XIII

Come aveva detto Joseph, Finn e suo padre, Gunnar Jensen, si presentarono alla porta di casa al calar del sole. Fu un gesto carino, permise a Joseph di potersi affacciare senza temere gli ultimi raggi di sole. Finn aveva l'aria di uno che aveva appena smesso di piangere, Gunnar gli aveva dato un paio di ceffoni e spinse il figlio a terra, costringendolo a scusarsi. A quanto pare aveva risparmiato i dettagli principali, il fatto che Pål e Juho avessero fatto squadra contro Zero, che avesse appeso Viggo per i piedi o che avessero distrutto almeno una decina di fiori blu di gardenia, rarissimi. Finn aveva avuto il coraggio di tornare da Bjørn quel pomeriggio, gli aveva mostrato i petali distrutti e l'alpha aveva alzato un angolo del labbro. Aveva cercato Zero con gli occhi e, quando aveva capito da solo la situazione, li aveva sgridati a lungo.

Finn chiese scusa a Zero e il cucciolo fece finta di accettare quelle parole, sotto gli occhi pentiti del signor Jensen. Non voleva causare altri problemi quel giorno, ne aveva avuti troppi, e persino Joseph aveva l'aria di essere esausto. Se avesse potuto dormire lo avrebbe fatto per settimane intere.

Joseph si fermò un paio di minuti e dovette assicurare all'uomo che non avesse intenzione di scuoiare lui o Finn per quella bravata. Joe per primo aveva fatto a pugni molte volte da umano, soprattutto con quel demente di Anthony Laurie.

I giorni successivi furono straordinariamente tranquilli e Zero dovette rigare dritto ovunque, a casa e alla vill skole. Bjørn era furioso anche con Zero e lo tenne d'occhio da vicino, trovò inammissibile che Pål si presentò da lui a chiedergli la ricompensa per avergli portato i fiori blu – distrutti – e mise l'intero gruppo in punizione a fare la guardia ai cuccioli.

A Zero i cuccioli piacevano abbastanza, erano vivaci e ricchi di sorprese. Ad ogni generazione i geni si rafforzavano e i bambini sapevano controllare meglio la trasformazione. A quell'età erano troppo piccoli per capire la differenza tra Zero e gli altri, gli ronzavano intorno o si limitavano ad emettere buffi versi. Si domandò come fosse stato da piccolo, se avesse dato problemi ai suoi genitori o se persino loro avessero temuto di aver generato un altro mostro.

All'ora di pranzo qualcuno suonò il corno e Zero si strofinò la pancia affamato. I ragazzi si fiondarono verso la capanna, presero dei piatti e fecero a gara su chi dovesse prendere il cibo per primo. I cuccioli, come sempre, avevano la precedenza, e avevano la brutta abitudine di afferrare le pagnotte di pane con le mani sporche o mangiare direttamente dai piatti. Zero e i ragazzi più grandi mantennero le righe fino alla fine, poi si accomodarono al loro tavolo. Si stava discutendo qualcosa riguardo alla prossima festa della luna piena e Zero si appuntò di invitare ufficialmente Ru, malgrado qualcuno avrebbe tentato di ucciderlo. Non era una vera festa della luna senza un tentato omicidio. Finn e agli altri avevano altro da fare.

Bjørn era seduto sui gradini della scalinata e stava facendo delle treccine ad uno dei cuccioli solitari, una bambina di appena due anni. Altri fratellini erano nei paraggi, aspettando il loro turno con i capelli lunghi e sporchi. I beta erano occupati a tenere alto il fuoco che ardeva in un braciere di bronzo. Bjørn aveva creato una nuova tradizione da quando la vecchia Lega era caduta, ogni cosa era andata a pezzi, per quel motivo appena finivano da mangiare bruciavano gli avanzi alle dee. Zero non si sentiva molto vicino alle dee, ne portava un dovuto rispetto, ma vedeva Diana e Gea come due donne che scuotevano la testa ad ogni suo passo, affrante e deluse. Se le immaginava in quella maniera, bellissime e maestose, alte quanto le prime colonne e vestite di polvere di stelle o fiori.

