Chapter twenty-nine
⚠️ATTENZIONE⚠️
🔞Questo capitolo contiene scene
esplicite🔞
I suoi pugni, così come la sua mascella, sono serrati in una stretta ferrea e le sue narici dilatate. Il petto si alza e si abbassa velocemente a causa del respiro affannoso che rompe il silenzio del locale.
Sguardi increduli, scioccati e preoccupati sono puntati nella nostra direzione, in particolare in quella di Jason, che, con sguardo tagliente, fissa suo padre rancoroso.
Lo guardo allibita e adirata, non riuscendo a credere ai miei occhi.
L'ha fatto di nuovo... Si è lasciato andare completamente all'ira...
In uno scatto repentino mi avvicino al signor Miller, che tiene un fazzoletto, oramai impregnato di sangue, sulle narici.
«Ma che diavolo ti è preso!?» sbotto contro Jason, dandogli una spinta che non lo smuove minimamente.
«Lei prenda questi...» Sfilo altri fazzolettini di carta dal contenitore posto al centro del tavolo e li porgo al signor Miller, rimanendo stupita dalla sua espressione alquanto calma.
«Signore, si sente bene?» domanda una cameriera piuttosto paffutella sulla cinquantina d'anni.
«S-sì, non si preoccupi.» Le concede un sorriso cordiale, per poi rivolgersi alle persone che ci guardano senza proferire alcuna parola. «Continuate a mangiare. Non è successo niente di che... Soltanto una piccola divergenza familiare.» lo dice con tono sereno e con un sorriso talmente smagliante da rassicurare gli altri clienti.
«"Divergenza familiare" un cazzo.» digrigna Jason tra i denti. «Io e te non abbiamo finito.» Punta l'indice contro suo padre, avvicinandosi a lui minacciosamente.
«Forse è meglio uscire fuori, non credi?» A questo punto, il signor Miller si alza e, con passo lento, si reca fuori dal locale.
Faccio saettare il mio sguardo da una figura all'altra e mi avvicino al castano accanto a me. «Jason,» lo costringo a guardarmi. «non fare altre cazzate e cerca di calmarti.» Esita un attimo prima di rispondere, ma poi annuisce, raggiungendo suo padre, seguito da me e da tutta la mia paura.
Una volta esserci diretti in un punto più isolato e poco lontano dal locale, Jason prende parola, riprendendo un tono accusatorio e adirato.
«Invitarci al tuo matrimonio e poi contattare lei per convincerci a venire?» Indica me con un dito, rimarcando la distanza tra lui e suo padre. «Sei patetico. E sai cos'è ancora più patetico? Il fatto che tu davvero creda che possiamo ricongiungerci, restaurare il cazzo del rapporto che avevamo prima e fingere che niente sia successo!» Emette un sospiro falsamente divertito e punta gli occhi al cielo stellato sopra di noi.
«La mia non è una certezza, ma una speranza!» esclama il signor Miller. «So che mi sono comportato da pessimo padre, ma-»
«No, no! Tu non ti sei comportato da padre affatto!» lo interrompe bruscamente suo figlio. «Ti sei svegliato una cazzo di mattina e te ne sei andato! Così! Senza dirci niente, senza darci una minima spiegazione e senza mai porci, in tre stramaledetti anni, delle fottute scuse!» La sua voce si incrina leggermente e i suoi occhi si inumidiscono. Così, per non lasciar intravedere la sua parte più fragile, si volta dalla parte opposta e smette di parlare.
Non appena lo fa, il mio cuore si riempie di compassione, e, in un gesto assolutamente istintivo, mi avvicino a lui e lo abbraccio. Lo stringo forte tra le mie braccia, dimenticando ciò che ha fatto. Lo dimentico, perché è stato il dolore che provava a portarlo a compiere un gesto tanto sbagliato. All'interno di quel colpo erano racchiusi la sua rabbia, il suo rancore e la sua malinconia. Emozioni represse per tre lunghi anni, celate dietro a una corazza, e causate da una sola e unica persona: suo padre.
«JJ, ti prego, ascoltam-» E, anche questa volta, viene interrotto da Jason. Il quale, con uno scatto impetuoso e istintivo, si scosta da me e si avvicina a suo padre, tanto da farlo scontrare contro il muro dietro di lui.
«Non azzardarti a chiamarmi in quel modo mai più!» Aggrotto le sopracciglia, non riuscendo a capire, ma poi ricordo il nomignolo con cui ha attirato la sua attenzione: JJ...
«Ma... tu adoravi quando ti chiamavo così...» L'espressione dispiaciuta del signor Miller si incastra alla perfezione con quella nostalgica di Jason, e, per una frazione di secondo, mi sembra che si sia calmato. Tuttavia, non perde tempo a ribattere in modo poco delicato: «Sì, quando eri mio padre!»
«Ma io sono ancora tuo padre...»
«No! Non lo sei.» Respira affannosamente e poi continua: «Mio padre è morto quella mattina d'estate, il giorno in cui ci ha abbandonati.»
Questa frase riesce a colpirmi a fondo, facendo leva sulla parte più sensibile di me e inducendo i miei occhi a inumidirsi, in contemporanea con quelli del signor Miller.
Ciò che ha detto Jason è il prodotto di tutto il dolore patito, e anche se lui non vuole ammetterlo, da questo si nota che la ferita è ancora aperta, e tremendamente fresca.
Cala il silenzio più totale. Nessuno dei tre dice più niente. Si percepisce soltanto la malinconia, la rabbia, la delusione.
Il signor Miller potrebbe dire qualsiasi cosa, ma niente riuscirà a farlo perdonare da suo figlio, non dopo tre anni di dolore e di mancanza d'affetto.
