18
Le corde vocali mi tremano in gola mentre pronuncio il suo nome e un lungo silenzio ci separa prima che sia lui a riparlare.
-Mi hai chiamato. - Il suo sembra un sussurro, come se non volesse essere ascoltato da qualcuno.
-Beh, se ti sei ritrovato una telefonata mia, evidentemente.. - Il mio tono risulta più stridulo di quanto volessi e mi maledico per questo. Devo mantenere i nervi saldi.
-Hai ragione. - Un sospiro. - Volevi dirmi qualcosa? - Mi immobilizzo alla sua inaspettata domanda.
Non ci sentiamo da quando è andato via da casa mia, dopo aver fatto l'amore come due pazzi bisognosi e adesso si comporta come se nulla fosse accaduto?
Come può restare così pragmatico? Aveva ragione il padre quando mi ha detto esplicitamente che non sono neanche più nei suoi pensieri adesso? Cosa è accaduto nel frangente?
"Beh, sì, dobbiamo decisamente parlare del tuo essere uno stronzo." Avrei voluto dirgli, ma tutto ciò che riesco a pronunciare è : - Volevo sapere come stai. - Stupida tonta che non sei altro!
Ti tratta come un ruotino di scorta di cui non ha bisogno in questo momento e tu ti preoccupi per lui? Cos'hai che non va?
-Beh, sto bene. - Dalla sua voce sento come il sollevarsi di un sorriso e me lo immagino con il capo chino a fissare un punto vuoto e a sorridere con quegli occhi scintillanti. - E tu? -
-Sto bene. - Mormoro a fior di labbra.
Visionarlo nel mio cervello mentre ascolto la sua voce che so essere così tanto lontana da me, e che non posso raggiungere, mi procura degli spasmi improvvisi alle gambe che mi obbligano a sedermi sul mio letto.
-Quando torni? - Gli chiedo allora e nello stesso istante mi rendo conto di aver commesso un errore. Lui non sa che io so che non è a Napoli.
-Che intendi dire? - Lo sento confuso.
-So che non sei a Napoli e che ti trovi ad Amsterdam. - Ci troviamo in sala, allora balliamo.
Non posso continuare a fingere che sia tutto apposto mentre dentro di me si sta lentamente sgretolando ogni forma di pazienza e clemenza rimastami.
Un lungo e doloroso silenzio si impadronisce del momento, non si sente neanche il minimo soffio di rumore dall'altro capo del telefono. - Ci sei? - Mi preoccupo.
-Come fai a saperlo? - Mi chiede di rimando.
-Non è un problema tuo. Lo so e basta. - Sbotto.
-E' un problema mio. - Sottolinea quelle parole in tono aspro e improvvisamente non so più con chi sto parlando. - Si tratta di me e devo sapere. - Lo sento digrignare i denti dal nervoso e ne resto perplessa.
-Non è importante come l'ho saputo, ho bisogno di capire quando torni e di parlarti a quattr'occhi. -
-Non possiamo. - Tira un sospiro rassegnato. - Non possiamo parlarne di persona. -
-Come, scusa? - Mi sento fremere ancor di più ma adesso son le mani ed è la rabbia a scaturire questa reazione. - Spiegati, Emanuel, perchè io non ci sto capendo più nulla oramai. -
- E' così. Non possiamo vederci quando torno e tu dovrai dimenticarti di me. - Adesso suona rassegnato e compassionevole, come se io fossi un cucciolo da consolare per la perdita della sua mamma.
-No, Emanuel, tu adesso mi dici quando possiamo incontrarci e la storia finisce qui. - Cerco di risultare minacciosa ma non riesco a crederci davvero neanche io.
-No, Mar, non posso.. - Sussurra, affranto. Tutto questo mi crea una confusione mentale che non mi aspettavo di subire. -Dovrai dimenticare tutto quello che c'è stato tra di noi. Ho sbagliato tutto. - E' dispiaciuto davvero ed io ancora più nervosa.
-Emanuel, io non ho mai pregato così tanto in vita mia qualcuno quindi, per amor del Cielo, concedimi soltanto una spiegazione, me la merito! Poi, ti giuro, sparirò dalla tua vita come stai facendo tu con me adesso, ti prego. - Mi sento ridicola a pregare qualcuno che neanche conosco così bene ma che conosco abbastanza da dire che c'è qualcosa che non va e che non è la sua volontà a parlare per lui. Qualcosa lo costringe a prendere questa decisione ed io devo scoprire cosa. - Per favore, non essere come tutti gli altri, mi avevi promesso di non esserlo. - Mi gioco la carta dei sensi di colpa e sento un respiro profondo e sommesso da parte sua.
