Spencer Reid¹ [Cm]
L'aria nella sala interrogatori è così tesa che potresti tagliarla con un coltello.
Rossi si porta via il sospettato con la sua calma quasi sovrannaturale, lasciandomi sola con Reid.
O meglio, lasciandomi nella stessa stanza con Spencer Reid.
Sola è una parola forte quando lui non ti guarda neanche.
Sta seduto di fronte a me, giocherellando con una penna come se fosse l'oggetto più interessante del mondo.
E io sono qui, che lo guardo e mi sento come un'adolescente che cerca di scusarsi con il professore dopo aver copiato al compito.
-Reid... Senti, so che... Io... Uhm...- comincio, e già mi odio.
Perché non riesco a dire una frase completa senza sembrare un pesce fuor d'acqua?
Lui non risponde.
Non mi guarda nemmeno.
Continua a fissare quella dannata penna come se fosse un mistero cosmico.
-Davvero, mi dispiace- insisto, sentendo il sangue che mi si accumula nelle guance -Non avrei dovuto... -
Niente.
Silenzio.
E io parlo praticamente da sola.
Il suo silenzio è assordante, e fa più male di quanto vorrei ammettere.
Ok, flashback rapido per chi si fosse perso l'episodio precedente: qualche sera fa, eravamo tutti al bar.
Buona musica, birra in quantità, e un'atmosfera abbastanza rilassata da farmi dimenticare che siamo un gruppo di profiler costantemente circondati da omicidi.
Ero... diciamo, allegra.
Mi sono avvicinata troppo a Reid, gli ho sussurrato che mi piaceva e, perché no, l'ho baciato.
Risultato?
Lui è praticamente scappato, e da allora non ci parliamo.
Perfetto, vero?
Complimenti a me per la gestione impeccabile delle relazioni interpersonali.
-Spencer, ti prego, dimmi qualcosa- quasi imploro, ma lui continua a ignorarmi.
E io comincio a sentirmi una completa idiota.
Per fortuna, Hotch entra nella stanza, salvandomi dall'imbarazzo di scavare ulteriormente la mia fossa -Abbiamo nuovi sviluppi sul caso. Venite-
Reid si alza immediatamente, evitando ancora il mio sguardo, e io lo seguo fuori dalla stanza, sentendomi come se avessi appena perso una battaglia che non sapevo nemmeno di dover combattere.
---
La giornata prosegue con noi che risolviamo il caso.
Non mi chiedete come, perché tra il tensionometro a mille con Spencer e il killer che continuava a giocare con noi, ho passato il 90% del tempo a cercare di non impazzire.
Quando finalmente il caso è chiuso, mi sento come se qualcuno mi avesse buttato addosso un camion carico di stanchezza.
Saluto Garcia con un sorriso stanco e chiamo l'ascensore, mi appoggio alla parete mentre aspetto.
Finalmente posso tornare a casa, infilarmi nel letto e fingere che questa giornata non sia mai esistita.
Le porte si aprono e salgo, pronta a lasciarmi tutto alle spalle.
Ma, proprio quando stanno per chiudersi, qualcuno si infila all'ultimo secondo.
Spencer.
Fantastico.
L'universo ha un senso dell'umorismo davvero crudele.
Mi irrigidisco immediatamente, fissando il pavimento come se fosse la cosa più interessante al mondo.
Il silenzio è insopportabile, ma non riesco a dire nulla.
Non posso.
Non dopo il modo in cui mi ha ignorata tutto il giorno.
Poi, all'improvviso, sento la sua mano sfiorare la mia.
Alzo lo sguardo, confusa, e lo vedo sorridermi.
È un sorriso piccolo, quasi timido, ma è sufficiente a farmi dimenticare per un momento tutto il resto.
E poi esce dall'ascensore, lasciandomi lì, confusa e con il cuore che batte troppo veloce.
Guardo la mia mano, e solo allora mi accorgo che mi ha lasciato qualcosa.
Un foglietto.
Lo apro con dita tremanti e leggo: "Se ti va, incontriamoci davanti alla biblioteca stasera. Così mangiamo qualcosa insieme. Solo se vuoi."
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