V

(Alba)

Il castello era circondato da una cinta muraria percorsa da varie torrette, numerose bandiere sventolavano dalle cime al vento. Le enormi porte erano aperte e all'interno i giardini apparvero al loro cospetto, una vasta distesa verde su cui c'erano numerose fontane, sentieri, statue e alberi in fiore. Il palazzo reale era magnifico, grande, grazie al colore bianco perlaceo dava l'idea di brillare all'alba e al tramonto. Le finestre erano ampie, luminose e ad arco, le balconate erano rette da statue dall'aria feroce e sul tetto pendevano figure di vario genere, dai lupi agli uccelli. Qua e là spuntavano delle rose azzurre, la regina Alanna le aveva fatte piantare ovunque per onorare i caduti del primo attacco, poi Alba con un incantesimo le aveva fatte fiorire azzurre.

Numerose guardie corsero su di loro e batterono le mani verso il loro principe. Alba rallentò fino al trotto, dopodiché si assicurò che il suo ospite fosse ancora vivo. Zero aveva una pessima cera, la colazione gli era tornata in gola e sperava di non vomitargli addosso.

Appena si fermò e un soldato afferrò le redini del cavallo, Zero scese in un balzo e rotolò a terra, premendosi la pancia. La reazione fece divertire le guardie.

«Oh, suvvia! Un giro a cavallo di mezz'ora e già fai i capricci?» lo canzonò. «Pensavo che i Vampiri fossero molto più resistenti.»

Qualcuno gli diede della pacche sulla schiena. «E dire che volevi diventare un generale! Su, dai, in piedi!» Lo alzarono di peso e si sforzò di restare dritto da solo.

Alba si sfilò i guanti di pelle e si rinfrescò il collo. Senza l'aria della cavalcata, la calura li assalì di nuovo e il sudore scivolò dalla fronte fino alle labbra. Si sventolò addosso l'orlo della camicia e ascoltò gli elogi dei suoi fedeli soldati. Zero sparì sotto di loro e, per una volta, si sentì bene a non essere al centro dell'attenzione.

Si limitò a guardarsi intorno, studiando i giardini e immaginando i futuri nascondigli in cui si sarebbe potuto ficcare. Benché il palazzo reale conservasse quelle note sublimi e austere, non poté fare a meno di immaginare quel posto sette anni prima. Il castello era stato uno dei primi bersagli, insieme a Pyòttyr e la Lega. Chiunque fosse sopravvissuto ne aveva il ricordo e il re aveva mandato un editto che ne vietava di parlarne, tanto meno di conservare dipinti o altre cose che rimandavano a quel triste accadimento. Solo i poeti ubriachi a volte cantavano quegli orrori. Zero si domandava spesso quale tra quei mondi fosse nel giusto e quante vite avesse strappato suo padre senza dirglielo.

Una donna altissima si precipitò giù dalle scale principali, sollevò la gonna e gettò via i tacchi che le impedivano di correre. Al suo seguito, una lunga fila di cameriere provò a seguirla con il fiatone.

«Maest... Ah!» Una delle cameriere rotolò a terra.

«Per favore, aspettate! Il corsetto, regina!»

La regina Alanna piombò sul figlio e si aggrappò alle sue spalle come un animale selvatico, timorosa che le potesse scivolare via da un momento all'altro. Iniziò a piangere di gioia e Alba la strinse forte, ignorando fosse sudato e sporco.

La regina aveva un viso lungo e asciutto, il trucco sul suo viso riuscivano a coprirle dignitosamente bene le rughe vicino agli occhi, in aggiunta la magia di Gwyn era straordinaria. La sua bellezza era regale, femminile, con quella lunga e ingombrante veste azzurra. Al collo e ai polsi le pendevano numerosi gioielli.

«Madre, davanti ai miei uomini!» si lagnò Alba arrossendo fino alle orecchie.

Sua madre arcuò un sopracciglio, studiandolo dall'alto in basso. «Ti sei fatto crescere i capelli, ora sembri davvero uno di quei balordi di mare, sempre in giro con le navi e spade. La prossima volta tornerai con un tatuaggio, magari?»

Alba lanciò uno sguardo supplichevole a Zero e lui rimase immobile, sperando di essere invisibile.

«Sarebbe un vero affronto al decoro reale» esclamò sarcastico Alba. «Finirò all'Inferno.»

«Alba, su questo c'è poco da scherzare!» berciò furiosa. «E hai davvero un odore disgustoso addosso. Cos'è, pesce?»

