fatto a dovere. Ne ha chiesto uno anche a me, non crucciarti troppo. È un coglione. Dovresti essere amico di Zante invece, è suo questo posto!»

Zante scosse il capo. «È della mia famiglia, non mio» lo corresse. «Io sono Zante. Come Dante, ma senza copyright.»

«Zero» mormorò.

«Come il numero?»

«Come il numero.»

«Forte. Non sei di queste parti, vero? Hai un accento diverso.»

Zante tirò un pouf vicino al tavolo e ci saltò dentro, passando al nuovo amico una bottiglia di alcol. Zero pensò che il colore fosse molto simile all'idromele di Arcadia e per riflesso si attaccò a canna, bevendo un grosso sorso. I presenti urlarono in coro, dopodiché lo videro annaspare disperatamente con la gola in fiamme.

«È vodka, accidenti a te. Sai quanto costa una bottiglia? Viene dalla Russia!» obiettò uno dei presenti.

Finn gli puntò un dito contro, troppo sballato per poter mettere insieme due parole di senso compiuto, ma il suo avversario comprese al volo il messaggio. Si infilò in bocca una manciata di patatine e si sistemò di guardia, con una ragazza che giocherellava con le conchiglie della collana.

Rimasero incollati a quel tavolino per molte ore, tant'è che Zero si dimenticò persino che loro non fossero davvero inglesi, tanto meno umani, e che forse sarebbe stato il caso di tornare prima dell'alba. I segugi lo avrebbero cercato per tutta l'isola e in breve si sarebbero accorti della sua strana assenza. Si stava divertendo troppo e il tempo volò tra i giochi con l'alcol, le barzellette e la musica. Qualunque cosa avesse mangiato gli aveva fatto effetto e la paura nei confronti di suo padre era scemata. Si chiese addirittura il motivo per cui fosse talmente ossessionato dal renderlo fiero. Era al sicuro e stava benissimo senza di lui a controllarlo.

Zante e i suoi amici si rivelarono di ottima compagnia, erano estroversi e scherzosi. Raccontarono storie buffe sulla loro scuola e Pål esplose a ridere più volte, specie nel sentire l'aneddoto su come Tim Paxton aveva incastrato il suo uccello su una sedia a scuola. Finn si lasciò scappare alcuni dettagli della loro vita. La ragazza al suo fianco gli accarezzò il petto e notò una cicatrice. Le disse che se l'era fatta staccando la testa ad un orso e gli altri avevano riso.

Fu certo di essersi appisolato ad una certa dato che si ritrovò il naso spiaccicato contro la spalla di Zante e lui stava scrivendo qualcosa al cellulare. Si strofinò gli occhi e si osservò intorno. La festa stava continuando a pieno ritmo, Juho e Pål stavano mostrando alle ragazze alcune mosse di lotta e Finn aveva stabilito fosse un ottimo momento per imparare a ballare.

«Cavolo» ansimò Zero, massaggiandosi le tempie. «Black out totale.»

Zante mise via il cellulare in tasca. «Il secondo effetto dell'erba, non è poi così male se ti fai passare in fretta la depressione. Ti ho visto mangiarne cinque, forse è il caso di smetterla per questa sera o tornerai a casa strisciando.»

«Ti ho sbavato sulla spalla» gli fece notare.

«Non preoccuparti. Un mese fa il mio migliore amico mi ha vomitato sulle scarpe. Delle favolose Jordan buttate nel cesso. Se non hai malattie è okay» rispose.

«Mi sa che devo vomitare anche io» appurò.

«Non su di me questa volta!»

Zero cadde in ginocchio e uno dei ragazzi al tavolo gli diede della pacche per consolarlo. All'improvviso non era molto certo divertirsi molto, la testa era un pallone gonfio di elio e aveva l'impressione di volare. Il miscuglio di erba, alcol e patatine piccanti gli aveva fatto venire il mal di pancia.

Tentennò qualche passo e uscì dalla portaerei. L'aria era fresca e fu uno schiaffo sul viso che gli procurò un istantaneo piacere. Rifiutò altri biscotti da ragazze fin troppo insistenti e andò a fare due passi. Dovette stare attento a dove mettesse i piedi, appostati a terra c'erano coppiette intente a scambiarsi effusioni molto dirette.

Si spostò verso la riva dei Tamigi e crollò sulla ringhiera di ferro, riprendendo fiato. Con le orecchie finalmente libere e la mente fresca guardò la luna, era a tre quarti e si chiese se fosse la stessa che ammiravano ad Arcadia.

Avvertì qualcosa di freddo sul collo e istintivamente urlò, preso alla sprovvista. Zante gli sorrise e gli porse una lattina di Coca Cola.

«È analcolica, te lo posso garantire» disse sincero, bevendone un po' dalla stessa. «Non ho mai visto un essere umano bere così tanta vodka e rimanere in piedi senza vomitare l'anima. Sei un ciclone.»

«Grazie» sospirò esausto.