«Andiamocene.» ordina in seguito, prendendomi la mano e dirigendosi verso la sua moto, senza rivolgere il minimo sguardo a suo padre.
Non dico niente, resto semplicemente in silenzio, incapace di proferire anche una minima parola.
***
«Vado a fare una doccia.» afferma Jason, togliendosi la giacca di pelle e posando le chiavi della moto all'ingresso.
Emetto un sonoro respiro, indecisa se parlare o meno. «A-aspetta...» Attendo quanto necessario per attirare la sua attenzione e farlo voltare nella mia direzione, e continuo: «Dovremmo parlare...»
Con un'espressione alquanto dura e seria, si avvicina di poco a me e, puntandomi il dito indice contro, risponde: «Ti avevo detto di non andarci, te lo avevo chiesto, cazzo. E tu cosa fai? Non mi ascolti, mi ignori completamente e incontri quel bastardo.»
I miei sensi di colpa si fanno vivi uno dopo l'altro, facendomi sentire pessima per non averlo minimamente ascoltato. Se l'avessi fatto, adesso non saremmo in questa situazione, e l'unica possibilità di farli riconciliare forse ci sarebbe ancora.
«Ma io l'ho fatto per te... Volevo che, in un modo o nell'altro, recuperaste tutto il tempo perso.» pronuncio in un sussurro insicuro.
«Ti avevo già espressamente detto che non volevo averci più niente a che fare! Perché cazzo tu, Sally e quel bastardo non volete farvene una ragione!?» Alza il tono di voce e la vena sul collo ricomincia a pulsargli violentemente. «Non andrò a quel matrimonio, è inutile che continuate a insistere.»
Si volta dall'altra parte e si dirige in bagno, lasciandomi sola in mezzo alla stanza, in balia di sensi di colpa e rassegnazione.
Jason è stato più che chiaro sulla questione: non vuole avere più niente a che fare con suo padre. E, per quanto io ne possa essere contrariata, non posso impedirgli di farlo. È una sua scelta e io, così come Sally e il signor Miller, devo rispettarla. Convincerlo a perdonare suo padre sarà impossibile e gli farà ancora più male. Per tale motivo devo tenermi fuori dalla questione e lasciare che sia il tempo ad attenuare, se non guarire, tutte le ferite. Il fatto che si ritenga senza un padre è veramente triste, e sono sicura che, anche se non lo dà a vedere, anche a lui dispiace. Tuttavia, tutto ciò che il signor Miller gli ha fatto l'ha segnato a tal punto da considerarsi "orfano", privo di una figura paterna, e io non posso certo biasimarlo.
Sbuffo, dispiaciuta da tutta questa situazione, e prendo il telefono in mano, inviando un messaggio a Sally per chiederle se si trova ancora da David. Attendo qualche minuto, ma non risponde. Provo anche a chiamarla, ma ogni volta è la segreteria telefonica a interrompere gli squilli. E, anche se ormai ci ho fatto l'abitudine dopo tutti questi anni, inizio a preoccuparmi. Tuttavia, non faccio nient'altro, consapevole che si farà viva lei come sempre.
Ripongo il telefono sul divano e mi guardo intorno pensierosa. Ad un certo punto sento un rumore sordo provenire dal bagno, che mi fa sussultare. Aggrotto istantaneamente le sopracciglia e mi avvicino alla stanza, sbirciando dalla porta socchiusa.
«Cazzo...» Impreca tra i denti il castano, provocando lo stesso rumore udito poco prima.
Mi decido così a entrare, e appena lo faccio vedo Jason sotto la doccia con il capo chino verso il basso, il pugno destro poggiato sulla parete e l'acqua che scorre velocemente sul suo corpo, tracciando i suoi scultorei lineamenti. È di spalle, perciò non mi vede, così mi soffermo a osservarlo, e solo poco dopo mi accorgo che, oltre alle gocce d'acqua, scorrono sul suo viso anche lacrime salate.
Vederlo così fragile e privo di difese, in balia della malinconia e del dolore, mi colpisce dritta al cuore. Perciò, non esitando neanche un minuto di più, desiderosa di fargli percepire la mia presenza, mi svesto velocemente ed entro all'interno della cabina.
Non appena si accorge della mia presenza, si volta verso di me e mi scruta con due iridi attente ma allo stesso tempo malinconiche. Mi è difficile riconoscere il suo sguardo... In questo momento sembra vuoto, assente.
Mi avvicino ancora di più a lui e avvolgo le mie braccia intorno al suo collo, venendo ricoperta da gocce d'acqua e avvolta dal vapore.
Esita qualche secondo, ma poi si lascia andare, avvolgendo le mani attorno alla mia vita. Mi stringe come se avesse bisogno di uno scoglio a cui aggrapparsi per non venir portato via dal flusso delle sue emozioni; un appiglio per non cadere nel vuoto.
I suoi singhiozzi squarciano la sua anima e il silenzio della stanza, suscitando in me una compassione mai provata.
«Va tutto bene, ci sono io con te... ci sono io.» Mi scosto leggermente da lui, quanto basta per avvicinare le mie labbra alle sue e regalargli un bacio.
Intrecciamo le nostre lingue l'una con l'altra e, per un momento mi sembra di dimenticare tutto quanto: ogni preoccupazione, ogni angoscia, ogni ansia.
Da questo bacio trapela tutto il suo bisogno di avere qualcuno, qualcuno che gli stia accanto e non lo abbandoni.
