IX
(Aargo)
Zero si stava trastullando nel salone insieme alla regina. Il tavolo rotondo era imbandito con deliziose pietanze, pane con marmellata, macedonia e fette di torta ricoperte di cioccolato. Il suo piatto era ripieno di moff azzurri, se li faceva saltare in bocca nonostante le lamentele della regina Alanna di aggiungerci della frutta sopra.
La regina se ne stava appollaiata sulla sua poltrona rossa, l'abito la faceva soffocare di caldo e una cameriera le stava facendo aria vicino. Leggeva uno dei suoi libri romantici e ogni tanto sorrideva emozionata, se la protagonista finiva tra le braccia del suo amore impossibile.
Alba arrivò sgargiante, aprì le porte e si presentò con uno sbadiglio. Aveva indossato la sua uniforme formale, quella giacca bianca con i doppi bottoni sul petto, le spalline dorate e alti stivali di pelle nera. I capelli erano scarmigliati, gli ricadevano ribelli sulle spalle.
«Buongiorno, miei più fedeli sudditi» gioì, fresco come una rosa. Saltellò accanto a sua madre e le diede un bacio sulla guancia, spiando tra le righe. «Pensavo non ti piacessero i pirati, madre! Forse ne vorresti uno con una folta chioma scura e peli sul petto pronto a...»
«Dovresti accompagnare il giovane Zero alle sue lezioni quest'oggi» tagliò corto lei, chiudendo il libro. «Bjørn non ha preso con leggerezza la sua assenza del giorno precedente, ha mandato uno dei suoi compagni a chiedere di lui di persona. Se non lo farai tu, temo che dovrà occuparsene un altro.»
Zero deglutì aspramente i tre moff che si era ficcato in bocca. La sua paura più grande era che Bjørn stesso si prendesse il disturbo di scortarlo di persona, com'era già successo. Le prime lezioni erano state uno strazio, i compagni lo trattavano male e lo evitavano. Finiva per trascorrere le giornate da solo, dovendosi subire le dure punizioni dell'alpha. Dopo un po' si era stufato, aveva deciso che non volesse andarci più, e si era incamminato da solo verso Med Blàden, da Ru. Bjørn aveva atteso alcuni giorni, poi lo aveva sorpreso ad allontanarsi e lo aveva legato per riportarlo a casa. I suoi genitori gli avevano fatto una predica di tre ore.
«Bjørn era decisamente più divertente anni fa» sibilò Alba.
Si sedette al tavolo e si verso una tazza di tè freddo, allungandolo con latte e miele. Era abituato alle colazioni sulla nave, all'odore di pesce e sale dell'oceano, la comodità di non sentire la terra oscillare sotto i piedi o quella di non doversi preoccupare se la tazza rimanesse in bilico erano ancora nuove per il principe. Preferì una colazione leggera. Il suo stomaco era ancora contratto per l'ansia.
«Dov'è mio padre? A quest'ora dovrebbe essere a mangiarsi una delle sue salsicce» puntò Alba, muovendo il cucchiaino in aria.
«È uscito presto per una battuta di caccia. Le guardie hanno segnalato un branco di cervi, uno di loro era bianco. Voleva a tutti i costi usare di nuovo il suo giocattolo» rispose vaga la regina, senza alcun interesse. I cervi bianchi erano un ottimo presagio ad Arcadia, si diceva che le loro corna portassero salute e fortuna a chi le indossasse. «Zero, piccolo! Basta ingozzarti di dolcetti. Alba, diglielo tu, non mi ascolta.»
Alba mosse il mento e l'alzatina contenente i moff volò accanto a Zero, il quale batté le mani e ne prese altri. Il principe aveva difficoltà a riconoscere la diversità tra la vita in mare e quella a corte; sulla solskinn era il capitano e i suoi uomini lo incorniciavano come il re dei mari. Al Grande palazzo era preso di mira dalle burle di suo padre e il sarcasmo era la sua unica arma di difesa.
«Intendi tenerci il muso per le parole che tuo padre ti ha rivolto ieri? Un atteggiamento piuttosto puerile» considerò la regina franca. «È questo che insegnerai ai tuoi futuri eredi, a disonorare tua madre e puzzare di idromele?»
«I miei figli quanto meno saranno divertenti» burlò duro. Afferrò l'intera bottiglia di succo d'uva e agitò la mano per salutare. «Questo è quanto. Andiamo, Zero. Muoio dalla voglia di grattarmi il sedere, questa stoffa prude ovunque.»
