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-Tu veramente mi stai dicendo che non solo mi hai lasciata sola per la seconda volta ma che hai anche cacciato via di casa quello che sembra un ragazzo uscito da un romanzo di Nicholas Sparks? – Eleonora è sconvolta.
Ho dovuto raccontarle tutto ciò che è successo dopo esser andata via con Emanuel dal bar. Lei ha ascoltato ogni minuzioso dettaglio e mi ha offerto di restare a casa sua per il resto della serata bevendo vodka davanti a un film sul suo divano.
La giornata di lavoro è stata piuttosto stressante. Non riesco a scacciare dalla mia testa un Emanuel umiliato e nervoso che si sbatte la porta di casa mia alle spalle. Le lacrime hanno continuato a sgorgarmi lungo il viso tutto il resto della giornata, finchè non ho deciso di guardare un film su Netflix e di addormentarmi.
Ero a lavoro stamane e avevo un cliente alla cassa quando da lontano mi è parso di vederlo, o almeno credevo fosse lui perché sto impazzendo e vedo la sua faccia anche in altre persone.
- Non sembra strano anche a te? – Sbuffo, masticando il mio toast con formaggio fuso e prosciutto.
- Cosa? Che sia così perfetto? – Ride, tirandomi un pugno amichevole sulla spalla.
- Beh, sì, potrebbe essere solo una maschera con fini sadici che si è creato per aggrappare qualche preda, no? – Spalanco gli occhi e l'idea sembra plausibile anche a me stessa.
Mi rivolge un'espressione oltremodo sconcertata: - Mar, il fatto che un uomo abbia dei valori, che rispetti le donne e che sia decisamente d'altri tempi non vuol dire che sia finto o un sadico psicopatico. - Mi poggia una mano sulla gamba. – Avanti, dimmi tu cosa hai pensato quando ti ha chiesto di fidarti di lui. Credevi che stesse solo inscenando una parte o gli hai creduto? –
Ripenso ai suoi occhi e alla sua aurea fiduciosa nei miei confronti e mi chiudo il viso nelle braccia, serrandole davanti ai miei occhi: - Mi sembrava sincero. – La voce mi trema. – Sono un disastro, Ele. – Singhiozzo, stringendola tra le mie braccia, in cerca di un conforto ammirevole.
-Non dire così, Mar. Sei solo tanto spaventata. – Mi carezza i capelli. – Non hai mai avuto una relazione ed hai paura di soffrire, lo capisco. Ma comprendi anche tu che dovresti darti una possibilità? Insomma, non dico starci insieme per tutta la vita e crearti una famiglia ma almeno inizia con il dirgli il tuo nome. Non hai cancellato il suo numero, potresti sempre chiamarlo. – Mi indica il mio cellulare, sorridendomi. – Non perderti un uomo che ti mette a letto mentre sei sbronza e che registra il suo numero nella tua rubrica sotto nome de "Il tuo destino." Non farlo per il tuo immenso orgoglio, Mar. Meglio avere rimorsi che rimpianti. – Afferra il mio cellulare e me lo porge. – Chiamalo o, se hai paura del confronto, scrivigli un messaggio. – Mi incita, persuasiva.
-E cosa dovrei dirgli? Non saprei neanche da dove iniziare, l'ho trattato come se fosse stato una pezza per il bagno. – Ripongo il cellulare nuovamente sul divano e afferro la bottiglia di vodka.
-Beh, potresti sempre chiedergli scusa e basta, anche solo per stare bene con la tua stessa coscienza. – Mormora, strappandomi la bottiglia dalle mani.
-Posso dormire qui? – Cambio repentinamente argomento, ignorando i miei pensieri contrastanti.
-Ogni volta che vuoi, Mar. Mi casa es tu casa. – Ridacchia. – Ma sul divano. – Rido con lei e mi lascio andare alla magnifica sensazione della scoperta di un nuovo rapporto nascente. Non ho mai avuto nulla che si avvicinasse all'idea di un'amica ed Eleonora sembra ben propensa a farmi adorare il suo ruolo.