«Ho combattuto un mostro di mare nel triangolo perduto. Quel posto pullula di creature demoniache, deve esserci qualcosa che le richiama» esultò il principe e i soldati fischiarono. «E ho trovato un'isola che aveva dei frutti grossi quanto...»

«Intendi fermarti a lungo questa volta?» lo interruppe imbronciata. «Sai bene che questi tuoi giri sono solo un passatempo momentaneo, ti sei assentato troppo e tuo padre è furioso. Avevi promesso di rientrare due settimane fa. Hai tanto da imparare.»

La faccia di Alba si tese un secondo di malinconia. Zero sapeva come dovesse sentirsi, il mare era una parte di lui, di notte sognava di solcare oceani sconosciuti, di affrontare nemici a colpi di spada sulla coffa e morire tra le onde, affondando. Lui voleva essere principe, essere migliore dei suoi antenati e per il cucciolo ci era ampiamente riuscito: era stato uno dei pochi a credere che la pace fosse possibile tra Licantropi e Vampiri, aveva scritto di persona le prime bozze dei trattati e la sua firma era accanto a quella di Lance.

Tuttavia il pensiero di essere ancorato in quel triste palazzo, di vivere una vita monotona e obbligata lo deprimeva. Il suo spirito era libero, Alba era un'onda che andava e veniva e come tale non poteva essere fermata.

Magicamente Alba indossò una delle sue innumerevoli maschere e fece un sorriso finto. Zero glielo aveva visto fare tante volte e ormai riconosceva quelle bugie.

«Torno sempre da chi ha bisogno di me. Adoro quando supplicano il mio nome» gongolò.

La regina lo schiaffeggiò sulla spalla. «Che spudorato! È questo ciò che hai imparato in questi mesi? Vedremo se farai tanto il gradasso a cena, quando ripeterai queste cose a tuo padre. Hai visto Lance? Scommetto che ti ha sgridato anche lui.»

Alba abbrustolì di vergogna. Anche se entrambi faticavano ad ammetterlo, il principe dei Licantropi e il leader dei Vampiri avevano tante cose in comune e più volte avevano intrattenuto lunghe chiacchierate a porte chiuse. Avevano riso e scherzato come vecchi amici.

«Dev'essere impegnato altrove» sviò Alba con nonchalance. «Ma ho trovato un altro fungo sulla mia strada! È cresciuto tantissimo, ora sembra davvero un uomo. Potrei persino scambiarlo per una guardia. Zero nella guardia reale, che spasso!»

Il principe corse verso di lui e lo scosse. In quel modo sperava di far deviare le domande di sua madre sul cucciolo e così avvenne. La regina Alanna fece un sorriso pacato e Zero si osservò i piedi.

«Lo hai osservato parecchi mesi fa, la sua crescita è notevolmente rallentata nell'ultimo periodo. Secondo il parere di Gwyn sarà adulto in poco tempo, dopodiché potrai pensare a quale ruolo affidargli» rispose la regina. «Per ora, ricordati, che è ancora un cucciolo. Un cucciolo molto carino!»

Gli afferrò le guance e le strizzò. Alba si irrigidì e alcune guardie fecero guizzare lo sguardo su di loro. Per quanto si sforzassero di vedere Zero come il ragazzino che era, il ricordo dei Vampiri, del sangue e di ciò che c'era nelle sue vene li intimidiva. Lui era la probabilità sul milione, la chiave che aveva portato la pace e tutto sarebbe rimasto in quella cupola di vetro fino al suo ultimo respiro. Chi lo aveva capito aveva paura del potere che aveva tra le mani semplicemente respirando.

Tuttavia c'era qualcos'altro che faceva tremare i soldati e quello era il talento del cucciolo. Quasi tutti i soldati rammentavano il potere di suo nonno, il campione caduto, e la sua ombra era stata ereditata dal nipote in molte cose, la camminata curva, gli sguardi furtivi e, soprattutto, l'atteggiamento. Zero, come suo nonno, sapeva di essere speciale e questo lo esaltava. Sarebbe stato il miglior combattente di Arcadia, lo avevano detto, ma Bjørn tendeva a sottolinearne i difetti: indisciplinato, avventato e impaziente.

«Potrei addestrarmi a palazzo subito, mia regina» gracchiò Zero. «Dovreste solo farvi l'onore di dire a quel puzzone di Bjørn di...»

«Sai bene gli accordi» rimbeccò. «Fino a quando Bjørn lo riterrà opportuno sarai addestrato con l'alpha e i suoi beta. Il futuro è lungo e i bambini cambiano idea di continuo.»