Astrid e le altre ragazze ci tenevano particolarmente a quella tradizione, le faceva sentire in contatto e potevano chiedere sempre qualcosa in cambio, come un paio di scarpe nuove o un ragazzo carino che facesse loro la corte.

Aro alzò il bicchiere di idromele. «Alle dee!»

«Alle dee!» urlarono in coro i ragazzi, battendo le mani sui tavoli.

I più rapidi si alzarono e gettarono gli avanzi dei piatti nella brace. Si levò un odore di bruciato e del fumo scuro. Finn e gli altri erano già là, svuotarono i loro piatti dai rimasugli di uova e carne e filarono subito via.

«Tieni, Zero. Prendi pure un po' del mio» disse Astrid, distraendolo dal gruppo di Finn.

Gli stava dando un pezzo di carne avanzato, mettendoglielo nel piatto vuoto.

«Così puoi chiedere qualcosa in cambio. Io ho chiesto un paio di cere colorate, le ultime le ha mangiate mio fratello» mugugnò indispettita.

Le avrebbe volentieri fatto notare che fare un'offerta religiosa era diverso dal pretendere poi qualcosa in cambio. Era sbagliato. Lei però era euforica, perciò la ringraziò per la fetta di carne e si cucì la bocca. Era un prezioso consiglio che gli aveva insegnato Ru: se non avevi nulla di gentile da dire ad una donna, stai zitto. Lo ringraziò mentalmente.

Fu quando si convinse ad alzarsi che udì Viggo di nuovo litigare con qualcuno. Si aspettò di trovare Finn, ma lui era dalla parte opposta e il suo amico se la stava prendendo con un bambino della stessa età. Si stavano contendendo una fetta di torta ed entrambi avevano l'aria di voler quel dolce quasi fosse un pezzo fondamentale della loro vita.

«Cavolo, Zero. Vai ad aiutarlo o si beccherà un altro pugno» consigliò Astrid.

Sospirò. L'ultima volta che aveva aiutato Viggo si era beccato una strigliata da Bjørn e si era azzuffato con tre Licantropi, il che non era stato esattamente il miglior salvataggio della sua vita. Si alzò di malavoglia, camminando verso i bambini che si stavano spingendo a vicenda.

Il corpo di Viggo si contorse e i muscoli si ingigantirono in pochi attimi. La pelle venne sostituita da un pelo folto e bruno, la stazza aumentò e si piegò su se stesso. Un giovane lupo quasi arrivò addosso al secondo bambino, il quale strillò in panico. Zero ebbe la medesima reazione e perse l'equilibrio.

Il lupo marrone si tenne in piedi a malapena, tremava vistosamente e aveva il pelo ricoperto da una strana schiuma gelatinosa. Scoprì i denti e si pulì il naso con la lingua umida. I ragazzi fecero dei passi indietro e Aro e Bjørn si fiondarono su Viggo. Il giovane lupo però uggiolò ferito e l'alpha dovette sorreggerlo con qualche difficoltà. Era leggermente più piccolo di un orso, il corpo lungo e adatto alla corsa.

«Basta così, va tutto bene» ansimò Bjørn, stringendo le grosse braccia attorno al corpo dell'animale. Il lupo agitò il muso in aria, piagnucolò e si piegò su se stesso. «Ci sono io, piccolo. Su...» lo consolò amorevolmente.

L'enorme animale rimase intrappolato e iniziò a uggiolare di dolore. Viggo tornò alle sue sembianze normali, ma il suo corpo era diverso, pareva scomposto e senza forze. Zero vide le ossa del bambino tornare nella posizione naturale, poteva sentire quegli schiocchi decisi, insieme alle lacrime. Era ricoperto di sangue e muco, i suoi occhi erano spalancati dal terrore e riuscì unicamente ad alzare un braccio e stringerlo attorno al collo dell'alpha, chiedendogli aiuto.

