19
A svegliarmi è lo sfiorarmi di una mano su una guancia ed un sussurro impercettibile: - Mar. - Apro lentamente gli occhi sentendoli tremendamente pesanti e li strizzo leggermente a causa delle forti luci che mi investono.
Emanuel è piegato sulle ginocchia mentre mi scruta attentamente con il suo sguardo dolce e familiare, tanto da scaldarmi l'anima.
-Emanuel. - La mia voce rauca e impastata dal sonno sembra risvegliarlo da un leggero stato di trans. Scuote il capo e mi prende per le mani, obbligandomi ad alzarmi. -Cosa c'è? -
-Dobbiamo andare via di qui. Subito. - Sibila a denti stretti e mi catapulta in una corsa che non avevo in programma di fare, ancora con gli occhi appiccicati dal sonno.
-Emanuel, ma cosa ti prende? Sei impazzito? - Sgrido travolta dall'affanno e da una stretta al petto che ostruisce all'aria di fluire tranquillamente nei miei polmoni. Lui invece sembra così abituato.
-Te lo spiegherò. - Il suo modo di fare è così determinato che decido di non porgli altre domande, seguendolo. -La tua auto è qui? - Mi chiede, arrivati nel parcheggio. Annuisco, con le mani sui fianchi e piegandomi in due per lo sforzo. - Verrai a prelevarla domani, adesso andremo con la mia. - Mi prende per mano e mi attira verso di sè con passo fin troppo svelto. Il mio cuore sobbalza.
-Andremo, dove? - Oso chiedere, ignorando le sensazioni che mi inondano ogni fibra muscolare.
-A casa mia. - E lo dice con così tanta nonchalance che mi ci vuole qualche minuto in più per metabolizzare la cosa.
Emanuel ha guidato con una furia funesta. Ha sfrecciato sulla strada come se fossimo completamente soli e, devo ammettere che, per un po' ho temuto per la mia stessa vita. No, forse per tutto il viaggio, ma sono solo dettagli.
Il tragitto è durato circa un quarto d'ora ed io non ho osato rivolgergli la parola ma, per quanto fossi arrabbiata con lui, non ho potuto fare a meno di inebriarmi con la sua acqua di colonia: la stessa che usa da quando ci siamo conosciuti. E' un profumo così mascolino, selvatico e roseo al tempo stesso che mi disarma coattivamente.
L'auto si ferma in un vialetto di una strada a me totalmente sconosciuta, so che ci troviamo nel mio stesso paesino ma è una zona che non avevo mai frequentato prima d'ora, così nascosta.
Ci torreggia un cancello automatico molto particolare e maestoso, purchè antico sembra riverniciato di un grigio chiaro molto lucente. Emanuel prende un telecomandino dalla tasca del suo giubbino di pelle e tiro un sospiro quando noto il cancello leggermente schiudersi al suo comando.
Ciò che si para di fronte a noi mi lascia altrettanto senza fiato.
Incombe una villa alta due piani con le finestre trasparenti e dipinta di bianco, con qualche dettaglio grigio e nero qua e là. L'auto si muove su dei ciottoli che creano un sentiero circondato da un giardino verde e vivo, abitato da fiori freschi tra cui le rose rosa, peonie, margherite e altri mille colori che neanche riesco a definire e che creano una soave danza spettacolare mentre mossi dal vento. Non sono un' esperta di fiori ma ne resto ammaliata.
-Io in primavera morirei qui. - Brontolo, quasi sottovoce.
Emanuel mi guarda e ridacchia, direi quasi spensierato, come se nulla di quanto accaduto avesse veramente preso parte della nostra giornata.
Parcheggiamo l'auto nel garage posto di fianco alla villa e mi preparo mentalmente alle meraviglie che ci aspettano all'interno.
Paragonato al mio lurido appartamento questo è un paradiso!
