8
Apro lentamente gli occhi bruciati dalla luce del sole che entra dalla finestra di fianco al mio letto e un'emicrania acuta si impossessa della mia testa, costringendomi a restare sdraiata. Riposo nuovamente il capo sul cuscino finchè non mi accorgo di un braccio poggiato sulla mia pancia. Giro di scatto la testa e vi ritrovo Emanuel che dorme beato.
Ripercorro velocemente gli episodi della notte precedente e ricordo tutto quanto accaduto, tranne com'è finito lui nel mio letto. Controllo di avere ancora gli indumenti e tiro un sospiro di sollievo quando scorgo il verde del mio vestito. Lui indossa i suoi soliti jeans e un maglioncino boardeux a collo alto. Il suo respiro è così tranquillo che mi consola e calma i sensi. Allungo una mano nella tentazione di sfiorargli le labbra e di sentirle sotto i polpastrelli ma, quando è ormai vicina, me la tiro con prepotenza, scrollando il capo. Delicatamente gli sposto il braccio dal mio corpo e mi alzo. Lo guardo un'ultima volta prima di iniziare a preparare la colazione.
Non so cosa possa gradire ma credo che le fette biscottate e la Nutella siano un'accoppiata amata da chiunque. Ripongo sul tavolo della mia cucina (che dista solo pochi metri dal letto e non sono divisi da nessun muro) anche un cartone di latte e una bottiglia di succo ACE. E' la prima volta che condivido la colazione con qualcuno e sorrido al pensiero che sia proprio lui ad essere qui con me. Stanotte è stato più di un galantuomo senza spogliarmi e preoccupandosi solo di rimettermi a letto; nessuno l'aveva mai fatto per me. Nessuno mi aveva mai riaccompagnata a casa nel mio stato più delirante causato dall'alcool e nessuno aveva mai perso occasione di approfittarsi della mia incoscienza. Lo ammiro per il suo gesto e il minimo che possa fare è preparargli la colazione.
Lo vedo muoversi sotto alle coperte e d'improvviso si alza sui gomiti con un ciuffo ribelle davanti agli occhi verdi ancora schiusi dall'improvviso risveglio e inizio a pensare di non aver mai visto un uomo tanto bello.
-Buongiorno, straniero. – Pronunciare il suo nome mi fa ancora uno strano effetto, è come se non volessi assimilarlo per nulla al mondo.
-Buongiorno, straniera. – Si strofina gli occhi e lancia un'occhiata al suo orologio. –Devo andare. – In fretta e furia si alza e fa per indossare le scarpe ai piedi del letto.
-Perché? – La domanda risulta innocente anche alle mie orecchie ma non riesco ad evitarlo.
-Devo andare in ufficio, ci sono cose importanti che devo terminare entro la fine del mese e non posso perdere neanche un minuto. – Spiega, con tono esaustivo.
-Ma tu sei il capo, no? Puoi sempre raccomandare qualcun altro. – Alzo le spalle e addento una fetta biscottata. – Ti ho anche preparato la colazione. – Sospiro, con noncuranza.
-Sì, sono io il capo e come tale devo essere d'esempio per i miei dipendenti. Grazie per il pensiero ma farò colazione in ufficio. – Prende il suo cappotto.
-Sì e magari questi dipendenti hanno gli occhi azzurri e i capelli biondi. – Sbotto. Mi guarda in cagnesco.– Dico, potresti anche ritardare di qualche minuto. – Cerco di rimediare al mio commento inopportuno, tornando seria.
Si avvicina alla mia sedia con un paio di passi e poggia il cappotto sul tavolo: - Che cosa hai detto? – Adesso mi sta guardando insistentemente ed io abbasso gli occhi per evitare i suoi troppo pungenti. –Guardami. – Sospira, non è nervoso e allora decido di fare come mi ha imposto. Lo guardo.
-Ho detto che potresti tardare. – Sostengo il suo sguardo con non poca difficoltà.
-No, prima. – Si spazientisce e vedo la sua mascella irrigidirsi.
-Nulla. – Giro ancora una volta il viso appoggiandolo sulla mia spalla destra, interrompendo il contatto visivo.
-Sei gelosa? – Adesso mi prende in giro. Resto in silenzio. – I miei dipendenti non sono biondi e non hanno gli occhi azzurri e se anche li avessero neanche lo ricorderei perché quando sono in ufficio penso solo al mio lavoro. – Mi poggia due dita sotto al mento per costringermi a guardarlo. – Da dove ti è uscita questa stupida idea? – Mi schernisce, con tale audacia.