Cullata da questi pensieri crollo in un sonno magnetico e ristoratore.
E' trascorsa quasi una settimana da quando ho passato la notte da Eleonora e neanche una volta ho trovato il coraggio di chiamare o semplicemente scrivere ad Emanuel. C'è qualcosa che mi frena costantemente. Il mio ego? Non so, non so se può essere più forte del desiderio che bramo nel vederlo, ma di certo al momento è al primo posto e sta vincendo la sua insulsa gara.
Mi preparo per la serata con Ele, ha promesso di portarmi in un locale abbastanza prestigioso vicino al centro di Napoli e la sua proposta mi ha sorpresa in un primo momento perchè non credevo conoscesse locali diversi da quello che le ho fatto vivere io per prima.
Opto per una gonna di pelle a volant ed una bralette sempre intonata, un paio di collant nere e stivali di camoscio con il tacco sempre moderato. Il mio trucco è più leggero, in contrasto con l'outfit un po' dark e lascio i capelli morbidi cadermi sulle spalle in onde appena accennate. Io ed Ele abbiamo deciso di usare la sua auto e l'attendo per qualche minuto sul mio letto. Prendo il cellulare e cerco istintivamente il nome "Emanuel" nella barra di ricerca di Instagram, nella speranza di trovarlo tra i mille utenti con lo stesso nome finchè il suono del campanello mi fa balzare dal letto e mi arrendo anche a quella sciocca ricerca.
Indosso velocemente il cappotto e di corsa afferro la borsa raggiungendo Eleonora in auto che mi sorride e mi saluta con uno schiamazzo esaltato.
-Quindi non ci sei mai stata per davvero? – Mi chiede, tenendo gli occhi fissi sulla strada.
-No, mai sentito nominare, eppure è una zona che ho frequentato molto fino a pochi anni fa. E' un posto elegante? – Discutiamo del locale in cui mi sta portando e mi accenna un sorriso.
-Non proprio. Sei vestita bene, comunque. – Mi rivolge un'occhiata e poi si riconcentra sulla strada di fronte a sé. L'autostrada sembra infinita. –Io ci sono stata con il mio ex per un compleanno di un suo amico e devo dire che gli stuzzichini sono ottimi. – Ridacchia.
-Questo mi rincuora. – Seguo la sua risata. – Non ho intenzione di bere, Ele..O, almeno, di ubriacarmi. – Sospiro. – Voglio godermi la musica e quel che ne segue. –
-Sono d'accordo con te, Mar. Facciamolo. – Mi porge la mano e gliela stringo, in premessa di un patto stipulato ai fini di una serata sobria e magnifica.
Giungiamo nel luogo annunciato da Ele. L'insegna è illuminata dai neon e sembrano esserci ancora le lucine natalizie tutt'intorno. "The blue." E' chiamato, un nome abbastanza introspettivo; dalla struttura esterna mi immagino un locale poco elegante ma neanche tanto sciatto: sobrio, lo definerei. Quando entriamo all'interno dello stabile tiro un sospiro di soddisfazione nel notare che ha esattamente l'aria che gli avevo attribuito nella mia immaginazione.
-Che te ne pare? – Eleonora mi sta guardando ed allarga le braccia per accentuare lo scopo della sua domanda.
-E' veramente carino. – L'orologio londinese appeso tra gli scaffali di bottiglie dietro al bancone del bar segna le undici di sera e me ne accorgo anche dal fatto che inizia a riempirsi sempre più la sala.
Non è molto espansiva ma lo è il giusto da supportare abbastanza divanetti per tutti i presenti e abbastanza metri di pavimento per coloro che vogliono ballare.
-Uno e basta? – Eleonora mi fa cenno verso il bar ed io le sorrido.