«Lotts, io...» Si allontana leggermente da me, ancora in preda a mille pensieri, ma lo interrompo. Voglio che non stia male, voglio farlo stare, anche se per pochi minuti, bene, in pace, come lui mi fa sempre sentire quando stiamo insieme. «Ehi, lasciati andare... Distaccati per un po' da questo schifo...» Lo guardo attentamente negli occhi, speranzosa di ricevere una risposta positiva.
Passano diversi minuti, minuti in cui tutto ciò che fa è guardarmi dritto negli occhi, indeciso se lasciarsi andare e dimenticare, anche se per poco, o meno.
«Fanculo.» sussurra con voce roca, prima di posare, con uno scatto repentino, le mani sul mio sedere, facendomi scontrare contro la parete fredda della doccia e ritornando a baciarmi con più ardore e forza.
Sussulto per la poca delicatezza, ma non dico niente, troppo impegnata a intrappolare le sue labbra tra le mie.
Preme la sua erezione contro la mia intimità, oramai infuocata, e ghigna non appena nota il mio sguardo abbassarsi verso il suo grosso membro.
Con sguardo malizioso inizio a strusciarmici sopra, avvertendo la sua erezione crescere. La spinge di più contro di me, seguendo i miei movimenti.
«Oddio...» pronuncio tra un ansimo e l'altro.
Posa le sue labbra sul mio collo e inizia a succhiarlo e a leccarlo. Il dolore misto al piacere provocato da questo gesto tanto rude quanto eccitante mi porta a intrappolare il labbro inferiore tra i denti e a soffocare un gemito dopo l'altro. Tiro i suoi ciuffi castani a causa del turbine di emozioni e mi sollevo leggermente sulle punte.
Questo mio gesto attira la sua attenzione, poiché, subito dopo, punta lo sguardo nella mia direzione: «È un succhiotto, Lotts... Se reagisci così per questo, mi chiedo cosa faresti se ti prendessi da dietro...» pronuncia in modo malizioso, suscitandomi una quantità indefinita di curiosità.
Rimango in silenzio per una manciata di secondi, attenzionando la proposta. Sarebbe assurdo e nuovo per me, per non contare il dolore previsto, eppure l'idea mi intriga, mi spinge ad andare oltre. Oltre il tradizionale amplesso, oltre la paura, oltre i miei limiti, oltre tutto. Perciò, senza pensarci una volta di più, ordino:
«Fallo.»
Rimane inizialmente allibito da questa mia sentenza. Dalla sua espressione non credo si aspettasse una risposta del genere, eppure posso intravedere una scintilla di desiderio e malizia nel suo sguardo.
«Lotts, non sei obbligata se non vuoi.» Poso un dito sulle sue labbra, con l'intenzione di zittirlo, e ripeto: «Fallo e basta.» Non appena pronuncio tali parole, un ghigno malizioso appare sulle sue labbra. Subito dopo mi fa voltare nella direzione opposta alla sua, facendomi ritrovare faccia contro la parete.
Racchiude la mia chioma bagnata in una mano e appoggia l'altra accanto al mio viso. Successivamente avvicina le sue labbra al mio orecchio e, dopo avermi lasciato un bacio dietro il lobo, afferma in modo rude e terribilmente sexy: «Sappi solo che non camminerai per giorni...»
Milioni di farfalle si fanno vive nel mio stomaco appena la sua voce roca giunge alle mie orecchie e la sua calda e grande mano scende sui miei fianchi.
Non ho mai fatto una cosa del genere e il timore di pentirmene è tanto, eppure è la curiosità di provare nuove esperienze a prevalere.
«Però entra piano...» sussurro flebilmente, con la paura che mi strozza la voce.
Annuisce e, con una stoccata decisa ma non troppo violenta, entra dentro, facendomi serrare gli occhi a causa del dolore e della stranezza provata da questo nuovo tipo di rapporto.
Gli occhi mi si inumidiscono automaticamente e l'istinto di fermarmi si fa improvvisamente vivo. Tuttavia, il calore presente tra le mie gambe e la mia irrazionalità mi impediscono di farlo, inducendomi a serrare i pugni contro la parete.
Le prima spinte fanno piuttosto male, ma andando avanti il dolore si attenua, lasciando spazio al puro piacere.
Inizia a tirarmi i capelli, facendomi chinare il capo all'indietro. Emetto urla e gemiti che riecheggiano nella stanza e che incrementano a dismisura l'eccitazione di entrambi.
Aumenta la velocità e inizia a tirarmi i capelli più forte, mentre innumerevoli ansimi lasciano la sua bocca.
«Cazzo...» impreca tra i denti.
Mi sto facendo male, ma al contempo mi sento infuocata e viva. Stiamo bruciando entrambi di passione; ogni goccia di sudore, mischiata a quella dell'acqua, scivola sui nostri corpi caldi e bisognosi; cerchiamo di colmare il nostro rispettivo vuoto e, al tempo stesso, di appagare il nostro desiderio di averci l'un l'altra.
«Jason...» ansimo, torturando il labbro inferiore tra i denti, sul punto di venire.
Aumenta ulteriormente le spinte, ma non eccessivamente, per paura di farmi troppo male, e strizza il mio capezzolo sinistro, diventato ormai marmo allo stato puro, tra due dita.
Mi alzo sulle punte, avvertendo sempre più dolore, e chiudo gli occhi, a causa delle gocce d'acqua che si scontrano sul mio viso.
Passano una manciata di secondi, prima che possa regalarmi un'ultima profonda stoccata, capace di farci venire entrambi.
«Cosa cazzo mi fai, Lotts...» pronuncia tra un ansimo e l'altro, posando la sua testa sulla mia spalla, sfinito tanto quanto me.
Respiriamo affannosamente entrambi, incapaci di dire altro. Semplicemente avviciniamo i nostri visi, appoggiando le nostre fronti sudate l'una sull'altra.