La prima trasformazione era la peggiore, lo sapevano tutti. Finn e gli altri osservavano la scena sbigottiti e con una lieve punta di pena; Viggo piangeva tra le mani di Bjørn, il quale gli stava accarezzando la testa e provava a calmarlo.

Chloe aveva raccontato la sua prima trasformazione, di quando Ru le aveva squarciato il collo e tutto era piombato nell'oscurità. La mutazione era stata rapida, incontrollabile. L'adrenalina che era già nel suo corpo aveva fatto il resto, il lupo era andato fuori controllo, la paura e il dolore lo avevano fatto impazzire. Le ossa si rompevano, i muscoli si gonfiavano e poi c'era la pressione accumulata che pareva farti uscire le viscere, gli occhi e ogni vena pulsante dal corpo.

Viggo cominciò a muovere le gambe e Bjørn lo tenne più stretto, temendo potesse ritrasformarsi per la seconda volta.

«Portali via, cazzo!» sputò Bjørn furioso, cacciando via due cuccioli che stavano provando a toccare Viggo. «Petri, Brenda, adesso! Chiamate Einar!»

I beta si lanciarono in mezzo al campo e spostarono i ragazzini. Qualcuno persino prese Zero per le braccia e lo trascinò via. Bjørn sembrava avere la situazione sotto controllo e, in effetti, aveva già vissuto quei momenti molte altre volte; quasi sempre era la rabbia il primo impulso a scatenare la trasformazione.

«Posso fare qualcosa? Ti prego, Bjørn!» urlò Zero.

Viggo ebbe una scossa di rabbia, morse il braccio di Bjørn, sperando di liberarsi. L'alpha massimizzò la presa, gli mozzò il respiro e lo sedò con la forza.

«Va' via o vuoi rischiare che ti faccia a pezzi?» sbottò. «Ci penso io! Andate via tutti, lo spettacolo è finito!»

Zero venne spinto via da uno dei beta e dovette alzare i piedi, lasciando il suo amico in altre mani. Probabilmente era meglio così, si disse, Bjørn sapeva bene come controllare un cucciolo fuori di testa, ne aveva allevati centinaia e aveva assistito spesso a quelle scene. Era cosa sconvolgente era stato proprio Viggo, era l'unico che si era trasformato alla sua età, di certo grazie ai geni di Einar ed Elsa.

Zero osservò il bambino nudo e ricoperto di sangue tra le braccia dell'alpha. Era lontano dall'idea che si era fatto sulla sua prima trasformazione e pensò fosse terrificante. L'idea del dolore lo spaventò a morte. Vedere un vero Licantropo mutare pareva la cosa più facile e naturale del mondo, dietro quella faccia c'era un autocontrollo fuori dal comune e una grande resistenza al dolore fisico.

Zampettò fuori dalla Lega con gli occhi bassi, domandandosi cosa fare. Se fosse tornato a casa suo padre gli avrebbe dato della faccende da sbrigare e voleva avere del tempo libero. Di sicuro Ru era al sud in qualche grotta a sonnecchiare. Andare da lui era l'opzione più piacevole.

«Zero!» lo chiamò Finn. «Vieni qui.»

I suoi piani andarono in fumo appena Juho gli sbarrò la strada e gli indicò di andare dall'amico. Una punta di fastidio gli solleticò le punta delle dita. L'ultima cosa che voleva era discutere con Finn sulla lite passata, per lui era una storia morta e sepolta.

Il ragazzo al contrario lo afferrò per un braccio e lo tirò più vicino, mostrandogli un cristallo splendente. A Zero mancarono le parole. Era identico a quello di Ru e Chloe, rifletteva i raggi del sole e gettava a terra dei bagliori rosa e bianchi.

«È vero? È un cristallo autentico del permafrost?» esclamò Zero. «Dove cazzo lo hai preso?»