Il ragazzo si lagnò, voleva restare ancora un po' al castello e farsi un tuffo nelle piscine private. L'angolo ad ovest del palazzo era un paradiso, circondato da alte palme che facevano ombra al minuscolo campo di uva, c'erano le piscine.
Zero e Alba attraversarono i corridoi, diretti alle stalle. Charles, un membro della guardia, aiutò Zero a sellare il cavallo. Annuiva ad ogni lamentela di Alba e ogni tanto proferiva un "sì, principe" o "come no, principe", sperando di tirarlo su di morale. Le uniche cose che avrebbero migliorato l'umore nero di Alba la mattina erano un bicchiere di idromele e una donna nuda nel letto.
Charles era un esperto di cavalli ed era il responsabile delle truppe. I box erano gremiti di giumente di ogni razza e colore, le più fortunate avevano un puledro accanto che ciucciava il latte. Diversi uomini stavano pulendo le corsie e rifornendo le mangiatoie d'erba fresca.
Il cavallo di Alba era un purosangue bianco con una chiazza marrone su un fianco. Charles stava mettendo le stinchiere, il cavallo si lasciava accarezzare la criniera da Zero e attendeva con ansia il suo giro mattutino. Posizionata la sella e lasciando penzolare il sottopancia, il cavaliere gli infilo le redini al collo e l'imboccatura.
«Dovresti imparare ad andare a cavallo» disse Charles, dando una pacca all'animale.
Zero lo lasciò nitrire fiero e fece spallucce. «Non sono il tipo che cavalca cavalli. Mi disarcionerebbero, per loro puzzo.»
«Non volevi diventare un generale?»
«Sì, ma un generale che sta a terra.»
«Non funziona così» lo rimbeccò.
«Sono più veloce a piedi» garantì.
Zero prese le redini in mano e indirizzò il cavallo verso l'uscita del maneggio. Alba stava indossando i guanti e si sistemò il mantello blu, salì con un balzo e si sistemò meglio. Si osservò intorno, guardando con estrema attenzione gli angoli d'ombra sotto gli alberi, sperando di scorgervi qualcuno.
A tale rifiuto dell'universo alzò il mento in un silente ordine e partirono verso la Lega. La precedente sorgeva su un altopiano nella parte ovest della catena montuosa, un luogo ripido e pericoloso dove le rocce si buttavano a strapiombo nell'oceano. Una volta quel luogo era l'apice dell'isola, ora vi erano rimaste le statue distrutte delle dee, alcuni oggetti senza valore né vita.
La nuova Lega era per lo più un campo di addestramento per i cuccioli, dopo la fine della guerra si era resa necessaria la creazione di un nuovo luogo in cui farli giocare e addestrare con serenità. Il terreno era su una zona piana vicino allo stretto di Voli en, tra sud e ovest. Con la giusta dedizione, persino quei terreni aridi erano stati bonificati e adesso emergeva terra pulita ed erba verde.
Il vento li spingeva al campo e Zero aveva le budella contorte. Se avesse potuto sarebbe scappato via e si sarebbe nascosto nei boschi, ma non voleva far fare una brutta figura al suo principe né dare altri grattacapi ai beta di Bjørn. La maggior parte del tempo dovevano trascurare i loro compiti per corrergli dietro.
Dal campo si riuscivano a vedere sia il Grande sia il Piccolo palazzo, le due strutture principali sulla catena montuosa. Ormai il secondo era disabitato, un tempo era stato la dimora dei Saggi e un luogo di culto, dopo la strage dei Vampiri e gli omicidi, Gwyn viveva tra le sali reali e da eremita.
Sulla strada comparve Aro. Il beta sfoderò un'occhiata ambigua a Zero e schioccò la lingua. «Ti sei presentato, alla fine. Di nuovo in ritardo. Pensavo di doverti cacciare un'altra volta» berciò stufo. «Mi dispiace per il disturbo, min prins, da qui in poi ci penso io.»
Allungò il braccio per afferrare quello di Zero e il terreno gli bloccò i piedi, solidificandosi come argilla secca. Il beta sospirò sconsolato.
«Vi ho detto che era con me» rettificò Alba. Aro emise un trillo divertito, si liberò dalla magia e si spazzolò le scarpe dalla polvere.
«Bjørn è arrabbiato.»