«Wow...» sussurro sulle sue labbra.
Lo guardo attentamente negli occhi e mi soffermo a contemplare la magia dei luccichii presenti nei suoi occhi. A differenza di prima, riesco solo adesso a riconoscere il suo sguardo e la sua intensità.
Poso una mano sulla sua guancia e accarezzo il suo naso con il mio.
«Grazie...» pronuncia in un sussurro.
Sorrido lievemente e lo bacio, perdendomi nella morbidezza delle sue labbra. Nonostante avverta un lancinante dolore estendersi nella zona del mio fondoschiena, mi sento appagata in questo momento, e felice di averlo aiutato a non pensare a tutto questo schifo.
Prima che possa dire o fare altro, però, udiamo la porta d'ingresso aprirsi e la voce squillante della mia amica esclamare: «Ehilà! Sono a casa!»
Sgrano gli occhi non appena la sento e mi allontano istintivamente da Jason. «Diamine...» impreco tentando di uscire dalla cabina.
Tuttavia, a impedirmelo è il castano dinanzi a me che, con un ghigno sornione, si pone davanti alle due ante.
Sbuffo infastidita e cerco di smuoverlo con una leggera spinta, ma fallisco miseramente, divertendolo ancora di più.
«Jason, avanti, spostati.» ordino perentoriamente.
«Altrimenti?» Pronunciando questa domanda, si avvicina di più a me e, avvolgendomi un braccio intorno ai fianchi, mi spinge a indietreggiare, facendomi scontrare contro la fredda parete.
«Jason, cosa stai-» Non riesco a finire la frase, poiché con uno scatto improvviso si avventa sulle mie labbra, lasciandomi attonita.
Aggrotto le sopracciglia confusa, ma, quando sto per domandare perché si stia comportando in tale modo, lui mi precede, scoppiando in una sonora risata.
China il capo verso il basso, incapace di tenere a bada le risate: «Dovresti vedere la tua faccia in questo momento.» dice tra uno sghignazzo e l'altro. «Prego... passa pure.» Si schiarisce la voce e si sposta di lato, scuotendo la testa, con ancora un sorriso divertito stampato in volto.
Ah! Ah! Ah! Davvero molto divertente, Jason...
Roteo gli occhi al cielo ed esco finalmente dalla doccia, infilando i vestiti gettati sul pavimento con poca cura. Osservo poi velocemente la mia figura allo specchio, per accertarmi che sia tutto a posto. Tuttavia, sbianco non appena noto una macchia violacea presente sul mio collo, in particolare sul punto baciato e succhiato precedentemente da Jason.
Rivolgo uno sguardo fulmineo a quest'ultimo, che saetta lo sguardo dal succhiotto al mio viso con un ghigno orgoglioso.
«Soddisfatto?» domando in modo sarcastico.
«Non immagini quanto.» risponde sfacciatamente, ghignando.
Sbuffo, ma non ribatto, semplicemente cerco di coprire il collo con numerose ciocche di capelli e mi volto dall'altra parte.
Apro la porta del bagno, ma camminare per raggiungere il salotto mi risulta impossibile. Non riesco quasi a muovermi, e a stento mi reggo in piedi, a causa del dolore.
Tuttavia, cerco di farmi forza e cercare qualsiasi cosa per aggrapparmi.
Diretta, dopo forse cinque minuti, fuori dal bagno, noto la mia migliore amica stesa sul divano a pancia in giù con il viso affondato in un cuscino.
Aggrotto le sopracciglia e mi avvicino a lei preoccupata. «Sally, ti senti bene?» Le poso una mano sulla spalla e mi siedo accanto a lei.
Scuote la testa in segno di diniego e, con la voce ovattata a causa del cuscino, esclama: «No! Non sto bene per niente!»
«Che succede? David ha fatto qualcosa di sbagliato?» domando, preoccupandomi sempre di più.
«È questo il punto! Lui non ha fatto niente di male! Non fa mai niente di male!» Alza il capo, sedendosi meglio sul divano e posando il cuscino sulle sue gambe. «È bello, divertente, sarcastico quasi quanto me, e a letto è fenomenale...»
Ritiro leggermente il capo all'indietro, non riuscendo a seguire il suo filo conduttore. «E questo non è un bene?»
Mi guarda come se avessi appena detto chissà quale assurdità, ed esclama: «Un bene? È un male! Un male assurdo!» Sbuffa con un'espressione malinconica, espressione che non comprendo minimamente.
«Sally, non ti seguo...»
Aspetta qualche secondo prima di rispondere, ma poi abbassa lo sguardo e risponde: «Io penso di... di essere sul punto di... sì, ecco, sul punto di...» Lascia la frase in sospeso, aumentando a dismisura la mia curiosità.
«Sul punto di..?» la incito a continuare.
«Innamorarmi di lui.» risponde tutto d'un fiato, come se avesse appena confessato un omicidio.
Scoppio in una piccola risata, rendendomi conto dell'assurdità di questa situazione. Lei mi guarda con sguardo assente, confuso.
«Beh? Che hai da ridere?» domanda infastidita.
Cerco di riprendere fiato e le rispondo: «Sally... Innamorarsi è una cosa stupenda... non devi averne paura.»
Abbassa ulteriormente lo sguardo e, riprendendo un tono fragile e insicuro, risponde: «Forse hai ragione, l'amore è stupendo, ma quello che ne sussegue dopo fa schifo.» Divento immediatamente seria, udendo queste parole e le prendo le mani tra le mie. «Sally, ma tu-» Mi interrompe subito dopo, incastrando le sue iridi nelle mie. «L'ultimo uomo che ho amato è stato mio padre, e guarda com'è finita.» Fa spallucce, mentre gli occhi le si inumidiscono. «Come posso sapere se David non farà la stessa identica cosa? Come posso sapere se non si stancherà di me e mi lascerà da sola?»