Juho e Pål emisero dei sorrisetti fieri e Finn gongolò. Da qualsiasi parte lo avessero preso, Zero sapeva che si sarebbe rivelato pericoloso: i cristalli nascevano nel territori del nord ed erano quasi impossibile da trovare o prelevare. Il ghiaccio del permafrost era troppo duro per moltissimi attrezzi, per quel motivo erano cimeli importanti per le famiglie. Erano un dono d'appartenenza, un simbolo.

«L'ho ottenuto» dichiarò Finn.

«Ma pensi che sia scemo?» lo bloccò, presagendo la bugia. «Lo hai preso a qualcuno. Dimmi che non sei stato talmente fesso da rubarlo ad un Licantropo mentre dormiva. Sei fuori?»

Stava alzando la voce e Finn dovette dargli una gomitata per zittirlo. «È di mio padre. Glielo ho preso in prestito, nemmeno se ne è accorto. Da quando sei una femminuccia?»

Zero fece un passo indietro. Rubare un cristallo era un grave crimine morale per un Licantropo, specialmente per il valore affettivo. Quei cristalli erano intinti di magia primordiale ed erano capaci di infrangere il velo del mondo, portando chiunque li usasse nel "vai-e-vieni"; Ru lo aveva chiamato così e suonava stupido.

Apprezzò almeno il fatto che si fosse astenuto dal rubarlo ad un estraneo. Un Licantropo avrebbe potuto cercare le tracce di Finn fino alla morte e gli avrebbe inferto una fine lenta e dolorosa.

«Tuo padre ti ucciderà. Complimenti, genio» sibilò Zero.

«Noi ci facciamo un giro fuori. So che anche tu lo vuoi» tagliò corto.

Zero si bloccò e Finn si illuminò, capendo di aver fatto centro. La maggior parte dei ragazzi era imprigionata ad Arcadia e il loro fato era stato simile a quello dei predecessori da generazioni: i Saggi avevano dispensato odio verso gli umani e avevano fatto temere a molti l'esterno, avevano parlato di Cacciatori, Demoni e mostri. Joseph proveniva da quel mondo e ne era stato sempre affascinato.

Zero affilò lo sguardo. «Oh, ma certo. Ho capito. Vuoi che te lo indichi.»

Finn e gli altri si lanciarono un'occhiata ansiosi. Zero aveva studiato i cristalli, molte lezioni di Gwyn avevano riguardato quell'argomento, tra scienza e magia. Quel potere era in grado di squarciare lo spazio e creare un ponte, ma funzionava solo se chi lo usava sapeva esattamente dove andare. Finn, Juho e Pål non avevano mai visto il mondo esterno, non sapevano nemmeno come fosse fatto. Zero aveva sentito le storie di suo padre, il quale persino gli aveva mostrato delle foto di Londra. Ru poi gli aveva parlato di Roma, di Tokyo, Las Vegas e altre metropoli che si estendevano oltre la linea dell'orizzonte.

«Ti serve una guida» tradusse Zero. «Wow. Quando lo hai rubato non ci hai pensato prima?»

«Senti» sbuffò Pål nervoso. «Facciamo in fretta. Un paio d'ore là fuori e torniamo. Niente imprese, niente cacce e niente litigi. Ecco il patto. Vieni con noi.»

«Tuo padre era un umano. Deve averti parlato di qualcosa» incalzò Finn impaziente.

Aveva un lungo elenco sui motivi per cui quella era la peggiore tra le peggiori idee mai pensate dall'uomo. Il mondo esterno era pericoloso per i Licantropi, le pellicce erano pregiate al mercato nero a causa della poca presenza della specie su suolo comune. Se suo padre avesse scoperto una cosa simile lo avrebbe messo in punizione fino alla fine della sua esistenza, poi pensò che non sarebbe cambiato nulla dall'attuale situazione: era un prigioniero e bene o male ci sarebbe rimasto ancora a lungo. Né Ru né suo padre gli avrebbero concesso un permesso.

«Una qualunque!» urlò il Licantropo biondo di nuovo.

«E va bene!» strillò angosciato. «Okay! Ma ci sono delle condizioni!»

