capitolo 4
Bordeaux, 20 Giugno 2012
Elodie
Bordeaux in estate si dipingeva di colori. Una volta che l'inverno era passato, le attività iniziavano a incrementarsi. Lungo il Garonne facevano mostra di sé i mercati con i propri manufatti esposti
e la tipica gastronomia con i macarons e il pain au chocolat. Numerosi gli artisti di strada, i poeti e i compositori di note malinconiche.
Da dietro i cancelli rossi del Jane Mureau si intravedeva parte di questo.
Ovviamente non eravamo segregati, c'erano giornate in cui ci era permesso uscire anche senza eventuali accompagnatori. Assaporavamo quella liberta, che alcuni fra non molto avrebbero conosciuto per davvero raggiunta la maggiore età.
Non avevo voglia di alzarmi e prepararmi, né di uscire, e per certi aspetti che fosse sabato andava più che bene; nessuno mi avrebbe costretta alle quotidiane attività di rito. Però mi ero imposta di non cadere nell'apatia, e anche se di malavoglia avevo indossato gli unici jeans in mio possesso e che mi facevano tanto somigliare a una teenager qualunque, una maglia color cipria forse un po' informe, e dopo aver raccolto i capelli in una treccia laterale forse un po' imprecisa avevo abbandonato la mia stanza con l'intento di dirigermi in centro e poter ammirare le bancarelle di un vecchio mercato rionale. Volevo anche far visita a un'antica libreria della zona; il proprietario mi permetteva sempre di leggere qualcosa senza dover necessariamente acquistare.
Mi guardai le mani prima di uscire e feci una smorfia orripilata. Avevo i polpastrelli macchiati di carboncino, le unghie troppo corte e le mie mani come sempre odoravano di tempera.
Ero la ragazza meno attraente di tutto il Jane Mureau, le altre profumavano di sapone e acqua di colonia.
A metà corridoio mi bloccai. Appoggiato a una parete, con le braccia incrociate contro il petto e un ghigno strafottente stampato in faccia, c'era Jeöl Lafebvre.
Ero sicura stesse aspettando proprio me, e me ne diede conferma quando si staccò dalla parete e mi venne incontro.
Erano passati all'incirca tre anni dal suo arrivo a Jean Mureau e non era rimasto quasi niente del ragazzino ossuto con i capelli a caschetto che avevo incontrato nel frutteto.
Adesso era più alto della media, con i capelli mossi perennemente spettinati e un fisico che si stava irrobustendo.
Era bello oltre ogni immaginazione, almeno per gli standard di una quattordicenne in piena crisi ormonale.
Era una specie di leader, qualcuno che tutti prendevano in considerazione a eccezione della sottoscritta. Non lo trovavi mai da solo, i ragazzi lo rispettavano e le ragazze gli morivano dietro.
I suoi modi continuavano a infastidirmi, criticava e inveiva contro tutto ciò che facevo, ma sapevo fronteggiarlo. Non mi spaventava.
Non sapevo in cosa avessi sbagliato, fatto sta che provava una profonda avversione nei miei confronti, qualcosa di viscerale che aveva manifestato senza timore fin dal nostro primo incontro.
Lo vedevo dagli sguardi che mi lanciava, dalla sua insofferenza nei miei riguardi: mi odiava dal profondo.
Quando fu a pochi centimetri da me, si fermò e mi esaminò senza ritegno, soffermandosi più del dovuto sulla sedia a rotelle.
Sorrise ma i suoi occhi erano gelidi, nonostante richiamassero i caldi colori dell'autunno, erano freddi come la neve.
"E io che pensavo non saresti uscita," mi derise.
Alzai gli occhi al cielo. "E perché di grazia?" Conoscevo perfettamente il motivo, ma finsi una noncuranza che non provavo.
La settimana prima durante la solita uscita, alcuni ragazzini mi si erano issati contro. Mi ero sentita a disagio e spaventata, ma non per questo mi sarei comportata da codarda, non davanti a lui che non aveva mosso un dito per aiutarmi.
Iniziò a girarmi attorno osservandomi ancora più da vicino. "Non dovresti andare," disse allungando la mano fino a sfiorarmi i capelli per un' istante.
Un brivido mi fece formicolare la pelle nel momento esatto che mi sfiorò.
Lo guardai contrariata. Non sapevo se il suo era un consiglio o altro, eppure mi diede profondamente fastidio.
"Invece uscirò!" mi infervorai."
Lafbvre aveva la spiccata qualità di farmi sentire inferiore.
Si chinò alla mia altezza poggiando le mani sui braccioli della corrozina e mi guardò negli occhi. "Sei una stupida," disse con sprezzo "devi rassegnarti all'idea che non puoi fare tutto quello che vuoi."
Non capivo nemmeno perché si infervorasse così, ma sapevo che non stava mentendo e pensava realmente ciò che diceva. Se c'era una cosa che faceva sempre era sbattermi in faccia la verità, senza mezze misure.
Non mi trattava con delicatezza come facevano tutti. Nessuna gentilezza.
Digrignai i denti. "Non sono cose che ti riguardano. Pensa alle tue cose," dissi tremante "a tuo padre e a tua madre che ti hanno relegato qui dentro." vidi Lafebvre adombrarsi e sollevarsi di scatto ancora più furente.
"Non dire più una parola," mi intimò cupo "possiedi l'innata capacità di mandarmi su tutte le furie "
Nonostante avessi detto quelle parole per ferirlo per come lui stava facendo con me, me ne pentii, ma ormai il danno era fatto.
"Lafebvre... " non sapevo cosa avrei voluto dire, il suo cognome era scivolato fuori dalle mie labbra senza che avessi minimamente pensato alle parole.
"Sta zitta!" disse rabbioso indietreggiando di qualche altro passo e dandomi le spalle.
Pochi istanti dopo era sparito dalla mia vista.
Note autrice:
Eccocci nuovamente al Jane Muresu. Cosa ne pensate di queste finestre aperte sul passato?
Per quale motivo Lafebvre si comporta così con Elodie?
Vi sta piacendo la storia?
Lasciate dei commenti per favore.
Cinzia
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