Le poso una mano sulla guancia, rivolgendole uno sguardo ricco di affetto e compassione. «Ti ho già detto che non lo farà. Lui sa quanto tu sia meravigliosa e piena di luce, e lo sai anche tu...» Faccio una breve pausa e continuo: «Non lasciare che questo trauma influenzi le tue scelte e la tua vita in questo modo.» Le accarezzo il viso dolcemente, asciugandole una lacrima salata sfuggita al suo controllo. «Se vuoi stare con David, fallo... Voglio dire, carpe diem, cogli l'attimo... Perché si sa, non c'è niente al mondo di più bello di innamorarsi, e vivere il brivido di star con qualcuno.» Mi sorride, ma non dice niente. Si limita ad annuire, avvicinandosi a me e stringendomi forte tra le sue braccia.
«Grazie, Charlotte...» sussurra tra i miei capelli.
Increspo le labbra in un sorriso, stringendola ancora di più.
Tuttavia, poco dopo di scosta da me con uno scatto e un'espressione incuriosita sul volto. «Cos'è quello?» Punta il suo sguardo sul mio collo, o meglio, sul mio succhiotto, diventando improvvisamente seria.
Subito dopo inarca le sopracciglia e schiude le labbra sorpresa. «Wow, Charlotte... Non ti immaginavo così...» Posa un indice sul mento e rivolge lo sguardo al soffitto, cercando il termine giusto da usare. «Aperta...»
Sgrano gli occhi e mi gratto la nuca imbarazzata.
«È stato Jason a fartelo?» domanda, alzando e abbassando le sopracciglia maliziosamente.
Prima che possa rispondere, però, è la voce presuntuosa di quest'ultimo a precedermi: «Colpevole!» esclama divertito, gettandosi sul divano con le mani posizionate dietro la nuca e i piedi incrociati sul tavolino dinanzi a esso.
Grazie, Jason! Grazie per aiutarmi a non sentirmi ancora più in imbarazzo di così.
Sbuffo rassegnata, venendo però contagiata dal sorriso che il castano mi rivolge.
«Artefice non solo di quello...» Punta il suo sguardo malizioso verso la mia direzione, facendo chiaramente riferimento al dolore che mi pervade.
«Divertente!» esclamo, gettandogli un cuscino in pieno viso.
Scoppio in una sonora risata notando la sua espressione sbigottita, e gliene lancio un altro.
«Oh, no, no. Questo non dovevi proprio farlo.» Con un rapido scatto, piomba sopra di me, facendomi stendere sul divano e bloccandomi i polsi con le mani. Cerco di liberarmi, ma la differenza di statura e di forza è troppa per far si che ci riesca.
«Sembrate due bambini.» commenta Sally, sghignazzando.
Le sue mani iniziano a muoversi velocemente sul mio corpo, torturandomi con un solletico lungo e doloroso.
«Oh Dio! Jason, basta!» Gli occhi mi si riempiono si lacrime a causa delle risate, e inizio a fingere di essermi fatta male per indurlo a smetterla. Tuttavia, tutti i tentativi falliscono miseramente dinanzi alla furbizia.
«Non puoi rubare a casa di un ladro, Lotts. Questi sono i miei stessi trucchetti.» afferma presuntuosamente.
«Jason, ti prego, smettila!» lo imploro inutilmente, contraendo ogni parte del mio corpo.
Tuttavia, mi ignora miseramente e continua a farmi il solletico per diversi secondi, prima che il rumore del campanello ci interrompa.
Si volta verso la porta e sbuffa. «Sta tranquilla, continueremo un'altra volta.» mi minaccia scherzosamente.
«Contaci...» Mi siedo meglio sul divano, liberandomi dalla sua presa, mentre Sally si dirige verso la porta d'ingresso.
«Ah, avevo dimenticato di dirvi che ho invitato i ragazzi per una serata di cinema.»
«Quali ragazzi?» domanda Jason, aggrottando le sopracciglia.
Sua sorella non fa in tempo a rispondere, poiché la vista di David e Matt sulla soglia della porta la precede.
Oh cielo... penso tra me e me, rammentando a me stessa che l'ultima volta Jason non ha parlato affatto bene di Matt quella sera del falò sulla spiaggia, data l'antipatia nei suoi confronti.
Immediatamente nella mia mente si fa viva la paura che possa succedere qualche casino nel corso della serata.
«Ciao, ragazzi!» esclama Matt, salutando dapprima Sally e poi me e Jason.
A quel punto, mi alzo dal divano e lo raggiungo, abbracciandolo calorosamente.
Appena mi scosto da lui, però, mi volto verso Jason e noto da subito l'espressione seria e marcata con cui fissa le mani di Matt posate ancora sui miei fianchi.
Quest'ultimo si accorge del suo guardo truce e le ritira lungo i fianchi, salutandolo imbarazzato subito dopo.
La risposta che ottiene dal castano, tuttavia, è un cenno impassibile del capo, che lo lascia sorpreso.
Roteo gli occhi al cielo, infastidita dal suo atteggiamento infantile, ma decido comunque di tacere e non dire nulla a riguardo.
Mi avvicino a David, con l'intento di salutare anche lui, ma è troppo impegnato a limonare con Sally per prestarmi attenzione. Perciò, con un'espressione imbarazzata sul volto, mi riavvicino ai ragazzi.
«Allora... Film e patatine?» propongo, facendo spallucce.