«Lui è sempre arrabbiato» disse Zero a disagio.
Il campo-Lega era nel pieno delle sue attività, c'erano cuccioli di ogni età che correvano e urlavano in giro. I beta sorvegliavano con sguardo vigile coloro che si stavano allenando con l'arco e nei combattimenti, usando spade e lance di legno. Quelli che ancora non erano pronti erano negli orti ad annaffiare le piante o estirpare erbacce. La grande capanna che fungeva da ritrovo era la casa di Bjørn e dei suoi beta.
Zero si sentì gli occhi addosso appena mise piede dentro i cancelli, ben presto scoprì che l'attenzione era dovuta ad Alba. Il principe sedeva ritto sulla sedia, ammiccava dolcemente e le ragazze emisero versetti striduli. Pochi guardarono lui e, quelli che lo fecero, borbottarono infastiditi: Zero era il protetto dei reali, era invitato a balli esclusivi e poteva fare quel che voleva senza avere le preoccupazioni di essere cacciato o picchiato. Nessuno dei beta voleva rispondere di persona a Joseph, tanto meno alla regina.
Aro fischiò al suo alpha e Bjørn avanzò verso di loro. Era un uomo corpulento, pieno di muscoli. Doveva essersi trasformato da poco, aveva i pantaloni lacerati, sorretti da una cintola composta dai denti di lycan, e la pelle sudata. Il suo corpo era percorso da varie cicatrici dovute agli scontri con i Vampiri. Una lunga treccia bruna gli pendeva sulla schiena tatuata, i lati della nuca erano rasati. Il suo unico occhio buono incenerì Zero, la barba ispida e bruna.
Alba prese una grossa boccata d'aria, aspettandosi una scenata. Al contrario, l'alpha avanzò con passo pesante e lo squadrò da cima a fondo. Era il primo che avrebbe voluto che il principe restasse sull'isola, secondo Bjørn Alba aveva tutte le qualità per essere il miglior re; lungimirante, innovativo e carismatico. Grazie alle sue parole aveva ribaltato la situazione notevoli volte, difendendo i progetti di Lance sulla costruzione di dighe e nuovi sentieri battuti. Erano stati una benedizione per molti, specie i commercianti.
Un cucciolo di pochi anni si aggrappò alle gambe di Bjørn, seguito da altri quattro. L'alpha non aveva mai dato spiegazioni a nessuno, ma Zero credeva che alcuni di quelli fossero suoi.
«Pensavo ci fosse un accordo» tuonò Bjørn autoritario, incrociando le braccia. «Zero deve restare al campo fino al mio ordine. Presumo che la sua assenza di ieri abbia un fondamento logico e non che ti è venuto a prendere al porto e te lo sei tenuto per giocarci.»
Alba e Zero si scambiarono uno sguardo, entrambi messi all'angolo.
«Aveva un impegno a palazzo» lo difese il principe. «E la mia parola è legge.»
«La parola del re è legge e tu, mio vecchio amico, sei ancora il principe. Non mi interessa cosa fate insieme, ma è obbligato a venire qui. Se accadrà una seconda volta senza alcun preavviso, ne parlerò direttamente con il re» commentò aspro. «Hai altro da dirmi, futuro re?»
«Ti preferivo quando ancora sapevi sorridere» lo schernì audace.
Bjørn fece una smorfia. Era cambiato radicalmente con i primi attacchi dei Vampiri, nonostante fosse stato favorevole ai trattati e alla nascita di Zero. Le battaglie che aveva combattuto erano state troppo violente per dimenticarle, aveva perso molti beta, membri della sua famiglia, e da allora si era chiuso in se stesso.
«Avanti» ordinò Bjørn. Zero abbassò le spalle, passò le redini a Charles e salutò malinconico Alba. «Ti sei divertito abbastanza. Quale è stato il grande impegno che ti ha impedito di venire qui ieri?»
Zero fissò i bambini e uno di loro agitò la mano per salutarlo. Bjørn li ignorò.
«Mi stavo accoppiando» disse frivolo.
L'alpha gli afferrò un orecchio e lo tirò con sé, ignorando le urla di dolore. «Ottimo. Hai imparato una parola nuova.»
Lo trascinò per tutto il campo in quel modo e Zero dovette tenersi per sé le proteste. Bjørn detestava i bambini piagnucoloni. Lo seguiva, sperando di non scivolare a terra e vedere il suo orecchio nella mano dell'uomo, staccato dal suo corpo.