Zero aprì la bocca sconcertato. L'aveva appena definito un "bambino". Con imbarazzo si tastò le braccia e il viso, domandandosi se davvero sembrasse infantile. Ultimamente si preoccupava spesso del suo aspetto, voleva essere in ordine affinché la gente lo guardasse con rispetto, tanto quanto ne avessero per suo padre. Era stufo di vivere nell'ombra del più temuto segugio.

Lo faceva anche per Ru in un certo senso. La sera scorsa era stato benissimo con lui nei boschi e aveva sperato che le cose andassero in modo diverso, nemmeno Zero sapeva cosa volesse intendere. Aveva visto i Licantropi accoppiarsi nelle notti di luna piena, liberi e selvaggi, e sapeva da tempo come accadeva, aveva sentito parlare i ragazzi alla Lega. Con Ru aveva fatto un po' lo smorfioso e l'altro gli aveva riso in faccia, mostrandosi stranito dai suoi modi. Si era vergognato dato che non sapesse nulla di quelle cose e Ru non lo facilitava.

Alba gli diede una gomitata.

«Sono proprio stanco!» recitò Zero e la sua voce si incrinò. Mentire era una dote di Alba, non sua. «E ho tantissima sete!»

«Il mio ospite ha sete, è dovere di un principe assicurarsi che i suoi sudditi abbiano sempre un bel bicchiere di idrom... di succo in mano!» si corresse al volo Alba, notando lo sguardo di sua madre fiammeggiare. «Io lo accompagno dentro, mi ero dimenticato quanto fosse umida Arcadia d'estate!»

Senza poterlo evitare, Zero venne trascinato dentro il Grande Palazzo e vennero scortati da alcune guardie e cameriere. Conosceva a memoria quell'intricata mole di corridoi, le biblioteche ricolme di infiniti libri, la sala del trono, quella delle riunioni e quelle artistiche, dove le pareti erano dipinti con colori sfavillanti e i quadri parevano essere veri.

Alba però rubò dalle mani una caraffa di succo d'arancia portata da una cameriera, fece dileguare le guardie e cacciò Zero nelle sue stanze con fretta. Lo chiuse dentro e Zero approfittò della calma per restare da solo, vivere in quel luogo era difficile, il castello era noioso e rumoroso, l'esatto opposto di casa sua. Sulle colline aveva ciò che desiderava, aria pulita, posti da scoprire e giochi da fare senza la paura di essere giudicato dai ragazzi di Bjørn o Gwyn.

Chloe si era raccomandata tante volte di prestare attenzione a quell'uomo e, soprattutto, di non fare cose stupide. Suo padre aveva avuto l'ardire di tirargli un sasso quando era ancora umano, glielo aveva raccontato lui stesso, ed era quasi morto sotto la sua micidiale frusta. Dopo che l'inflessibile Saggio lo aveva sgridato al seguito di una cattiva lezione di storia antica, Zero aveva avuto la brillante idea di fare la stessa cosa; Gwyn lo aveva punito e Zero si era messo a piangere. Erano serviti due squadroni di cavalieri per impedire a Chloe di uccidere Gwyn.

Zero vagò nelle stanze di Alba, i soffitti erano alti, i mobili raffinati e lustrati a dovere. Ogni mattina le cameriere rassettavano la stanza, sebbene per la maggior parte del tempo deserta, aprivano le finestre e davano da bere ai numerosi fiori sparsi qua e là. Erano improvvisamente sbocciati sotto i suoi occhi, era il trucco preferito di Alba. Ogni cosa tornava in vita con la sua presenza, persino le persone subivano quegli influssi caldi.

Saltò sull'enorme letto a baldacchino, era almeno il triplo di quello a casa sua, morbido quanto una nuvola. Si crogiolò tra i cuscini e ci rotolò sopra, annusando il buon odore di pulito. Le librerie presenti erano ricolme di mappe, libri di navigazione e modellini di velieri dipinti di nero. Lo stesso la scrivania, sotterrata da pile di carte, calcoli e invenzioni strane mai finite.

Zero bevve un po' di succo e si rilassò, osservandosi intorno. Oramai il sole era alto, le lezioni della giornata erano iniziate e, con tutte le probabilità del mondo, Bjørn avrebbe preteso delle serie spiegazioni riguardo la sua assenza. A quanto pare, era l'unico con cui tenesse a discutere e a pretendere davvero qualcosa in cambio.