Accettano tutti, così mi volto dalla parte opposta per dirigermi in cucina. Tuttavia, nel farlo, gemiti di dolore fuoriescono dalla mia bocca, impedendomi di camminare spedita.
«Charlotte, va tutto bene?» domanda Matt, con un'espressione preoccupata sul volto. Espressione completamente diversa da quella di Jason, che, con un ghigno compiaciuto, mima: «Io avevo avvisata.»
Lo ignoro, rivolgendogli un falso sorriso e annuisco verso Matt, cercando qualsiasi risposta che non risulti imbarazzante.
«Ehm, si, tutto bene. Ho solo crampi allo stomaco, niente di che.» Increspo le labbra in un sorriso imbarazzato e mi dirigo in cucina con movimenti cauti e lenti.
Arrivata, svuoto alcuni sacchetti di patatine in una ciotola e, prima di ritornare in salotto, mi soffermo con il capo chino e le mani posate sul tavolo a pensare, o meglio, a sperare che vada tutto bene, che non succeda qualche disastro e che, soprattutto, Jason non se la prenda con nessuno, utilizzando la violenza.
«Va tutto bene?» La voce di Sally mi interrompe dopo alcuni minuti, inducendomi a voltarmi verso di lei.
Faccio spallucce e sbuffo. «Diciamo...»
Mi rivolge un'espressione interrogativa, spingendomi a chiarirmi meglio.
«Jason non sopporta Matt, e ho paura che questo, più la gelosia nei miei confronti, possa portarlo a fare stupidaggini.»
«Come con Adam sullo yacht di Lily?» annuisco prontamente, ricordando tutto il casino successo quella sera.
Ricordo che la sera prima ci eravamo baciati per la prima volta. Non eravamo ancora niente: né amici né fidanzati. Eppure avevamo nei confronti dell'altro una quantità indefinita e ingiustificata di gelosia che ci ha portato a compiere vere e proprie sciocchezze.
Adesso stiamo insieme, e non voglio neanche immaginare quello che potrebbe fare Jason se succedesse la medesima cosa accaduta sullo yacht.
Ritorno alla realtà, emettendo un sospiro speranzoso, e, insieme a Sally, raggiungo gli altri in salotto.
«Stai scherzando? Dwayne Johnson è un figo da paura! Li hai visti i suoi bicipiti? Sono uguali ai miei!» La scena che ci ritroviamo davanti induce me e la mia amica a scoppiare a ridere: David si trova in piedi, davanti al televisore con sopra proiettata la copertina di un film dell'attore, con il braccio destro scoperto e sollevato per mettere in mostra i suoi muscoli tesi.
«"Come i tuoi?", pensi davvero di avere i suoi bicipiti, amico?» ribatte Jason con un ghigno derisorio sul viso.
«Ma guardaci! Siamo letteralmente la stessa persona! Con la sola differenza che io dei capelli fantastici.» Fa spallucce David, ostentando tutta la sua presunzione e vanità.
Allora esistono persone più presuntuose di Jason... penso ironicamente.
«Ma ti sei visto? Johnson è dieci volte te, se non cento!»
«Ma dai...» Fa una piccola pausa e poi continua, non appena vede me e Sally sulla soglia della porta. «Charlotte, Sally, è vero che somiglio un sacco a Dwayne?»
Il fatto che David sia veramente convinto di quello che sta dicendo mi diverte, e non voglio rovinare il suo momento di gloria. Perciò, seppure io la pensi in modo diverso dal suo, accenno un sorriso e annuisco, prendendo posto sul divano tra Jason e Matt.
«Sally?» si rivolge poi alla mia amica, la quale, pur esitando inizialmente, risponde con un secco: «No, per niente.»
Per poco non scoppiamo tutti a ridere di fronte a questa sua dura verità. Il moro, a quel punto, fa spallucce con un'espressione delusa e da "ragazzo incompreso" sul volto. «È inutile, siete tutti usciti fuori di testa.»
A quel punto si siede sul divano accanto a noi, e, senza pensarci due volte, afferra Sally dai fianchi, avvicinandola di più a lui. «Hai risposto in modo sbagliato...» sussurra sull'incavo del suo collo, prima di stamparle un bacio lungo e intenso.
Discosto lo sguardo divertita ma allo stesso tempo imbarazzata e accordo con i ragazzi un film da vedere.
Alla fine, dopo diverse ricerche, decidiamo di vedere "Segui il tuo cuore". Film strappalacrime visto e rivisto forse un centinaio di volte, ma che suscita in me sempre le stesse emozioni.
Spente le luci, iniziamo a vederlo e Sally e David smettono di baciarsi, mettendo fine al mio imbarazzo.
Dopo circa mezz'ora, a metà film, il mio viso è rigato da mille lacrime e il mio respiro affannoso a causa del pianto e dei singhiozzi che fuoriescono dalla mia bocca.
È inutile...Non riuscirò mai a guardare questo film senza piangere.
Poco dopo mi volto verso Jason e noto che mi guarda con un'espressione alquanto divertita in volto.
«C-che ridi?» domando tirando su con il naso, non comprendendo questa sua insensibilità di fronte a un film del genere.
Fa spallucce e fa apparire un piccolo ghigno sul volto illuminato dalla sola luce del televisore e circondato dalla restante oscurità. Successivamente si volta, fingendo di ignorarmi.
«Come fai a n-non piangere con questo film?» domando tra un singhiozzo e l'altro.
Emette un sospiro ironico e risponde con nonchalance: «Semplicemente non lo sto guardando.»
Sbuffo, roteando gli occhi al cielo, e continuo a guardare il film, rassegnata.