Passando in mezzo ai gruppi intenti nelle loro attività, alcuni si diedero delle gomitate e trattennero dei risolini. Sapevano benissimo che Zero fosse un piantagrane e che si divertisse troppo a fuggire da solo senza spiegazioni, puntualmente Bjørn malediceva gli dei e doveva andarlo a trovare.
«Se ti piace scherzare scommetto che ti farà piacere aiutare Petri» decretò Bjørn, indicandogli la capanna.
Zero si imbronciò. Nell'arena Finn e un altro ragazzo si stavano battendo a colpi di spada e moriva dalla voglia di unirsi a loro. Alcune ragazze giocavano con la palla. Sotto al portico della capanna, Petri stava pulendo le armature insieme ad altri ragazzini. Preparare il pranzo, sistemare le armi e occuparsi dell'orto erano le attività che gli scaricavano addosso come punizione, ben sapendo che il ragazzo bramasse l'attività fisica.
«Potrei allenarmi con gli altri e...» iniziò Zero.
«Vuoi mettermi alla prova?» lo provocò in un ringhio.
Zero deglutì. Negli occhi dell'alpha c'erano le fiamme della guerra e del sangue versato. Per quanto anche Bjørn sapesse che Zero fosse estraneo a tutte quelle vicende, una parte di lui non poteva ignorare la sua stirpe.
«No» ammise Zero.
«Renditi utile.» Addolcì il tono e lo spinse da Petri.
Petri era uno dei beta al servizio di Bjørn, era abbastanza taciturno e tranquillo, perciò a Zero andava abbastanza a genio. Passava il suo tempo libero con i gruppi più piccoli e impediva loro di uccidersi per sbaglio.
Attorno a lui c'erano altri ragazzini, cinque o sei in tutto. La maggior parte dei ragazzi alla Lega avevano quindici o sedici anni, erano il gruppo più numeroso e quello che faceva maggiormente chiasso. A parte nelle prime ore del pomeriggio, quando persino Bjørn si stendeva sotto un albero a russare, i ragazzi se le suonavano o erano nei boschi a imparare a cacciare.
Zero aveva saltato i gruppi ad una velocità impressionante e, dopo un'attenta analisi, Bjørn lo aveva inserito in quello principale. Lo aveva visto combattere contro Finn, era lui quello che prima dell'Ibrido aveva il titolo di campione, e l'alpha si era meravigliato dal suo stile di combattimento. Joseph gli aveva già insegnato a cacciare e sotto la guida di Lance e altri Vampiri era migliorato in pochissimo tempo, i suoi sensi si erano acuiti, così come la forza, la velocità e la rapidità con cui affrontava una situazione difficile.
Zero prese posto accanto a Petri e strofinò furioso lo straccio su qualche spallaccio mal ridotto. Preferiva quel compito a quello di restare nelle cucine a pelare patate o sfoltire cavolfiori. La mensa era un padiglione a cielo aperto, mangiavano a terra e bevevano da una fonte vicina.
Viggo era insieme ai bambini della sua età e sguazzava nel pozzo della cascata, faceva del suo meglio per impedire ai suoi amici di non fissare Zero e lui, per quanto fosse un tipo aperto, si sentì in imbarazzo. Era come se si aspettassero di vederlo balzare su qualcuno e perforargli la gola con lunghe zanne affilate, per loro sfortuna non era mai accaduto.
Passò l'intera mattinata a lucidare gambali, spallacci e togliere fango e sangue dalle spade di legno. Dava delle occhiate ogni tanto a Finn, pregando finisse a terra e si facesse male. Il Licantropo però era nel pieno delle forze, da poco aveva imparato a controllare la trasformazione e schivava e affondava degnamente. Persino Zero non aveva alcun appunto sul suo stile.
L'unica cosa buona che accadde fu che Astrid, silenziosamente, lo salutò e lo aiutò nel suo lavoro. In compenso imparò benissimo a lucidare placche con olio e succo di limone. Si sfogò sfregando quegli stracci, con i cuccioli che gli ridevano addosso.
Bjørn chiamò Petri e gli altri beta e lui si perse nei suoi pensieri, domandandosi come mai non avesse parlato ad Alba dei suoi sogni. Era un mago, probabilmente avrebbe avuto una spiegazione plausibile per le sue visioni e avrebbe potuto estrargliele. Il pensiero che gli toccasse la testa, che riuscisse a vedere ogni suo segreto e intimo anfratto lo disturbò.