-Non sono gelosa. Non ti conosco neanche. – Alzo un muro più alto di lui e lo lascio fortificarsi. – Ti ho visto l'altra sera fuori al bar con una biondina in tiro. – Lo accuso, come se ne avessi anche il diritto per difendermi.
-Ah.. – Mi lascia il viso, pensieroso. – Stefania? – Chiede e subito dopo si apre in una grassa risata. – Stefania è una mia cara amica. – Cessa le sue risate e torna a concentrarsi su di me. Mi rimpicciolisco sulla sedia quasi come a prenderne la forma e mimetizzarmi. – Ci conosciamo da piccoli, non lavora per me e soprattutto tra noi non c'è mai stato e non ci sarà mai nessun flirt. – Spiega, sedendosi su una sedia accanto alla mia. –Ma io non devo darti queste spiegazioni, perché tu non sei gelosa. – Sorride, dolcemente. Ed io continuo a non rispondere, sentendomi solo una stupida per l'ennesima volta. – Cosa ci facevi fuori al bar, tra l'altro? Io non ti ho vista. – Annego in un morbo di vergogna totale.
E' sempre così con lui, da quando ci ho parlato la prima volta al bancone. Mi disarma, mi fa sentire minuscola e mi sento costretta a dire la verità perché è come se avesse un radar per le menzogne e le scuse banali. Mi fa fronteggiare la realtà in modo cruento e indesiderato.
-Passavo. – Addento nuovamente la fetta biscottata e ignoro ancora una volta i suoi occhi guardinghi.
-Ah, passavi? – Ridacchia. Prende anche lui una fetta biscottata e ci spalma su la nutella, sorrido con il capo chino, per non farmi notare. – Strano, non è una strada che dovresti fare di solito per tornare a casa tua. –
-Beh, in realtà stavo tornando da.. da.. – Balbetto, totalmente a corto di idee. – Da casa di Eleonora. – Veramente? Il massimo che posso dare è questo? Insomma.
-Va bene, quindi da casa di Eleonora sei passata fuori al bar (dove casualmente mi trovavo anche io) e sei riuscita a vedere la mia amica Stefania, tanto da notare anche il colore dei suoi occhi. Magari ricordi anche cosa stava indossando, dato che hai una vista così eccezionale. – Ridacchia, addentando la seconda fetta biscottata.
-Sì. –Rispondo senza indugiare. Mi guarda perplesso. – Volevo dire no. – Balzo dalla sedia, sedendomi composta. – Non ricordo com'era vestita, ho solo capito che era bionda. – Mi gratto il naso e lui si versa un bicchiere di succo.
-Facciamo finta che ti credo. – Sospira.
-Già, facciamo finta che ti credo anche io. –
-Cosa intendi? – Mi rivolge uno sguardo curioso.
-Dai, una tua cara amica? Vuoi davvero lasciarmelo credere? Guarda che non ti dico nulla se è una tua avventura, non sono nessuno per giudicare. –
Si ferma a fissarmi con un'espressione fin troppo seria: - Senti, io non so con che tipo di uomini ti sei approcciata nel corso della tua vita ma io rispetto le donne e non sono in cerca di avventure momentanee. – Mi si ferma il fiato e scrollo il capo per ritornare cosciente.
-Chiedo scusa. – Abbandono l'orgoglio avvertendo una punta di umiliazione nella sua voce e mi sento responsabile di tale sensazione causatagli.
Tira indietro i capelli: - Tranquilla. In fondo non ci conosciamo neanche. – Abbassa lo sguardo per la prima volta dall'inizio della nostra conversazione, per poi rialzarlo: - Non dovrei nemmeno essere qui, la questione tra noi era chiara. – Si alza lentamente e afferra di nuovo il suo cappotto.
-No. – Gli afferro un braccio, costringendolo a fermarsi sui suoi passi, mi alzo anche io. – Per favore, ricordo tutto di ieri sera ma non capisco perché ti sei fermato a dormire qui, ho bisogno di una spiegazione. –
-Dimentica tutto, va bene? Non è importante. – Si libera dalla mia stretta e una morsa mi stringe le interiora.
-Lo è. Per me. – Supplico.
-Mi hai pregato di non lasciarti sola. Non volevi che me ne andassi, come stai facendo ora. – Adesso si avvicina a me e mi rendo conto di aver smesso di respirare.