Giocherellò con il modellino di una barca a vela e uno degli stecchi usati per fare l'albero maestro si piegò. Ansimò in panico, mettendola da parte e urtò il tavolinetto accanto. Ci fu un rumore, simile ad una biglia di vetro che rotola, e il ragazzo si preoccupò di non aver rotto nulla. Cercò sopra e in mezzo ai libri posati, poi mosse il tavolo di nuovo.

Quella misteriosa biglia rotolò di nuovo in un'altra direzione.

Il cucciolo si mise a terra a carponi e toccò ogni cantuccio alla ricerca di un cassetto segreto. La gran parte delle cose al Gran Palazzo era nascosta e la bellezza, come diceva Ru, si celava tra corridoi bui, segrete e catacombe.

«So che c'è qualcosa» borbottò nevrotico.

Sfiorò un ghirigoro di legno e una piastra gli cadde in faccia, insieme a delle cartacce e parecchia polvere. Tossì varie volte e agitò la mano in aria per far sparire la sporcizia, poi prese ciò che aveva trovato e andò verso la finestra.

I fogli erano vecchissimi, l'inchiostro era quasi del tutto illeggibile e aveva paura che la carta potesse sgretolarsi tra le mani. Puzzavano di chiuso e i primi erano scritti con delle rune strane, mai viste. Solo dall'ultimo elenco riuscì a capire fosse una lista degli ultimi esiliati. Gli saltarono all'occhio subito, uno sotto l'altro, i nomi Chloe Blake e Runal Larsen.

Ru e Chloe erano esiliati. Zero aveva scoperto a dure spese cosa significasse esserlo, aveva fatto a botte con Finn e Juho appena li aveva sentiti dire cose crudeli su di loro. Erano finiti in punizione tutti e tre, ma Bjørn aveva sgridato Zero in particolare.

Essere un esiliato ti portava ad essere ai margini della società, un criminale ed era stato solo grazie a Lance che la situazione era cambiata un poco. Lo stesso Chloe era mal vista dalla società di lupi, aveva il piede in due scarpe e aveva accettato l'idea di avere un branco di Vampiri attorno. A Zero dispiaceva. Era come se vivesse a metà, l'indole da lupo la richiamava al branco, alla vita di Arcadia, e Ru era l'unico che le fosse rimasto.

Una minuscola perla nera era finita a terra. La prese in mano e dovette lanciarla via, rischiandosi di bruciare la mano. Soffiò sulla pelle e in pochi secondi la ferita si sanò. Provò a cercare quel sassolino sotto ogni mobile, ma oramai l'aveva persa.

Udì dei passi in corridoio e si affrettò a mettere tutto in ordine, spinse le carte in quello spiraglio segreto e diede un colpo alla lastra per bloccarla. Pregò le dee che nessuno lo scoprisse e si lanciò sul letto, giocherellando con il fodero del coltello.

Alba rientrò nelle sue camere, chiuse le porte e si appoggiò contro in un sospiro esausto. Si era fatto un bagno fresco, ora sulla sua pelle pulita erano ricomparse le leggere lentiggini marroni sulle guance e le spalle. I capelli pettinati gocciolavano ancora di acqua di rosa, se li era legati in un singolare codino e aveva indossato abiti puliti.

«Mio principe!» lo prese in giro Zero. «Finalmente posso godere della vostra immorale bellezza.»

Alba soffiò un risolino e si rilassò. Aveva avuto un brutto quarto d'ora con suo padre, come ogni qualvolta tornasse e si presentasse per salutarlo, il re schioccava la lingua e alzava gli occhi al cielo. Quelle smorfie facevano capire al principe che idea suo padre si era fatta di lui e Gwyn rincarava la dose, sussurrandogli all'orecchio una montagna di fesserie.

Al solito si era sentito le prediche e le lamentele sul suo comportamento, di quanto fosse sconveniente che il principe, unico erede al trono reale, preferisse vagare in mare anziché imparare a gestire il suo futuro regno. A farne le veci c'era Lance, ma al re non piaceva la sua presenza, né al castello né altrove. Avrebbe preferito braccarli come bestie, ucciderli, mentre Alba ne vedeva altre possibilità.

Alba scivolò accanto a lui e si gettò sul letto. Zero lo lasciò in silenzio per qualche secondo, poi lo puntellò. Il ragazzo aprì gli occhi a scatto. Si era appisolato al volo.

«Scusami, sono davvero esausto. Gli ultimi giorni in mare sono stati... turbolenti...» ammise il principe.