Zante si sedette sul muretto, lasciando a penzoloni le gambe sul Tamigi. Si sistemò la felpa addosso e si strinse nelle spalle. Aveva un braccio compromesso, ad Arcadia sarebbe sopravvissuto forse una notte o due con i predatori notturni, a Zero tuttavia dava l'idea di essere agile e molto scattante. In uno scontro avrebbe puntato contro di lui a prescindere dall'avversario.

Zero scivolò accanto a lui, il quale appoggiò la fronte su un palo e socchiuse gli occhi per la stanchezza. Gli venne un po' sonno, erano oramai passate le due di notte e si vergognò ad ammettere che sua madre lo costringesse ad andare a dormire alle dieci. La vita che facevano quei ragazzi era il massimo, non dovevano pensare alle conseguenze delle loro parole o sottostare alle regole di un alpha bigotto.

«Oggi è stata la serata migliore della mia vita» ammise Zero.

«Wow, non devi avere una vita spettacolare. I tuoi non ti lasciano fare festa durante la settimana?» domandò curioso.

«I miei non sono esattamente tipi da festa...» ammise. «Se mio padre sapesse che sono venuto qui... mi ucciderebbe. In senso fisico. È un tipo abbastanza severo, vuole proteggermi e lo capisco, ma è invadente e...»

«Spocchioso» terminò Zante in falsetto. «Sì, anche mio padre è così. Il suo hobby preferito è quello di rompermi le palle. Dovresti sentirlo quando ha una brutta giornata a lavoro, si sente il diritto di sparare merda su tutti. Tuo padre è inglese?»

«Sì, è nato e cresciuto in una città inglese, ma ha un nome troppo strano per ricordarmelo.» Zante rise teneramente. «Mia madre studiava qui quando lo ha incontrato, lui l'ha messa incinta e hanno fatto un gran casino. È scappato di casa per stare con ma'. Lei riesce a calmarlo. Si sono trasferiti per tenermi al sicuro.»

Zante inclinò la testa. «Vieni da lontano?»

«Abbastanza lontano.»

«E che ci fai a Londra? Studi? Lavori?» Il ragazzo affilò gli occhi. «Sai, i buttafuori all'ingresso dovrebbero far entrare solo i maggiorenni. Tu non mi sembri affatto maggiorenne.»

Zero rabbrividì, consapevole di non poter dire la verità. Per gli umani ad avere sette anni erano i bambini che andavano alla scuola elementare, lui era un ragazzo quasi adulto, un Ibrido e non aveva alcun documento. Balbettò qualche parola e Zante sbuffò una risatina, mettendolo a suo agio.

«Stai tranquillo, non sono mica la polizia. Mark aveva ragione. Sei molto carino. Mi impressiono molto difficilmente, ma ammetto che la tua resistenza a berti tre bottiglie di vodka senza vomitare lo hanno fatto» esclamò. Zero si imbambolò. «Mio padre è uno scienziato, insomma, non quelli da camice e provetta, è più... Ha un'azienda ed è laureato in qualcosa-genetica, cose da intelligenti. È sempre preso dai suoi progetti, a casa nemmeno ci sta mai.»

Zero annuì. «Mi spiace.»

Lo capiva. Chloe e Joseph per primi erano soliti a passare molto tempo fuori casa, per loro fortuna erano circondati da persone fidate e Zero non aveva mai tempo per sentirsi solo o triste. Alba se non era per mare si occupava di farlo divertire, Lance di allenarlo e persino gli altri ex campioni dell'isola ogni tanto lo andavano a trovare.

«Ci sono abituato. I miei fratelli lo aiutano a lavoro. Ne ho cinque, tutti maggiori. È stato uno strazio essere il più piccolo della famiglia, a nessuno frega un cazzo di te a parte quando combini qualche guaio. O meglio, adesso ne ho tre. Mio fratello Connor è morto quando avevo dieci anni e Ethan lo ha seguito qualche settimana fa. Mia madre è andata fuori di testa» fischiò, muovendo le dita sulle tempie. «Si sono tutti buttati sul lavoro e mi hanno tagliato fuori. Come sempre. Non eravamo una famiglia unita, siamo pieni di problemi, ma era mio fratello e gli volevo bene. C'è stato un problema al lavoro e c'è stato un incidente.»

«C'era un responsabile?» domandò senza ritenersi invadente. Zante annuì. «Se qualcuno facesse del male alla mia famiglia non sono certo che saprei controllarmi. Avrei ammazzato chiunque e lo avrei fatto cento o duecento volte, fino a ritenermi soddisfatto.»

Zante tirò le labbra in un minuscolo sorriso. Si sentì capito ed era sollevato. «Grazie, amico. Mi fai sentire meno un serial killer. Be', ho altri tre fratelli che possono ammazzare. Prima della morte di Ethan non mi importava troppo del lavoro di mio padre, preferivo studiare e divertirmi. Adesso ho questo peso addosso, mi sento come se lo avessi tradito. Vorrei tornare là per aiutarlo e non sarebbe mai abbastanza. Mio padre aveva ragione a ritenermi una delusione.»