-Io non lo ricordo. – Sbuffo, portandomi le mani tra i capelli. – Mi dispiace che tu abbia dovuto vedermi in quello stato e soprattutto che ti sia ritrovato costretto a restare qui. – Mormoro, quasi non volessi farmi sentire davvero ma lui riesce ad udire ogni singola parola e mi prende il viso tra le mani.
-Per quanto sia stata tu a farmi sentire una puttana scaricandomi dopo aver passato la notte insieme, non avrei mai potuto abbandonarti in balia della tua sbronza. – Ci fermiamo a fissarci e non riesco a contare i minuti che passano mentre restiamo incantati l'uno negli occhi dell'altra.
-Io non credevo fosse importante per te. –
-E' stata una della notti più belle della mia vita ma l'hai distrutta dal momento in cui non hai neanche voluto annunciarmi il tuo nome. – Adesso si allontana, con una punta di risentimento.
-Non voglio una relazione e dirti il mio nome sarebbe un grave errore. – Cerco di spiegarmi, ma alle sue orecchie suona tutto quanto assurdo.
-Tu conosci il mio eppure sembra che riesci ancora a svegliarti al mattino senza di me. – Ironizza.
-Non riesco a togliermelo dalla testa. – Sussurro, inerme.
Si avvicina nuovamente, poggia la sua fronte alla mia e chiude gli occhi, producendo dei respiri soavi, mi poggia un pollice sul labbro inferiore e lo schiude: - Perché non mi lasci conoscerti? – La sua voce suona straziata e disperata, lotto contro me stessa per non badarvi.
-Perché distruggerebbe entrambi ed io non voglio. – Sussurro, ormai a un filo sottile dalle sue labbra.
-Perché non rischiare? – Sento dei brividi attraversarmi il corpo come scosse elettriche e resto interdetta sottoposta alla sua magia. – Non riesco a smettere di pensarti. Spero sempre di vederti al bar, spero sempre in una tua telefonata ma dubito tu abbia ancora il mio numero dopo la nostra discussione. Ho bisogno di capire tu che cosa vuoi perché io già so cosa voglio. – Le sue labbra toccano le mie in un bacio imbarazzato e sommesso. Mi allontano lentamente, mentre la paura si impadronisce di ogni mia fibra.
-Ti sbagli. Non ho cancellato il tuo numero e la cosa mi spaventa, lo capisci? Non voglio che il mio umore cambi a seconda della nostra relazione. Non voglio dipendere da un'altra persona, chicchessia. Non ho bisogno di altre complicazioni nella mia vita. – Mi scanso dal suo viso e mi libero della sua stretta e il tono di voce è più alto.
-Altre complicazioni? – E' incredulo. – E perché, eh? Hai problemi con il rapportarti con la gente, non parli con i tuoi da anni o cosa? Fammi capire, perché io veramente non capisco che tipo di problema hai. – Adesso urla anche lui, sento un groppo salirmi alla gola. – Smettila di stare in silenzio e per una cazzo di volta dimmi la verità. – Sbraita, allargando le braccia.
-Tu non sai niente di me, non ti permetto di parlarmi in questo modo. – Le parole mi si smorzano in gola e sento gli occhi gonfiarsi, pronti a scoppiare in un pianto che trattengo da troppo tempo.
-Lo sappiamo entrambi che non so niente di te. Tu però di me sai che frequento lo stesso bar ogni sera, che amo il mare e le stelle, conosci l'ufficio dove lavoro ed hai persino il mio numero di telefono. Invece io di te non so nulla! Neanche il tuo nome. – Nota le mie lacrime che sgorgano irrimediabilmente e si arresta di colpo, calmando anche la voce. – Hai idea di come mi sento io? – Esausto davanti al mio silenzio mi asciuga le lacrime scorse lungo le guance.
-Sono troppo egoista per pensare anche a quello che provi tu. – Gli stringo le mani tra le mie. – Io non sono giusta per te. – Mi allontano da lui ed inizio a sistemare la nutella sul suo apposito scaffale insieme alle fette biscottate. Sento il suo sguardo ardere sulla mia schiena.
-Questo dovrei giudicarlo io. – La sua voce mi raggiunge mentre gli mostro le spalle e sento le sue mani sui miei fianchi. –Fidati di me. – Inala il profumo dei miei capelli immergendoci il viso all'interno, provocandomi degli spasmi. Mi lascio inebriare, finchè non apro gli occhi che avevo chiuso senza accorgermene.
-Non posso. – Mi giro e lo sorpasso, afferro il suo cappotto e glielo porgo – E' il caso che tu te ne vada adesso. –l
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