All'improvviso Finn, Juho e Pål gli erano appiccicati addosso e avevano gli occhi enormi, come cuccioli in attesa che il padrone lanciasse la palla per giocarci.

«Prima di tutto lascerete in pace Viggo, e me. Mi sono rotto il cazzo del vostro comportamento. Non saremo amici, toglietevi dalla testa che rifaremo questo ogni fine settimana» sentenziò e i ragazzi annuirono all'unisono. «Se uno di noi viene scoperto dovrà tenere la boccaccia chiusa, avete capito? Se Lance scopre che ho usato un cristallo senza il suo permesso mi ucciderà! Se uno di voi si farà scappare una singola parola con...»

Juho alzò le mani. «Oh, dai, stai zitto! Anche noi rischiamo grosso. Pensi che non abbiamo mai chiesto dei permessi per uscire o un'impresa?»

Zero corrugò la fronte colpito. Finn era il migliore apprendista di Bjørn, un futuro alpha, e si sorprese nell'accorgersi che lo avessero trattato al pari di un comune lupo.

«Ci ho provato ogni settimana. Bjørn mi straccia le richieste prima ancora che possa darle alle guardie reali» brontolò Finn. «Anche io voglio vedere il mondo. So che c'è qualcosa che vale la pena di vedere e non è giusto che siamo intrappolati qui senza poter dire la nostra. Corriamo noi più pericoli di te, cucciolo bastardo. Che mai ti farebbero?»

«Chiamami di nuovo cucciolo bastardo e...»

Juho si mise in mezzo e li distanziò, scoccando un'occhiataccia ad entrambi. «La smetterà» gli promise serio. «La smetteremo tutti, hai la nostra parola. Andremo ovunque tu voglia.»

Zero abbassò le spalle e prese di malavoglia il cristallo dalle mani di Finn. Si sentì immediatamente un criminale. Se sua madre avesse scoperto che avesse fatto una cosa simile gli avrebbe tenuto il muso per giorni interi, lei che gli aveva insegnato molto bene la differenza tra attacco e difesa e bene e male. Alba non gli avrebbe parlato per settimane, quanto a Lance... Rabbrividì.

Portò i ragazzi oltre il perimetro della Lega, a sud, dove i cocuzzoli della montagna cominciavano a diventare più dolci verso le colline inferiori e il castello era nascosto. Venne seguito dai più improbabili compagni che avesse potuto immaginare e intanto loro saltellavano, esaltando cosa avrebbero visto o fatto nel mondo umano. Dentro Zero fremeva eccitato, tratteneva a stento la sua contentezza. Per una volta Finn si era dimostrato utile.

Si fermò in una grotta vuota e riordinò le idee. Non sapeva cosa fare con quel cristallo, la sua conoscenza si fermava alla teoria, ma sapeva che ad Alba bastasse immaginare quel potere per poterlo plasmare a piacimento. Voleva davvero andare altrove, era il suo sogno, così provò a ricordare esattamente le parole di suo padre e le foto di Ru. Joseph McKingsley era nato e cresciuto a Wolverhampton, a detta sua era una cittadina noiosa e fin troppo triste per i gusti. C'era un'altra città di cui aveva accennato spesso: Londra.

Si concentrò solo su quel nome, immaginò di trovarsi là, di camminare sulle sponde del Tamigi e poter finalmente ammirare altro. Bastarono pochi attimi, il cristallo si attivò e pulsò di magia primordiale, incanalandola. La rilasciò in una pulsazione e Zero lo lanciò in aria, producendo uno squarcio sopra le loro teste. Senza pensare se fosse sicuro o meno, si lanciò dentro e udì le urla affannate dei compagni alle spalle.

Aprì gli occhi in un'accecante luce del pomeriggio. Era comparso su un ponte in mezzo ad una strada alquanto trafficata. Ebbe a malapena i riflessi per schivare Finn che gli arrivò addosso, seguito dagli altri e dovettero scappare a lato della strada. Un bus rosso a due piani sfrecciò a dieci centimetri da loro, rischiando di spappolarli sull'asfalto, le macchine pivettarono furiose, mentre sia i guidatori sia i passanti alzarono le mani e iniziarono a maledirli.