«Che diamine!» esclamò Astrid. «Che stanno facendo?»
Zero alzò la testa e notò che i ragazzi si erano radunati a cerchio e stavano fischiando. Lasciò perdere il suo lavoro e andarono a controllare con fare curioso. Trovarono Viggo e Finn che si stavano picchiando, o almeno quella doveva essere la parvenza di una rissa: Finn era altissimo in confronto all'altro, era abbastanza bello, la pelle chiara, i capelli biondi e al collo aveva una collana di conchiglie. Disarmò il suo avversario con un colpo netto e lo fece cadere a terra con una spallata. Viggo lasciò cadere il suo bastone e Finn lo alzò di peso, mettendolo a testa in giù.
«Che ne dite? Lo porto al porto e lo appendiamo come un pesce da marinare?» lo schernì forte e i suoi amici applaudirono. «I tuoi genitori devono proprio essere orgogliosi di te, stupido imbecille, a malapena sai tenere una lancia in mano!»
«Mettilo giù» sputò Zero. «Adesso!»
Viggo piagnucolava con la faccia rossa.
«Ci senti o hai le zecche nelle orecchie, Finn? Ti ho detto di lasciarlo» insisté Zero e i ragazzi gli diedero delle pacche sulle spalle, spronandolo ad attaccare bottone. «Prenditela con uno che sa reggerla, quella fottuta lancia.»
Finn fece un sogghigno spavaldo e mollò il bambino, il quale cadde su una pozza di fango e dovette pulirsi gli occhi. Zero si avvicinò per aiutarlo, lo tirò in piedi e lo allontanò dalla folla.
«Che cazzo ti salta in testa di fare, è due volte te» sbottò Zero.
Viggo si tirò su il naso e balbettò qualcosa. Pensò fosse stato uno stupido, immaginò che Finn avesse detto una delle sue stronzate e Viggo si fosse alterato. Aveva deciso di difendere il suo onore nel peggior modo possibile; aveva un occhio gonfio e una sbucciatura sulla spalla, laddove era caduto sui sassi.
«Avanti» protestò Finn, lanciandogli il bastone. «Uno scontro leale, cucciolo bastardo.»
Zero guardò la piccola sezione in cui si sarebbe svolto il loro scontro, era abbastanza cedevole e i sassi pungevano i piedi. Scrutò le facce dei presenti, alcuni dei ragazzi – specie quelli più grandi – erano sospettosi e cupi. Tutti sapevano i crimini dei Vampiri e Zero ne portava il fardello. Era l'unico con cui se la potessero prendere dato che quella razza fosse sterile e i bambini erano proibiti.
I bambini saltavano, incitandolo per l'aiuto dato a Viggo. Era stato un loro compagno alcuni anni prima, quando ancora poteva definirsi tale. Erano gli unici a non essere turbati dai pettegolezzi o dicerie, lo avevano trattato come un amico e a Zero mancava quella sensazione di appartenenza. Anche lui voleva un branco.
Zero afferrò la lancia al volo e la roteò tra la dita. Finn alzò la sua spada. Aveva decisamente voglia di combattere e di far durare abbastanza lo scontro. I suoi amici fecero indietreggiare gli altri, lasciando ai due contendenti più spazio.
«Adesso vedremo di persona cosa ti hanno insegnato quei succhiasangue» commentò acido. «Mio padre ha detto che lecchi il culo del principe, per questo ti vuole così bene. Sei peggio di quello stupido meticcio di tua madre.»
Meticcio era il termine più offensivo che un Licantropo potesse sentirsi dire e di solito era lanciato verso a coloro che erano stati trasformati da un alpha naturale. Aumentavano il disprezzo dei purosangue verso coloro che avevano ottenuto il dono con semplicità. Sua madre era stata trasformata da Ru, eppure erano ancora in tanti a definirla la "principessa del nord", il grande lupo bianco.
Finn attaccò per primo e Zero evitò con facilità il fendente. Incastrò la lancia tra i piedi dell'avversario e lui ci inciampò. Fece per colpirlo in piena faccia e il ragazzo strillò. La punta della lancia si fermò a pochissimo dal suo naso e Finn rimase di stucco, tremando.