«Va tutto bene? Stai piangendo come una fontana.» Mi volto alla mia sinistra, per capire chi abbia pronunciato tale frase, e noto Matt scrutare attentamente ogni mia lacrima.
«Non proprio... Questo film è straziante.»
«Non posso darti torto, anche io piango ogni volta. Ora però ci ho fatto l'abitudine.» Fa spallucce, rivolgendomi un sorriso gentile.
«Dai su,» mi sprona in seguito. «tranquillizzati, o il tuo viso diventerà un vero e proprio lago.» Posiziona un braccio intorno alle mie spalle in modo affettuoso, e gli sorrido dolcemente.
Subito dopo, però, con uno scatto repentino, avverto Jason scansare il braccio di Matt lontano dalle mie spalle, per poi poggiare il suo, avvicinandomi di più a lui.
Mi volto verso il castano, stranita da questo suo gesto, e noto lo sguardo truce e provocatorio che rivolge al biondino accanto a me.
Tuttavia, lo ignoro, continuando a vedere il film, e apprendendo con molto stupore che anche Jason lo sta facendo.
«Non avevi detto che non lo stavi guardando?» domando, incuriosita.
«Da ora sì.» risponde prontamente.
Rivolgo nuovamente lo sguardo verso Matt e noto che ci guarda straniti, come se non stesse capendo cosa stia accadendo.
Se ne accorge anche Jason, poiché, con la chiara intenzione di marcare il territorio, afferra il mio viso tra le mani e posa le sue labbra carnose sulle mie.
Cedo all'effetto che la sua lingua mi fa ogni dannata volta e prolungo il bacio, seppur consapevole che Matt ci stia guardando.
Ci scostiamo l'uno dall'altra poco dopo, con i respiri intrecciati e le nostre iridi incastrate le une nelle altre.
«Oh, io non sapevo steste insieme...» pronuncia Matt in un flebile sussurro, quasi come se si sentisse in colpa.
Quando sto per tranquillizzarlo e dirgli di non preoccuparsi, tuttavia, Jason mi precede, pronunciando in modo freddo: «Bene, ora lo sai.»
Sbuffo contrariata a questo suo poco tatto, ma non dico nulla, semplicemente rivolgo un sorriso imbarazzato a Matt.
***
«Grazie per l'invito, ragazzi, e buonanotte.» saluta il biondino sulla soglia della porta, con le mani infilate nelle tasche dei jeans.
«Grazie a voi per essere venuti.» gli rivolgo un sorriso smagliante, carico di gentilezza, voltandomi poi verso Jason, aspettando che faccia lo stesso. Purtroppo, però, non dice nulla, saluta semplicemente David con una stretta di mano seguita da una spallata amichevole.
«Ci vediamo domani...» sussurra Sally all'orecchio del moro, prima di stampargli un bacio sulle labbra.
Quest'ultimo ricambia e dopo alcuni secondi, con tono ironico ma sicuro di sé al tempo stesso, dice: «Io comunque continuo a pensare di essere uguale a Dawyne.»
Roteo gli occhi al cielo, seguita da tutti gli altri, e sbuffo rassegnata.
«Amico, passa prima almeno dieci anni in palestra e poi, forse, potremmo iniziare a prendere in considerazione l'idea.» risponde Jason sarcasticamente, avvolgendomi subito dopo un braccio intorno ai fianchi e avvicinandomi maggiormente a lui.
«Sì, certo.» Inarca le sopracciglia e continua: «Ci credo che il mondo è pieno di ignoranti, ne ho quattro qui davanti a me.» mormora tra sé e sé, inducendomi a scoppiare in una piccola risata.
Dopo essere andati via, Jason si dirige nel terrazzino per fumare una sigaretta, e io lo seguo, come attratta magneticamente da lui.
Accende la sigaretta e la porta alle labbra, prima di sedersi su una delle sedie in plastica con le gambe semi aperte e il gomito posato sul bracciolo. Poco dopo fa fuoriuscire il fumo dalla bocca, socchiudendo appena gli occhi e puntando lo sguardo sul resto della città, cullata nell'oscurità della notte. E seppur non sappia il perché, questo gesto appare ai miei occhi terribilmente sexy.
Non si accorge da subito della mia presenza, ma, appena lo fa, sorride lievemente e mi invita con un cenno del capo ad avvicinarmi.
Faccio come detto, e mi siedo sopra di lui a cavalcioni, con la sua mano sinistra sui miei glutei e l'altra, che impugna la sigaretta, sul mio viso che mi sistema una ciocca di capelli dorati dietro l'orecchio.
«Perché ti sei comportato in quel modo con Matt?» domando, sfiorando il mio naso con il suo.
Emette un sospiro scocciato, e, facendo un altro tiro dalla sigaretta, risponde: «Perché faceva il cazzone.»
«E questo secondo chi, esattamente?» Inarco le sopracciglia, con un piccolo ghigno divertito.
Fa spallucce e mi sorride di rimando: «Secondo me, ovvio.» Prima che io possa ribattere con qualsiasi altra cosa, posa una mano sul mio viso e lo avvicina di più al suo, facendo incontrare le nostre labbra.
Ho la frequenza cardiaca accelerata dal desiderio e una sensazione molto familiare che persiste all'altezza dello stomaco. Baciarlo mi fa sempre lo stesso effetto: mi fa provare emozioni mai provate con nessuno in vita mia e mi trasporta in un mondo sconosciuto, ma in cui mi sento bene, felice. Un mondo in cui dimentico il casino della mia vita e il dolore che essa mi porta.