Ci dirigiamo verso quello che sembra il paradiso dell'alcool perché innumerevoli risultano gli scaffali e le vetrine riempite da bottiglie di ogni genere: apertivi, grappe, amari, whisky, brandy, rum e così avanti per ore.
Davanti a noi si presenta un ragazzo che tiene uno shaker tra le mani e uno straccio con cui pulirlo. I suoi lineamenti sono ben definiti, il volto è coperto da poca barba ma da una folta chioma di capelli scuri; ha la pelle olivastra e i suoi occhi sono scuri, più dei capelli, lunghi e ricci, ma non quanto il colore della sua pelle. E' alto e la sua presenza è influente, è un bel ragazzo e mentre poggia lo shaker sul bancone non posso fare a meno di notare le sue mani venose e grandi, ben curate, senza alcun tipo di difetto e senza neanche desiderarlo mi appare davanti agli occhi un flashback di un momento vissuto con Emanuel, quando nell'auto mi carezzava con le mani così simili a quelle di questo barista, solo più chiare.
-Desiderate qualcosa o siete venute ad ammirare la vetrina? – Il ragazzo mi percuote dai miei ricordi e scrollo il capo, sorridendo insieme ad Ele.
-Che impertinente. - Sorrido, con fare civettuolo. -Due tris di vodka. –
Sorridiamo complici perchè consapevoli di aver estirpato una promessa sul nascere.
La musica mi pervade le orecchie e le vene come acqua che fluisce lungo un canale. Mi faccio rapire totalmente accompagnando i miei movimenti con espressioni deliranti che ben conosco di me stessa e che anche Eleonora mi fa notare. Lei è ancor più rapita di me e balliamo insieme mentre ci tocchiamo i fianchi come se fosse una danza erotica. Ci abbracciamo senza perdere il ritmo e scoppiamo entrambe in una fragorosa risata, piena di vitalità ed energia. Non credevo di poter incontrare una persona così simile a me eppure così diversa a questo punto della mia vita, eppure eccola qui davanti a me che muove il sedere verso di me e ride come una matta. Abbiamo ingerito un solo drink, il resto è tutta euforia dei sensi. Completamente naturale.
Mi fermo solo per un attimo e riesco a scorgere da lontano una porticina dalla quale entrano ed escono persone, sembra un' uscita per fumatori e sento incombere la necessità di una boccata d'aria. Avviso Eleonora del mio allontanamento e lei mi incita ad andare senza crearmi problemi e così lo faccio. Sgomito tra le persone che attaccate tra loro si muovono in movimenti eccessivi, proprio come stavo facendo io poco fa; non sono di certo da biasimare.
Raggiungo finalmente l'uscita e alla mia vista si apre un giardino illuminato da lucine bianche appese su di un filo fino all'altro lato del prato dove nel mezzo si presenta una piscina suggestiva e meravigliosa. Queste luci soffuse e quest'aria di pulito mi fanno respirare di nuovo e chiudo momentaneamente gli occhi. Ci sono anche dei divanetti e delle poltrone bianche sparse tra la piscina e il resto del giardino. In estate deve essere un bellissimo posto dove organizzare feste.
Mi accomodo su una poltrona poco distante dalla porta e chiudo gli occhi, rilassando ogni muscolo presente nel mio corpo.
Resto così per almeno cinque minuti finchè non sento l'ombra di qualcuno torreggiare su di me.
-Non rispondi al telefono ma devo raggiungerti e correrti dietro, giusto? –
La voce mi sembra troppo familiare e spalanco gli occhi quando vedo Emanuel in piedi di fronte a me con una camicia nera abbottonata fino alla gola e un paio di jeans neri stretti da una cinta di Gucci. Non indossa una giacca e sento i brividi pervadermi.
-Che ci fai tu qui? – Alzo la schiena, sporgendomi verso di lui.
-Non ho voglia di scherzare, ti sto aspettando da almeno un' ora. – Poggia le mani sui fianchi contrariato.
-E perché mi staresti aspettando? – Drizzo la schiena e mille pensieri mi oltrepassano la mente in un solo istante.