Zero inclinò il capo, spostando la punta dell'arma verso la gola. «I succhiasangue mi hanno insegnato meglio di tuo padre. Parla di mia madre un'altra volta e...»
«Che diamine state facendo?» urlò Bjørn, notandoli in quel momento.
Finn si alzò al volo e nascose la spada. Sperò di avere un'aria dignitosamente vaga e ci riuscì malissimo, anche lui era finito sul fango e aveva la faccia dipinta di marrone. Stupidamente Zero fece lo stesso e l'alpha fissò indignato il pezzo di legno che gli spuntava dalla testa.
Bjørn afferrò i ragazzi per le braccia e li tirò con sé, spostandoli dal gruppo che intanto fischiava e cantava. I beta scossero le teste, anche loro erano divertiti dal litigio e dalla velocità con cui era finito.
«Chi ha iniziato?» li interrogò Bjørn furioso.
Finn e Zero si lanciarono un'occhiata ambigua e il ragazzo biondo si morse la lingua. «Io mi stavo allenando. Lui si è intromesso.»
Bjørn si voltò verso Zero.
«Stava umiliando Viggo. È facile prendersela con chi non può combattere. Se sei caduto è perché hai sbagliato» rispose «e anche perché sei un coglione.»
Finn si mosse inviperito e Bjørn lo afferrò per il collo, trattenendolo. Studiò da sopra la spalla il piccolo Viggo, i bambini lo stavano aiutando a togliersi il fango dal collo e dedicò ad entrambi un'occhiata di rimprovero.
«Zero ha molto difetti, ma questa volta credo proprio abbia detto la verità» abbaiò Bjørn e gli occhi di Finn si allargarono. «Quale è l'unica regola della Lega?»
«Non si attacca per uccidere» recitarono in coro i due ragazzi.
«Te la stavi prendendo con un cucciolo molto più piccolo di te, Finn, cosa volevi dimostrare, che sarai un buon alpha un giorno? Un alpha si preoccupa di ogni membro del suo branco, specie di quelli più piccoli e indifesi» tuonò severo, puntandogli un dito contro. «E tu dovevi lasciare che se la vedessero loro due. Non sei un eroe. Ti avevo detto che oggi non avresti toccato un'arma e mi hai disubbidito. Di nuovo. In ginocchio.»
Finn si gettò a terra, eseguendo l'ordine senza alcun indugio. Le parole dell'alpha erano legge al campo, Bjørn era un ex campione amato e temuto, il guerriero che nessuno avrebbe affrontato sobrio. Lui voleva bene a Chloe e rispettava Joseph, ma come tutti i lupi odiava i Vampiri.
Zero strinse i pugni.
«In ginocchio» ripeté Bjørn. Finn gli diede un colpetto sulla gamba. «Adesso.»
«I lupi chinano la testa ad altri lupi. Dai ordine a uno dei tuoi beta se vuoi vederli in ginocchio» sentenziò Zero con fare aspro.
Pensò che Bjørn gli avrebbe urlato addosso, com'era solito fare quando otteneva una risposta sgradita, invece prese entrambi i ragazzi e li trascinò con sé. Borbottò tra sé e sé parole incomprensibili e persino Finn decise che per quella giornata avesse tormentato la pazienza dell'alpha troppo a lungo.
I beta tennero lontani i ragazzi che protestarono la decisione del grande capo. Bjørn li scaraventò sotto un albero a pelare mandarini per i cuccioli e i due rimasero in silenzio a farlo. Ogni tanto Zero lanciava uno sguardo o due agli adulti e li vedeva confabulare nervosamente, la sua natura inquieta li turbavano, avevano paura di perdere il controllo su di lui.
Sapeva bene cosa sarebbe successo nel caso in cui il re avesse decretato fosse pericoloso. Bjørn o un'altra guardia gli avrebbero tagliato la corda e sarebbe iniziata una seconda guerra. Questa volta una fatale per entrambe le fazioni.
Per fortuna Finn non era dell'umore giusto per punzecchiarlo o torturarlo, oltre lo strato di fango poté scorgere un rossore di vergogna e rabbia. Era passato solo un anno e, sotto gli occhi dei ragazzi più grandi, Zero era cresciuto e fortificato. All'inizio era stato divertente prendersi gioco della sua ingenuità, poi aveva imparato a combattere, a difendersi e a tenere lo sguardo fisso sull'avversario senza perderlo di vista. Allora gli altri si erano sentiti come prede di fronte ad un vero Vampiro assetato del loro sangue.