Ci scostiamo poco dopo, poiché mi viene in mente un ricordo in particolare. «È stato proprio qui che ci siamo baciati per la prima volta, ricordi?» Mi guardo attorno, rammentando quella notte e il preciso istante in cui ho capito che tra me e Jason c'era qualcosa in più di un semplice rapporto di "conoscenza".
«Certo che lo ricordo, mi sei saltata addosso dopo che ci eravamo ripromessi di essere solo amici.»
«Sì, ma non mi era sembrato che volessi avere solo quel tipo di rapporto, data l'esaltazione del tuo "amichetto" non appena "ti sono saltata addosso".» rispondo, in modo provocatorio, lasciandolo completamente senza parole.
Inizia a sghignazzare e a scuotere la testa, mettendo in risalto il suo sorriso e il luccichio dei suoi occhi così scuri e profondi.
Quanto diamine è bello... penso tra me e me, perdendomi a contemplare il suo fascino.
Senza aspettare un secondo di più, mi affretto a baciarlo nuovamente, facendo si che le nostre lingue si intreccino l'un l'altra come se stessero danzando.
Con una mano mi spinge di più sul suo basso ventre, compiendo tale movimento, capace di mandarmi completamente a fuoco, per diversi minuti.
Ansimo, non appena sento una pressione sul bacino, e gli mordo un labbro, sapendo che questo gesto lo eccita ogni volta da morire.
Continuiamo a baciarci per un po', ma proprio quando stiamo per alzarci e dirigerci in camera, il mio telefono inizia a squillare ininterrottamente, interrompendoci bruscamente.
Impreco tra me e me, e punto lo sguardo verso Jason, il quale, con aria frustrata, mormora: «Mi sembra un cazzo di dejavou.» Passa una mano tra i capelli, portando nuovamente la sigaretta alle labbra.
Non dico nulla, mi limito ad alzarmi, con la sua stessa frustrazione, e rientro in salotto, in cerca del mio telefono.
Non appena leggo il nome sul display, però, un sorriso compare sul mio volto. Non perdo un secondo di più a rispondere, ed esclamo: «Mamma! Che bello sentirti...»
Il silenzio dall'altro capo del telefono mi stranisce e inizia a preoccuparmi molto, così come i singhiozzi strozzati che cerca di non farmi sentire.
«Mamma, va tutto bene?» Nessuna risposta. «Mamma, che succede? Rispondimi, mi stai facendo preoccupare.» Il cuore inizia a battere più forte e l'ansia a divorarmi sempre di più, fino a quando non odo quattro parole, capaci di lacerarmi l'anima.
«M-Mi ha picchiata, Charlotte...»
Smetto di respirare, il battito cardiaco si arresta e le labbra si schiudono automaticamente. I rumori dei clacson delle auto, la voce di Sally che canticchia sotto la doccia e il picchiettio dell'anello di Jason sul tavolo diventano ovattati.
Non riesco a sentire, a fare o a pensare più a niente. È come se mi fossi distaccata da tutto e da tutti, allontanata dal mondo intero.
Non posso credere che mio padre abbia potuto fare una cosa del genere... Non ha mai torto un solo capello a mia madre. Litigavano, se ne andava in un bar a sbronzarsi e ritornava la sera, ricominciando a discutere nuovamente con lei, è vero, ma non è mai andato oltre. Sfogava la sua rabbia gettando vasi, bottiglie, tavoli e sedie sul pavimento, oppure urlando contro sé stesso o contro di noi, ma non ha mai alzato un solo dito per colpire me o la mamma. Non voglio neanche immaginare come si sia sentita. Con il cuore colmo di terrore, lo sguardo completamente vuoto e la paura a farle da seconda pelle. Non capisco come abbia potuto farlo... come abbia potuto colpire un essere fragile e insicuro come lei.
«A-Adesso dov'è?» domando come un automa.
«Se n'è andato... Non so quando ritornerà, ma non voglio che lo faccia.» risponde tra un singhiozzo e l'altro. «Ho paura, Charlotte...» Questa frase è capace di spezzarmi il cuore in due parti e di suscitare in me un odio violento verso l'uomo che chiamavo "padre".
«Mamma, stai tranquilla, okay? Non piangere.» Faccio una pausa di riflessione, e continuo subito dopo: «Sto venendo lì da te.»
💖SPAZIO AUTRICE💖
Rieccomi qui, cari lettori/lettrici. Dopo una lunga attesa, sono riuscita finalmente a pubblicare😅
Come avete visto è bello lungo questo capitolo, ma spero che abbia compensato questa mia assenza.
Comunque, abbiamo appreso una volta per tutte che Jason non vuole andare a questo benedetto matrimonio, e come dargli torto? Dopo tutto quello che ha passato... Fatemi sapere, comunque, se voi siete d'accordo con la sua scelta oppure no.
Sappiamo inoltre che Charlotte andrà a Santa Rosa, per aiutare la povera madre... Però vi spoilero che non sarà da sola, ma l'accompagnerà Jason.
Tuttavia, conosciamo il suo carattere, così come le sue reazioni se qualcuno ferisce Charlotte. Quindi adesso vi chiedo: secondo voi, cosa succederà? Posso soltanto dirvi che:
Jason+ padre di Charlotte= casino più totale.
Anche perché, vorrei ricordarvi, che molti aspetti e atteggiamenti del padre di Charlotte gli ricordano quelli di suo padre, e sappiamo che per lui Jason prova solo astio e rancore.
Spero comunque che il capitolo vi sia piaciuto, se così (e se vi va) lasciate una stellina🌟.
Possiamo anche commentarlo insieme su instagram (annaa_storiess) e, chissà, magari potrei darvi anche qualche spoiler in più🤭
Ci vediamo al prossimo capitolo, ciaoo❤
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