-Vuoi prendermi in giro? – Adesso mi schernisce con un sorriso ed io gli rivolgo uno sguardo più confuso che altro. – Eri ubriaca quando mi hai scritto o cosa? – Sbuffa, prendendo il cellulare dalla tasca.
-Quando ti ho scritto? –
Resto allibita davanti ad un Emanuel che digita qualcosa sul suo cellulare e mi mostra una chat in cui io gli ho chiesto di vederci in questo locale. Resto senza parole e di conseguenza afferro anche il mio cellulare dalla borsa e vi trovo almeno dieci sue chiamate perse.
-Vuoi ancora farmi credere che non sai nulla di questi messaggi? – Si spazientisce, abbassandosi alla mia altezza piegando la schiena in avanti.
Cerco sul mio whatsapp la sua chat e non c'è; gli mostro il cellulare e faccio spallucce: -Io non ti ho scritto un bel niente. – Ripenso alla data sulla chat che mi ha mostrato e ricollego la giornata alla sera in cui ho dormito a casa di Eleonora.
Io mi sono addormentata prima di lei.
-Non ho voglia di discutere. Ho sbagliato a venire, non ho intenzione di sottomettermi ancora ai tuoi giochetti del cazzo. – Sbotta, riponendo il cellulare in tasca.
-Senti, deve essere stata Eleonora. – Mi alzo, sempre più coscienziosa.
-Fai di tutto pur di non ammettere che mi hai scritto tu? Che senso ha chiedermi di vederci se poi non hai intenzione di avere una conversazione con me? Speravo venissi qui per scusarti per i tuoi comportamenti ma non fai altro che alimentarli e renderli grevi. – Allarga le braccia in segno di esasperazione e mi si smorza il fiato nel tentativo di elaborare i fatti accaduti e possibili.
-Emanuel.. – Un risucchio si impossessa della mia gola nell'istante in cui pronuncio il suo nome e mi soffermo solo per un attimo per riprendere le redini. – La sera in cui hai ricevuto questi messaggi, in quell'esatta ora, io stavo dormendo. Ero a casa di Eleonora e mi sono addormentata prima di lei. Deve essere stata lei a scriverti, non io. – Resto cauta ad ogni parola eletta anche se nel contempo immagino i mille modi di uccidere Eleonora che mi ha inflitto un colpo così basso.
-Perché ne avrebbe dovuto avere motivo? – Il suo viso è stanco e martoriato dalla situazione, posso leggere dai suoi occhi la sua esasperazione.
-Perché.. – Non posso dirgli che parlo di lui in ogni buona occasione che mi si presenti e non posso di certo dirgli che penso a lui dal momento in cui apro gli occhi al mattino finchè non mi si disattiva il cervello la sera e neanche più lì, perché lo sogno di notte. – Non posso dirtelo. – La paura è più forte di me e ancora una volta la lascio vincere.
Resta in silenzio a contemplarmi, come se volesse leggermi nel pensiero fin quando non veniamo distratti dalla porta che si apre ed una ragazza, con un vestito fucsia molto striminzito, si piega sulle ginocchia per vomitare. Entrambi giriamo la testa automaticamente emettendo un verso di schifio. La ragazza si accorge della nostra presenza dopo essersi asciugata la bocca con un fazzoletto e ci saluta armoniosamente.
-Stai bene? – Le chiedo, notando il suo traballare sui tacchi.
-Sì, tranquilli, torno a ballare. – Ridacchia con una voce stridula e si aggrappa alla porta per tenersi in equilibrio, cosa che non le risulta tanto semplice giudicando dalle sue gambe tremanti. Sparisce nuovamente nella sala e dopo un attimo di esitazione io ed Emanuel scoppiamo a ridere.
-Che stramba. – Rido ancora al pensiero ed Emanuel invece si ferma a guardarmi con insistenza fastidiosa, con uno sguardo oltremodo serioso. – Che c'è? – Gli domando, calmando le risa.