Si appiattirono contro le palizzate che li dividevano da un enorme fiume verdastro e si accasciarono per riprendere fiato. Alcuni estranei dedicarono loro occhiatacce e borbottarono tra i denti quanto i turisti fossero maleducati e stupidi. Una signora persino agitò il bastone e urlò con quell'accento strano, lo stesso che aveva suo padre.

«Dove diamine siamo?» ansimò Finn sotto shock.

Zero si pulì il sudore dalla fronte. Il viaggio lo aveva indebolito e sentiva le gambe formicolanti. A breve gli sarebbe arrivato un altro mal di testa. Aveva sottovalutato la quantità di mana per rendere possibile il teletrasporto, la fatica lo fece sudare e il malessere era accentuato dal caldo.

Londra era immersa in una cappa di caldo umido, l'asfalto a terra era rovente e appena Finn si affacciò dalla ringhiera del ponte si bruciò le mani sul metallo. Gli altri osservavano la città con la bocca aperta, godendosi ogni cosa, dal traffico all'odore di sporcizia del fiume. Rimasero fermi alcuni minuti a riprendere fiato e ammirare il palazzo di Westminster a destra.

Pål indicò un imponente orologio che in quel momento batteva le due del pomeriggio.

«È enorme! Gigantesco!» ululò con la faccia rossa dal caldo. «Che posto è?»

«Londra» disse Zero. «È la città più importante di questo posto. Siamo a...» Si spostò e lesse uno dei cartelli verdi. «Ponte di Westminster.»

Finn gli corse addosso e lo abbracciò, dimenticandosi di odiarlo. «Sei un grande! Ringrazia tuo padre da parte mia.» Zero si appurò di non farlo. «Come hai fatto a usarlo, serve un incantesimo?»

Gli passò il cristallo e Finn si passò la catenella al collo, assicurandosi di legarsela stretta. Se lo avessero perso si sarebbero intrappolati da soli nel mondo umano e tanti cari saluti.

«Basta focalizzarti su dove vuoi andare. Il problema è che non avevo un'idea precisa, mi ricordavo quell'orologio e le coordinate erano inesatte. Un altro po' e saremmo finiti in mezzo al fiume.»

«O sotto quel carro di ferro» concordò Finn, indicando un autobus a due piani. «Sicuro di stare bene?»

«Mi ha messo a terra, non pensavo fosse così impegnativo venire qui. Forse è perché abbiamo attraversato il portale in quattro» confermò. «E c'è un altro problema di cui devo parlarti subito.»

Finn e Zero si staccarono dagli altri due, i quali presero a correre su e giù per l'area pedonale e appena trovarono dei binocoli panoramici si bloccarono su di essi. Ci impiegarono molto a capire che funzionassero a gettoni. Zero parlò a Finn onestamente di ciò che gli aveva detto suo padre su quel paese, non perdendo alcun dettaglio sui Dominatori. Joe ne aveva incontrati alcuni a Wolverhampton, erano umani ed erano facilmente riconoscibili dato che vestissero con pantaloni mimetici e avessero legate alla cintura armi maledette. La loro aura era diversa rispetto agli altri umani, emanava un'energia occulta e i Demoni potevano identificare un intruso con facilità. Dedicò un appunto anche sui Cacciatori, senza soffermarsi troppo.

«Umani con dei Demoni?» ripeté Finn incredulo.

«Sì. Li cacciano e li catturano, vincolandoli al loro animo per farli adattare al combattimento. Usano una specie di maledizione e il Demone diventa un simbionte, anziché un parassita. Da soli non sono un problema, ma... quei mostri vedono le aure e le nostre sono...» provò a fargli capire. «Dovremo fare attenzione. Se uno di noi venisse catturato sarebbe la fine.»

Finn deglutì. «Aspetta. Che intendi dire?»

«Sai bene che intendo.»

«Non possiamo mica abbandonare qualcuno!» protestò.

