23- NonMutant!Pietro Maximoff × reader

L'autobus del giovedì non è mai tanto affollato come negli altri giorni. Dopo un paio di anni, hai imparato a conoscere e riconoscere i tuoi compagni di viaggio, come la donna con le cuffie azzurre, quella che spesso e volentieri discute con l'autista, oppure la vecchietta con la borsa della spesa che pare stia per esplodere da un momento all'altro.
Durante il tragitto, di solito ascolti la musica, o semplicemente provi a immaginare la vita di tutte quelle persone che vedi ogni giorno, giusto per tenere la mente occupata.
Oggi, però, non fai nulla di tutto ciò, ma ti limiti a osservare la strada dal finestrino, mentre continui a rimuginare su quello che ti è successo a scuola: non ti era mai capitato di prendere un voto così basso di inglese e quest'anno hai la frustrante sensazione che le tue valutazioni in questa materia si stiano abbassando sempre di più, anche se ti impegni. Non hai idea di che cosa tu stia sbagliando, ma è tutto fuorché soddisfacente non ottenere il risultato che ci si aspetta, soprattutto in una materia che hai sempre studiato così volentieri.
Probabilmente, è colpa dello stress e della routine stancante a cui ti stai sottoponendo dal primo giorno di scuola, o magari è dovuto al fatto che stai dormendo poco per via dell'insonnia, ma senti che non hai mai desiderato così tanto piangere.
In qualche modo, riesci a trattenerti dallo scoppiare in lacrime in autobus, soprattutto quando noti con la coda dell'occhio che sei quasi arrivata. Ti affretti a prenotare la fermata e, appena l'autista fa aprire le porte, tu scendi subito, consapevole di non essere sola: da due anni, prendi lo stesso autobus di Pietro Maximoff, un ragazzo che conosci fin dall'asilo, nonostante non abbiate mai avuto una conversazione che possa definirsi tale.
Affretti il passo mentre stai attraversando sulle strisce pedonali e, una volta dall'altra parte della strada, ti siedi lentamente sulla panchina, appoggiando lo zaino a terra e, chiudendo gli occhi, cerchi di fare respiri profondi.
Dando per scontato di trovarti finalmente da sola, lasci che le lacrime scendano copiose lungo le tue guance; quando apri gli occhi, però, scopri che Pietro non si è incamminato verso casa -ovvero, nella direzione opposta rispetto alla tua-, bensì è davanti a te e ti sta rivolgendo uno sguardo preoccupato. -Y/n, va tutto bene?- ti chiede un po' titubante e sono due le cose che ti colpiscono: innanzitutto, il tono preoccupato che ha in questo momento -l'hai sempre ritenuto come uno di quelli che non riesce mai a prendere niente sul serio- e, in secondo luogo, il fatto che si ricordi del tuo nome, anche se non avrebbe motivo di farlo, dato che non vi parlate.
Ti asciughi rapidamente il viso, sfregando i tuoi occhi con le mani, e alzi gli occhi verso di lui. -Io... Io non...- inizi a singhiozzare, interrompendo la tua stessa risposta, e, per questo motivo, tenti di calmarti. Con ogni probabilità, ti starà prendendo per pazza.
Eppure, invece di andarsene, ti si avvicina ancora di più. -Scusa, sono stato stupido- si rimprovera con tono dispiaciuto. -Però mi è sembrato giusto chiedertelo, nella speranza che tu stessi piangendo dalla gioia... Ma non è questo il caso.
Scuoti piano la testa. -Non... Non preoccuparti, mi passerà- cerchi di rassicurarlo, tenendo lo sguardo fisso verso il basso; di solito, non ti piace mentire, ma "a mali estremi, estremi rimedi". E poi, continui a non capire perché si stia interessando così tanto a te, se vi conoscete appena; per non parlare del fatto che sono le due del pomeriggio e dovete ancora pranzare... Perché invece sembra voler rimanere con te?
Sospiri, guardandolo negli occhi cerulei. -Devo farti proprio pena...- mormori, sentendo gli occhi pizzicare per via del pianto. Ormai, non capisci nemmeno tu perché tu stia continuando a piangere: è come se, abituata a trattenerti, avessi accumulato nel tempo troppe lacrime, troppe emozioni... Da piccola, non ti facevi molti problemi a piangere quando ne sentivi il bisogno, anche se è comunque vero che i motivi per cui lo facevi erano più banali; invece, ora che sei cresciuta, fatichi a lasciarti andare, a sfogarti.
-Non sono qui perché mi fai pena.- replica cauto Pietro, passando una mano tra i capelli -sono dello stesso colore delle nuvole di un temporale: ti hanno sempre affascinata, in qualche modo-. -Semplicemente, si vede che stai male e non lo meriti. Wanda... Mia sorella studia psicologia e mi ha spiegato che ci sono alcune persone che faticano a chiedere aiuto, anche quando ne avrebbero davvero bisogno: tu sembri proprio una di queste e vorrei aiutarti, se me lo permetti.
Lo ascolti in silenzio e, nel prendere il fazzoletto che ti sta gentilmente porgendo, le vostre dita si sfiorano appena; istintivamente, accenni un sorriso e ti asciughi le lacrime. -Grazie, Pietro- sussurri e, per un momento, hai quasi timore che non ti abbia sentita, invece lui ti sorride.
-Posso chiederti il motivo per cui...?- inizia, ma tu lo interrompi, rispondendo subito alla sua domanda:-Ho l'impressione che, per quanto mi impegni a scuola, non stia raggiungendo i risultati che vorrei-.
Ti offre una mano per aiutarti ad alzarti dalla panchina su cui sei seduta. Senza pensarci, la afferri, prendendo con l'altra lo zaino che avevi appoggiato per terra.
-È frustrante, lo so; sai, succede anche a me durante le gare di atletica, se può consolarti.- ti confessa, facendoti sentire più compresa, in qualche modo; non lo sai spiegare, ma solo la sua presenza sembra rilassarti.
Rimanete per un attimo senza dire nulla, ma non è un silenzio imbarazzante.
-Ti va di andare a pranzo insieme? Del resto, ti ho fatto perdere tempo ed è tardi...- proponi, cercando di ignorare il fatto che tu ora stia arrossendo.
-Mi farebbe molto piacere, y/n.

***
Premetto subito che non sono molto convinta su questo immagina, ma almeno ha un lieto fine (strano, lo so).
Come sempre, commentate con nome e cognome di un solo personaggio (martedì finirà il tempo per votare!).
Vi auguro un buon inizio di settimana ^-^

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