-Seguimi. - La sua voce riecheggia tra le mura e accediamo ad una porticina nascosta dietro ad un armadietto ricco di strumenti da meccanico, continuo a restare in silenzio non immaginando neanche lontanamente ciò che può sorprendermi. Sono già senza parole soltanto dopo aver visto l'esterno ed il garage. -Dopo di te. - Mormora, ponendosi lateralmente per lasciarmi passare attraverso un corridoio stretto ma molto illuminato.
Le pareti sono completamente nere, però di un nero opaco, molto eleganti.
-Questa è casa tua? - Mormoro, mentre procedo lungo il corridoio e parandomi di fronte ad una porta bianca con una maniglia sottile e nera. La apro.
-Così dicono. - Sento il suo fiato sul collo mentre è dietro di me e raccolgo il mio contegno per non girarmi e saltargli letteralmente addosso. -Tranquilla, entra. - Sussurra, impercettibilmente.
Entriamo in quella che credo sia la sua cucina; me la illustra dalla penisola attrezzata di sgabelli al piano cottura, munito di elettrodomestici di cui non conosco neanche realmente l'utilità, non ho mai potuto permettermene uno, se non il bollitore e il tostapane. Valgono come elettrodomestici?
I colori rispettano le pareti esterne: il nero, il grigio e il bianco sono primordiali. Il pavimento è ricoperto da marmo nero con schizzi bianchi ipnotizzante. La cucina è cupa eppure così abbagliante da togliere il fiato.
-Ma non guardano tutto ciò che fai da fuori? - Chiedo ingenuamente, dopo aver smascherato spudoratamente il mio amore per il suo arredamento così moderno e soffermandomi sulle finestre scoperte che caratterizzano le mura più esterne della casa.
-I vetri sono oscurati: io posso vedere loro, loro non possono vedere me. - Sorride, fissandomi ed io mi sento sciogliere un po'. - Tra l'altro, la villa è in una proprietà privata ed è difficile entrare se non sono io a consentirlo. - Piega la testa di lato, godendosi tutto il mio stupore e la mia ammirazione.
Mi dirigo da sola verso il salone separato dalla cucina con una semplice mezza parete anch'essa dipinta di nero. I miei occhi iniziano ad abituarsi a tutta questa oscurità. La mia attenzione viene attirata immediatamente da un televisore a plasma di cinquantacinque pollici attaccato al muro ed un divano angolare rivestito in pelle bianca, giusto per spezzare.
I dettagli dei quadri e di alcune piccole sculture in vetro adagiate su appositi ripiani mi attraggono lentamente, come una corda stretta per bene al mio corpo che mi trascina e sembro non riuscire a fare a meno di toccare ogni cosa che si para davanti ai miei occhi.
-Hey, non rompere nulla che ti faccio pagare i danni. - Sogghigna Emanuel, poggiandomi le mani sulle spalle.
-Non potrei permettermi neanche una piastrella sul pavimento. - Cerco di essere ironica ma probabilmente devo essere risultata autocommiserativa perchè l'uomo davanti a me cambia totalmente espressione.
-Scusa, non intendevo.. - Gli poggio una mano sulle labbra prima che possa continuare le sue scuse.
-Hey, scherzavo, rilassati. - I nostri volti sono troppo vicini e per qualche minuto restiamo a scrutarci l'uno nelle iridi dell'altra, completamente persi e pieni di cose da chiarire. Si scosta lui per primo e: - Se vuoi ti mostro il resto della casa. - Sorride, allontanandosi definitivamente.
-Direi che la casa può aspettare, no? E' meravigliosa e non mi aspetto nulla di meno dalla stanza da letto e dal bagno. -
-Stanze da letto e bagni. - Mi corregge.
-Immaginavo anche questo. - Alzo gli occhi al cielo con le mani sui fianchi.
-E per quale motivo aspettare, allora? -
-Dobbiamo parlare di quanto è successo da quando ci siamo visti l'ultima volta a casa mia. - Mi irrigidisco mentre mi riaffiora ogni ricordo. -Voglio sapere ogni singolo dettaglio da quel giorno. -
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