Dopo un'interminabile attesa: - D'accordo, Mar. - Sorrido. - Torno domani sera, l'aereo atterra alle ventuno. Ti aspetto fuori all'aereoporto. -
-Grazie. - Sussurro, abbandonando ogni traccia di buonsenso nei confronti della mia persona.
-A domani, Mar. -
Ogni qualvolta che pronuncia il mio nome sento come una stretta energica allo stomaco e mi domando che razza di sentimento inizio a provare per lui?
Non mi sono mai comportata in questo modo con nessuno: sono stata usata e gettata via dagli uomini come una puttana, sono stata corteggiata come una principessa e sono stata anche solo semplicemente rifiutata ma mai, e ripeto mai, mi sono ritrovata a pregare un uomo per parlargli. Mai.
Dubito che riuscirò a dormire dopo questa breve conversazione.
Mancano esattamente due ore all'atterraggio dell'aereo sul quale si trova Emanuel: Amsterdam-Napoli. Sono ferma nel parcheggio da circa un'ora e dall'ultima volta che ho ascoltato la sua voce al telefono non riesco a togliermi dalla testa il suono del mio nome pronunciato da lui. Così soave, così melodioso.
Come predetto, d'altro canto, non ho chiuso occhio tutta la notte. Ho fantasticato sulle mille motivazioni che potesse avere Emanuel per comportarsi in questo modo ma soltanto al mattino mi sono resa conto che trarre a delle conclusioni fosse troppo premeditato. Ho bisogno di vederlo, ho bisogno di capire se mi ha mentito perchè in quel caso il padre risulterebbe avere ragione ed io non so come potrei reagire ad una presa di coscienza del genere.
Persa nei miei pensieri i minuti passano sempre più lentamente, come se un solo attimo durasse un'eternità. Decido di uscire dall'auto e di dirigermi verso l'ingresso dell'aereoporto di Capodichino. Scruto i volti delle persone e vi sono così tante emozioni dipinte che non riesco neanche a tenerne il conto. Non ho mai preso un aereo e non ero mai stata all'aereoporto prima d'ora. Non so veramente come muovermi e dunque inizio con il chiedere informazioni alle persone che mi circondano.
Manca un'ora all'atterraggio e mi indicano un tabellone dove aspettare il numero del Gate. Il momento si avvicina sempre più e mi torturo le mani continuando a strofinarle tra di loro. Non sono l'unica a fissare il tabellone e mi accorgo d'esser rimasta così, immobile, per circa mezz'ora perchè compare il numero che desideravo ed entro in panico totale. Adesso cosa dovrei fare? Di certo l'aereo da qui non posso vederlo e non so esattamente cosa dovrei vedere per essere nel posto giusto.
Già, il posto giusto.
Sto facendo la cosa giusta? Oppure sbaglio a gettarmi così ai suoi piedi e ad attendere il suo ritorno come una moglie malinconica?
Scuoto la testa, esasperata. Quando sono diventata così gracile?
Ancora una volta mi ritrovo a chiedere informazioni a degli sconosciuti finchè non trovo una donna anziana che tanto amorevolmente mi spiega per bene dove dirigermi. Allora seguo le sue istruzioni e mentre il cuore sembra pulsarmi fuori dalla gabbia toracica mi dirigo a passo svelto verso il gate, non so neanche più se è lì che mi sto dirigendo, non ci sto capendo più molto. Ho solo Emanuel nella mia testa e i suoi tremendi occhi verdi/ azzurri.
Arrivo nel luogo indicatomi dalla gentile signora incontrata poco fa e noto altre persone ad attendere: deve essere esattamente qui. Non mi resta che aspettare.
Il tabellone denota in rosso una scritta vicino al volo di Emanuel, mi avvicino per leggere meglio: "In ritardo." Impreco mentalmente e stringo i pugni in una salda stretta, tanto da sentire le unghie conficcarsi nella pelle, è un dolore che mi appaga e cerco di rilassarmi, prendendo posto su una sedia. Non mi resta che attendere.
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