«Hai la faccia. La tua vera faccia» notò il cucciolo. «Ti ha sgridato?»

Si sfregò il volto. Di rado le persone sapevano distinguere le maschere che indossava, persino lui a volte si dimenticava la sottile differenza tra il vero se stesso e il personaggio che doveva interpretare.

«Niente di nuovo. Ripete le stesse cose ogni volta mi vede» esalò sconfitto. «Ci ho fatto l'abitudine. Pretende impari a regnare senza insegnarmi o vedermi sbagliare. Esige risultati senza ottenere fallimenti e parla di unione disprezzando la voce dei Vampiri. E mi chiedo, è questo il mondo che voglio ereditare? E se non potrò fare nulla?»

Zero ebbe difficoltà a rispondere a quelle domande. Lui si preoccupava di cosa mangiare a cena. La vita del principe era ben lontana dall'idea di bambagia che si era fatto. Pensò che i suoi genitori avessero molto in comune con lui, per questo, benché di ceti sociali differenti, andassero così d'accordo: Joseph era stato trascinato in quel mondo, era caduto in un vortice di eventi che era stato costretto ad accettare e lui e Chloe erano stati l'uno il salvatore dell'altro. Si tenevano a galla a vicenda, sopravvivendo in un mondo che faticava ad accettarli.

«Raccontami le tue avventure» lo pregò contento. Alba adorava parlare di sé. «Dimmi i posti che hai visto.»

E il principe lo fece, gli descrisse i mari agitati, i venti furiosi e i mostri che aveva intravisto sotto il pelo dell'acqua, in agguato, pronti ad afferrare la prima vittima sacrificale. Zero immaginò ogni cosa e la sua mente si spense, ricordando con il batticuore il mostro che aveva sognato.

Alba però gli narrò anche della pace dell'oceano, della sinfonia delle onde e quel dolce cullare notturno. Aveva visto isole sconosciute, mangiato frutti esotici e conosciuto gente di ogni dove e tutti lo chiamavano in un unico modo, "min sol". Mio sole.

«E...» si interessò «hai incontrato delle ragazze? Belle?»

«Bellissime» confermò. «Le donne sono tutte belle ed è mio dovere amarle tutte. Una ragazza ai Caraibi aveva la pelle color del caffè, profumava di zucchero, e aveva dei seni soffici come panna! Ho pianto quando ho dovuto separarmene.»

Alba strizzò le mani in aria e osservò curioso Zero, il quale era arrossito fino alle orecchie per tentare di immaginarsi una cosa così intima. Era stato al fiume d'estate e aveva visto il corpo delle sue compagne nude, i seni che ondeggiavano morbidi e gli altri ragazzi che provavano a strusciarsi su di loro.

«Vuole un erede...» mugghiò il ragazzo incerto.

«Far tramandare il sangue» affermò Alba, mettendosi le mani sotto la testa. «Secondo lui è il compito di ognuno riprodursi, conservare la nostra stirpe e le nostre tradizioni. Siamo questo, in fondo, un ammasso di cellule che vivono per riprodursi e dopo morire. Ciò che c'è in mezzo è solo l'ebbrezza della vita. Ubriacarsi fino a svenire, mangiare sul picco della montagna, ridere in faccia ad un re codardo... E combattere! Pensi ci sia qualcosa di meglio?»

Zero rifletté e rispose spontaneamente. «Be', l'amore.»

Lui era vivo grazie all'amore dei suoi genitori e sapeva di essere amato da loro. Persino Joseph, che con gli altri si mostrava irremovibile e serio, aveva un cuore tenero. Molto in fondo, aggiunse Zero. Ogni mattina suo padre preparava la colazione e svegliava Chloe con dei baci.

Alba annuì saggiamente. «Sì, combattere per amore è ciò che rende la morte irresistibile. L'onore sarebbe niente altrimenti. Ma mettere su famiglia è un grande passo e io sono molto all'antica, ho bisogno di essere corteggiato. Sono ancora bello e giovane, voglio godermi altre feste.»

«Guarda che ci sono un sacco di feste anche al Gran Palazzo» lo sminuì.

C'erano, ma erano terribilmente noiose e a molte Zero era invitato come ospite d'onore. Era un termine irrisorio, Ru si infuriava ogni qualvolta un cavaliere giungesse con quel messaggio. A Zero non dava fastidio essere esibito come una bestiolina, aveva fatto i conti con l'idea di essere al guinzaglio. Sette anni prima i rappresentanti delle regioni si erano schierati con Joseph e Chloe, accettando il cucciolo come vero arcadiano. Quelle simili dimostrazioni erano stupidi premi: si faceva vedere in giro, mostrava i suoi miglioramenti in battaglia, ridacchiava un po' e poi filava a dormire.