Annulla la distanza tra di noi e non distoglie gli occhi dai miei: -C'è che sei bellissima. – Inarca le sopracciglia in un modo seducente che mi fa agitare le campanelline dentro me e inalo il suo profumo, lo stesso che ho imparato a riconoscere.
-Emanuel.. – Mi poggia un dito sulle labbra e mi costringe a tacere.
-Straniera, voglio crederti. – Sospira, adesso passando quello stesso dito su una guancia. – Voglio credere alla tua storia, anche se non "puoi" dirmi perché sarebbe dovuto succedere, io sento dentro di me, ma molto dentro, che sei sincera. – Si porta una mano al petto e mi accorgo di aver frenato il respiro.
-E' la verità, Emanuel. – Ormai ci ho preso quasi gusto a sentire il suo nome uscire dalle mie labbra. –E anche se non era mia intenzione farlo qui ed ora, io voglio anche chiederti scusa. – Lo dico tutto d'un fiato per sentir meno il fardello del mio orgoglio, decidendo di metterlo da parte in un cazzo di scantinato almeno per un po'.
-Scusa per cosa? – Mi fa un sorrisetto compiaciuto. Lo sa, eppure vuole sentirselo dire. Quanto detesto dover ammettere una colpa.
-Scusa perché non ti ho dato la possibilità di conoscermi, né io me la son presa per conoscere te. Mi dispiace per le cose che ti ho detto a casa mia, eri l'ultima persona che avrei dovuto trattare in quel modo. Sono stata una stronza. Mi dispiace per averti fatto sentire usato e poi gettato via come un cazzo di profilattico. Io non lo volevo per davvero. – Finalmente sento di riuscire a sensibilizzare il muro che mi ero creata per proteggermi da qualsiasi cosa sia lui per me e lui è qui davanti a me che si gode il momento e mi ascolta con estremo interesse, nonché soddisfazione.
-Sono felice che tu ti stia scusando, ma non basta. – Fa spallucce e si allontana bruscamente da me.
-Cosa vuol dire "non basta"? –
-Che non basta. Le tue parole non cancelleranno quel che è successo, devi essere responsabile delle tue azioni. – Si passa una mano tra i capelli ed abbassa lo sguardo.
-Ma cosa sei? Mio padre? – Sbotto, innervosita. – Io non ho bisogno di qualcuno che mi dica quando prendermi le mie responsabilità, Emanuel. Me la cavo benissimo da sola nei rapporti umani. –
-Beh, con me non sei stata tanto brava. – Mi sfida, rancoroso.
Mi siedo nuovamente sulla poltrona del giardinetto e dedico i miei occhi al prato verde ed ai miei piedi: - Sai cosa? Io ci ho provato e del resto puoi fare il cazzo che ti pare. – Alzo di scatto la testa ed inchiodo il mio sguardo nel suo, lo vedo tentennare prima di riuscire a trovare una difesa rapida per se stesso.
-Non voglio un rapporto tossico, con nessuno. – E' tutto ciò che esce dalle sue labbra mentre i nostri occhi non smettono di dichiararsi guerra e di lottare tra loro.
-E allora, caro, sei nel posto sbagliato. – Appoggio la schiena alla poltrona senza però riuscire a rilassare la muscolatura.
-L'ho capito dal momento in cui abbiamo iniziato a parlare. – Quasi sussurra quelle parole eppure io le sento riecheggiare nella mia testa stridule e rumorose.
-Addio, Emanuel. – Giro leggermente il viso verso la piscina evitando il suo sguardo ardente e altrettanto teso.
-Addio, straniera. – Dopo qualche momento di estenuante silenzio decide di lasciarmi dietro di lui mentre supera la porta della sala e vi scompare al suo interno e nello stesso lacerante istante una lacrima mi si scava nel volto, lasciandomi un sapore aspro in bocca mentre stendo di fronte al desiderio di sentire il mio nome pronunciato dalla sua gola.
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