A volte Zero pensava di essere un'enorme fonte di imbarazzo per suo padre. Lui, il più temerario segugio del Vampiro nero, incontrollabile e spietato, si era ritrovato tra le mani un cucciolo dal sangue misto che beveva latte al cioccolato. Si rifiutava di portarlo con sé durante le adunanze e le cacce, e Zero si domandò se fosse a causa sua.

«Non preoccuparti» sospirò Zero. «Anche mio padre ha quello sguardo di...»

«Di "se non fossi uscito dalle mie palle ti sparerei in mezzo agli occhi da quanto mi disgusti"?» lo interruppe.

«Esattamente quello. Ha un modo di guardare che...»

«Già. Ti fanno sentire sudicio. Io ci sono abituato, come ti ho detto sono il più piccolo e puoi immaginare quanto mi picchiassero. Erano dei bulli. Adesso ci pensano due volte: mio padre ha adottato due ragazzi. Credo lo aiutino e lo seguono ovunque, sono inquietanti. Il vecchio adora loro più dei suoi veri figli e sono come dei cani!»

Zero odiava la parola "cani" rivolta a degli umani. Gabriel aveva smesso di chiamare Chloe in quel modo da poco tempo, molti altri Vampiri ancora continuavano a definire i Licantropi "bestie pelose" con fare dispregiativo. Avevano un atteggiamento alquanto altezzoso per lui.

«Dovremmo brindare alle nostre famiglie!» esultò Zante, alzò la lattina di Coca Cola verso la luna e bevve a canna, dimenticandosi si trattasse di una bibita normale. «Potremmo fare qualcosa noi due da soli. Adesso.»

«Adesso?» ripeté Zero, strofinandosi gli occhi.

«Hai sonno, bella addormentata?» gongolò.

«No» commentò scontroso. «Ma i miei amici...»

«Ho visto il tipo biondo con Alexis, credo sia in ottime mani. E poi sono con i miei amici, dirò a qualcuno di portarli a fare colazione se facciamo tardi. Non sono un assassino se hai paura che voglia vedere i tuoi organi al mercato nero.» Era un'idea inquietante e irrealizzabile. Gli avrebbe spezzato il collo come un craker. «Andiamo a casa mia. Ho la macchina.»

«A fare cosa?»

Zante alzò un sopracciglio. «Cazzo, sono le due di notte e ti ho invitato a casa mia. Secondo te cosa voglio fare, vedere un film? Voglio scopare» tradusse e si divertì a rimirare l'espressione di Zero dipingersi di imbarazzo. «I miei fratelli si fanno i cazzi loro e mio padre si è messo il cuore in pace del fatto che sono bisessuale. Adoro troppo la vita per precludermi delle strade. Scusa, avevo pensato... che tu...»

Zero ammutolì in evidente panico. Si era domandato a lungo cosa significasse la sensazione che provava quando vedeva Ru, il benessere che provava a stargli vicino e il bisogno di toccarlo ovunque. Le ragazze erano belle, sapeva che Astrid e Ingeborg lo fossero e per un po' aveva immaginato di stringere le dita attorno ai loro seni o immergersi tra quelle cosce morbide, eppure altri pensieri avevano preso il sopravvento. Passare del tempo con i ragazzi più grandi glielo aveva fatto capire meglio, gli piaceva vederli allenarsi con i volti sudati e concentrati, i muscoli della schiena e il modo in cui camminavano.

«Lo hai mai fatto con un uomo?» lo interrogò Zante curioso. Scosse il capo. «Vuoi provarlo con me?»

Giocherellò con i pollici e annuì velocemente. Balzò in piedi e gli rubò la lattina dalle mani, finendola in un lungo sorso. Guardò oltre la spalla il locale e si disse che era una pessima idea lasciare Finn e gli altri in un posto sconosciuto, per di più era lui ad avere l'unica chiave per il ritorno.

«Questo posto è tuo?» domandò Zero per eludere il silenzio.

Zante stava cercando le chiavi della macchina nelle numerose tasche dei pantaloni, fu un compito arduo dato che lo stesse facendo solo con una mano. «È una delle attività di famiglia, lo gestisce mia zia Pip. Apre e chiude bar in continuazione, penso sia una sua ossessione personale. I McKingsley hanno le mani in tasca un po' ovunque.»

Credette di aver sentito male, dopotutto suo padre era inglese e ad Arcadia spesso i cognomi erano formati da suffissi comuni, quali "figlio di" o il luogo di provenienza.

Zero esalò una risatina. «Mio padre si chiama McKingsley. Joseph McKingsley.»

Zante ebbe un sussulto impercettibile, si alzò da terra e Zero poté giurare di sentire il suo cuore iniziare a battergli nel petto. Lo guardò con uno strano presentimento e a poco a poco gli occhi verdi divennero due fessure strette.

«Tuo padre veniva da Wolverhampton? È questo il nome che non ricordavi?» domandò cinico. «Tua madre si chiama Blake?»

«Li conosci?»

«È mio cugino. Ed è lo stronzo che ha ammazzato Ethan» ringhiò con la faccia rossa di rabbia. Mosse la spalla destra e si slacciò al volo il tutore che lo legava. «Tu sei il figlio Ibrido che mio padre tanto cerca. Che cazzo di fortuna!»

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