Nonostante tutto la Lega gli piaceva. Non voleva dare un dispiacere a sua madre dicendo l'opposto. Si era abituato ai commenti acidi, alla nebbia mattutina d'inverno e alle rocce roventi d'estate, così come al profumo di fragole selvatiche o a quello delle alghe accanto al pozzo. Mangiava e si allenava con gli altri se era una bella giornata e si sforzava di sentire una connessione con gli altri, senza risultati. Si sentiva diverso e né i Licantropi né i Vampiri potevano capire quella sensazione.
Zero rimase in disparte persino quando, dopo il pranzo, Bjørn cominciò ad addestrare di nuovo i ragazzi più grandi. Qualcuno gli diede del filo da torcere, come Pål, ma l'alpha vinse senza alcuno sforzo. Gli altri se la cavavano a stento, cominciarono dalle spade per poi passare allo scontro diretto. Bjørn mostrò le stoccate, parate e blocchi con lo scudo, infine lasciò provare ai suoi allievi. Ad uno ad uno sfilarono davanti al potente guerriero, si sforzavano di lottare al meglio e finivano con la faccia a terra. Ad ogni duello i ragazzi erano sempre più malconci e depressi, riconoscendo che non avrebbero mai battuto una furia simile.
«Guardia alta» incitava Bjørn, dando cazzotti e spinte. «Troppo in alto, schiva! Affonda e ora indietro, bene!»
Quando finalmente annunciò la pausa, i ragazzi che avevano combattuto erano fradici di sudore e quelli più piccoli stavano bevendo succhi di arancia, godendosi quello spettacolo. Persino Viggo rimase ad ammirare il suo maestro.
Finn si sporse verso di lui. «Guarda cosa ha distrutto tuo padre, mostro» sputò.
«Mio padre non ha distrutto la vecchia Lega» specificò Zero e sapeva che quelle scuse fossero inutili.
«Non me ne frega un cazzo, è uno della loro razza. Lo ha fatto quello svitato del suo padrone, il Vampiro nero.»
Alcuni chiamavano con quell'appellativo Lance. Era un misto di paura – perché gli arcadiani credevano che i nomi avessero molto potere, com'era per fate e Demoni – e di rabbia: Lancer era il nome di un nobile guerriero e lui aveva abbandonato le sue radici per trasformarsi in qualcosa di peggio.
«Parla di lui un'altra volta...» Saltò in piedi e Aro si schiarì la gola.
Lasciò perdere. Presto o tardi Bjørn li avrebbe fatti combattere di nuovo e gli avrebbe spaccato il muso. Preferiva che tacessero su quella lite, altrimenti suo padre lo avrebbe di nuovo sgridato. Metterlo all'angolo era l'unico modo per farsi sentire, le punizioni con Zero erano inutili. Faceva quello che voleva.
Bjørn li richiamò all'attenzione, prendendo in braccio uno dei cuccioli più piccoli, un maschietto che a malapena spiccicava qualche parola.
«Per oggi gli allenamenti sono finiti, alcuni di voi hanno avuto il loro momento di gloria» parlò, lanciando un'occhiata a Zero e Finn. «Per il resto del pomeriggio vi darò un compito facile: portatemi i fiori di gardenia e avrete un premio. Un'arma forgiata su misura con il metallo del permafrost, ve la farò di persona.»
I ragazzi fischiarono eccitati e Zero alzò un sopracciglio. Anche lui moriva dalla voglia di ottenere una vera arma tutta per sé, fino a quel momento ogni arma che aveva provato gli era scomoda. Le spade erano sbilanciate, gli archi ingombranti, le asce pesanti. Desiderava avere una vera lancia con cui allenarsi e il metallo del permafrost era il più duro e resistente agli urti.
L'unica pecca nella sfida dell'alpha era che i fiori di gardenia fossero rarissimi, se non introvabili. Erano degli steli pallidi a cui cima c'era un bulbo nero con intorno dei petali disposti in ombrelle. Sbocciavano nella stagione delle piogge intense e morivano con altrettanta velocità. La loro particolarità era che fossero potenzialmente pericolosi, il bulbo conteneva una polvere urticante che, se inalata, ti rendeva isterico. I petali, al contrario, avevano un effetto calmante.