«Feste vere. Le mie feste» rise Alba. «Quando tu non c'eri e Chloe abitava ancora qui, organizzavo delle feste straordinarie. Facevo tremare la Grande montagna e le guardie dovevano legarmi per riportarmi al castello la mattina successiva. L'idromele scorreva a fiumi e i bagni nudi...» fantasticò. «Cavolo, non dovrei dirti queste cose.»

Scosse il capo. «È a posto. Se organizzerai un'altra festa posso venirci?»

«Alla festa o alle orge?» Zero ammutolì. «Credevo non ti piacessero queste cose, forse hai sviluppato un'altra area celebrale mentre ero via?»

Alba lo studiò da cima a fondo e il ragazzo si sorbì quell'occhiata. Era la stessa di Lance, identica, di quando cercava di capire se avesse fatto un danno di nascosto o nascondesse un segreto.

«Chloe mi ucciderebbe se ti portassi. Magari tra un po', quando saprai cosa ti piace.»

«Io so cosa mi piace!» sbuffò acido. «So cosa si fa nelle notti di luna piena. Pa' mi manda sempre qui quando la luna non c'è, dice che sono al sicuro, ma... io non sono stupido! Fanno... quello...» Alba finse di non capire. «Oggi a Pyòttyr ho visto la processione della schiava della luna. Tu...»

«Se ci sono stato? Un paio di volte, sì. Di nascosto» confermò. «Le ragazze adorano prendersi cura di un principe e i ragazzi, oh, ti fanno sentire come se fossi su un'altra dimensione. Sanno esattamente cosa fare, come e dove...»

Ancora la fastidiosa sensazione al ventre lo frastornò. Era strana, gli girava la testa e sentiva il bisogno di muoversi, correre e sfogarsi. Gran parte dei lupi si sentiva in quel modo vicino la luna piena.

«E tu che ne sai del sesso, Zero?» lo tentò. «Lo vuoi provare?»

Alba gli sfiorò il fianco e il cucciolo strillò. Si agitò talmente tanto da perdere l'equilibrio e cadere dal letto. Sbatté la schiena e udì il principe ridere, rotolando sul materasso quasi fosse la cosa più divertente del mondo.

Zero aveva la faccia rossissima. «Che male c'è? Sono un adulto.»

«Lo fai per dimostrarlo a te stesso o infastidire tuo padre?» lo tentò. «L'unica cosa che ti consiglio, oltre a divertirti, è di rispettarti. Te e chi hai davanti. Accoppiarsi non è un mero atto, significa esporsi all'altra persona, vederne i difetti e apprezzarli. Come puoi pensare di aprirti con un'altra persona se tu per primo sei insicuro con te stesso? Che fiducia potrai mai donare? Per questo sei un cucciolo.»

Alba socchiuse gli occhi e si addormentò al volo, stremato per la litigata e la fatica del viaggio. Lasciò alle spalle la preoccupazione, la delusione verso le responsabilità che desiderava abbandonare e la paura di essere costretto a rimanere. La stanchezza ebbe il sopravvento e rimase indifeso.

Zero lo ammirò. Aspettò alcuni attimi, poi si chinò su di lui e lo annusò. Aveva un buon odore di fiori e sapone, ma lo preferiva di gran lunga quando portava l'aroma del mare. Il suo viso era affascinante, persino con quelle leggere occhiaie scure e quel taglietto chiaro sulla guancia poteva definirsi irrimediabilmente bello.

Gli sfiorò il collo e un angolo della camicia larga gli cadde sulla spalla. Indugiò troppo sulle scapole baciate dal sole e intravide il ciondolo che ogni arcadiano custodiva con cura. I cristalli erano rari, unici e potenti, permettevano di creare una via sicura per un viaggio e Alba sapeva usarli magnificamente.

«Se ne avessi uno...» sibilò pianissimo. «Me ne andrei via. Via come te.»

Da qualche parte il pavimento sfrigolò. Con attenzione si avvolse una garza sulla mano e acchiappò la biglia che si era intrufolata sotto un mobile di legno massiccio. La studiò meglio. Aveva visto perle più grosse e sassi più graziosi.

La ripose sulla scrivania. La nascose. Poi uscì di soppiatto a cercare qualcosa da sgranocchiare o qualcuno da infastidire.

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