Zero fece una smorfia. «Senti, bello, non le faccio io le regole. Qui non siamo ad Arcadia, non puoi risolvere i problemi diventando un lupo gigante. Mi hanno detto come si muovono, agiscono in squadra e hanno studiato per secoli lo stile di caccia dei Demoni. Li imitano. In questo posto siamo noi le prede.»

Non fu certo che Finn avesse afferrato il concetto di "scordati di diventare un mostro peloso" poiché gli umani erano poco abituati a esseri mutaforma o la concezione stessa di magia. Suo padre gli aveva parlato dell'Esercito dell'ordine demoniaco, ma non gli aveva mai chiesto altri dettagli. Chloe era stata aiutata da un'altra agenzia, l'OverTwo, da cui era scappata per rifugiarsi ad Arcadia. Avrebbe dato di matto.

«Niente roba da lupo» ripeté Finn. «Quindi come fai a sopravvivere a casa senza trasformarti? Hai artigli o denti da...»

«Ti paio un...» Stava per alzare i toni e lasciò andare la rabbia in fretta. «Niente discussioni. No, Finn, io non posso trasformarmi e non mi nutro di sangue. Anzi, mi disgusta. Il mio piatto preferito sono i moff nel latte al cioccolato.»

Finn alzò le sopracciglia biondicce. «Come Ibrido sei alquanto deludente» disse vago. «Tenterai di ammazzarmi?»

«Nah.» "Se lo avessi voluto lo avrei già fatto, idiota", pensò Zero. «Non commettere l'errore di sottovalutarli. Sono guerrieri. Bjørn dice sempre di tenere gli occhi fissi sull'avversario, fallo una volta in meno e il tuo sangue imbratterà la sua spada.»

«Ora mi stai spaventando.»

«Ottimo. Lance lo fa spesso con me. Funziona alla grande.»

Finn tradusse in parole povere la situazione attuale e, malgrado Juho e Pål rivolgessero occhiate perplesse a Zero, i ragazzi mantennero un atteggiamento ragionevole e solare.

Corsero oltre il ponte di Westminster e Zero si stupì del fatto che il suo sogno si fosse finalmente avverato grazie a Finn. Notarono subito la grande differenza rispetto al loro mondo, Arcadia era antica, la sua bellezza la si vedeva nelle foreste selvagge, nei laghi e nelle montagne innevate, così come nelle capitali e nei villaggi, laddove c'era sempre uno scambio delle quattro culture e usanze tipiche. Londra aveva uno stile unico, gotico, mentre il centro era moderno, con grattacieli fatti di vetro. La parte vecchia assomigliava parecchio a Havkfall, con edifici costruiti con pietra, ghisa e cemento, i passaggi erano fiancheggiata da pilastri e lampioni. Ovunque c'erano stemmi reali della regina corrente o manifesti pubblicitari.

Londra era enorme, fin troppo per gli standard dei ragazzi, tant'è che a Juho venne un attacco di panico appena capì come leggere una cartina della città. Era come se Dio avesse optato per sfruttare ogni angolo calpestabile del terreno, piazzandoci ville, musei e altri monumenti. Zero guardò la mappa meravigliato, insieme ad altri turisti che li studiavano incuriositi. Rispetto agli inglesi, i vestiti dei quattro ragazzi erano trasandati, senza tasche o colori appariscenti. L'unico che si confondeva meglio era Finn con quella camicia azzurra e la collana di perle al collo, un gruppo di ragazze lo salutò e lo chiamarono "Yankee". Nessuno capì come tradurlo.

Zero rubò una mappa da un punto informazioni e la studiò. C'erano nomi ovunque; Chelsea, Greenwich, Brixton, Stratford, con altrettanti punti verdi che consigliavano un'attenzione speciale. Era impossibile poter vedere tutto in poche misere ore, lo capirono al volo anche gli altri ed emisero dei sospiri delusi.