Uno dei cuccioli di Bjørn ne aveva trovato uno l'estate precedente e lo aveva mangiato intero. In meno di due minuti stava rosicando le caviglie dei beta e provato ad azzannare l'alpha. Si era calmato un'ora dopo, confuso e affamato.
«Branchi da tre, avanti» spronò Bjørn frettoloso.
Finn volò dal suo amico Juho, si diedero il cinque e si sussurrarono qualcosa all'orecchio. Zero rimase in disparte e, come al solito, vide i gruppi formarsi da soli sotto i suoi occhi. Non aveva mai legato particolarmente con nessuno, Astrid era con le sue amiche e Viggo era stato trascinato via.
Zero fece per allontanarsi e Bjørn gli tirò la maglietta, facendogli slittare i piedi indietro. «Qualcuno deve prendersi Zero. Volontari?»
I ragazzi trattennero dei sorrisetti astuti e si guardarono tra loro senza dire una parola. Quella manfrina era già capitata altre volte e il cucciolo aveva imparato a farsene una ragione.
«Faccio branco da solo, non è poi tanto lontano dalla realtà dei fatti» soffiò Zero.
La verità era che era stanco di quella giornata, voleva passare un pomeriggio tranquillo e far finta di essere occupato con una missione era la scusa perfetta. Se ne sarebbe stato in panciolle e la sera sarebbe tornato a mani vuote, fingendo la delusione.
«Nessuno?» insisté Bjørn. «A parte te, Viggo.»
«I Vampiri cacciano da soli, ce la posso fare!» ringhiò Zero tra i denti.
Bjørn non mollava la presa sulla maglietta e il ragazzo cominciò a sentirsi un perfetto imbecille a tentare di scrollarselo di dosso. Sua madre doveva aver parlato con Bjørn, dopotutto erano stati campioni insieme, seppur per un brevissimo lasso di tempo ed erano molto amici.
Juho alzò la mano. «Io e Finn saremmo contenti di averlo. Verrà con noi.»
Zero allargò gli occhi e, di nuovo, provò a correre via in un patetico tentativo di fuga. Avrebbe preferito giocarsi la sua anima a carte con il demonio piuttosto.
Bjørn fece un largo sorriso e lo lanciò ai due ragazzi, i quali lo presero al volo.
«Le regole le conoscete, sono sempre le stesse. Non superate il permafrost, per il resto avete valli e foreste da esplorare. Muovetevi in branco per sicurezza ed evitate di usare armi, non voglio uccisioni o mutilazioni. Il primo che tornerà qui con un vero fiore azzurro avrà la sua ricompensa. Andate!»
Finn dovette tirarlo per farlo schiodare dalla sua posizione ferrea di "non ho alcuna intenzione di passare un bellissimo pomeriggio a cercare una pianta con persone di merda". Alla fine Aro e Grete li spinsero fuori e Zero trascinò i piedi dietro i due ragazzi.
Finn e Juho erano presi da quella sfida, aspettarono che gli altri gruppi si fossero dileguati e buttarono giù qualche idea su dove potesse essere quel fiore. Avrebbero puntato a sud, laddove i terreni erano più paludosi, ricchi di nutrimento.
Pål andò verso di loro e diede una spintarella a Finn.
«Non ti spiace se facciamo a cambio, vero, Zero?» domandò pigramente Pål. «Insomma, ho solo pensato che i Licantropi migliori dovessero stare in branco, tutto qui. Perché non vai a farti un giro?»
Pensare era un termine grosso per uno come Pål. Era un ragazzo bassetto, ma davvero muscoloso. Si diede dello stupido da solo per aver creduto che Finn e Juho avessero fatto un'opera caritatevole invitandolo ad andare con loro. La vita in branco non era un piatto bilanciato e non doveva esserlo: l'alpha era la cima della piramide, il capo, c'erano i beta e poi gli omega. Era la natura. Era compito dell'alpha però proteggere i suoi compagni e tenere i poteri uniti.
«Bjørn ha detto che...» protestò Zero.
«Sei il primo che non crede nel lavoro di squadra» lo affrontò Juho.
«Già, e poi i Vampiri cacciano da soli» gli fece il verso Finn. «Vai a farti un giro, mostro.»
Gli diede una spinta e Zero abbrustolì di rabbia. Per due secondi pensò se fosse il caso tirargli un pugno sul naso, poi capì che non avesse davvero voglia di stare là e decise che fosse una specie di vittoria. Alzò le spalle e se ne andò.
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