Senza perdere altro tempo percorsero quelle interminabili vie con i nasi in aria per ammirare l'imponenza di quel nuovo mondo. La prima tappa fu la torre dell'orologio e poterono udire i suoni dei rintocchi che risuonavano ogni quindici minuti precisi, poi seguirono un gruppo di turisti che si mise a fare le foto a dei soldati in divisa rossa e con dei buffi cappelli pelosi. Rimanevano fermi, alcuni a cavallo, a fare la guardia a Buckingam Palace. Pål provò ad avvicinarsi ad un cavallo e l'animale nitrì imbizzarrito, annusando nell'aria l'odore di un grosso predatore. Il cavaliere quasi venne disarcionato e i ragazzi tagliarono la corda.

Videro moltissime altre cose e ne fecero altrettante, come giocare a Hyde Park, intrufolarsi nell'Abbazia di Westminster o farsi rincorrere da alcuni poliziotti dopo che Finn aveva cercato di scalare una fontana a mani nude nel cuore della città. Ciò che Zero preferì in assoluto di quel giorno fu il "The Shard". Era l'edificio più alto di Londra e si riusciva a vederlo da qualunque zona, era un altissimo spillo di vetro che brillava sotto la luce del sole, la vetta era composta da una spettacolare terrazza panoramica. Poté ammirare lo skyline di Londra, dal settantaduesimo piano il mondo si aprì ai loro occhi e la giornata era perfetta per farlo, il sole stava tramontando e le ombre arancioni rendevano il panorama etereo. Le ultime navi navigarono le acque scure del Tamigi, mentre i lampioni si accesero e le insegne dei negozi brillarono ovunque.

Erano seduti a Battersea Park su un gioco per bambini. Zero si stava dondolando su un cavallo, mentre Finn era steso su una panca a dormire. Fissò le ultime famiglie andarsene dal parco e Zero provò una fitta di senso di colpa verso i suoi genitori. Joseph aveva visto Londra moltissime volte e si domandò se avesse percorso i suoi stessi passi. Stava cominciando ad avere davvero fame, la giornata era stata intensa e l'emozione gli aveva fatto dimenticare la fame e la sete. Con il tramonto e i ristoranti vicini da cui usciva un forte odore di pesce fritto, il suo stomaco brontolò.

Juho tornò trotterellando con un biscotto in mano e lo divorò intero.

«Che cazzo, dove lo hai preso?» lo interrogò furioso Pål, scontento che non avesse condiviso quel misero dolce.

Juho alzò vago la mano.

«Quelli li devi pagare» gli fece notare Zero.

«Pagare? Con cosa?» borbottò incredulo. «Una ragazza mi ha fermato mentre stavo bevendo alla fontanella, era vestita da strega e aveva in mano questi biscotti e mi ha dato un volantino. Vedi se questo è commestibile.» Prese dai pantaloni un biglietto arrotolato e lo lanciò in faccia a Pål, il quale gli mollò un calcio.

Finn si svegliò e prese il foglietto, decifrando a stento le parole inglesi. Andò da Zero e glielo ficcò sotto il naso. Lui lo lesse al volo. Joseph aveva imparato a parlare norvegese in un paio d'anni e Zero gli era stato di grande aiuto, lo avevano imparato insieme, ma a volte capitava che invertisse dei termini o, soprattutto quando era arrabbiato, imprecasse in inglese. Le prime lingue che Gwyn gli aveva insegnato erano l'inglese, il rumeno e il greco antico.

«Oh!» esclamò Zero attento, smettendo di dondolarsi sul cavallo. «C'è una festa. Inaugurano una specie di locale a Sands end, ci saranno dei DJ – che diamine è un DJ? - entrata a quarantacinque sterline e... cibo! Cibo gratis!»

Finn strizzò gli occhi sull'unico numero gigante presente nel foglio. «L'ingresso è consentito unicamente a coloro che hanno compiuto legalmente ventuno anni» lesse con difficoltà. «Io ne ho diciannove. Quanti anni hai tu?»

«Sette» fischiò distratto. «Potrei passare come uno di ventuno anni?»

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